Lessico

sm. [sec. XIX; da simbolo].

1) L'avere valore simbolico: il simbolismo di un atto, di una cerimonia.

2) Uso di determinati simboli per rappresentare un contenuto anche sistematico; concretamente, l'insieme dei simboli usati in una determinata disciplina: il simbolismo della chimica, della matematica.

3) In linguistica: simbolismo fonetico, rapporto vero o supposto tra suono e significato di un termine (per esempio nelle onomatopee).

4) Nella storia letteraria e artistica, nome di specifici movimenti che ricorrono a sistemi simbolici in funzione di particolari esigenze espressive.

5) Teoria filosofica che definisce la realtà sensibile un simbolo della realtà intelligibile. Nel processo conoscitivo perciò il simbolismo esclude che la conoscenza intellettiva attinga la realtà: in Platone il mondo sensibile è simbolo di quello intelligibile; in Plotino l'ordine inferiore è simbolo di quello superiore; in I. Kant i dogmi della fede sono simboli di verità morali; K. Jaspers, attingendo a motivi neoplatonici, fa del mondo un vestigium Dei e al pensiero attribuisce la funzione d'interpretarne il significato in ordine alla trascendenza. Nel problema estetico il simbolismo è la tendenza a interpretare l'espressione artistica come simbolo che la trascende (J. Ruskin in Modern Painters; 1843-60)

6) Nella storia delle religioni, ogni indirizzo storico-religioso tendente a identificare culti e miti come simboli.

7) Nella psicoanalisi, modo del pensiero in base a cui l'inconscio presenta alla coscienza il simbolo invece dell'oggetto simboleggiato come opera di protezione.

Letteratura: la nascita e lo sviluppo in Francia e in Belgio

Movimento letterario e artistico sorto in Francia nell'ultimo ventennio del sec. XIX. Nato ufficialmente con un manifesto di J. Moréas pubblicato su Le Figaro il 18 settembre 1886, aveva origini lontane, risalenti al romanticismo e alla poesia di C. Baudelaire, al quale appartiene anche la prima definizione poetica di simbolismo, contenuta nel sonetto Correspondances. In esso la natura è rappresentata come una foresta di simboli tra loro “corrispondenti” che racchiudono le chiavi del significato dell'universo. Secondo una concezione già romantica della funzione del poeta, suffragata dalla filosofia idealistica, a lui compete il ruolo di interprete della realtà, grazie a strumenti di conoscenza diversi e più penetranti di quelli del puro raziocinio. In modi diversi ma non discordanti, l'uno identificando il poeta nel veggente, l'altro assegnando alla musicalità del verso il potere di suggerire la realtà impalpabile, A. Rimbaud e P. Verlaine svilupparono la poetica baudelairiana fino a diventare i massimi rappresentanti della scuola simbolista, alla quale tuttavia non appartennero di fatto. Essa si forgiò invece intorno a una miriade di riviste effimere, tra le quali emergono, con caratteristiche talora diverse dato il confuso fervore di iniziative di rottura antiparnassiane e antinaturalistiche dell'epoca, Le Décadent, Le Symboliste, La Vogue, La Plume, Mercure de France (fondato da A. Vallette nel 1889), La Revue wagnerienne (fondata da E. Dujardin nel 1885). Vi collaborarono G. Kahn, S. Merrill, F. Viélé-Griffin, R. Ghil, J. Moréas che già nel 1891 se ne sarebbe staccato per fondare l'École romane, A. Retté, Ch. Guérin, A. Samain, J. Laforgue, morto giovanissimo nel 1887, A. Jarry. Altri si raccolsero intorno ai “martedì letterari” di S. Mallarmé, riconoscendo in lui il massimo interprete della nuova poesia, depositaria del mistero assoluto dell'idea racchiuso nelle più ermetiche forme. E accanto a Mallarmé, con i Dujardin e i Régnier furono influenzati dal simbolismo, o ne furono interpreti altissimi, poeti e scrittori come P. Valéry, A. Gide e P. Claudel, il quale ispirò il suo teatro, fin dai primi drammi, a un simbolismo che continuò parallelamente alla conquista della fede, nel rispetto di una verità più alta accettata in totale dedizione, chiave per l'interpretazione di ogni cosa. Il merito della rottura con le forme della metrica classica non spetta tuttavia esclusivamente ai grandi, ma anche a tutti quei poeti “di scuola” che del “verso libero” fecero lo stendardo di guerra alla tradizione. A essi, che furono numerosissimi, vanno aggiunti poeti belgi di notevole statura come G. Rodenbach, E. Verhaeren, A. Mockel, C. Van Lerberghe, M. Maeterlinck. Di Maeterlinck va detto che fu certo tra i maggiori drammaturghi che si espressero in chiave simbolista. In lui si ritrovano ispirazioni e leggi che sono la chiave del teatro claudelliano. Alla realtà del mondo visibile fa riscontro una realtà del mondo invisibile cui l'uomo partecipa in tutto il suo dualismo, di realtà e spirito, di visibile e invisibile. Maeterlinck voleva persino sostituire all'attore qualcosa di più emblematico, così come Mallarmé voleva sostituire all'eroe tradizionale un'astrazione universale, la “figure que nul n'est”, tesi che conquistarono sul finire dell'Ottocento il Théâtre d'Art e il Théâtre de l'Œùvre, dove il regista A. Lugné-Poe sperimentava in chiave simbolista, contro il rigorismo di A. Antoine, anche il teatro di H. Ibsen. Il simbolismo fu dunque un momento determinante della storia letteraria anche se la sua stagione si concluse presto.

Letteratura: lo sviluppo negli altri Paesi

Ebbe il suo momento di splendore, non solo in Francia dove nacque, ma anche altrove, specie in Russia, dove, pur riconoscendo la sua filiazione francese, seppe riallacciarsi anche con vigore alla tradizione nazionale (folclore, fede cristiana ortodossa, M. Lermontov, F. I. Tjutčev, E. Baratynskij, A. Fet). I primi tra i poeti “nuovi” furono N. Minskij e I. Jasinskij che nel 1884 pubblicarono sulle pagine della rivista Zarja di Kijev un articolo contro la letteratura impegnata auspicando un'arte indipendente, autonoma. In seguito D. Merežkovskij con i suoi Simboli (1892) diede il nome al movimento. Accanto a lui i rappresentanti più noti della prima generazione di simbolisti furono Z. Gippius, F. Sologub, A. N. Dobroljubov, V. Brjusov e K. Balmont, sostenitori della poesia pura. All'affermazione del simbolismo contribuirono i tre volumi di Simbolisti russi curati da Brjusov ed editi nel 1894 e 1895. Brjusov, Balmont, Sologub, I. Vjačeslav e la cosiddetta seconda generazione con A. Blok e A. Belyj furono i rappresentanti più conosciuti del movimento, che assunse caratteri peculiari soltanto dopo il 1900 e specialmente in poesia, pur avendo dato notevoli frutti letterari anche in prosa (con Sologub, Belyj e Brjusov). La massima fioritura del simbolismo russo avvenne nel primo decennio del Novecento, grazie anche alle sue tribune, Vesy (La Bilancia; 1904-09) e Zolotoe runo (Vello d'oro; 1906-09) sulle quali apparivano non solo le opere poetiche e narrative ma anche gli scritti teorici dei simbolisti. Intorno alla Novyj put (Nuova strada; 1903-04) si riunivano invece i simbolisti di tendenza filosofico-mistica e religiosa (Merežkovskij, Gippius, V. Rozanov). Meno determinante fu l'influsso del simbolismo sulla letteratura di lingua inglese, dove si manifestò soprattutto con intendimenti di rottura in rapporto al classicismo e come scuola sperimentale. Si possono quindi reperire echi piuttosto che poeti simbolisti. Tali echi sono riscontrabili in E. Pound come in J. G. Fletcher, W. B. Yeats, T. S. Eliot. Le teorie simboliste ebbero anche il merito di richiamare una maggiore attenzione sulle poesie di E. A. Poe, che già aveva conquistato traduttori e poeti come Baudelaire e Mallarmé. Parallelo all'influsso sulla letteratura inglese fu quello sulla letteratura tedesca, con riflessi manifesti in S. George, R. M. Rilke, C. Spitteler, mentre più significativo apparve in Romania dove tipici rappresentanti furono G. Bacovia, S. Petica, D. Anghel e I. Minulescu. Respinta nel periodo del dominante “proletcultismo” il simbolismo è stato in seguito rivalutato da una visione critica che riconosce ad esso una matrice da cui è stata generata la poesia moderna; quella poesia cui è legato il modernismo della letteratura spagnola e ispano-americana, il cui maggior rappresentante fu R. Darío, e che in Italia è rilevabile, sia pur in tono minore, in poeti che vanno da G. D'Annunzio a G. Pascoli, a D. Campana, a G. Ungaretti, a E. Montale.

Arte

All'idea di ricerca e di progresso, propria del realismo ottocentesco, i simbolisti sostituirono quella di una continua aspirazione alla trascendenza, escludendo perciò la radicale trasformazione dei procedimenti dell'arte, di cui invece proposero un raffinamento spinto fino all'estenuazione. G. Moreau, O. Redon e R. Bresdin furono i maestri ideali della nuova generazione, caratterizzata da una mutata sensibilità e dal desiderio di staccarsi da un culto stretto della natura. Trovando così sostegno nelle poetiche letterarie contemporanee, il simbolismo riaprì un problema di contenuti e si ricollegò alle prime istanze romantiche e visionarie di W. Blake e J. H. Füssli e all'allegorismo delle evocazioni classiche di P. Puvis de Chavannes. La nuova estetica, propagata da numerose riviste quali Pléiade, Le décadent, Le Symboliste, La Plume, Mercure de France, determinò mutamenti significativi anche nell'ambito dei neoimpressionisti, tanto che G. Seurat e P. Signac proclamarono la necessità di un deciso distacco dal naturalismo impressionista. In questo momento di vivo fermento culturale intervenne, nell'ambito simbolista, P. Gauguin che, già in contatto con i letterati, particolarmente con Mallarmé, si era interessato ai problemi dell'espressione simbolista durante il suo soggiorno in Bretagna. Attorno a lui si formò il cosiddetto gruppo di Pont-Aven che, cogliendo il carattere precipuo dell'arte gauguiniana, mirò a un sintetismo formale di carattere emblematico. Una mostra di questo primo gruppo a Parigi, al Café Volpini nel 1889, conquistò al movimento simbolista gli allievi dell'Académie Julian che, riuniti attorno alla Revue Blanche, ne furono gli effettivi continuatori, traducendolo in costume di vita: i nabis, e segnatamente P. Sérusier, il primo M. Denis, il primo P. Bonnard, P. Ranson, F. Vallotton ed E. Vuillard. Questi artisti sono uniti dall'ammirazione per Gauguin e animati da una comune aspirazione al rinnovamento della pittura, a una sua uscita dagli schemi del naturalismo e dell'accademismo; tuttavia ciascuno di loro si esprime in modo diverso e personale. Nel 1891 il critico A. Aurier, in un articolo sul Mercure de France dedicato a Gauguin, diede il suo contributo teorico al simbolismo, definendo l'opera d'arte: ideista, simbolista, sintetica, soggettiva e decorativa. Quasi contemporaneamente, in relazione più o meno stretta col simbolismo francese, si manifestarono analoghe tendenze in altri paesi europei: in Inghilterra, dove un avvio era stato dato dai preraffaelliti, con l'estetismo vittoriano di A. Beardsley, in Olanda con J. Toorop, in Svizzera con F. Hodler, in Germania con A. Kubin. Un altro centro simbolista fu poi Vienna, dove attorno a G. Klimt si raccolse un folto gruppo di artisti, fondando nel 1897 il movimento della Secessione. Nel suo rapido diffondersi la poetica del simbolismo perse alcune delle sue specifiche mozioni originarie e palesò sempre più il proprio carattere estetizzante e formalista, diventando una forma di gusto, uno “stile” destinato a influire ampiamente su diverse forme di espressione artistica. La sua importanza storica infatti fu enorme: respinto dal cubismo, che muovendo da P. Cézanne riaffermò la concezione dell'arte-conoscenza, riprese slancio con l'espressionismo del Blaue Reiter (specialmente con V. Kandinskij e P. Klee) e con le varie correnti dell'avanguardia europea. Dopo la prima guerra mondiale ritrovò credito anche in Francia col surrealismo e, dopo la seconda, con le tendenze informali collegate alle filosofie dell'esistenza.

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