Generalità

Sm. [sec. XX; da alpino]. Attività sportiva rivolta a scalare le montagne nonché la tecnica richiesta dalle escursioni. Si distingue in alpinismo su roccia e in alpinismo su ghiaccio. Il primo si pratica, solitamente, in cordate di due o tre persone e si avvale di una tecnica specializzata elaborata in particolare sulle Alpi Orientali (alpinismo dolomitico). La pratica del secondo richiede generalmente cordate di tre persone munite di piccozze e di ramponi da ghiaccio. In relazione agli attrezzi usati, si distinguono l'alpinismo in libera (arrampicata), cioè quello in cui l'alpinista si misura con le difficoltà dell'esecuzione col solo ausilio di attrezzi di assicurazione (corda, chiodi, moschettoni) e l'alpinismo in artificiale, che permette di superare i tratti in cui la montagna non offre alcun appiglio naturale, utilizzando attrezzi di progressione (chiodi speciali, staffe, corde multiple, ecc.). L'alpinismo su percorsi di estrema difficoltà, senza guida, è detto accademico. Le difficoltà incontrate nel corso di un'ascensione alpinistica sono valutate secondo apposite scale. Per l'arrampicata in libera su roccia si usa una scala proposta nel 1925 dall'alpinista tedesco W. Welzenbach suddivisa in sei gradi: 1º) facile; 2º) mediocremente difficile; 3º) difficile; 4º) molto difficile; 5º) oltremodo difficile; 6º) estremamente difficile; ciascun grado si divide in inferiore e superiore. Meno usata la scala integrativa proposta dall'italiano Berti per la valutazione delle difficoltà intermedie ai gradi della scala Welzenbach. Scale analoghe, seppure meno rigide, sono usate per le scalate miste (ghiaccio-roccia) e su ghiaccio. Per le scalate in artificiale è generalmente adottata una scala che tiene conto del numero e del tipo di attrezzi usati. § Le attività alpinistiche italiane sono coordinate e dirette dal Club Alpino Italiano (CAI), fondato nel 1863, pochi anni dopo la costituzione della prima organizzazione alpinistica del mondo, l'inglese Alpine Club (1857). Nel Club Alpino Accademico Italiano (CAAI), invece, sono accolti solo gli appassionati dell'alpinismo accademico che abbiano compiuto segnalate imprese.

Storia: dai primordi al primo dopoguerra

L'ascensione alpinistica ha sempre affascinato l'uomo per la difficoltà stessa dell'impresa e per il desiderio di penetrare l'ignoto infrangendo le barriere poste dalla natura e dalle superstizioni. Infatti i nomi dei primi alpinisti che le cronache ci tramandano sono quelli di uomini non comuni: ricordiamo Filippo III di Macedonia che nel 181 a. C. scalò il monte Emo (2800 m) e l'imperatore Elio Adriano che intorno al 120 scalò l'Etna (3340 m). Francesco Petrarca descrisse in una lettera dalla Francia l'ascensione del monte Ventoux (1912 m) compiuta il 26 aprile 1385; un secolo dopo Enea Silvio Piccolomini, papa Pio II, valicò più volte il San Gottardo (2108 m). Nel 1492 Antoine de Ville, per incarico di Carlo VIII di Francia, conquistò la vetta del Mont Aiguille presso Grenoble, una piramide di roccia alta 2097 m che richiese l'uso di attrezzi e accorgimenti mai sperimentati prima; nel 1529 Diego de Ortaz, ufficiale di Hernán Cortés, compì la scalata del Popocatepetl (5452 m). Nel 1530 venne dato alla stampa il primo manuale di tecnica alpinistica, la Vallesiae et alpium descriptio dello svizzero Giosia Simler; a esso seguirono, specie nel Settecento, numerose opere tecniche e di ricerca scientifica sulle Alpi che contribuirono notevolmente a modificare lo spirito col quale si praticava l'alpinismo, avvicinandolo alla moderna pratica sportiva. Nel 1472 iniziarono i tentativi di scalata del Monte Bianco, conquistato nel 1786 da J. Balmat e Michel Paccard. Nell'Ottocento l'alpinismo si affermò come pratica sportiva tra schiere sempre più vaste di appassionati; nel 1812 Marie Parordis di Chamonix, prima donna nella storia dell'alpinismo, raggiunse la vetta del Bianco; nel 1842 Giovanni Gnifetti e Giuseppe Farinetti raggiunsero la cima della Signal Kuppe, coronando la lunga serie di tentativi per la conquista del Monte Rosa; il 14 luglio 1865 un inglese, Edward Whymper, con sei compagni, quattro dei quali perirono nella discesa, violò la vetta del Cervino (Matterhorn). Allo stesso Whymper si devono l'esplorazione e la conquista delle maggiori vette della Terra: con i fratelli Carrel di Valtournanche scalò nel 1880 il Chimborazo (6297 m), il Coiambe (5480 m) e il Sara-Urcu (5020 m). Sulla sua scia la spedizione dell'inglese Fitzgerald toccava la vetta (6959 m) dell'Aconcagua e il tedesco Mayer del Cotopaxi (5897 m). Le Alpi, tuttavia, restavano la più grande e affascinante palestra dell'alpinismo in cui imprese prodigiose affinavano le tecniche più ardite: nel 1898 Giovan Battista (Tita) Piaz scalò in sette ore otto cime dolomitiche: il Catinaccio, le cinque punte della Croda, il Re Lanzino, lo Spitz Piaz (inviolato, da lui prese il nome) e la Torre Dalago, la più ardua tra le torri di Vajolet. Nel 1908 la guida tirolese Hans Fiechtl costruì i primi chiodi da roccia in un sol pezzo e, poco dopo, Otto Herzog di Monaco sperimentò i moschettoni: con l'uso combinato di questi nuovi attrezzi Fiechtl mise a punto nuovi sistemi di scalata dando origine all'alpinismo artificiale. Nel 1923 W. Welzenbach usò i primi chiodi da ghiaccio, che perfezionò poi nel 1926. Dopo le spedizioni di Luigi Amedeo di Savoia, che conquistò il Ruwenzori (5119 m) nel 1906 e raggiunse i 7498 m sul Broad Peak nel Karakoram, e quella dei missionari Hudson Stuck e Robert Tatum, che toccarono i 6194 m del monte Denali in Alaska nel 1913, nel 1921 ebbe luogo la prima delle sette spedizioni ufficiali britanniche (1921, 1922, 1924, 1933, 1935, 1936, 1938) che invano tentarono la conquista dell'Everest. Una spedizione anglo-americana conquistava, nel 1936, la vetta del Nanda Devi, nell'Himalaya, con N. E. Odell e H. W. Tilman. Il periodo dal 1930 alla seconda guerra mondiale fu certamente il più denso di grandi imprese, che videro centinaia di alpinisti di fama internazionale alternarsi sui vari versanti per la corsa al primato: la parete nord del Cervino fu vinta nel 1931 dai fratelli Toni e Franz Schmidt di Monaco; nel 1933 Emilio Comici con Angelo e Giuseppe Dimai scalò la parete nord della Cima Grande di Lavaredo; della parete nord delle Grandes Jorasses ebbero ragione M. Mejer e R. Peters nel 1935; nel 1938 i tedeschi Anderl Heickmar e Ludwig Voerg insieme agli austriaci F. Kasparek e H. Harrer, incontrati durante l'ascensione, scalarono la parete nord-est dell'Eiger; nel 1939 V. Ratti e G. Vitali raggiunsero la vetta dell'Aiguille Noire de Peutérey lungo la parete ovest; nel 1940 G. Gervasutti e P. Bollini quella del Bianco per la via dei Piloni; nel 1942 G. Gervasutti e G. Gagliardone ebbero ragione della parete est delle Grandes Jorasses. Negli anni seguenti la seconda guerra mondiale si affermò l'alpinismo in artificiale, che con l'ausilio di staffe, cordini, pertiche, scalette, cunei di legno, ecc. permise la conquista (1952) di pareti ritenute inviolabili: la est del Gran Capucin per merito di W. Bonatti e L. Ghigo; la ovest del Petit Dru con A. Dagory, G. Magnone, M. Lainé; la nord del Grand Dru con i fratelli Lesuer.

Storia: la conquista degli 8000 metri

Il perfezionamento delle attrezzature consentì di affrontare e quindi di conquistare le vette superiori agli 8000 metri. Nel 1950 cadde il primo “8000” della Terra, l'Annapurna, a opera dei francesi M. Herzog e Louis Lachenal. Nel 1953 il neozelandese E. P. Hillary e la guida nepalese Tensing Norkey raggiunsero gli 8848 m della vetta dell'Everest. Poco dopo l'austriaco Hermann Bühl, membro della spedizione austro-tedesca guidata da Herrilig Koffer, conquistò il Nanga Parbat (8126 m) nel Kashmir. La seconda cima della Terra, il K2 (8616 m), fu scalata nel 1954 da A. Compagnoni e L. Lacedelli, pattuglia di punta della spedizione di Ardito Desio. Nello stesso anno venne raggiunto il Cho Oyo (8169 m) nel gruppo dell'Everest da una spedizione austriaca (S. Jöchler, H. Tichy e Pasang Dawa Lama). Nel 1955 venivano conquistati due altri “8000”, il Kanchenjunga (8578 m), al confine tra Nepal e Sikkim, da G. Band e J. Brown della spedizione inglese guidata da C. Evans, e il Makalu (8481 m), al confine tra Nepal e Tibet nel gruppo dell'Everest, da una spedizione francese (J. Couzy e L. Terray). Nel 1956 venivano ottenute altre tre conquiste: il Manaslu (8125 m), in Nepal, da una spedizione giapponese (T. Imanishi e Gyaltsen Norbu), il Lhotse (8501 m), nel gruppo dell'Everest, da una spedizione svizzera (F. Luchsinger ed E. Reiss), e il Gasherbrum II (8063 m), nel massiccio montuoso del Karakoram, da una spedizione austriaca (J. Larch, F. Moravec e H. Willenpart). Nel 1957 una spedizione austriaca (H. Buhl, K. Diemberger, M. Schmuck e F. Wintersteller) raggiungeva la vetta del Broad Peak (8047 m), nel Karakoram, mentre nel 1958 cadeva l'inviolabilità del Gasherbrum I o Hidden Peak (8068 m), nel Karakoram, per merito di una spedizione statunitense (A. Kauffman e P. Schoening). Il penultimo “8000”, il Dhaulagiri (8172 m), nel Nepal centro-settentrionale, cadeva nel 1960, raggiunto da una spedizione svizzera condotta da M. Eiselin (K. Diemberger, P. Diener, E. Forrer, A. Schelbert, Nima Dorjee e Nama Dorjee), mentre solo nel 1964 veniva vinto il Gosainthan o Xixapangma (8013 m), al confine tra Tibet e Nepal, da una spedizione cinese guidata da Hsiu King. Chiusa nel 1964 l'epoca dell'esplorazione delle cime più alte del mondo, ossia dei 14 “8000”, l'alpinismo moderno ha assunto una dimensione decisamente più sportiva, ponendosi come obiettivo, più che la montagna in sé, il superamento di ostacoli sempre più difficili. Ai fautori dell'alpinismo artificiale, che propugnano la liceità di impiegare qualsiasi mezzo offerto dalla tecnica per aiutare le risorse umane nel superamento di pareti considerate altrimenti inacessibili (si è fatto addirittura ricorso a perforatori ad aria compressa per agevolare la foratura della roccia, mezzo usato per la prima volta dalla spedizione Maestri al Cerro Torre, 3128 m, in Patagonia, lungo la terribile cresta sud-est, nel 1970), si oppongono i puristi, che si dichiarano a favore di un ritorno allo stile di arrampicata in libera, con il solo ricorso ai chiodi e alle corde necessari per assicurarsi. Fervido assertore di questa concezione è l'altoatesino Reinhold Messner, il primo uomo a scalare tutti gli “8000”, impresa portata a termine nell'arco di 16 anni: dal 1970, quando raggiunse la cima del Nanga Parbat, al 1986, quando ha scalato il Lhotse. Secondo Messner per ritrovare il valore autentico e insostituibile dell'avventura e della scoperta è necessario rinunciare ai chiodi a espansione, agli autorespiratori, ai portatori, ecc.; si deve salire senza altro supporto che la propria abilità, la propria esperienza e, soprattutto, la propria forza morale.

Storia: imprese più recenti e pratiche nuove

Il numero crescente di appassionati che si dedicano all'alpinismo ha messo in pericolo l'ambiente in cui tale sport si pratica: per stimolare la crescita dei livelli di consapevolezza ambientale di strati sempre più ampi di frequentatori della montagna, nel 1987 è stata fondata un'associazione internazionale degli alpinisti in difesa dell'alta montagna, il “Mountain Wilderness”. Comunque, le massicce spedizioni in ambito himalayano non sono cessate; come esempi si possono citare quella giapponese, guidata da J. Tabei, completamente formata da donne, che consentì nel 1975 di portare per la prima volta sulla cima dell'Everest due donne; quella inglese guidata da C. Bonninghton, che nel settembre dello stesso anno consentì a D. Houston e D. Scott di raggiungere la vetta dell'Everest lungo il versante più difficile, la parete sud-ovest; e, nel 1988, la spedizione di 176 scalatori cinesi, nepalesi e giapponesi, che consentì di effettuare la prima traversata N-S e S-N dell'Everest lungo le vie normali del versante tibetano e di quello nepalese (sei scalatori riuscirono a completare la traversata). A partire dagli anni Sessanta del secolo scorso sulle Alpi ha preso sempre più piede l'attività alpinistica invernale, in passato considerata solo come fase preparatoria per le scalate estive. Dopo la conquista delle celebri pareti nord, come quelle dell'Eiger, delle Cime di Lavaredo, del Civetta e delle Grandes Jorasses, l'attività si è estesa anche ad altre catene montuose. La prima invernale extraeuropea risale al 1970 ed è quella già ricordata di Maestri al Cerro Torre, mentre la prima conquista invernale dell'Everest è del febbraio 1980, a opera dei polacchi L. Cichy e K. Wielicki, seguendo la via tracciata da Hillary. Grandi imprese sono state compiute da scalatori dotati di tecnica eccezionale, spesso in solitaria e in invernale, con tempi ed equipaggiamento ridotti al minimo. Uno dei massimi interpreti del più puro alpinismo solitario è stato il vicentino R. Casarotto, scomparso nel 1986 sul K2, come purtroppo tanti altri scalatori, tra cui il polacco J. Kukuczka, perito nel 1989, che fu il secondo alpinista a toccare tutte le vette dei 14 “8000”, a meno di un anno di distanza da Messner. La tendenza a ridurre sempre più i tempi di scalata ha portato allo sviluppo dell'alpinismo di velocità, che prevede la scalata successiva di più vie in rapida sequenza (il cosiddetto enchaînement), spesso nell'arco della stessa giornata. Uno dei migliori esponenti dell'alpinismo di velocità è il francese C. Profit, del quale si può ricordare l'eccezionale enchaînement effettuato il 25 luglio 1985 con la conquista delle tre grandi pareti nord-alpine del Cervino, dell'Eiger e del Linceul nelle Grandes Jorasses. Un notevole sviluppo ha avuto anche la tecnica su ghiaccio che, perfezionatasi nella scalata delle cascate gelate, permette di superare velocemente pareti verticali, canaloni e seracchi. Grazie alla tecnica della progressione su ghiaccio sono state attaccate montagne frequentate in precedenza quasi esclusivamente dagli specialisti della roccia. Un'altra pratica altamente spettacolare e di eccezionale difficoltà sviluppatasi in ambito alpino è la discesa di ripide pareti ghiacciate con gli sci. Sull'esempio degli arrampicatori americani formatisi tecnicamente sulle pareti della Yosemite Valley, in California, e dei free climbers si è andata sviluppando una nuova forma di approccio alla montagna, che ha portato a una rapida evoluzione nella tecnica di arrampicata libera su roccia. Infine, un ulteriore sviluppo dell'arrampicata libera verso prove sempre più difficili e ambiziose, pur non essendo una pratica alpinistica, può essere considerato il buildering, ovvero l'ascensione su pareti artificiali come palazzi o monumenti. Si è venuta così formando una nuova categoria di atleti, gli arrampicatori sportivi, e nel 1987 è stata fondata la FASI (Federazione di Arrampicata Sportiva Italiana).Nel 2004 una spedizione italiana guidata da Agostino da Polenza ha nuovamente scalato il K2, nel 50° anniversario della conquista italiana della cima.

Bibliografia

Per la storia

I cento del C.A.I., Milano, C.A.I., 1963; M. Fantin, I quattordici ottomila, Bologna, 1964; A. Garobbio, Uomini del sesto grado, Milano, 1965; F. Masciadri, Lineamenti di storia dell'alpinismo europeo, Milano, C.A.I., 1971; S. Ardito, Incontri ad alta quota, Milano, 1988.

Per la tecnica

C. Negri, Roccia e ghiaccio, Milano, 1952; G. Oddo, Alpinismo su roccia e su ghiaccio, Novara, 1970; U. De Col, A. Dallago, Progressione in sicurezza della cordata, Bassano del Grappa, 1985.

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