Descrizione generale

sf. [sec. XIV; dal latino agricultūra]. L'insieme delle pratiche relative alla coltivazione dei campi. È tradizionalmente considerata l'attività primaria dell'uomo. Nel tempo il suo significato si è ampliato sino a comprendere un insieme di operazioni differenziate, per cui nella realtà del mondo moderno l'agricoltura si articola nelle seguenti attività: coltivazione del campo; coltivazione del bosco; coltivazione del pascolo e del prato; allevamento del bestiame; trasformazione e commercializzazione dei prodotti delle precedenti attività.

Cenni storici: le origini

La pratica della coltivazione delle piante è fatto abbastanza recente nella storia dell'umanità. Le prove archeologiche sulla diffusione e l'estensione di tali pratiche sono oggi abbastanza numerose da poter definire un quadro d'insieme sufficientemente preciso e attendibile. Il processo per giungere all'agricoltura è stato senza dubbio lento e lungo: occorsero probabilmente millenni prima che venisse stabilito il rapporto tra causa ed effetto esistente fra seme piantato in terreno idoneo e pianta che dal seme germoglia e si sviluppa. Inoltre furono necessarie cause oggettive, quali la trasformazione dell'ambiente conseguente al ciclo glaciale Würm e il diffondersi spontaneo di piante commestibili ad alta resa (graminacee e leguminose), perché l'uomo rivolgesse la sua attenzione verso altri modi di procacciarsi il necessario per la propria alimentazione che non fossero la caccia e la semplice raccolta. Il problema riguardante l'epoca in cui iniziarono le prime pratiche agricole e i luoghi in cui ebbe origine l'agricoltura è sempre meglio definito, in quanto nuove scoperte di insediamenti umani e l'uso di sofisticati metodi d'indagine dei resti in essi rinvenuti (biochimica dei paleosuoli, palinologia, genetica vegetale, ecc.) hanno permesso l'acquisizione di dati precisi, tanto che oggi si parla di “paleoecologia” e di “paleoagronomia”. È stato così possibile individuare non solo le regioni di origine delle varie piante selvatiche ma anche di stabilire dove, quando e da chi (in senso lato) furono selezionate e usate specie diverse di uno stesso vegetale. Grazie a precisi metodi di datazione e agli apporti dell'ingegneria genetica (che ha permesso verifiche sperimentali), si può pertanto affermare che vi furono almeno tre centri principali d'irradiazione dell'agricoltura indipendenti fra loro: la cosiddetta “mezzaluna fertile” (che oggi viene estesa a un'area più vasta, dal Sahara all'Asia occidentale), il Sud-Est asiatico e l'America Centrale, dei quali i primi due sono considerati coevi, il terzo di poco più recente. Tale teoria è confermata dall'organizzazione dei più antichi insediamenti kebariani e natufiani noti da tempo, dai siti individuati a partire dagli anni Sessanta del Novecento dall'Anatolia fino al Turkestan, da quelli scoperti successivamente dall'Assam (India) all'Indocina e alla Cina sudoccidentale, sino ai più recenti messi in luce in varie zone del Sahara, allora in gran parte una fertile savana. Tutte queste località, con insediamenti risalenti a un periodo fra il XV e il XIII millennio a. C., rivelano la diffusione e l'uso sistematico di cereali, e anche di alcune leguminose, da parte di popolazioni nomadi che in larga misura praticavano ancora la caccia. Per lungo tempo il modo di vita nomade non dovette subire grandi cambiamenti: il gruppo, dedito in prevalenza alla caccia e alla raccolta dei prodotti spontanei del suolo, si soffermava ogni qual volta nei suoi spostamenti individuava un campo spontaneo di graminacee o leguminose; provvedeva allora a proteggerlo dagli animali erbivori, che erano anche oggetto di caccia, fino a quando le piante non giungevano a maturazione; effettuato il raccolto, riponeva i prodotti in canestri rivestiti di argilla e in otri di pelle; quindi, quando la zona diventava improduttiva e povera di selvaggina, la abbandonava andando alla ricerca di nuovi territori da sfruttare. Il primo mutamento si dovette registrare in quelle regioni dove, col regredire della glaciazione würmiana, più notevoli furono le trasformazioni dell'ambiente. Probabilmente i gruppi umani, che avevano imparato come certe piante si riproducessero periodicamente in una o più stagioni dell'anno, si insediarono nelle regioni, più o meno vaste e fertili, dove tali piante crescevano spontaneamente e le elessero a proprio territorio di raccolta. Orticoltori più che agricoltori veri e propri, provvidero all'ampliamento dei campi spontanei mediante diboscamento effettuato incendiando la savana e la boscaglia, lasciando poi alla natura il compito di far sviluppare nuove piante commestibili. Tale metodo era seguito dai Sakai e Semai della Malesia e dagli Aborigeni australiani in tempi ancora recenti. L'unica cura era quella della protezione dei campi dagli animali predatori. La mancanza di pratiche agricole faceva, però, impoverire rapidamente il terreno, per cui, dovendo utilizzare sempre nuove terre, il gruppo finiva col trasferirsi in altre regioni, dove le mutate condizioni ambientali del tardo würmiano favorivano la costituzione di nuovi campi spontanei; oppure il gruppo peregrinava nella regione secondo un percorso “a circolo chiuso” tornando sulle antiche terre dove i semi dimenticati avevano ricreato di nuovo campi rigogliosi da sfruttare (agricoltura seminomade). Migliorando la cura e la protezione dei campi, col tempo si ottenne una resa più elevata di sementi e, forse, vennero messi in atto i primi tentativi di far riprodurre piante direttamente dai semi; la disponibilità di un certo surplus alimentare consentì, inoltre, di tenere in cattività gli animali poco mobili prima cacciati (ovini, caprini, suini, pollame). Ciascun gruppo divenne più sedentario, nel senso che preferì limitare i propri spostamenti solo all'interno di un determinato territorio. Una documentazione di questo modo di vivere (stadio preagricolo) è stata fornita dallo studio degli insediamenti del Vicino Oriente risalenti al XII-IX millennio a. C. ed esso è confermato dalle nuove scoperte, nella Cina meridionale, in India (valle del Gange), in Africa (zone marginali del Sahara, Mali), di insediamenti che risalgono tutti allo stesso periodo e dove vennero utilizzati cereali e leguminose diversi. La possibilità di rendersi indipendenti dalla natura, e di avere quindi cibo più abbondante e in continuità, favorì lo sviluppo demografico dei gruppi di protoagricoltori, ma ciò rese necessario studiare nuovi metodi che facessero aumentare il rendimento del raccolto. Si scoprì che la concimazione con lo sterco e con il limo dei fiumi rinvigoriva il terreno; che la sarchiatura e la selezione delle sementi davano prodotti più abbondanti; che era necessario disporre di mezzi idonei a scavare il terreno (zappa) e a raccogliere i prodotti (falcetti). Durante questa fase (agricoltura alla zappa) vennero elaborate le prime tecniche di lavorazione dei campi e le varie operazioni furono svolte secondo una successione temporale che prelude ai criteri propri dell'agricoltura; fu possibile anche domesticare nuove piante e animali, nonché sperimentare gli effetti della concimazione e dell'irrigazione. L'agricoltura alla zappa veniva praticata, fino a pochi decenni fa, da vari gruppi etnici africani e lo è ancora in alcune aree dell'Asia sudorientale e insulare, dell'Africa centrale, della Nuova Guinea e dell'Amazzonia; era anche la pratica seguita da tutte le genti precolombiane.

Cenni storici: i primi villaggi stabili di agricoltori

Il passaggio che portò alla costituzione dei primi insediamenti stabili non fu certo breve: i più significativi resti di villaggi, risalenti all'VIII-VII millennio a. C., sono stati messi in luce in Anatolia (Catal Hüyük), in Palestina (Gerico, Yarmuk), in Egitto (Merinde) e soprattutto lungo il medio Eufrate (Iraq); tuttavia il ritrovamento di ceramica e di attrezzi agricoli in molti siti dal Sahara occidentale all'Asia orientale testimonia che erano largamente diffuse comunità di agricoltori sedentari o, quanto meno, stanziali in regioni circoscritte. Significativi in proposito i recenti ritrovamenti dell'Air (Niger) e dell'Adrar (Mauritania) dove si coltivavano specie di riso diverse da quelle asiatiche. Da tale epoca si moltiplicano, per quel che riguarda l'area mediterranea e l'Asia, i villaggi stabili di agricoltori, dove si domesticano praticamente tutte le piante oggi usate e si giunge all'allevamento di grosso bestiame (bovini). Prove certe di coltivazioni intenzionali si hanno, per le Americhe, a partire dal IV millennio a. C.; in Europa, l'agricoltura si diffuse invece tra il V e il IV millennio a. C. sia dal Vicino Oriente sia dall'Africa sahariana, giungendo nel II millennio fino alle estreme regioni settentrionali. Intanto, nel IV millennio a. C. comparvero, nelle grandi valli fluviali, le nuove civiltà agricole urbane cui si devono l'uso dell'aratro a chiodo (di legno) e nuove tecnologie artigianali, dalla tessitura alla metallurgia, dalla lavorazione del vetro a quella dei mattoni, fino alla fabbricazione di navi da parte dei popoli rivieraschi. La domesticazione e poi l'allevamento su vasta scala di grosso bestiame permisero di utilizzare l'aratro con punta lavorante in bronzo, trainato non più dall'uomo ma dagli animali, che consentì un più efficace sfruttamento del suolo e quindi una maggiore produzione agricola. Riguardo all'uso dell'aratro, molto eloquenti sono le riproduzioni rinvenute tra le incisioni rupestri di numerose località, quali la Valcamonica e il Vallone delle Meraviglie di Monte Bego (Alpi Marittime), risalenti a varie epoche, dal tardo Neolitico all'Età del Bronzo recente e oltre. Di eccezionale importanza il modello in terracotta di una scena di aratura della prima Età del Bronzo rinvenuto a Vounous, nell'isola di Cipro. A partire dal III millennio, appaiono consolidate, in quasi tutte le civiltà agricole, nuove strutture socio-economiche con una suddivisione in classi, la progressiva affermazione della proprietà privata, la comparsa di re-sacerdoti e poi capi militari, la costituzione di eserciti per la difesa e la conquista dei territori. Il rapido aumento della popolazione permise di differenziare le attività produttive: agricole, artigianali, pastorali, commerciali, ecc.; contemporaneamente la possibilità di disporre, in certi periodi dell'anno, di grandi masse d'uomini favorì l'edificazione di opere civili di fondamentale importanza per l'agricoltura (canali, dighe, acquedotti) e di grandi edifici di rappresentanza (templi, regge, tombe monumentali). L'intensificarsi degli scambi commerciali portò anche all'uso di nuovi mezzi di comunicazione quali la scrittura.

Cenni storici: l'agricoltura nel mondo antico

Al sorgere delle grandi civiltà storiche, si può dire che l'agricoltura non aveva ancora raggiunto un elevato livello in quanto non erano state introdotte nuove tecniche nel lavoro e nel trattamento dei campi, limitandosi queste popolazioni a perfezionare le pratiche già note. Il clima favorevole e le tecniche adottate consentirono, tuttavia, di migliorare il rendimento dei campi e di ottenere più raccolti annuali. Fin dall'inizio le colture vennero adattate alle periodiche piene dei fiumi e tutto lo sforzo fu teso al miglior sfruttamento delle inondazioni. Con l'attività agricola si sviluppò anche la tendenza alla concentrazione della popolazione. In Egitto, nelle aree del delta, apparvero i primi nuclei delle grandi città posteriori, così come era già avvenuto in Mesopotamia. La topografia egizia, caratterizzata dalla lunga e stretta valle del Nilo, limitò molto le possibilità di espansione dell'agricoltura, favorendo però lo sviluppo dell'allevamento. Nella zona deltizia e nella valle si manifestò pertanto una dualità di forme economiche, la cui unificazione sotto un'unica autorità fu lo scopo principale delle varie dinastie egiziane. Processi simili, anche se meno conosciuti, si verificarono nei bacini dell'Indo e dell'Hwang He e successivamente in altre zone. Nella Mesopotamia, lo sviluppo dell'agricoltura, regolato da una casta sacerdotale-militare, portò, invece, allo sviluppo di più città-Stato in lotta fra loro per l'egemonia sulla regione, l'unità della quale si ebbe molto più tardi a opera di popolazioni straniere. Nel Mediterraneo orientale e nell'Egeo, zone in diretto contatto con centri agricoli ormai molto evoluti, oltre a quella dei cereali si sviluppò intensamente la coltivazione della vite e dell'olivo, che permise la sopravvivenza autarchica di minuscole comunità. Questi piccoli centri scoprirono l'opportunità di valorizzare i loro prodotti, che esportarono principalmente in Egitto. Fenici, Cretesi, Achei e poi i Greci trovarono in questi commerci una delle basi più redditizie della loro economia. Lo spirito d'osservazione dei Greci consentì infatti di trarre profitto dalla millenaria esperienza agricola dell'Oriente; in particolare cominciarono a essere introdotti l'avvicendamento delle colture e poi la rotazione dei campi. Roma, erede del mondo ellenistico, poté beneficiare di questa esperienza e la estese agli ampi territori che a mano a mano andò annettendo al suo impero. Con la razionalità tipica del loro popolo, i Romani orientarono la produzione agricola in senso tecnico, introducendo quelle pratiche colturali che sono restate pressoché inalterate fino a tutto il Medioevo; a loro si devono non solo l'aratro moderno a trazione animale ma tutte le attrezzature di uso manuale connesse con l'agricoltura, oltre ai perfezionati mulini ad acqua. Venne anche tentata, sebbene con scarso successo, una sorta di meccanizzazione dell'agricoltura con la sperimentazione di macchine agricole rudimentali per sarchiare, seminare, mietere. I Romani furono i primi a introdurre lavorazioni su vasta scala di prodotti agricoli, grazie allo sfruttamento di ingenti masse di schiavi. Le enormi ricchezze accumulate permisero ai magnati romani di dedicarne una parte ai più diversi esperimenti agricoli, dalla semplice acclimazione delle specie esotiche agli studi sulla produttività e sul rendimento delle terre. L'insieme delle numerose pratiche, come la potatura, la concimazione, l'innesto, fu per secoli una delle attività patrizie più stimate. Queste esperienze, che si riflettono nella letteratura (Catone, Varrone, Plinio, Columella, ecc.), trascurate nel Medioevo e poi riscoperte e perfezionate nei secoli successivi, furono alla base del rinnovamento delle pratiche agricole.

Cenni storici: l'agricoltura medievale

Le notizie sull'agricoltura medievale, scarse e frammentarie, riguardano soprattutto l'area europea. Fino all'epoca carolingia (sec. VIII) l'Europa restò chiusa entro i limiti dell'economia curtense, in cui predominava il baratto dei prodotti dell'allevamento e di quelli agricoli, in sostituzione della moneta, per il pagamento delle imposte e nelle transazioni di mercato. Le conoscenze dei Romani sull'agricoltura caddero nell'oblio; la nuova organizzazione sociale dovuta all'invasione dei barbari e l'insicurezza in cui si trovavano i contadini portarono anche all'abbandono dei campi; l'eredità delle conoscenze ellenistico-romane fu però raccolta dagli Arabi e, in parte, dall'Impero bizantino, dove perduravano alcune grandi aziende patrizie. Con la formazione del Sacro Romano Impero vi fu una lenta ripresa dell'agricoltura, che portò all'organizzazione di una serie di fattorie stabili che però avevano principalmente lo scopo di fornire i finanziamenti delle continue campagne militari. Uno dei principali fenomeni agricoli dell'alto Medioevo fu l'acclimazione nell'Europa centrosettentrionale di vegetali come la segala e l'avena, considerate dai Romani erbe dannose. Questi vegetali si dimostrarono più resistenti del frumento nelle terre fredde e povere del nord e fornirono una nuova base alimentare per le popolazioni locali; la loro coltivazione fu introdotta soprattutto in Scozia, nell'Holstein e nel Meclemburgo. I nuovi prodotti furono utilizzati per pasta da pane, per la fabbricazione di birra e come alimento per i cavalli. Nei villaggi scandinavi e nell'Europa orientale, l'agricoltura restò invece ancora in una fase rudimentale. Nell'Impero bizantino e fra gli Arabi, a partire dal sec. IX, l'agricoltura divenne molto fiorente e favorì un'economia monetaria e mercantile che determinò lo sviluppo delle città e la prosperità delle campagne. I califfi di Baghdad favorirono un'agricoltura intensiva irrigata tra i fiumi Eufrate e Tigri. La medesima politica fu seguita nel Khorāsān, nella Transoxiana (odierno Uzbekistan), a Samarcanda, nel Turkestan e in genere in tutti i territori arabizzati. Si alternò la coltivazione di una grande varietà di prodotti orticoli con quella di prodotti vegetali introdotti dall'Oriente e dall'Africa, come il riso, la canna da zucchero e molti alberi fruttiferi (palma da datteri, arancio, limone, albicocco, mandorlo, pesco e pruno). Gli Arabi si distinsero nel giardinaggio (che fu ben presto assimilato dagli Europei) e nella coltivazione di piante aromatiche (rose, viole, mirto, ecc.) per la fabbricazione di profumi e oli odorosi che furono oggetto di un intenso commercio con l'Europa; in Spagna svilupparono la tecnica dell'irrigazione (le huertas di Valenza, della Murcia e dell'Andalusia conservano ancora intatta l'impronta araba). In India, Cina e Giappone furono seguiti altri sistemi di coltivazione, adatti al carattere dei prodotti locali: riso, tè, spezie, gelso, cotone e molte piante da frutto; si cominciò anche a introdurre il frumento. Nell'America centromeridionale, dove l'agricoltura seguiva ancora la tradizione dell'agricoltura alla zappa, vennero domesticate piante autoctone come il mais, alcuni legumi, il cacao, il caucciù, il cotone; l'assenza di scambi con il resto del mondo dette a quest'agricoltura un carattere chiuso e piuttosto limitato. I dati per lo studio dell'agricoltura europea dei sec. XII e XIII sono molto abbondanti. Comparvero nuove colture acquisite dal mondo arabo e vennero elaborate tecniche agricole originarie che favorirono l'aumento delle superfici coltivate. L'incremento della popolazione e lo svilupparsi di città e borgate influirono positivamente sulla domanda di prodotti alimentari. Si diboscarono e dissodarono aree forestali e si bonificarono terreni pantanosi. A partire dal sec. XII si verificò in Europa la fondazione di insediamenti agricoli intorno a monasteri, villaggi e città nell'Holstein, nel Meclemburgo, nella Prussia orientale, in Pomerania, Slesia e Boemia che favorirono la diffusione delle nuove pratiche agricole verso oriente. Sul finire del sec. XII la colonizzazione di terre vergini aveva raggiunto i Carpazi orientali e meridionali. Durante questi secoli grande importanza per la rinascita dell'agricoltura ebbero gli ordini monastici e i più illuminati fra i grandi signori feudali, che diffusero le conoscenze agricole sia del mondo romano sia degli Arabi, cercando con tutti i mezzi a loro disposizione di accrescere la superficie coltivata. La pratica agricola più diffusa era quella del maggese; solo in alcune zone dell'Inghilterra meridionale, dei Paesi Bassi e della Francia settentrionale venne reintrodotta la rotazione dei campi: il terreno veniva diviso in tre lotti quasi uguali, due dei quali erano lavorati ogni anno mentre si lasciava il terzo a maggese. La mietitura dei cereali aveva fra l'altro lo scopo di procurare alimento per i cavalli, i quali già dal sec. X avevano sostituito il bue nei lavori dei campi. Nella Francia meridionale e in Spagna si cominciò a utilizzare il mulo. Altra innovazione fu la pratica di marnare il terreno per renderlo fertile, rimuovendo la terra per una profondità di ca. 10 m ogni 15-17 anni. Tra gli attrezzi di lavoro, l'aratro utilizzato in epoca romana venne usato per tutto il Medioevo, sebbene nelle regioni non romanizzate dell'Europa e nelle grandi aziende cominciassero a diffondersi l'aratro a ruote e quello a orecchio (sec. XI e XII). Un'innovazione fu invece l'erpice a uno o due rulli con punte di ferro per frangere le zolle. Per la mietitura erano impiegate la falce dentata, la falce corta (nelle Fiandre), la falce lunga e un altro tipo di falce lunga detta volant (sec. XIV). Una serie di disposizioni padronali ostacolò, però, la diffusione di questi due utensili perché tagliavano le stoppie raso terra, pregiudicando l'alimentazione del bestiame. Nei sec. XIV e XV si verificò in tutta Europa una depressione generale che provocò di nuovo l'abbandono delle coltivazioni cerealicole: ciò fu causato da una parte dalla diffusione dell'allevamento delle pecore, sollecitato soprattutto dall'alto prezzo della lana (molto richiesta dalla fiorente industria tessile), e dall'altra da una serie di epidemie (che culminarono con la peste del 1347-50), durante le quali morì un terzo della popolazione europea, con conseguente diminuzione di manodopera. Le grandi estensioni guadagnate alla coltivazione nei due secoli precedenti si trasformarono in terre incolte o adibite al pascolo; la situazione negativa dell'agricoltura perdurò per tutto il sec. XV.

Cenni storici: l'agricoltura dal XVI alla metà del XIX secolo

Con la prima metà del sec. XVI si ebbe in Europa l'inizio di una nuova fase d'espansione dell'agricoltura. Quest'espansione si verificò nell'ambito di quelle società contadine dell'Europa occidentale che erano riuscite a liberarsi dalle servitù feudali. Nell'Europa orientale, al contrario, l'espansione agricola rinforzò la soggezione contadina (servi della gleba) e a beneficiarne furono i grandi proprietari terrieri. Questi esportavano gran parte dei prodotti, favorendo l'attività mercantile (soprattutto dei commercianti olandesi), che giungevano fino ai mercati dell'Europa occidentale compresi quelli del Mediterraneo. L'espansione del sec. XVI fu però di portata limitata e si interruppe bruscamente all'inizio del sec. XVII, allorché ebbe inizio una serie di crisi politico-sociali che produssero notevoli ripercussioni demografiche ed economiche le quali, a loro volta, portarono alle rivolte contadine della metà del sec. XVII. Nel quadro dei grandi mutamenti di quest'epoca non poca importanza ebbe la scoperta dell'America. Fino a quel periodo l'agricoltura aveva avuto soprattutto l'aspetto di economia di sussistenza; quando si capì che la maggior ricchezza dell'America consisteva nelle sue possibilità agricole e di allevamento, si sviluppò nelle nuove terre la coltivazione in grandi piantagioni, utilizzando come manodopera schiavi trasferiti dall'Africa. Venne attuata inoltre la specializzazione agricola di intere zone, come le Antille e la parte meridionale degli attuali Stati Uniti, dove si producevano soprattutto zucchero, caffè, tabacco, cotone. Ma la conseguenza più importante della scoperta dell'America per l'agricoltura europea fu l'introduzione e la diffusione di nuove specie vegetali che ebbero notevole peso nell'economia delle varie popolazioni (basti pensare alla patata, al mais, al caucciù, al cacao, al caffè, al tabacco). Infatti l'incremento dell'agricoltura su scala mondiale aumentò l'intensità delle relazioni commerciali, favorendo in particolare alcune nazioni e interessando, per la prima volta nella storia, quasi tutto il mondo. La popolazione europea, in fase di rapido aumento, trovò nuove basi alimentari nelle patate (Europa settentrionale e centrale) e nel mais (Europa centrale e meridionale); nello stesso tempo gli Europei, trasferendo la coltura dei cereali, specialmente del frumento, nei nuovi continenti, fecero sì che vaste regioni scarsamente popolate (Americhe) o praticamente deserte (Australia) divenissero in grado di assorbire un numero sempre più alto d'emigranti e potessero far fronte al notevole sviluppo demografico degli allogeni. Le prime grandi innovazioni nell'agricoltura, conseguenti al suddetto sviluppo economico mondiale, si verificarono in certe zone dell'Europa occidentale (Gran Bretagna, Paesi Bassi) a partire dalla fine del sec. XVII: si registrarono la soppressione della pratica del maggese e l'introduzione di un sistema di rotazione delle colture che permetteva di ottenere raccolti ogni anno, alternando cereali con ortaggi, legumi e piante foraggere. Tale sistema venne perfezionato in Inghilterra nel sec. XVIII, dando luogo alla rotazione quadriennale di Norfolk, consistente nella successione, su un medesimo terreno, di raccolti di frumento, ravizzone, orzo e piante foraggere. Che questi sistemi contemplassero una o due fasi destinate all'alimentazione del bestiame era cosa di grande importanza, perché permetteva di accrescere il numero dei capi allevati con il conseguente aumento dell'unica forma di concime allora disponibile: tale aumento si ripercuoteva a sua volta positivamente sui rendimenti agricoli. Si poté inoltre affrancare una serie di terreni da quei pascoli che risultavano non necessari. In Inghilterra diminuirono, pertanto, le superfici destinate a pascolo comunale e i proprietari recinsero le loro terre per impedire che in esse pascolasse il bestiame altrui. Queste recinzioni (enclosures) furono determinanti per l'agricoltura britannica, quantunque ciò costasse la rovina dei piccoli contadini che, costretti ad abbandonare le loro terre, andarono a ingrossare le file del proletariato cittadino. Le trasformazioni derivate dalla diffusione della rotazione delle colture non furono altrettanto importanti nell'Europa meridionale; nel bacino mediterraneo le condizioni climatiche e geografiche le resero possibili su aree molto limitate e fu conservata in prevalenza la pratica del maggese. Il fattore più importante di questo processo di espansione agricola fu quello di poter alimentare la crescente popolazione, ponendo termine alle grandi epidemie dovute alla denutrizione che nel passato avevano ostacolato l'espansione demografica. Il modo in cui questa rivoluzione agraria contribuì al nascere della rivoluzione industriale è molto complesso: schematizzando si può dire che procurò gli alimenti a coloro che si dedicavano esclusivamente al lavoro industriale, creò una richiesta contadina di manufatti e permise alla manodopera, fino ad allora dedita all'agricoltura, di venir impiegata nell'industria. Il progresso tecnico-scientifico che portò la rivoluzione industriale ebbe, a sua volta, notevole importanza per l'agricoltura in quanto fornì nuovi mezzi per il lavoro dei campi, la conservazione e trasformazione dei prodotti e favorì lo sviluppo di una base teorica dell'agricoltura, cioè dell'agronomia.

Cenni storici: l'evoluzione verso un'attività scientificamente organizzata

Ma solo nella seconda metà del sec. XIX l'agricoltura assunse l'aspetto di un'attività scientificamente organizzata grazie alle cognizioni acquisite in tema di concimazione del terreno con fertilizzanti chimici di sintesi. Nel contempo si diffusero nuove conoscenze di fisiologia vegetale e di fisiologia animale; grazie a queste ultime l'allevamento del bestiame abbandonò i metodi empirici che fino ad allora aveva seguito, introducendo, fra l'altro, una razionalizzazione dell'alimentazione tradizionale. I progressi tecnici portarono a una nuova organizzazione dell'agricoltura e crearono le basi per la sua industrializzazione: di conseguenza i legami tra agricoltura e altri settori tecnico-scientifici si fecero sempre più stretti. Nella coltivazione delle piante nuovi potenti aiuti sono venuti, nel sec. XX, dalla chimica: introduzione di concimi selezionati che sovvengono a ogni tipo di carenze nutrizionali dei terreni agricoli; diffusione di sostanze antiparassitarie che proteggono le coltivazioni; uso di diserbanti che sgombrano i terreni dalle erbe infestanti. L'apporto di insetticidi, anticrittogamici e diserbanti è incalcolabile, pur tenendo conto, al passivo, della nocività di alcuni prodotti: va sottolineato che un uso indiscriminato degli stessi pone, e spesso ha posto, in pericolo l'equilibrio biologico stesso delle regioni coltivate trasformando l'agricoltura in un settore altamente inquinante. Una maggiore considerazione per i problemi ambientali ha, pertanto, imposto l'introduzione di una vasta gamma di divieti nell'abuso di talune sostanze chimiche in agricoltura. Nell'ottica, poi, di una migliore tutela della salute pubblica, il legislatore si è fatto carico anche dei residui di prodotti tossici e di farmaci utilizzati in agricoltura e nell'allevamento imponendo vincoli e controlli. L'uso di queste sostanze ha permesso, comunque, uno sviluppo altrimenti imprevedibile delle coltivazioni. La pratica della selezione delle sementi, migliorata dalle moderne conoscenze biologiche, è tuttora efficace: oggi sono assurte a notevole importanza non solo le sementi selezionate, ma i portainnesti e anche i materiali di propagazione vegetale (talee, ecc.), la cui scelta è frutto di un accurato lavoro di ricerca genetica. La genetica ha altresì contribuito allo sviluppo dell'allevamento consentendo la selezione di razze altamente produttive. La nuova agricoltura è basata dunque su una diffusa conoscenza dei principi di numerose scienze applicati alla tecnica agricola; ciò rende necessario un notevole sforzo sia di divulgazione delle moderne nozioni sia di preparazione tecnico-economica degli agricoltori. Fondamentale, data l'evoluzione in senso industriale della nostra società, diventa pertanto l'organizzazione dell'agricoltura. In base a ciò è possibile classificare l'agricoltura in: estensiva, quando nella combinazione produttiva il fattore terra domina sul capitale e sul lavoro, cioè si opera su estensioni sproporzionate rispetto all'entità degli altri fattori (lavoro e capitale); intensiva, quando predomina il capitale e cioè gli investimenti; attiva, quando prevale la manodopera. Con l'espressione agricoltura industriale, s'intende specificamente un'agricoltura che si ispiri, nei criteri di gestione, nella proiezione verso il mercato, nella facilità di accumulazione di capitale, ai concetti prevalenti nell'industria. Si viene così prospettando con metodi imprenditoriali, sollecita alle tendenze del mercato, pronta ad adeguarsi a ogni innovazione tecnica. Nel 2010 appare acceso il dibattito sulla coltivazione di prodotti OGM, sia a livello nazionale sia internazionale, riguardante le tematiche della protezione dell'ambiente e della salute, e le implicazioni economiche e sociali. Oltre ai rischi ambientali e per la salute, valutabili attraverso la ricerca scientifica, l'introduzione di organismi geneticamente modificati può avere potenziali conseguenze economiche e sociali sullo sviluppo delle aree a economia agricola in cui vengono coltivati. L'EFSA (Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare) ha stilato un elenco di potenziali rischi causati dagli OGM: rischi ambientali relativi a cambiamenti nell'interazione tra pianta modificata e ambiente biotico; pericoli per la salute umana o animale tra cui effetti tossicologici causati da proteine sintetizzate dai geni inseriti, o tossicità di costituenti diversi dalle proteine, allergenicità, cambiamenti nel valore nutritivo e trasferimento di resistenza agli antibiotici.

In contrapposizione a questi metodi, e ai rischi che ne conseguono, si pone l’agricoltura biologica, un metodo di coltivazione che rifiuta l’utilizzo fertilizzanti e fitosanitari di origine sintetica e di OGM. Gli obiettivi fondamentali dell’agricoltura biologica sono l’utilizzo esclusivo di risorse locali; la salvaguardia della naturale fertilità del suolo; la promozione e la tutela della biodiversità animale e vegetale; la salvaguardia dell’ambiente escludendo l’utilizzo di tecniche agricole inquinanti; la produzione di alimenti con un elevato valore nutritivo.
La comunità scientifica internazionale nutre dei dubbi sulla possibilità di praticare l’agricoltura biologica su scala globale perché essa non è in grado di raggiungere livelli di produttività sufficienti per soddisfare il fabbisogno alimentare della popolazione mondiale. Altri problemi sollevati dagli esperti sono l’impossibilità sul lungo periodo di eliminare l’impiego di prodotti chimici per debellare quegli elementi che inevitabilmente aggrediscono e distruggono le colture; le difficoltà di tornare a un sistema agricolo basato prevalentemente sul lavoro umano in una società ormai ampiamente meccanizzata e che vede un numero sempre più esiguo di addetti all’agricoltura; infine i costi molto elevati dei prodotti da agricoltura biologica rispetto a quelli da agricoltura convenzionale.

Aspetti tecnici

La coltivazione delle piante presenta dei caratteri tipici che influenzano direttamente e indirettamente l'agricoltura sia dal punto di vista tecnico sia da quello economico. L'agricoltura infatti opera su organismi viventi, le piante, il più delle volte utilizzando l'operato di altri esseri viventi, in particolare dei microrganismi. Questi, infatti, agiscono sul terreno agricolo (azobatteri, nitrobatteri, ecc.) e sugli stessi prodotti vegetali, operando trasformazioni quale la fermentazione delle uve. Questi esseri viventi hanno proprie esigenze biologiche, delle quali bisogna tener conto e sulle quali non sempre l'uomo può intervenire. La crescita e lo sviluppo delle colture sono inoltre esposti all'azione degli agenti atmosferici: temperatura, luce, idrometeore, venti, nuvolosità, ecc. influiscono in modo continuo sull'attività agricola. Inoltre, trattandosi di esseri viventi, i vegetali sono esposti ad avversità patologiche che vanno tempestivamente curate. Tutto ciò richiede una costante attenzione, un articolato sistema di lavorazioni, lo studio di come prevenire oppure ovviare ai danni derivanti da cause impreviste o prevedibili. Da quanto accennato, consegue la necessità di una serie di attività agricole per ciascuna delle quali sono necessarie pratiche diverse che tengano conto delle specie vegetali coltivate e del tipo di coltura. La coltivazione dei campi per ottenere cereali, legumi, ortaggi, ecc. costituisce la parte predominante dell'attività agricola e richiede un complesso di operazioni per ottenere il prodotto finito. Anzitutto la riduzione a coltura del terreno, per la quale sono necessari diboscamento, spietramento, livellamento, sistemazione del suolo, ecc. Le operazioni necessarie per la coltivazione delle piante erbacee si iniziano con la preparazione del terreno alla semina (aratura, erpicatura, eventuale concimazione); si ha poi la semina, compiuta con differenti modalità in relazione alle specie coltivate; seguono le altre operazioni colturali (sarchiatura, diserbo, rincalzatura, concimazioni, spargimento di antiparassitari) e infine la raccolta. Per le piante arboree da frutto, dopo la preparazione del terreno si procede alla messa a dimora, cioè al trapianto, delle giovani piante seguito più tardi dall'innesto; annualmente si ripetono la potatura, le cure del terreno, il diserbo, le concimazioni e la raccolta. È pratica molto diffusa l'avvicendamento delle colture, cioè la loro successione regolata nel tempo e nello spazio, allo scopo di non impoverire il terreno coltivato. L'avvicendamento, un tempo indispensabile, oggi può essere agevolmente sostituito o integrato dai fertilizzanti chimici. Per alcune specie arboree, tuttavia, è necessario non ripetere l'impianto due volte consecutive sullo stesso appezzamento. Diverse le pratiche per lo sviluppo o la creazione di boschi (silvicoltura) che si ottengono introducendo nuove specie o mettendo a dimora giovani piante. La formazione di un bosco può avvenire per semina (molto raramente) o per trapianto di piantine allevate in vivaio. La coltivazione del bosco comprende la sostituzione delle piante malate e morte, il diradamento (operazione essenziale), la lotta antiparassitaria, la riproduzione del bosco stesso, il taglio. È importante stabilire la forma di governo prescelta (fustaia, ceduo semplice, ceduo composto) e il trattamento, cioè il tipo di taglio che conviene adottare. Il bosco può fornire, oltre al legname, una serie di prodotti secondari: piccoli frutti nati nel sottobosco, legna per carbonaie, estratti tannici, alcol, cellulosa, ecc. Anche la coltivazione del pascolo e del prato richiede una certa cura pur trattandosi di operazione piuttosto semplice. La differenza tra pascolo e prato è che mentre nel primo l'animale è portato ad alimentarsi in loco, nel secondo è l'uomo che provvede alle operazioni di taglio, conservazione dell'alimento e somministrazione dello stesso agli animali. Nella maggior parte dei casi sono adibiti a pascolo i terreni inadatti alle colture; prati artificiali sono invece quelli che rientrano nella rotazione dei campi, per esempio, i prati-pascolo nei quali, cioè, dopo un primo sfalcio di erba si procede al pascolo. Le operazioni colturali comprendono la risemina, la diffusione dei semi di erbe pregiate (tra le erbe già in vegetazione), la concimazione (per lo più a base di letame), l'irrigazione, la fertirrigazione (cioè la somministrazione di acque ricche di residui organici), il riposo, l'utilizzazione pianificata (cioè effettuata in tempi diversi per permettere il ricaccio delle erbe). Fanno parte di queste attività antiche pratiche locali quali la transumanza e l'alpeggio. Tradizionalmente appartiene all'ambito dell'agricoltura anche la trasformazione dei prodotti, che oggi, dato lo sviluppo tecnologico, viene attuata sempre più da vere e proprie aziende industriali. In Italia la prima trasformazione dei prodotti viene spesso ancora realizzata nelle aziende agricole e il prodotto semilavorato è poi venduto all'industria alimentare; l'attività casearia, quella enologica e quella olearia sono fra le più fiorenti dell'agricoltura. Il lavoro dei campi, la semina e la raccolta sono oggi effettuati mediante l'ausilio di macchine specializzate, almeno nei Paesi industrializzati, ottenendo migliori risultati in tempi minori e con risparmio di manodopera (grazie alle macchine agricole).

Caratteristiche economiche

L'agricoltura è un'attività a carattere stagionale; per ogni prodotto le varie operazioni colturali e il raccolto si verificano solo in certe stagioni dell'anno. Ciò condiziona sia l'impiego delle macchine sia quello della manodopera e in una certa misura l'attività dell'industria connessa con l'agricoltura. Conseguentemente l'organizzazione della produzione è complessa e tutta l'attività ha rilevanti interferenze con problemi di vario genere (si pensi al dimensionamento degli impianti, all'assunzione di manodopera, ecc.). Di norma nell'agricoltura coesistono varie attività interdipendenti la cui organizzazione produttiva deve ovviare ai citati inconvenienti. Ciò implica imprenditori dalle molteplici attitudini, addetti capaci di svolgere tante e distinte funzioni, macchine polivalenti e così via. La conseguenza principale è che si creano complessi problemi di interdipendenza fra prodotto e prodotto e fra costi e costi, anche nell'ambito di uno stesso Paese. Tutto ciò è complicato dal limitato grado di elasticità dell'agricoltura: lo spostamento da un'attività a un'altra, la possibilità di aumentare o diminuire la produzione sono molto rari; esistono precisi vincoli fisici che limitano queste possibilità. Difficoltoso è anche il pronto adeguamento dell'agricoltura alle esigenze del mercato. I processi tecnici in agricoltura sono di solito comuni, non esistono brevetti o segreti di produzione: ciò provoca un livellamento dei prodotti e delle loro risorse e spinge gli agricoltori a quella solidarietà che difficilmente sfocia in aperta competizione come avviene in altri settori. I cicli di produzione sono di regola lunghi: vari mesi intercorrono prima di ottenere il grano, vari anni prima di ottenere una mela, decenni prima di tagliare un bosco e così via. Tutto ciò spinge a una grande cautela, poiché, una volta intrapresa una certa produzione, non è più possibile variarla a breve scadenza; inoltre comporta gravi conseguenze per il finanziamento in quanto raramente l'impresa agricola è in grado di autofinanziarsi proprio a causa del lungo intervallo che separa le spese dai guadagni. Tuttavia, dato che l'agricoltura produce generi di prima necessità, dunque generi indispensabili, è necessario da un lato favorirla e dall'altro evitare che prezzi troppo alti possano danneggiare il consumatore. Per questo l'agricoltura è soggetta all'intervento continuo dello Stato e dei pubblici poteri incaricati di contemperare queste contrastanti esigenze. Lo sviluppo economico della nostra società coinvolge però l'agricoltura, che in primo luogo risente della commercializzazione dei prodotti: oggi questo termine non comprende solo la vendita dei prodotti, ma tutta quella serie di operazioni preliminari che ne consente una miglior valorizzazione. Molto spesso tali operazioni sfuggono all'agricoltura perché richiedono investimenti notevoli di capitale ovvero l'attesa di un certo periodo prima della realizzazione della vendita. Tali operazioni comprendono il condizionamento, cioè la confezione, che per alcuni prodotti è preceduta dalla cernita e selezione (frutta, uova, forme di formaggi) e comporta la sistemazione in casse, cassette, sacchi, sacchetti, ecc.; la conservazione in appositi ambienti in attesa dei momenti più favorevoli del mercato (può avvenire in magazzini, in celle frigorifere o ad atmosfera controllata, ecc.), che può anche esser connessa con la maturazione (frutta); lo smercio, che oggi costituisce l'obiettivo cui tende tutta l'agricoltura e che comporta un'immissione diretta sul mercato e una conoscenza precisa delle leggi di questo, nonché dei canali di commercializzazione e delle possibilità di smercio. Ciò comporta oneri troppo gravosi per molte imprese agrarie oberate oltre che dai debiti immediati, dalle difficoltà di finanziamento conseguenti alla lunghezza dei cicli di lavoro. Per poter svolgere questo complesso di operazioni si cerca da un lato di fornire agli agricoltori i mezzi economici e finanziari necessari, dall'altro di stimolare le iniziative cooperativistiche e associative (integrazione orizzontale, verticale e ortogonale). Lo strumento più comune e più noto per attuare l'integrazione orizzontale, cioè fra imprese appartenenti alla stessa fase produttiva, è rappresentato dalla cooperazione, ma esistono altri strumenti, quali i marketing boards britannici e i marketing orders statunitensi, per il controllo dell'offerta. L'integrazione verticale, cioè fra imprese operanti a diversi stadi di uno stesso processo di produzione, trasformazione e commercializzazione, ha avuto origine negli USA e si va diffondendo rapidamente anche in Europa. L'integrazione verticale nasce da un lato dal desiderio dell'agricoltore di eliminare o diminuire il rischio economico connesso con la commercializzazione dei prodotti o di acquisire almeno in parte il valore aggiunto; dall'altro lato nasce dall'esigenza delle industrie trasformatrici di ottenere prodotti di qualità e quantità particolari, nelle epoche desiderate. Un'altra forma di integrazione verticale si è sviluppata in campo zootecnico per iniziativa di industrie produttrici di mangimi. In Italia il legislatore ha provveduto a regolamentare gli accordi interprofessionali, che sono alla base dell'integrazione verticale e ortogonale, solo nel 1988; mentre l'integrazione verticale mostra già significativi esempi nel settore avicolo, l'integrazione ortogonale, cioè a un tempo orizzontale e verticale, ha in agricoltura ancora pochi esempi.

Politica agraria

Gli interventi di politica agraria sono numerosi e vari per scopi e modalità. La maggior parte di essi, tuttavia, è riconducibile a due filoni principali: il sostegno del reddito dei produttori, da un lato, la razionalizzazione delle strutture produttive, dall'altro. Si è visto che per le caratteristiche stesse della produzione agricola, i redditi in agricoltura presentano un elevato grado di instabilità in rapporto a fenomeni sia endogeni (oscillazioni nelle rese, ciclicità dell'offerta per effetto del fenomeno delle aspettative) sia esogeni (evoluzione della domanda aggregata). Di fronte a questa tendenza, la maggior parte dei governi ha posto in essere programmi di stabilizzazione per ridurre le fluttuazioni ed elevare il livello di reddito dei produttori. Una prima categoria di interventi riguarda il commercio estero ed è destinata a regolamentare i flussi commerciali in rapporto alle specifiche esigenze del settore, sia con restrizioni agli scambi (dazi o tariffe, contingenti o quote d'importazione, pratiche più strettamente amministrative), sia, viceversa, con sussidi all'esportazione. Una seconda categoria di operazioni attiene agli interventi sull'offerta che si articolano in misure dirette (prezzi minimi garantiti, integrazione di prezzo, ammasso) e indirette (che agiscono sui fattori della produzione). Gli interventi sulle strutture riguardano l'insieme degli elementi tecnici e sociali che caratterizzano l'occupazione e l'uso del suolo in rapporto alla produzione agricola e alla vita rurale: il rapporto tra addetti e strutture tecniche di un'azienda, in modo da creare aziende vitali, l'assistenza tecnica e la formazione professionale, la realizzazione del sistema distributivo, le condizioni di vita, ecc. Praticamente tutti i Paesi a economia di mercato realizzano interventi di politica agraria finalizzati al sostegno del reddito dei produttori e delle strutture. Per la dimensione internazionale assunta, si segnala la Politica agricola comune della CEE (detta PAC) che ha portato alla creazione, tra gli Stati partecipanti, di un vasto mercato integrato caratterizzato dalla libera circolazione dei prodotti, sistemi uniformi di sostegno e prezzi unici, il consumo preferenziale di prodotti comunitari e la solidarietà finanziaria tra gli Stati. Il ritardato avvio della politica strutturale – che interessa i Paesi mediterranei – e una fitta rete di accordi commerciali e di associazione con gli Stati dell'emisfero meridionale hanno finito con il privilegiare l'agricoltura continentale a svantaggio di quella mediterranea. L'eccessivo costo di tali interventi, dovuto al sorgere di eccedenze e all'impatto dei problemi monetari, ha imposto la revisione di tale politica con limiti di garanzia, contenimenti produttivi e coinvolgimento dei produttori alle spese di gestione. I sussidi all'esportazione hanno alimentato inoltre tensioni commerciali con i principali Paesi esportatori agricoli.

Agricoltura e sviluppo economico

Nei Paesi non industrializzati l'agricoltura è naturalmente il settore produttivo più importante; al contrario, nei Paesi a sviluppo industriale avanzato, il valore primario dell'agricoltura è stato da tempo superato, sia come contributo al prodotto nazionale lordo sia come numero di addetti, dalle altre attività produttive. La rapida evoluzione della tecnica consente di incrementare in modo sensibile la produzione agricola con un impiego di lavoro costante o inferiore. Così negli USA, nel 2018, solo l’1,6% degli attivi erano riferibili all'agricoltura; nel Regno Unito l’1,1%, in Francia il 2,5%, in Italia il 3,8%. Il progressivo declino relativo del settore agricolo avviene normalmente in due fasi. Nella prima fase l'importanza dell'agricoltura, in termini di forza lavoro impiegata, diminuisce in rapporto a quella degli altri settori, poi diminuisce in senso assoluto. Vale a dire che, normalmente, nei primi tempi dell'industrializzazione si verifica un aumento del numero assoluto degli attivi in agricoltura, poi la popolazione agricola tende a stabilizzarsi, infine, negli stadi successivi dello sviluppo industriale, gli attivi diminuiscono in assoluto. La decrescente importanza relativa dell'agricoltura nel processo di sviluppo della nostra società non significa però che l'agricoltura non abbia una funzione fondamentale. Gli studi economici più recenti hanno anzi messo in luce l'interdipendenza tra il settore agricolo e i settori non agricoli additando la necessità di un equilibrio fra questi e correggendo l'opinione, diffusa fino alla fine degli anni Cinquanta del Novecento tra gli studiosi dell'economia dello sviluppo, che il metodo per avviare il progresso economico nei Paesi non industrializzati fosse quello di concentrare gli sforzi esclusivamente sul settore industriale. L'agricoltura può contribuire in vari modi allo sviluppo economico generale: fornendo una maggiore quantità di beni alimentari, cedendo manodopera all'industria, producendo beni per l'industria di trasformazione, creando nuovi mercati o ampliando quelli esistenti, sostenendo la bilancia dei pagamenti. L'incremento della produttività agricola è importante non solo perché comporta un aumento dell'intera produzione lorda vendibile nazionale, ma anche perché permette di ottenere alimenti a prezzi relativamente più bassi, aumentando così i redditi reali dei settori agricoli e consentendo un incremento della domanda di beni non agricoli e di servizi. Inoltre, lo sviluppo industriale richiede un aumento sostanziale e costante di manodopera, che, escludendo l'immigrazione dall'estero, può essere fornita solo dal mondo rurale. Il passaggio di lavoratori dall'agricoltura ad altri settori è un contributo significativo di capitale umano, perché il grosso dell'esodo rurale è formato da persone adulte. L'agricoltura dà un importante contributo anche alla formazione di capitale industriale, soprattutto nelle prime fasi dello sviluppo dell'industrializzazione. Gli aspetti che può assumere questo contributo sono fondamentalmente tre: in primo luogo l'aumento di produzione consente più alti livelli di reddito per gli agricoltori e quindi maggiore risparmio utilizzabile anche per finanziare gli altri settori; in secondo luogo l'aumento di produttività, con il conseguente calo dei prezzi dei prodotti alimentari, favorisce il risparmio e l'accumulo di capitali negli altri settori; in terzo luogo si verifica, da parte del governo, un trasferimento forzato di fondi dall'agricoltura agli altri settori, sottraendo al reddito dei contadini, con tasse e imposte, una somma complessiva maggiore di quella spesa per i servizi pubblici nel settore e impiegando la differenza per sostenere l'industria o i servizi pubblici urbani. Questo tipo di contributo fu, per esempio, molto forte nei primi stadi dello sviluppo del Giappone e dell'Unione Sovietica. Ancora, a mano a mano che l'agricoltura cessa di essere un'economia di sussistenza e diventa produttrice di beni per il mercato, crea le occasioni per il sorgere di altre attività, sia consentendo ai contadini un crescente consumo di prodotti industriali e l'acquisto di nuovi mezzi di produzione (fertilizzanti, macchine, ecc.), sia stimolando attività collaterali come la trasformazione e la commercializzazione dei prodotti agricoli. Infine, poiché i Paesi non industrializzati devono spesso ricorrere ai capitali, alle tecniche e alle conoscenze dei Paesi più avanzati, il contributo dell'agricoltura, unico settore immediatamente disponibile, appare insostituibile per rendere meno acuto il debito verso i Paesi più ricchi. Uno sviluppo considerevole della produzione agricola è comunque necessario per quei Paesi densamente popolati (India, Pakistan, Filippine, Egitto, ecc.), dove le possibilità di aumentare la superficie coltivata sono limitate e dove quindi il necessario aumento di produzione si deve tradurre in aumento di produttività, cioè di produzione unitaria. Se appare dunque evidente che lo sviluppo dei Paesi poveri deve passare anche attraverso lo sviluppo della loro agricoltura, altrettanto evidente appare che il problema dell'approvvigionamento di alimenti per l'umanità non è risolvibile se non attraverso un impiego razionale delle risorse tecniche e naturali a livello mondiale. Negli ultimi anni in alcuni Paesi emergenti si sono conseguiti risultati più che apprezzabili nella quantità prodotta di talune colture, peraltro dovuti più spesso all'aumentata estensione delle aree che a maggiori rendimenti per ha e più spesso ottenuti da grandi imprese agricole che da piccole (eccezioni rilevanti si sono avute per il frumento in India e per il riso in Pakistan dove si sono raggiunti notevoli aumenti nel rendimento per ha). L'auspicata “rivoluzione verde”, basata su colture di varietà a resa elevata e parzialmente in atto, è stata favorita da un accresciuto ricorso ai fertilizzanti chimici, il cui consumo nei Paesi in via di sviluppo, benché ancora a livelli decisamente bassi, è aumentato in misura ben più alta che in quelli già sviluppati. Fra gli altri fattori, la cui espansione può aver contribuito all'incremento della produzione, vanno menzionati l'estensione della superficie agraria e il passaggio alla meccanizzazione. Si va imponendo un modello di sviluppo agricolo più “mercantilistico”, secondo il quale l'obiettivo dell'autosufficienza globale sarebbe raggiungibile solo attraverso la crescita accelerata del commercio internazionale, anche a prezzo di uno squilibrio distributivo tra domanda e produzione di alimenti. Ma se i modelli di sviluppo per l'autosufficienza alimentare possono fallire nei loro intenti per sfavorevoli situazioni del commercio internazionale, un approccio al problema basato sulla globalizzazione dei commerci rischia di creare ostacoli al mantenimento della biodiversità. Con la fissazione di prezzi di mercato sempre minori si corre il rischio che l'attenzione dei Paesi grandi produttori si concentri su poche varietà molto redditizie, mentre la contemporanea riduzione dell'agricoltura nei Paesi in via di sviluppo potrebbe portare alla scomparsa di specie autoctone che non abbiano un futuro commerciale.Tuttavia si è ancora notevolmente al di sotto delle medie auspicate sia dalla FAO sia dall'ONU. Secondo l'economista francese Jacques Attali l'agricoltura è l'elemento più importante del XXI secolo. Nella sua analisi dell'economia globale e della crisi finanziaria, l'agricoltura può rivestire un ruolo strategico, se si valorizza il settore e l'occupazione con l'ingresso dei giovani e l'investimento in nuove tecnologie. Agricoltura come possibile motore dell'economia in Italia, Paese che ha una società rurale basata sulle piccole dimensioni, ma anche in Europa, in Africa e in Cina. È necessario un nuovo progetto che tuteli e valorizzi il modello italiano di agricoltura per accrescere le capacità concorrenziali delle imprese agricole e delle filiere agroalimentari, per difendere il made in Italy alimentare, promuovere il capitale umano e il ricambio generazionale; semplificare e rendere efficiente la macchina amministrativa, difendere il sistema italiano agroalimentare dalle contraffazioni e dall‘uso improprio dei marchi e delle denominazioni.

Bibliografia

Per la storia

G. Rosa, Storia dell'agricoltura nella civiltà, Bologna, 1967; I. Imbercadori, Studi di storia dell'agricoltura, Quarto Inferiore, 1981; A. Dickson, L'agricoltura degli antichi, Sala Bolognese, 1987; E. Rossini, C. Vauretti, Storia dell'agricoltura italiana, Bologna, 1987; E. Sereni, Storia del paesaggio agrario, Bari, 1987.

Per gli aspetti tecnici

F. Angelini, Coltivazioni erbacee, Roma, 1965; G. Haussman, La terra e l'uomo, Torino, 1965; F. Crescini, Agronomia generale, Roma, 1969; A. Bergamini, Coltivazioni arboree, Bologna, 1983. A. Cazzola, Paesaggi coltivati, Paesaggi da coltivare, Gangemi, Roma, 2016.

Per l'agricoltura biologica

C. Aubert, L'agriculture biologique, Parigi 1977; Agricoltura biologica, dall’agronomia alla genetica: problematiche attuali. Atti del Convegno (Cesena, 24 marzo 2014), Pentagora, 2015

Per gli aspetti socio-economici

ISTAT, Annuario statistico dell'agricoltura italiana, Roma, 1939 e seg.; FAO, La situation mondiale de l'alimentation et de l'agriculture, Roma, 1945 e seg.; INEA, Annuario dell'agricoltura italiana, Roma, 1946 e seg.; Istituto statistico delle comunità europee, Statistica agraria, Bruxelles, 1960 e seg.; G. Barbero, La riforma agraria in Italia, Milano, 1960; G. Medici, U. Sorbi, A. Castrataro, Polverizzazione e frammentazione della proprietà fondiaria in Italia, Milano, 1962; N. Lepori, Politica agraria europea, Roma, 1966; M. Bandini, Politica agraria, Bologna, 1966; C. Barberis, Sociologia rurale, Bologna, 1966; T. W. Schultz, Crisi economiche nell'agricoltura mondiale, Roma, 1967; M. Bandini, Economia agraria, Torino, 1968; T. W. Schultz, Economic Growth and Agriculture, New York, 1968; G. Barbero, Il mercato del lavoro agricolo, Bologna, 1987.

Trovi questo termine anche in:

Quiz

Mettiti alla prova!

Testa la tua conoscenza e quella dei tuoi amici.

Fai il quiz ora