Lessico

sm. [sec. XIX; da Sion, una delle alture su cui sorge Gerusalemme]. Moderno movimento ideologico e politico volto a realizzare la definitiva emancipazione del popolo ebraico mediante la costituzione di un “focolare nazionale” indipendente nella terra di Palestina, patria storica del popolo biblico. Gli antecedenti storici di tale movimento sono molto antichi e andrebbero ricercati nei tempi più lontani della diaspora ebraica, o addirittura nel profondo legame politico-religioso che unisce il popolo mosaico alla terra promessa.

Cenni storici: il sionismo dalle origini a T. Herzl

Durante tutti i lunghi secoli della diaspora (anche se la storiografia ebraica non parla di “dispersione”, tefuzah, bensì di galut, che letteralmente significa esilio) non venne mai meno negli ebrei la sofferta aspirazione di fare ritorno nell'antica patria perduta. Proprio questo stato d'animo, strettamente legato al sentimento religioso, fu alla base del messianismo ebraico, che nei periodi più bui delle persecuzioni e dei massacri venne talvolta personificato da alcuni falsi messia che promettevano la liberazione e un prossimo ritorno in Palestina suscitando speranze ed entusiasmi nelle comunità (per esempio gli episodi di D. Reubeni, 1524, S. Molcho, 1530, S. Zevi, 1665, J. Frank, 1756). Perché i tempi fossero maturi per la nascita del moderno sionismo si dovettero attendere anzitutto gli esiti della Rivoluzione francese, che concedendo la piena emancipazione giuridica e politica agli ebrei contribuì a ridare loro il senso del valore di una pari dignità personale per ebrei e non ebrei; in secondo luogo le involuzioni della Restaurazione, allorché, ripristinati quasi ovunque i ghetti e le “interdizioni israelitiche”, gli ebrei risentirono maggiormente i contraccolpi della perdita della dignità da poco conquistata; e, da ultimo, il diffondersi inarrestabile dei programmi indipendentistico-nazionali degli altri popoli. Ma allora il sionismo dovette necessariamente sorgere e svilupparsi come reazione al rinascente antisemitismo dell'Europa occidentale e ai continui pogrom dell'Europa orientale. Da principio si ebbero dunque i primi parziali tentativi (con scarso successo) di colonizzazione della Palestina, come la fondazione della fattoria modello di M. Montefiore nel 1856 e della scuola di agricoltura di Mikveh Israel voluta da Ch. Netter nel 1870, mentre con altrettanto scarso seguito Zvi Hirsch Kalischer e M. Hess (Roma e Gerusalemme, 1862) cominciarono a teorizzare la necessità di creare uno Stato ebraico in Palestina a rifugio dei connazionali perseguitati. Lo scritto Autoemancipazione (1882) di L. Pinskernon, anche se non andò incontro a maggiore fortuna, riuscì comunque a influenzare in parte i movimenti Choveve Zion (Amanti di Sion, 1881) e Bilu (1882; nome derivante dall'acrostico del versetto di Isaia II, 5: Beth Jakov Lechù Venelechah, casa di Giacobbe alzati e vieni). Questi animarono la Aliyah, cioè la prima modesta immigrazione ebraica in Terra Santa, dove fondarono le colonie di Zikhron Yaakov, Petach Tikvah e Rishon Le-Zion. Si può dire che alla fine del sec. XIX il sionismo politico rimaneva un ideale vissuto da piccole minoranze e in modo precario. Chi ne fece, con instancabile attività e trascinanti doti di propagandista ispirato, un movimento di ampie dimensioni fu T. Herzl.

Cenni storici: l'opera di T. Herzl

Questi, inizialmente tipico rappresentante dell'ebraismo mitteleuropeo colto e integrato, sotto lo shock dell'antisemitismo francese esploso in modo virulento in occasione del processo Dreyfus, si fece banditore di un programma sionista pubblicando nel 1896 Der Judenstaadt (Lo Stato ebraico), dove propugnava, come unica soluzione possibile della “questione ebraica”, la costituzione di uno Stato ebraico; esso non veniva ancora connesso alla terra d'Israele (alcuni esponenti del mondo ebraico, infatti, pensarono anche all'Argentina o all'Africa), ma era già compresa da Herzl la necessità di “organizzare le masse ebraiche” in senso politico nazionale. A tale scopo, Herzl promosse il I Congresso sionista, tenuto a Basilea il 29 agosto 1897, cui parteciparono 197 delegati eletti dalle comunità ebraiche di tutto il mondo (70 provenivano dall'Europa orientale) e in seno al quale furono approvati la bandiera e l'inno nazionale, fondata l'Organizzazione sionista mondiale e votato il Programma di Basilea, chiaramente impegnato a preparare e favorire l'immigrazione degli ebrei in Palestina in vista di un loro “focolare nazionale garantito dal diritto pubblico internazionale”. Per attuare simili impegni sia sul piano diplomatico sia su quello economico-finanziario (inizialmente assunti direttamente da Herzl), vennero creati in seguito appositi organi, quali la Jewish Colonial Trust e il Keren Kayemet Le-Israel (fondo nazionale ebraico), destinati a raccogliere fondi per l'acquisto di terre in Palestina e sottoposti al controllo annuale del Congresso sionista mondiale, che in tal modo fungeva da organo supremo dell'ebraismo intero. Ben presto però, in seno a tale organo, le forti comunità della Russia andarono prendendo sempre più potere; ciò fu evidente in occasione del VI Congresso (1903) allorché il gruppo dei Sionisti di Sion, in gran parte provenienti appunto dalla Russia e capeggiati da Ch. Weizmann, respinse l'idea di Herzl di accettare la proposta inglese di un Circolo nazionale ebraico in Uganda, riaffermando definitivamente la scelta “palestinese” del movimento. Nacque allora la scissione dei moderati di I. Zangwill, che diedero vita all'International Jewish Territorial Organization, favorevole a un insediamento ebraico in America Latina o in Africa. Frattanto in Russia, mentre infuriavano i pogrom di Kišinev e d'ottobre (a seguito dello scoppio della I Rivoluzione russa, 1905) il movimento sionista veniva sempre più diffondendosi sia sotto l'influenza del socialismo umanitario (predicato nella “religione del lavoro” di A. D. Gordon) sia sotto quelle del sionismo culturale (A. Haam, H. N. Bialik) determinando quella II Aliyah (detta anche 'dei pionieri') che trasferì in terra d'Israele i propri ideali di eguaglianza sociale e dignità nazionale, disseminando la Giudea e la valle del Giordano di villaggi collettivi (kibbutz) o cooperativi (moshav). In tale modo allo scoppio della prima guerra mondiale, nonostante le crisi politiche interne, il sionismo poteva già vantare al proprio attivo un forte incremento della popolazione ebraica in Palestina, una larga diffusione in essa della lingua e della cultura ebraica a discapito dei vecchi dialetti del galut (yiddish e ladino) e un'estesa opera di bonifica agricola.

Cenni storici: il sionismo nel periodo delle due guerre mondiali

La prima guerra mondiale fermò le realizzazioni pratiche del sionismo, ma provvide a rilanciarlo sul piano politico internazionale. Durante la guerra vennero infatti organizzati corpi volontari ebraici (il Sion Mule Corps e la Legione Ebraica), che si batterono a fianco degli Alleati contro l'Impero turco; ma soprattutto, a Londra, Weizmann (nuovo capo del sionismo dopo la morte di Herzl) riuscì a convincere gli inglesi ad appoggiare le richieste del suo memorandum Programma di reinsediamento ebraico in Palestina in accordo con le aspirazioni del movimento sionista. Ne nacque la Dichiarazione Balfour (1917) secondo la quale il governo inglese si diceva “favorevole all'insediamento in Palestina di un focolare nazionale per il popolo ebraico” e si impegnava a fare “ogni sforzo possibile per facilitare la realizzazione di questo obiettivo”. Alla fine della guerra, inserita la Dichiarazione nel trattato di pace con la Turchia e affidata la Palestina al mandato britannico, per controllare l'applicazione dei principi della Dichiarazione e intrattenere i rapporti con la potenza mandataria, venne creata la Jewish Agency (Agenzia Ebraica, AE), che molto spesso dovette scontrarsi con i nuovi indirizzi filoarabi d'oltremanica. Le nuove ondate di antisemitismo in Europa orientale, prima e dopo l'avvento del nazismo in Germania, alimentarono correnti di immigrazione ebraica sempre più numerose (e spesso clandestine), creando gravi problemi organizzativi agli organismi del sionismo che già dovevano affrontare anche i primi attacchi arabi (tumulti di Jaffa, 1921; eccidio di Hebron, 1929; tumulti del 1936) tollerati dall'amministrazione inglese. Per garantire la sicurezza degli insediamenti ebraici, l'AE organizzò allora la formazione di “autodifesa” Hǎgānāh; contemporaneamente, proseguiva negli sforzi per risolvere i gravi problemi economici e sociali dei nuovi immigrati continuando nelle opere di bonifica territoriale, fondando altre comunità agricole e i primi opifici, creando inoltre una rete di infrastrutture sociali (scuole, ospedali, servizi pubblici) per una popolazione ormai salita (nel 1939) a 450.000 abitanti, di cui 145.000 ripartiti in 270 centri rurali. Uscito l'ebraismo dalla tremenda prova del nazismo, i compiti del movimento sionista alla fine della seconda guerra mondiale furono ancora più gravi .

Cenni storici: il sionismo dopo la fondazione dello Stato d'Israele

Rinnovata la richiesta di uno Stato ebraico indipendente (XXII Congresso, 1946), il sionismo dovette subito affrontare il rifiuto arabo di una spartizione della Palestina in due stati (uno arabo e uno ebraico), decisa dall'ONU il 28 novembre 1947, e arrivare con la lotta armata alla proclamazione dello Stato d'Israele il 14 maggio 1948. Ma neppure allora la sua funzione poté dirsi esaurita, poiché nella tensione universalistica di liberazione ebraica tra i suoi compiti rientrava rendere possibile l'immigrazione di ogni ebreo in Israele (“legge del ritorno”, 1950) e soprattutto organizzare l'inserimento nella vita dello Stato della nuova corrente migratoria proveniente dai Paesi arabi (Yemen, Iraq, Marocco ecc.). I nuovi arrivati, che nel giro di cinque anni raddoppiarono la popolazione iniziale di Israele, provenivano da Paesi dove avevano sempre vissuto in condizioni di inferiorità morale nei mellah e al di fuori di ogni contatto con il mondo moderno e la civiltà occidentale. La convivenza di questi ebrei “orientali” con i più istruiti ed evoluti ebrei europei poteva sfociare in conflitti sociali non sempre evitabili e di enorme pericolosità in una situazione di accerchiamento bellico e di isolamento internazionale dello Stato. Il sionismo, nei suoi organismi esterni e nazionali, è stato via via caratterizzato da una pluralità di voci che è espressione di varie tendenze politiche (religiose o laiche, liberali, socialiste e comuniste ecc.), molto spesso anche complicate dallo scottante problema dei rapporti con gli arabi e dalle rivendicazione dei palestinesi a costituire una propria entità statale. Proprio la questione dei territori occupati ha fortemente radicalizzato alcune posizioni in seno al sionismo. Ne è riprova la nascita (1974) del Gush emunim (blocco dei fedeli), un gruppo sionista oltranzista, contrario alla restituzione del Sinai all'Egitto (1982) e decisamente schierato a difesa dei coloni dei “territori” organizzandone, anzi, l'aumento. Assertore dell'annessione dei territori occupati, durante il governo del Likud il Gush emunim ha esercitato una larga influenza negli ambienti conservatori e di stretta osservanza religiosa. La vittoria elettorale dei laburisti nel 1992 ha fatto risalire le quotazioni del sionismo di sinistra, propugnatore di una concreta trattativa con gli arabi e i palestinesi sfociata poi nella firma dell'Accordo di Washington (13 settembre 1993) tra Israele e OLP e nella creazione del nuovo Stato di Palestina, le cui prime elezioni si sono svolte nel gennaio 1996. Contro il sionismo (inteso come elemento di discriminazione razziale e quindi negatore di qualsiasi integrazione con il circostante mondo arabo) si era già pronunciato l'ONU nel 1975, con la risoluzione 3379, che equiparava il sionismo a una forma di razzismo; tale risoluzione venne poi abolita, dopo varie controversie, nel 1991, anche con i voti di Giordania, Libano e Siria. Per gli stessi motivi Israele era stato estromesso dall'UNESCO nel 1975. Il clima di forte tensione creatosi in Israele fra il 2001 e il 2002 con l'avvento del governo guidato dal premier A. Sharon ha nuovamente radicalizzato le posizioni del movimento sionista contrarie a stabilire una convivenza pacifica con il popolo palestinese.

Bibliografia

C. Roth, Storia del popolo ebraico, Milano, 1962; E. Levyne, Judaïsme contre sionisme, Parigi, 1969; N. Weinstock, Storia del Sionismo, Roma, 1970; L. Poliakov, Dall'antisionismo all'antisemitismo, Firenze, 1971; Autori Vari, Zionism, Gerusalemme, 1973; R. J. Zwi Werblowsky, Le Sionisme, Israël et les Palestiniens, Gerusalemme, 1976; M. Buber, Sion, storia di un'idea, Genova, 1987.

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