Le origini della guerra

La seconda guerra mondiale scoppiò il 1° settembre 1939 "Per la cartina geo-politica del mondo all'inizio e durante la II guerra mondiale vedi il lemma del 10° volume." "La cartina geo-politica del mondo all'inizio e durante la II guerra mondiale è a pag. 315 dell' 11° volume." in seguito all'invasione della Polonia da parte della Germania. È questo l'ultimo anello di una catena di atti aggressivi con i quali Hitler realizzava il suo programma di espansione verso i territori dell'Europa orientale. Essa infatti veniva dopo l'annessione dell'Austria (marzo 1938) e l'invasione della Cecoslovacchia (marzo 1939), atti di una politica di violenza condotta da Hitler per la ricerca dello “spazio vitale” (Lebensraum), con la rottura del “cordone di sicurezza” creato dalla Francia, mediante patti bilaterali, intorno allo Stato tedesco. Lo scoppio dunque della seconda guerra mondiale avvenne in conseguenza della politica imperialistica posta in atto da Hitler per la ricostruzione della potenza continentale della Germania. Tuttavia il discorso sulle origini della seconda guerra mondiale non può limitarsi all'azione del dittatore tedesco negli anni di poco anteriori allo scatenarsi del conflitto. Esso comprende in modo implicito le varie crisi attraverso le quali passarono gli Stati europei nel ventennio che intercorre fra il Trattato di Versailles e l'invasione della Polonia. Per questo, una volta accertata la responsabilità della politica nazifascista, è necessario anche esaminare in quale modo reagirono le altre potenze (e in particolare Francia e Gran Bretagna) al piano di dominazione preparato da Hitler: ciò per ravvisare anche nella loro politica un elemento di corresponsabilità nello scoppio del conflitto. La prima delle crisi cui si accennava è immediatamente successiva alla fine della prima guerra mondiale e coincide con il fallimento del Piano Wilson per l'attuazione di una pace “giusta” e il prevalere dello spirito nazionalistico delle grandi potenze vittoriose. La Francia cercava di ottenere il massimo vantaggio dalla sconfitta degli Imperi Centrali, al fine di riacquistare una posizione di egemonia nell'Europa continentale e assicurarsi contro ogni possibile ritorno del militarismo germanico: esigeva quindi lo smembramento del Reich e il totale pagamento dei danni di guerra. La Gran Bretagna invece non vedeva con interesse la spartizione della Germania, che avrebbe coinciso con l'eccessivo rafforzamento della Francia a danno del capitalismo britannico e avrebbe provocato l'abbandono da parte della diplomazia inglese del suo tradizionale ruolo di arbitro nei conflitti europei. Essa reclamava peraltro le colonie e la flotta nemica. Il principio di nazionalità agì anche nei nuovi Stati sorti fra il 1919 e il 1920 e promosse una politica di revisione dei trattati che fu di notevole peso nel periodo susseguente, facendo nascere nella parte orientale dell'Europa, con il problema delle minoranze etniche separate dalla madrepatria (si veda, per esempio, il caso dei Sudeti e della Cecoslovacchia), gravi motivi di contrasto. L'equilibrio europeo appariva così subito scosso da una pace che voleva essere “vendicativa”, piuttosto che ispirata a principi di sicurezza comune. Ciò costituì uno dei motivi di debolezza intrinseca dell'organo, la Società delle Nazioni, che, nato sulla base del programma di pace wilsoniano, doveva tutelare tale sicurezza. Per quanto riguarda la Germania, le gravi sanzioni economiche, le mutilazioni territoriali, la perdita delle colonie e di importanti bacini minerari (la Saar nel 1919 in seguito al Trattato di Versailles, la Ruhr nel 1923 per un vero e proprio atto di forza della Francia) ebbero l'effetto, oltre che di umiliare la nazione germanica, di colpire la sua economia nel momento in cui si richiedeva ai Tedeschi il massimo sforzo per la ricostruzione. Di qui la dura crisi inflazionistica del 1923 che, mentre gettava nella miseria i ceti a reddito fisso, dava nuovo respiro alla classe industriale, che trovava i propri debiti pressoché annullati dalla paurosa svalutazione del marco. Da una parte il malcontento creato dalla miseria e dalla disoccupazione, dall'altra la rinascita del militarismo, favorita dai movimenti che esprimevano tendenze autoritarie e nazionalistiche e alimentata dall'alta finanza, causavano le prime incrinature alla Repubblica di Weimar: il putsch di Monaco (1923) e l'elezione a presidente di Hindenburg (1925) ne sono i primi episodi concreti. Al fine di avere più chiaro il quadro della situazione politica europea, occorre tener conto, oltre che del nazionalismo, di un altro elemento a esso collaterale che risultava dominare la scena internazionale dalla Pace di Brest-Litovsk (1918) fino alla seconda guerra mondiale: il timore dell'espansione comunista dall'URSS ai Paesi dell'Occidente europeo. I fenomeni nazionalistici erano sostenuti dalle forze conservatrici, che trovavano nel “pericolo rosso” un utile pretesto per far valere i propri interessi politici ed economici. Il pericolo rivoluzionario provocava infatti una forte spinta reazionaria, che si concretò in Italia (e altri Paesi) nell'avvento del fascismo e in Germania nell'avanzata verso il potere di Hitler, con l'appoggio delle forze della piccola borghesia e dell'alta finanza. Esso tuttavia determinò anche, da parte degli Stati democratici europei, una condotta politica sul piano internazionale intesa a creare baluardi di fronte all'URSS piuttosto che a ottenerne l'alleanza, soprattutto quando questa era resa possibile dall'uscita di Stalin dal suo isolamento e dalla sua adesione alla Società delle Nazioni (1934). Prima dell'avvento del nazismo, del resto, le politiche estere francese e inglese si erano preoccupate soltanto di trarre i maggiori vantaggi dalla pace del 1919 e di affermare la propria autorità in Europa (quasi a compensare il decadere della loro potenza nel resto del mondo) sia a danno della Germania (soprattutto da parte francese) sia a danno dell'URSS. Si vedano per esempio i patti firmati dalla Francia nel 1921 con la Polonia e la Piccola Intesa, i quali avevano in sostanza carattere ambivalente, tendendo sia a formare il “cordone di sicurezza” intorno alla Germania sia a premunirsi contro un'avanzata sovietica nel continente. Per quest'ultimo fine non si trattava, del resto, che di continuare quella politica che aveva indotto nel 1918 le potenze dell'Intesa a intervenire nella guerra civile russa contro l'armata rivoluzionaria, creando nello stesso tempo il “cordone sanitario”, di carattere economico intorno allo Stato sovietico. Tale condotta antisovietica, costante per tutto il periodo fra le due guerre, si rivela di primaria importanza nell'esame delle cause del secondo conflitto. Negli anni successivi al 1929 i tentativi di raggiungere un nuovo equilibrio fallirono in modo definitivo per effetto del ripercuotersi in Europa della crisi americana. Da una parte Hitler, conquistato il potere nel 1933, intraprendeva subito l'attuazione del programma tracciato otto anni prima nel Mein Kampf; dall'altra Mussolini assumeva un nuovo atteggiamento in campo internazionale, non più allineato sulle posizioni della Francia e della Gran Bretagna ma spregiudicatamente colonialista. Fu da quel momento che l'azione politica anglo-francese si rivelò in tutta la sua debolezza e il suo conservatorismo. L'Italia proclamava l'Impero d'Etiopia (1936) e offriva, insieme con la Germania, il proprio appoggio alla guerra di Franco contro il fronte popolare spagnolo. Hitler ritirava la Germania dalla Società delle Nazioni e provvedeva alla rimilitarizzazione della Renania, denunciando il Patto di Locarno e annullando così l'opera compiuta in precedenza da Stresemann e Briand per riavvicinare lo Stato tedesco alla Francia. A questi primi atti di violenza gli Stati democratici non opposero una linea politica decisamente contraria: a essi Hitler e Mussolini continuavano ad apparire – come era successo in occasione del patto a quattro del 1933 – i difensori dell'Occidente contro il pericolo rappresentato dal comunismo, piuttosto che i possibili promotori di un'azione espansionistica assai pericolosa per la pace. Per salvaguardare questa e controllare l'azione del Führer, al governo inglese parve sufficiente una semplice politica di appeasement. Questa in realtà faceva il gioco dell'Italia e della Germania – ora unite dall'Asse Roma-Berlino (1936) – alle quali sembrava concesso di operare al sicuro dalle reazioni delle grandi potenze. Erano le conseguenze della mancata applicazione delle sanzioni economiche decretate all'Italia in seguito alla guerra d'Etiopia, ma revocate dopo nemmeno un anno; del riconoscimento della conquista etiopica da parte di Chamberlain; della politica di non-intervento nella guerra di Spagna. Erano anche le premesse delle aggressioni naziste del 1938 e 1939 e del Patto di Monaco, con il quale Francia e Gran Bretagna avrebbero ratificato per l'ennesima volta la politica imperialistica di Hitler e Mussolini. Si giunge così agli ultimi anni del tormentato e contraddittorio ventennio che precede la seconda guerra mondiale. Hitler rivolse le sue mire alla Polonia e chiese l'annessione di Danzica. Fu a questo punto che in Francia e in Gran Bretagna si fece sentire la voce dell'opinione pubblica più decisamente antitedesca e consapevole dell'inutilità di un ulteriore cedimento di fronte a Hitler. I governi dei due Stati, assicurato il loro appoggio alla Polonia, decisero di rinunciare alla loro tradizionale politica antisovietica e condussero trattative con l'URSS per ottenerne l'alleanza. Ma i negoziati, che ebbero inizio nel marzo del 1939, fallirono il 23 agosto dello stesso anno, quando i ministri degli Esteri Molotov e Ribbentrop conclusero il patto di non-aggressione fra l'Unione Sovietica e la Germania. Le ragioni di questo “voltafaccia” di Stalin stanno sia nell'atteggiamento conservatore assunto durante le trattative dalle potenze occidentali sia nella valutazione da parte russa delle conseguenze derivabili da un eventuale accordo con Francia e Gran Bretagna. Queste infatti si mostravano contrarie ad assumere impegni nei confronti dell'URSS e a concedere a essa una partecipazione di tipo nuovo alla politica occidentale. La Polonia inoltre non consentiva in nessun modo che le truppe sovietiche transitassero sul suo territorio. Stalin, d'altra parte, capiva che l'alleanza con Francia e Gran Bretagna avrebbe causato all'URSS in un momento non del tutto buono per il suo esercito una guerra immediata con la Germania, con il pericolo dell'apertura a est di un secondo fronte contro il Giappone, legato a Hitler fin dal 1936 (Patto Antikomintern). Dal fallimento di queste trattative allo scoppio della seconda guerra mondiale passarono pochi giorni: Hitler il 1º settembre ordinava, senza alcuna dichiarazione di guerra, l'invasione della Polonia. Il 3 settembre Francia e Gran Bretagna, dopo aver chiesto inutilmente a Hitler di ritirare le truppe dal territorio polacco, dichiararono guerra alla Germania. Mussolini – che nel maggio aveva firmato con Hitler il “patto d'acciaio” con il quale s'impegnava in caso di guerra a intervenire a favore dell'alleato – si vide costretto, data la grave impreparazione delle forze armate italiane, a proclamare, con il consenso del Führer, la non-belligeranza dell'Italia.

La guerra-lampo di Hitler

"Per le cartine della guerra lampo della Germania nazista e del fronte balcanico nel 1940-41 vedi il lemma del 10° volume." In meno di un mese la Polonia fu occupata. Hitler l'attaccò all'alba del 1º settembre 1939 con 70 divisioni (di cui 6 corazzate e 8 motorizzate). Contro queste la Polonia poté schierare solo 30 divisioni di fanteria e 14 brigate di cavalleria. Le truppe polacche, costrette a combattere anche sul fronte russo, capitolarono il 28 settembre "Le cartine che illustrano la guerra lampo della Germania nazista e il fronte balcanico nel 1940-41 sono a pag. 317 dell’11° volume." . Il territorio occupato venne diviso fra Germania e URSS: a questa spettò, sulla base dei precedenti accordi, il potere (una formale “protezione”) sulle Repubbliche baltiche (Estonia, Lettonia, Lituania) e su parte della Finlandia. Qui però i Sovietici incontrarono una decisa resistenza. Le truppe finlandesi, addestrate a combattere un particolare tipo di guerriglia che sfruttava le difese naturali del territorio, riuscirono a opporsi fino al marzo del 1940 all'avanzata nemica. Il successo di Hitler in Polonia si dovette non solo alla preponderanza delle sue forze su quelle avversarie, ma anche al particolare impiego strategico e tattico dei moderni mezzi bellici di cui l'esercito disponeva. Si trattava dell'azione combinata delle divisioni corazzate e dell'aviazione tattica: le prime, coadiuvate dai bombardieri Stuka e dai reparti di paracadutisti lanciati alle spalle del nemico, riuscirono a spezzarne il fronte o ad accerchiarlo con manovre rapide; l'aviazione, a sua volta, creò il vuoto nelle retrovie, devastando le linee di comunicazione e le fortificazioni. Fu con questo metodo di guerra di movimento (Blitzkrieg ovvero guerra-lampo) che Hitler si preparava a realizzare il proprio piano di offensiva a occidente, preparato fin dall'ottobre del 1939. Tale attacco iniziò nel maggio del 1940. Fino ad allora gli eserciti francese e tedesco si erano fronteggiati lungo le linee Maginot e Sigfrido. Il comando francese, che riteneva possibile resistere a ogni offensiva lungo la propria linea fortificata, si astenne da operazioni di rilievo, poiché non disponeva né di mezzi bellici adeguatamente organizzati né di un buon rinforzo da parte dell'esercito britannico. Hitler in quel primo inverno di guerra sembrò preoccuparsi soprattutto di rimediare alla posizione d'inferiorità nella quale si trovava la sua flotta rispetto a quella inglese. Dopo alcuni successi ottenuti nell'Atlantico con l'azione dei sommergibili e con l'impiego di mine magnetiche e di unità corsare, egli diresse il suo attacco alle coste del Mare del Nord. L'occupazione della Danimarca e della Norvegia (aprile-giugno 1940), pur ottenuta a prezzo di perdite navali non indifferenti, tese a liberare il traffico marittimo tedesco dal controllo che gli Anglo-Francesi effettuavano all'ingresso del Mar Baltico. Tuttavia per la Germania il risultato positivo di queste operazioni non consistette solo nell'aver assicurato alla propria flotta nuove possibilità di manovra, ma soprattutto nell'aver creato, con la conquista di alcune importanti basi strategiche, le premesse per un attacco decisivo a ovest. Infatti Hitler vedeva nell'abbattimento della Gran Bretagna il fine ultimo della sua offensiva: per attuarlo egli doveva necessariamente preparare una base d'attacco antistante le coste britanniche, lungo il litorale che va dalla Norvegia alla Francia. Il 10 maggio dunque si scatenò la prima fase dell'offensiva tedesca. Il piano di Hitler era di aggirare la linea Maginot sulla destra con una manovra ad ampio raggio consistente, a nord, nell'attacco contro l'Olanda e il Belgio, a sud-est, nello sfondamento delle linee francesi fra Sedan e Namur, attraverso le Ardenne e la Mosa. L'esercito anglo-francese, che non prevedeva, per le caratteristiche naturali della zona, un attacco in questo settore, impiegò il grosso delle sue forze nel tentativo di respingere l'avanzata nemica nel territorio compreso fra la Mosa e il mare. L'Olanda fu conquistata in soli tre giorni; nello stesso periodo di tempo caddero le più importanti difese belghe; le due armate francesi lasciate a presidio della linea Sedan-Namur vennero travolte dalle divisioni corazzate tedesche. Queste, proseguendo nella loro corsa al mare, giunsero il 21 maggio sulle coste della Manica e interruppero così il contatto fra le forze anglo-franco-belghe del Nord e il resto dell'esercito. Mentre le prime, chiuse in una sacca che aveva come unica via di uscita il mare, erano costrette a imbarcarsi rovinosamente a Dunkerque (3 giugno) , l'esercito francese (a capo del quale Weygand era succeduto a Gamelin) tentava di approntare una estrema linea difensiva. La situazione appariva disperata per l'inferiorità delle forze francesi rispetto a quelle germaniche. Infatti in pochi giorni (dal 5 all'11 giugno) la cosiddetta linea Weygand, organizzata fra Montmédy, all'estremo della Maginot, e il mare, venne superata dai Tedeschi, i quali raggiunsero il 14 giugno Parigi e si espansero secondo diverse direttrici di marcia per tutta la Francia. Il 24 giugno – dopo che anche la Maginot fu sfondata in più punti – tutto il territorio settentrionale francese era in mano ai Tedeschi, che intanto erano giunti nel Sud della Francia fino a Saint-Étienne e Grenoble. Mentre stavano per crollare le ultime difese francesi, il 10 giugno Mussolini dichiarò guerra alla Francia e alla Gran Bretagna. Egli ritenne opportuno anticipare l'intervento dell'Italia in previsione della futura, e ormai prossima, resa della Francia e delle concessioni territoriali che ne sarebbero derivate. L'esercito tuttavia non era in grado di sostenere uno sforzo bellico tanto grave; prova ne è che le truppe italiane, colte di sorpresa dalla dichiarazione di guerra, furono costrette a ritardare l'attacco alle frontiere francesi al 21 giugno, per conseguire al termine delle operazioni, due giorni dopo, risultati di scarso rilievo. In Francia, al disastro militare fece seguito la crisi politica: le forze conservatrici, di cui si fecero portavoci il vicepresidente del Consiglio Pétain e il generale Weygand, favorevoli all'armistizio, provocarono le dimissioni del presidente del Consiglio Reynaud, propugnatore di una lotta a oltranza contro la Germania. Dopo che Charles de Gaulle aveva lanciato ai Francesi da radio Londra il primo solenne appello alla resistenza, il nuovo governo firmò l'armistizio con la Germania (il 21 giugno a Compiègne) e con l'Italia (il 24 giugno a Villa Incisa): mentre Hitler s'impossessava di tutto il territorio settentrionale (lasciando per il resto del Paese – la Francia di Vichy – il potere in mano a uomini asserviti alla sua volontà, Pétain e Laval), Mussolini doveva accontentarsi di modeste assegnazioni territoriali. Si concludeva così la prima fase della guerra europea di Hitler: la seconda avrebbe dovuto consistere, secondo i suoi piani, nell'attacco diretto alla Gran Bretagna (l'operazione “leone marino”). Questo, data la supremazia inglese sul mare, poteva avere qualche probabilità di successo solo con l'ausilio delle forze aeree. Dopo avere avanzato proposte di pace che dovevano valere solo come premesse all'invasione, l'8 agosto Hitler – che aveva nel frattempo fatto costruire lungo la Manica le opere necessarie all'attacco (piste di decollo, rimesse, stazioni radio, ecc.) – ordinò l'offensiva aerea, pensando di poter avere ragione in breve tempo dell'aviazione inglese, in modo da contrastare validamente l'intervento della flotta e iniziare così le operazioni di sbarco. La battaglia aerea durò dall'8 agosto al 31 ottobre 1940. Gli Inglesi, sorretti dal vigore del proprio primo ministro Churchill, resistettero ai continui bombardamenti che la Luftwaffe scatenò sulle loro città: solo in un mese, dai primi di settembre ai primi di ottobre, Londra dovette subire 36 attacchi aerei. L'aviazione tedesca, pur superiore per numero di unità, non riuscì a prevalere su quella inglese: i bombardieri di Goering, contrattaccati dai maneggevoli caccia della RAF, subirono notevoli perdite (queste assommarono a 2500 unità al termine della battaglia aerea). A rendere efficace la difesa inglese contribuì in modo particolare l'impiego del radar, messo a punto poco prima in Gran Bretagna da W. Watson. Hitler fu costretto a rinunciare allo sbarco nell'isola. Questa sua prima sconfitta si rivelò determinante per l'esito finale del conflitto: per quel momento stava a significare il fallimento della guerra-lampo e il permanere di una continua minaccia da parte inglese ai territori occupati dal Führer.

L'espandersi del conflitto

Durante l'attacco tedesco agli Stati occidentali, l'URSS procedette alla definitiva incorporazione dei territori baltici, già sottoposti alla sua “protezione”, e occupò, a danno della Romania, la Bessarabia e la Bucovina settentrionale. Per fermare l'avanzata russa, Hitler, da un lato, si preoccupò d'intervenire nelle regioni orientali dell'Europa, instaurando in Romania il governo filonazista di Ion Antonescu; dall'altro, firmò con il Giappone il 27 settembre 1940 un patto (detto tripartito per la partecipazione anche dell'Italia) che rappresentava un'aperta minaccia per l'URSS, a causa dell'impegno sottoscritto dalle potenze dell'Asse di costituire una “grande Asia”. Intanto Mussolini, il quale si sentiva schiacciato dalla potenza politico-militare della Germania e tentava quindi di bilanciarne l'offensiva con una propria condotta autonoma di guerra (guerra parallela), combatteva gli Inglesi nel Mediterraneo e in Africa. Qui nell'agosto del 1940 l'esercito italiano occupò la Somalia, evacuata dalle forze britanniche, e nel settembre dello stesso anno avanzò, al comando di Graziani, verso l'Egitto, conquistando le località di Salûm e Sîdi Barrâni. La flotta italiana, che teneva sotto controllo il canale di Sicilia, riforniva le truppe impegnate in Africa, ma dovette subire da levante e da ponente gli attacchi di quella inglese, superiore per il numero delle corazzate e per l'impiego tattico dell'aviazione in appoggio alle unità navali. Tale superiorità si manifestò, agli inizi della lotta nel Mediterraneo, nello scontro di punta Stilo (luglio 1940) e fu ribadita nel novembre dalla battaglia di capo Teulada. Nel contempo la nostra flotta fu duramente colpita nella base di Taranto dagli aerei siluranti inglesi. Per rafforzare le basi del Mediterraneo e per controbilanciare in qualche misura l'influenza politica di Hitler, Mussolini tentò la conquista della Grecia. L'attacco ebbe inizio in ottobre: nei primi due mesi l'armata italiana non solo non riuscì a occupare il territorio greco, ma fu costretta ad arretrare in Albania di fronte alla controffensiva di truppe ben addestrate alla guerra di montagna. Il fallimento dell'attacco provocò una crisi nello Stato Maggiore italiano: a capo di questo Cavallero venne a sostituire il dimissionario Badoglio, che già si era dichiarato contrario alla campagna di Grecia. I primi mesi del 1941 videro la fine della “guerra parallela” di Mussolini. L'apertura da parte dell'Italia di due nuovi fronti non aveva significato per l'Asse alcuna conquista degna di rilievo per il futuro andamento del conflitto. Già alla fine del 1940, infatti, si registrarono i primi successi degli Inglesi nella loro controffensiva in Africa orientale. Fu tuttavia lungo il litorale egiziano che le truppe britanniche concentrarono i loro sforzi per riconquistare il territorio perduto. Il generale Wavell contrattaccò agli inizi di dicembre con forze massicce e gli Italiani furono costretti a ritirarsi fino a Bengasi (6 febbraio 1941). Anche in Africa orientale essi, non riforniti dall'Italia e attaccati da divisioni corazzate inglesi, inviate a sud dopo i primi successi conseguiti sul fronte libico, cedettero, sia pure lentamente, all'offensiva nemica: dopo avere opposto un'accanita resistenza sull'Amba Alagi, al comando del duca d'Aosta, furono costretti ad arrendersi e ad abbandonare la lotta (maggio). In Grecia fallì un nuovo attacco portato nel marzo dal generale Cavallero. Nello stesso mese si registrò il disastro che colpì la flotta italiana a Capo Matapan (28 marzo), causato soprattutto dalla mancanza dell'aviazione in appoggio alla squadra navale e dall'impiego, da parte inglese, del radar. Hitler fu costretto a far intervenire le proprie armate sui fronti aperti da Mussolini per rimediare agli scacchi da questi subiti. Tali sconfitte ebbero l'effetto d'indicare nel settore mediterraneo il punto debole dello schieramento dell'Asse e di riportare così in equilibrio quella situazione bellica che pareva irrimediabilmente favorevole alla Germania dopo i successi conseguiti in Europa. Il momento appariva critico per il futuro sviluppo della guerra: mentre Hitler stava già preparando il suo piano d'attacco all'URSS, la ripresa della Gran Bretagna – che nel marzo del 1941 cominciò a ricevere aiuti dagli USA in seguito alla legge “affitti e prestiti” – fece sì che alcuni Stati europei tesero a uscire dall'alleanza con Berlino. Quindi la Germania doveva sia contrattaccare sul fronte libico per arginare la supremazia inglese in Africa, sia conquistare gli Stati balcanici per assicurare alle spalle la futura avanzata verso l'URSS. L'esercito tedesco intervenne nella guerra libica con l'Afrika Korps, affidato al comando di Erwin Rommel e composto di divisioni corazzate e motorizzate. Di fronte a queste gli Inglesi, che nel frattempo avevano inviato uomini e materiali in Africa orientale e in Grecia, si trovarono in condizioni d'inferiorità rispetto ai Tedeschi e furono costretti a retrocedere per tutta la Cirenaica, mantenendo solo la base di Tobruch (24 marzo-13 aprile). Intanto nell'Europa orientale Hitler, dopo aver ottenuto nel marzo l'adesione della Bulgaria al patto tripartito, cercò di assoggettare con lo stesso metodo la Iugoslavia. Questa però, in seguito al colpo di Stato che portò al trono Pietro II, interruppe i rapporti diplomatici con Hitler e prese contatto con Gran Bretagna e URSS. Il 6 aprile la Germania iniziò la campagna dei Balcani con un imponente schieramento di truppe e l'appoggio degli eserciti italiano, bulgaro e ungherese. La Iugoslavia, assalita per tutta l'estensione delle sue frontiere, dovette cedere in soli tredici giorni (6-18 aprile). La Grecia rimase isolata di fronte alle truppe tedesche, che all'inizio della campagna avevano già lanciato le divisioni di montagna a conquistare la Macedonia fino a Salonicco. Mentre al corpo di spedizione inglese di Maitland Wilson non restava che ritirarsi lentamente per evitare uno scontro diretto con forze troppo superiori, i Tedeschi conquistarono entro il 3 maggio l'intero territorio greco e riuscirono a occupare, con un deciso attacco di paracadutisti, Creta (1º giugno). È da dire tuttavia che Hitler non riuscì a estendere il suo dominio anche a est di Creta e – cosa rilevante per il futuro sviluppo della guerra d'Africa – sul Medio Oriente, dove anzi forze inglesi e golliste reprimevano un tentativo di rivolta fomentato dai nazisti e strappavano la Siria alla Francia di Vichy. L'occupazione della Grecia e della Iugoslavia costituì il preludio della campagna di Russia. In effetti Hitler, che fino ad allora aveva riportato vittorie su ogni fronte senza peraltro averne conseguita alcuna decisiva per l'esito finale del conflitto, si trovò nella necessità di affrontare l'URSS. Il fallimento della guerra-lampo e la conseguente presenza attiva della Gran Bretagna (che intensificò i bombardamenti sulla Germania con grave danno per l'industria bellica tedesca), le conquiste russe e il profilarsi dell'intervento americano spinsero Hitler ad aprire il nuovo fronte. La nuova mossa del Führer assunse diversi significati e tese a realizzare molteplici fini. Infatti al programma di distruggere, con una vera e propria crociata ideologica, il tradizionale avversario bolscevico s'accompagnavano l'obiettivo di assicurarsi le materie prime necessarie al proseguimento della guerra e la prospettiva di creare una grande potenza asiatica che, rafforzando quella nipponica, eliminasse ogni possibilità di un efficace intervento americano a sostegno della Gran Bretagna.

Le campagne di Russia e d'Africa, l'intervento degli USA (1941-42)

"Per le cartine delle operazioni in Africa settentrionale e nel Pacifico vedi il lemma del 10° volume." Il 22 giugno 1941 ebbe inizio l'attacco a sorpresa, senza ultimatum e dichiarazione di guerra, della Germania all'URSS "Le cartine che illustrano le operazioni nel Pacifico (1941-42), in Africa settentrionale (1942-43), in Cirenaica (1940-42), le battaglie di Tunisia e di Bir Hacheim sono a pag. 318 dell’11° volume." . Le armate tedesche, che iniziarono l'offensiva divise in tre gruppi (comandati a nord da von Leeb, al centro da von Bock, al Sud da von Rundstedt), sfondarono le frontiere russe secondo tre diverse linee di marcia, dirette la prima verso Leningrado, la seconda verso Mosca, la terza verso Kijev e Harkov. Le colonne tedesche raggiunsero in meno di un mese la linea fortificata Stalin, che andava dal golfo di Finlandia al Mar Nero. I Panzer, sostenuti dall'aviazione, guadagnavano ogni giorno chilometri su chilometri, facendo breccia a ondate successive negli schieramenti russi. Questi si trovarono stretti fra i mezzi corazzati, che si allargavano a ventaglio alle loro spalle, e le fanterie motorizzate, che seguivano i primi e completavano l'accerchiamento. Nella regione settentrionale le armate tedesche conquistarono la costa del golfo di Finlandia e giunsero nel retroterra fino a Novgorod, per poi convergere verso Leningrado: questa in ottobre restò isolata dal resto dell'URSS, mentre veniva accerchiata a nord dalle truppe finniche. Al centro von Bock procedette lungo la grande autostrada Minsk-Mosca, riuscendo a pervenire, dopo la battaglia di Smolensk, a ca. 100 km dalla capitale sovietica. Nell'Ucraina (dove operava con reparti romeni e ungheresi anche il corpo di spedizione italiano, CSIR, in seguito portato alla consistenza di un'armata, ARMIR) le forze russe opposero una tenace resistenza. Ciò non impedì che in agosto la parte occidentale della regione fosse in mano alle armate di von Rundstedt. Queste in settembre conquistarono Kijev e passarono il Dnepr, dirette verso il bacino del Donec. Si era agli inizi del grande inverno russo. Nonostante le rilevanti conquiste, il piano di Hitler, che prevedeva la distruzione dell'esercito nemico nel giro di otto settimane, poteva dirsi già a questo punto fallito. Stalin infatti non aveva buttato allo sbaraglio il grosso delle sue forze, ma l'aveva mantenuto al di là delle zone conquistate dai Tedeschi. Inoltre la rapida avanzata dei Panzer non aveva significato ancora l'occupazione effettiva di vasti territori: alle loro spalle si formarono attivi centri di resistenza che costrinsero i mezzi corazzati a compiere veloci ripiegamenti in appoggio alla fanteria, col rischio di rimanere isolati senza possibilità di rifornimento, esposti ai contrattacchi delle forze di riserva. Così, al termine dell'offensiva-lampo i Tedeschi non solo dovevano accusare perdite rilevanti, di certo sproporzionate ai risultati raggiunti (le loro armate erano assai lontane dalla linea Arcangelo-Astrahan prevista dal “piano Barbarossa”), ma dovevano subire anche, dopo il loro inutile tentativo di conquistare Mosca, la controffensiva invernale dei Sovietici. Questi riuscirono a ottenere qualche risultato di rilievo, come l'alleggerimento della pressione su Leningrado, ma soprattutto impedirono al nemico di approfittare di una sosta nelle operazioni per riorganizzare le truppe e prepararle ai rigori della stagione. La mancata conquista della capitale sovietica doveva considerarsi, alla stessa stregua del fallito attacco alla Gran Bretagna, come un duro colpo ai piani strategici di Hitler. Essa inoltre avvenne, se si esamina lo svolgimento del conflitto nel resto del mondo, in un momento favorevole nel suo complesso agli avversari. In Africa gli Inglesi poterono riunire le forze fino ad allora impegnate nella definitiva conquista dell'Africa Orientale Italiana, il che rese possibile l'11 novembre l'inizio della controffensiva che portò alla rioccupazione da parte delle truppe britanniche dell'intera Cirenaica. Quasi contemporaneamente alla ripresa degli Inglesi in Africa avvenne l'entrata in guerra degli Stati Uniti. Roosevelt aveva già firmato nell'agosto con Churchill la Carta atlantica, progetto di ricostruzione del mondo fondato sui principi di autodecisione dei popoli e della collaborazione internazionale, senza essere riuscito tuttavia a togliere l'opinione pubblica americana dalla sua tradizionale posizione di isolazionismo. L'episodio che provocò l'intervento statunitense nella seconda guerra mondiale fu l'attacco dei Giapponesi alla base aeronavale di Pearl Harbor nelle Hawaii (7 dicembre 1941) . Il Giappone mirava da tempo a estendere il suo dominio in Estremo Oriente: aveva occupato la Manciuria nel 1931 e invaso la Cina nel 1937, occupando Pechino, Nanchino e Shanghai; nel luglio 1941 aveva esteso la sua occupazione all'Indocina francese, suscitando la reazione di Roosevelt e Churchill, che avevano deciso la sospensione dei rifornimenti di petrolio essenziali all'economia giapponese. Da qui la decisione di attaccare gli Stati Uniti con la sorpresa iniziale di Pearl Harbor (affondamento di otto corazzate), come premessa per la conquista della supremazia navale nel Pacifico. Tre giorni dopo Pearl Harbor due importanti unità britanniche, le corazzate Repulse e Prince of Wales, furono affondate nel mare della penisola di Malacca dai bombardieri nipponici. Il piano operativo giapponese tendeva alla creazione di una fascia difensiva intorno al Giappone, estesa dalle isole Wake e Marshall fino ai territori della Malesia e della Birmania, con la possibilità di sfruttare entro questo “perimetro difensivo” le notevoli ricchezze offerte dalle terre del Pacifico sud-occidentale. L'episodio di Pearl Harbor segnò una svolta decisiva nello svolgimento del conflitto: il Congresso americano votò lo stato di guerra con il Giappone (8 dicembre); Germania e Italia, su richiesta del governo giapponese che si valeva del patto tripartito, dichiararono guerra agli Stati Uniti (11 dicembre); il 1º gennaio del 1942 venticinque Stati firmarono l'atto costitutivo delle Nazioni Unite e formarono un blocco compatto contro la coalizione nazifascista. Questa tuttavia per tutta la prima metà del 1942 mantenne su ogni fronte la propria spinta iniziale. I Giapponesi avanzavano nell'entroterra cinese e indocinese: occupavano Hong Kong e Singapore, penetravano attraverso l'Indocina – già in loro possesso fin dal 1940 – nella Thailandia. Di qui entravano in Birmania e sottraevano agli Anglo-Cinesi la strada che collega questo Paese alla Cina. Contemporaneamente attaccavano con vigore l'arcipelago dell'Insulindia; nel gennaio conquistavano le Filippine e giungevano nel marzo a Giava, completando i propri successi nelle Indie olandesi. Realizzarono nello stesso tempo il loro piano di attacco nel Pacifico con la conquista, a nord, delle isole di Guam e Wake, a sud, degli arcipelaghi Gilbert, Ellice e Bismarck. Gli Americani decisero di tenere in questa prima fase della guerra nel Pacifico una condotta puramente difensiva. Decisione questa che rientrava nel più vasto piano d'azione concordato a Washington da Churchill e Roosevelt e consistente nel concentrare la maggior parte dei mezzi bellici in Gran Bretagna e in Africa, al fine di resistere dapprima all'avanzata tedesca e di muovere in un secondo tempo al contrattacco. Sono da rilevare nel frattempo i successi ottenuti dall'Asse in Africa e in URSS. Sul fronte libico fin dal gennaio del 1942 Rommel aveva iniziato la controffensiva che doveva portare le truppe italo-tedesche a El-ʽAlamein, distante ca. 100 km da Alessandria (fine giugno). Per questa operazione seppe sfruttare un momento favorevole alle truppe dell'Asse: mentre il comando britannico, in seguito all'attacco giapponese, aveva destinato alcuni contingenti alla difesa di Singapore, gli Italo-Tedeschi, effettuate con successo alcune operazioni nel Mediterraneo (tra cui un riuscito assalto alla flotta inglese ad Alessandria), fecero affluire in Libia un notevole gruppo di forze. A El-ʽAlamein però si spense la spinta iniziale dell'Afrika Korps, sia per la difesa opposta dagli Inglesi sia per il difetto di rifornimenti: quattrocento chilometri di deserto separavano le divisioni italo-tedesche dalle basi. Dalla stessa linea difensiva partì nell'ottobre il contrattacco alleato che segnò la fine della guerra d'Africa. Intanto sul fronte russo aveva inizio il 3 luglio la seconda offensiva tedesca. Mentre nel 1941 la Wehrmacht aveva proceduto su tre diverse linee, ora l'armata di von Bock si muoveva nel territorio compreso fra il Mare d'Azov e la zona di Kursk: una volta occupata Stalingrado, essa avrebbe dovuto, secondo il progetto di Hitler, risalire il corso del Volga e puntare su Mosca. Di fronte all'avanzata tedesca i Russi usarono la stessa tattica dell'anno precedente: evitarono lo scontro frontale, si ritirarono lentamente e distrussero all'esercito invasore ogni possibile mezzo di rifornimento, senza cessare di tenerlo continuamente impegnato con azioni di guerriglia, ammassando nel contempo truppe di riserva dietro il Volga e sul Caucaso. L'armata di von Bock, occupata Rostov il 25 luglio, si divise in due sezioni: l'una proseguì la marcia verso il Don e il Volga, l'altra puntò verso il Caucaso. I Tedeschi mutarono il piano iniziale perché pensavano di poter sfruttare in breve tempo le immense ricchezze del territorio compreso fra il Mar Nero e il Caspio. In realtà nella nuova manovra si andava già delineando il fallimento della seconda offensiva nazista. I Tedeschi infatti non concentrarono i loro sforzi nell'attacco contro la linea del Volga, assai importante quale mezzo di collegamento fra le truppe dell'interno e i pozzi petroliferi del Sud, ma cercarono di raggiungere obiettivi distanti e difficilmente comunicabili fra di loro, indebolendo entrambi i settori ed esponendosi all'ormai imminente offensiva sovietica.

La controffensiva alleata su ogni fronte (1942-43)

"Per la cartina della controffensiva alleata in Europa vedi il lemma del 10° volume." A partire dal maggio 1942 gli Stati Uniti, terminata la fase difensiva della guerra nel Pacifico, iniziarono una fase di difesa attiva "La cartina che illustra la controffensiva alleata in Europa (1943-45) è a pag. 319 dell’11° volume." . La flotta americana, che stava sviluppando un imponente programma di costruzioni, si rivelò più efficiente di quella giapponese nell'impiego delle poche portaerei momentaneamente disponibili e meglio organizzata per la disponibilità di numerose basi, utili per il rifornimento di combustibili e carburanti e l'imbarco delle truppe "La cartina che illustra le operazioni delle forze alleate nel Pacifico (1943-45) è a pag. 321 dell’11° volume." . "Per la cartina delle operazioni delle forze alleate nel Pacifico vedi il lemma del 10° volume." Essa ottenne importanti successi nelle battaglie del Mar dei Coralli (6-8 maggio) e di Midway (4-6 giugno). Gli Americani s'impegnarono soprattutto nella conquista degli arcipelaghi a E dell'Australia per evitare l'attacco giapponese alle coste del continente: la campagna delle Salomone (agosto-novembre) si concluse con l'occupazione dell'intero arcipelago, dopo che nella battaglia di Guadalcanal i Giapponesi dovettero subire una battuta d'arresto. Le parti erano ormai invertite: il Giappone modificò il proprio piano operativo riducendo in modo notevole il progettato “perimetro difensivo”, mentre gli Stati Uniti tendevano alla conquista sistematica delle isole del Pacifico. La disparità di forze divenne evidente durante il 1943, quando entrarono in funzione parecchie decine di nuove portaerei statunitensi con un gran numero di unità di scorta. Gli Americani avanzarono sia nel Pacifico centrale sia in quello sudoccidentale, muovendo da una parte verso le isole Gilbert, dall'altra verso l'arcipelago di Bismarck. Alla fine del 1943, conquistate le Gilbert, le forze americane si preparavano a scatenare l'attacco contro le Marshall. Si stavano dunque volgendo a loro favore le sorti di una guerra giunta, dopo le conquiste giapponesi del 1942, a un punto critico per l'esito dell'intero conflitto mondiale. La “presenza” americana, tuttavia, si faceva sentire in modo rilevante anche sui fronti occidentali. Mentre infatti il Giappone conduceva una guerra quasi del tutto estranea a quella dei suoi alleati, le forze inglesi e americane eseguivano su ogni mare e in ogni territorio le direttive di un unico comando (il comitato misto dei capi di Stato Maggiore avente sede a Washington). Ciò fece sì che l'apporto giapponese alla guerra d'invasione nazista risultasse assai meno efficace di quanto si potesse prevedere, mentre quello statunitense si rivelava determinante nel prosieguo delle operazioni. I bombardieri Flying, Fortress e Liberator, inviati in Gran Bretagna, iniziarono nell'agosto del 1942 i loro voli sull'Europa, arrecando gravi danni all'industria bellica tedesca. Le truppe americane, al comando del generale Dwight Eisenhower, sbarcarono l'8 novembre in Marocco e in Algeria, risolvendo in breve tempo, di concerto con l'offensiva sferrata il 23 ottobre dall'VIII armata britannica del generale Montgomery, la guerra d'Africa. Dall'agosto del 1942 si era proceduto da parte inglese alla riorganizzazione del comando e al rinnovo dell'armamento. Le truppe corazzate, dotate dei carri armati Sherman di costruzione americana, erano sostenute da una forza aerea di prim'ordine, che conquistò in breve tempo il dominio dell'aria, rendendo difficile alle forze dell'Asse il collegamento con l'Europa. L'Afrika Korps, schiacciato dalla preponderanza dei mezzi bellici avversari e in difficoltà per l'incertezza dei rifornimenti, tentò un'estrema difesa sulla linea di El-ʽAlamein. Sconfitto (23 ottobre-4 novembre), dovette ripiegare, senza che Rommel potesse, per la carenza di ulteriori linee difensive, contrastare l'avanzata britannica. Tripoli fu occupata da Montgomery il 23 gennaio 1943. I Tedeschi, serrati tra le due armate anglo-americane che si dirigevano verso la Tunisia, giocarono la loro ultima carta, creando la “testa di ponte” tunisina, al fine di evitare il rapido congiungersi delle forze alleate e ritardarne in tal modo l'avanzata nel Mediterraneo. Nell'aprile tuttavia, dopo che Rommel aveva tentato invano di penetrare nel territorio algerino per aggirare le truppe americane, queste si congiunsero con quelle inglesi. Le ultime forze italo-tedesche, chiuse a ogni lato dalle armate nemiche, furono costrette, dopo aver perso Biserta e Tunisi, a firmare la resa (maggio). Le coste tunisine costituirono la base per la campagna d'Italia "La cartina che illustra la campagna d’Italia è a pag. 321 dell’11° volume." . " Per la cartina della campagna d'Italia vedi il lemma del 10° volume." Conquistate nel giugno le isole di Lampedusa, Pantelleria e Linosa, gli Alleati effettuarono lo sbarco sulle coste meridionali della Sicilia. Caratteristici mezzi anfibi, dal fondo piatto e dotati di ponte levatoio, scaricarono fra Gela e Siracusa 160.000 uomini, 1400 autoveicoli, 600 carri armati, 1800 cannoni. Ad affrontare queste massicce forze d'attacco si trovavano pochi distaccamenti italo-tedeschi: a questi non restò che ritirarsi lentamente al fine di guadagnare tempo e imbarcare le truppe. Gli Alleati occuparono l'isola in ca. 40 giorni: erano a Messina il 17 agosto. Le previsioni ottimistiche fatte da Mussolini nel discorso del “bagnasciuga” (24 giugno) erano crollate in breve tempo. In Italia, del resto, solo una minoranza, legata a Mussolini, credeva ancora nella vittoria dell'Asse. La situazione si presentava matura per un cambiamento al vertice: le masse popolari avevano dato una significativa dimostrazione di forza con gli scioperi del marzo; i partiti politici, disciolti dal regime, avevano ripreso dal 1942 clandestinamente la propria attività; nello stesso Partito nazionale fascista e nell'ambiente vicino alla corona alcuni gruppi avevano posto come urgente il problema dell'uscita dell'Italia dalla guerra. Per Vittorio Emanuele III, che non si risolveva a prendere una decisione risolutiva, la campagna di Sicilia si presentò come l'occasione ideale. Il 19 luglio Mussolini s'incontrò a Feltre con Hitler, ma non riuscì né a ottenere dalla Germania le forze necessarie per opporre una valida resistenza agli Alleati né a esporre chiaramente al Führer l'impossibilità per l'Italia di continuare la guerra. Alla stessa data Roma subì il primo bombardamento aereo. Il 25 luglio, dopo il voto del Gran Consiglio del fascismo che aveva posto in minoranza Mussolini, Vittorio Emanuele III lo fece arrestare e affidò il governo a Badoglio e ad alcuni “tecnici”. I partiti antifascisti, esprimendo le istanze della popolazione, reclamavano lo sganciamento dalla Germania e l'armistizio con gli Alleati. Badoglio dapprima ordinò di continuare la guerra; poi, con notevole ritardo, iniziò le trattative per l'armistizio, mentre Hitler ebbe tempo di far scendere dal Brennero nuove truppe di rinforzo. L'8 settembre, al momento dell'annuncio dell'armistizio – firmato a Cassibile il 3 dello stesso mese – l'esercito italiano si trovò indifeso di fronte alla reazione tedesca. Il re e Badoglio con i principali capi politici e militari fuggirono da Roma verso Pescara, senza lasciare ordini precisi alle forze armate per la difesa della capitale. Mentre la flotta raggiungeva Malta, l'esercito si sfasciava, salvo opporre in casi isolati un'onorevole resistenza ai Tedeschi (Lero e Cefalonia). Gli Anglo-Americani, sbarcati il 3 settembre in Calabria e l'11 settembre a Salerno, entrarono il 1º ottobre a Napoli ormai in mano alla popolazione insorta contro i Tedeschi. La loro marcia al Nord incontrò delle forti linee di resistenza: al termine del 1943, mentre Mussolini, liberato dai Tedeschi, costituiva una Repubblica satellite della Germania, le truppe alleate erano ferme sulla linea Gustav che univa, prima di Cassino, il Garigliano alla foce del Sangro. È da dire, peraltro, che la lentezza delle operazioni rientrava nel piano alleato. Lo scopo dello sbarco e della successiva avanzata non era di raggiungere la Germania attraverso l'Italia, bensì d'indebolire la difesa tedesca, tenendo impegnato nella penisola un rilevante numero di divisioni avversarie ed evitandone così l'impiego sugli altri fronti, strategicamente più importanti, della Francia e dell'URSS. Qui nel novembre del 1942 era iniziata la controffensiva sovietica, organizzata con grande cura e mezzi considerevoli, ricevuti in parte dalle potenze occidentali. Essa era stata preceduta dalla strenua resistenza opposta nel territorio compreso fra il Don e il Volga. L'epicentro della difesa russa era costituito dalla città di Stalingrado. Questa, raggiunta dalle armate tedesche nel settembre e attaccata da ogni lato, non capitolò: i Tedeschi entrarono nella città, ma non riuscirono a occuparla, subendo anzi notevoli perdite. Quando nel novembre i Sovietici sotto la guida di Žukov iniziarono la controffensiva, diretta a dividere in due tronconi l'esercito avversario e a isolare le armate operanti a sud della linea Don-Volga i Tedeschi assedianti Stalingrado divennero assediati. Hitler dette ordine di resistere: la VI armata di von Paulus dovette arrendersi nel febbraio del 1943 dopo aver perduto quasi 250.000 uomini. Nel frattempo i Tedeschi, impegnati per tutta l'estensione del fronte, erano costretti, nella zona settentrionale, ad allontanarsi da Leningrado dopo 17 mesi d'assedio e ad abbandonare, in quella meridionale, il territorio compreso fra il Caucaso, il Don e il Volga (febbraio). Dopo quattro mesi, alla ripresa delle operazioni, l'OKW (comando supremo della Wehrmacht) tentò di riassumere l'iniziativa, ma i suoi piani fallirono: nell'agosto Harkov – rioccupata nel frattempo dai Tedeschi – tornò in mano sovietica; nello stesso mese e in quello seguente furono liberate Orel, Smolensk, Briansk e Dnepropetrovsk; nell'ottobre cadde la testa di ponte del Kuban, ultimo caposaldo germanico oltre il Mar d'Azov. Alla fine del 1943 anche Kijev fu riconquistata dall'esercito russo. Questo aveva rioccupato ormai buona parte dell'Ucraina e aveva costretto i Tedeschi a retrocedere quasi fino alla linea della prima estate di guerra. Nella ritirata, resa ancora più difficile dai ghiacci e dalla neve, persero la vita migliaia di soldati italiani, facenti parte dell'ARMIR, l'armata che Mussolini aveva inviato in URSS nel luglio del 1942 senza un adeguato armamento e i mezzi necessari per combattere in avverse condizioni atmosferiche.

In Europa: dallo sbarco in Normandia alla resa tedesca (1944-45)

Sconfitta senza rimedio in Africa, costretta in URSS ad abbandonare quasi tutte le posizioni conquistate a prezzo di un notevole dispendio di uomini e di materiale, martellata dai bombardamenti che ridussero le sue città ad ammassi di rovine, la Germania iniziò il 1944 già sull'orlo della sconfitta. A evitarla concorsero sia la fabbricazione di nuovi mezzi bellici da parte della scienza e della tecnica tedesche sia le risorse organizzative della Wehrmacht. Questa tuttavia, mentre era impegnata su tutti i fronti a ostacolare l'avanzata delle forze anglo-americane e sovietiche, si vide costretta nello stesso tempo a domare i movimenti clandestini sorti all'interno dei Paesi occupati. La Resistenza, che nacque come moto spontaneo di reazione alla politica di dominio della Germania per divenire l'espressione più alta degli aneliti di rinnovamento politico e sociale dei popoli oppressi dal regime fascista, venne a costituire nell'Europa occidentale e orientale un vero e proprio “secondo fronte” che creò gravi problemi organizzativi e militari ai Tedeschi. Questi non potevano sottovalutare l'importanza assunta sul piano strategico dai movimenti resistenziali come punta avanzata degli Alleati e dovevano necessariamente tener impegnati lontano dai fronti più importanti notevoli contingenti del proprio esercito. Ma i mezzi di repressione da loro usati per rispondere ai seri colpi inferti dalle azioni partigiane (i rastrellamenti, le deportazioni, gli eccidi in massa) non facevano che creare il vuoto intorno a loro con effetti disastrosi anche sul piano psicologico. I Tedeschi uscirono sconfitti anche da questa battaglia, che si rivelò di carattere non solo militare ma anche ideologico. Come in URSS, dove il movimento partigiano inquadrato nell'Armata Rossa concorse in modo efficace a provocare il crollo dell'esercito tedesco, così in ogni Paese dove si sviluppò – pur con differenti caratteristiche che ne hanno fatto secondo i casi un semplice corpo ausiliario di sabotaggio o un vero esercito popolare e autonomo – esso dette un notevole contributo attivo all'opera di logoramento delle forze armate tedesche. È stato in Italia e in Francia che gli Anglo-Americani hanno avuto i primi rapporti con i movimenti clandestini. Nel nostro Paese l'avanzata fu resa particolarmente difficile, oltre che dalla difesa opposta dai Tedeschi sulla linea Gustav, anche dal sistema appenninico e dalle condizioni meteorologiche. Solo nel maggio gli Alleati riuscirono a sfondare il fronte di Cassino giungendo a Roma il 4 giugno . Quando, nell'agosto, essi arrivarono alla periferia di Firenze e si incontrarono coi partigiani, poterono avere in modo concreto la dimostrazione dell'utilità della collaborazione di questi. Nelle battaglie per l'occupazione del capoluogo toscano gli Inglesi si giovarono delle informazioni fornite dai partigiani, che passavano la linea del fuoco per unirsi a loro, e del contributo di coloro che combattevano all'interno della città. Conquistata Firenze, le operazioni alleate dovettero subire al sopravvenire dell'inverno un'altra sosta davanti alla nuova linea difensiva approntata dai Tedeschi da Viareggio a Rimini (linea gotica). Mentre in Italia la marcia verso il Nord registrava continui rallentamenti, l'apertura del “secondo fronte” in Francia – richiesto da Stalin già nella Conferenza di Mosca dell'agosto 1942 per alleggerire la pressione sull'URSS – portò le truppe alleate all'attacco risolutivo contro la Germania. Hitler, in previsione di un'offensiva contro le più importanti zone industriali tedesche, aveva fatto allestire una lunga linea di difese costiere, particolarmente forte nella zona di Calais. Il comando anglo-americano invece sferrò il suo attacco più a ovest, in Normandia, all'altezza della penisola di Cotentin (6 giugno 1944). Il comando supremo fu assunto dal generale Eisenhower; le armate terrestri erano comandate, quella americana da Bradley, quella inglese da Dempsey. Occupata la Bretagna dopo due mesi di aspri combattimenti, le truppe alleate avanzarono nell'interno della Francia: le successive tappe della loro marcia furono le conquiste di Le Mans, Chartres, Orléans dal 9 al 17 agosto. Nello stesso tempo un nuovo sbarco, effettuato da truppe americane e francesi sulla costa di Tolone, costrinse i Tedeschi ad accelerare il ripiegamento verso il Nord della Francia onde evitare l'accerchiamento. Le FFI (Forces Françaises de l'Interieur) liberarono i centri di Lione, Grenoble e Limoges e avanzarono verso Parigi. Qui il 19 agosto venne dato l'ordine d'insurrezione: dopo sei giorni i carri armati americani, preceduti da quelli francesi, entrarono nella città e il comando della guarnigione tedesca firmò la resa. Ai primi di settembre, mentre Pétain e Laval venivano trasferiti dai Tedeschi a Belfort, quasi tutta la Francia era ormai liberata e de Gaulle poteva costituire il nuovo governo. Intanto gli Alleati entravano nel Belgio e nell'Olanda e tentavano di aggirare dal Nord la linea Sigfrido lungo la quale si erano attestate le forze tedesche. Il piano di Montgomery, da attuarsi con truppe paracadutiste, subì però uno scacco nella seconda metà di settembre per il blocco operato dai mezzi pesanti germanici concentrati lungo la frontiera con l'Olanda. Quando andava profilandosi il crollo, ormai inevitabile, dell'Asse, Hitler sembrava ancora credere nella possibilità della vittoria finale. Tentato inutilmente l'esperimento dei nuovi ordigni bellici, le bombe V1 e V2, soffocata nel sangue l'opposizione di alcuni militari e politici (20 luglio), il Führer scatenò di sorpresa, nel dicembre, la controffensiva delle Ardenne. Ma anche questo estremo tentativo di ripresa fallì a causa dell'azione aerea degli Alleati e del concomitante attacco sovietico sull'Oder. Sul fronte orientale, infatti, l'URSS dapprima continuò la marcia lenta ma inesorabile che, avviata nel novembre del 1942, aveva avuto l'effetto di sgomberare tutto il proprio territorio dall'esercito invasore, poi lanciò successivi attacchi che, all'inizio dell'ultimo anno di guerra, portarono il suo esercito al confine germanico dell'Oder. Nella primavera del 1944 l'Armata Rossa liberò la Crimea, l'intera Ucraina e la zona centrale della Russia fino a Mogilev e a Bobrujsk. L'offensiva del giugno – che i Tedeschi attendevano sulla direttrice meridionale verso Budapest e Vienna – si era mossa invece principalmente attraverso la Russia Bianca e la Polonia (con l'occupazione in luglio di Minsk) per far giungere in due mesi l'esercito sovietico a Varsavia. Arrestata qui l'azione del settore centrale delle truppe per preparare l'ultimo balzo in avanti verso la Germania, i Sovietici avevano fatto avanzare le due ali estreme: le armate del Nord erano così giunte in novembre ai confini orientali della Prussia, quelle del Sud avevano invaso la Romania ed erano arrivate alla fine dell'anno nei pressi di Budapest. I Tedeschi, a causa della loro errata previsione della direttrice principale dell'attacco russo, avevano concentrato le forze in Ungheria (dove infatti riuscirono a contenere l'avanzata sovietica), lasciando invece sguarniti, di fronte alla massiccia offensiva di Žukov del gennaio 1945, i territori settentrionali. Qui ai Tedeschi non rimase che ritirarsi oltre l'Oder, cercando di farsi scudo dei 400 km che dividono la Vistola dal grande fiume tedesco. All'inizio del 1945 la situazione in Europa era già ben definita. A est la Germania aveva perso tutti i suoi Stati satelliti: la Finlandia aveva firmato l'armistizio (19 settembre 1944) e così pure la Romania (23 agosto 1944) e la Bulgaria (11 settembre 1944); i Paesi baltici e la Polonia erano in mano russa; l'Ungheria e la Slovacchia erano invase dalle armate sovietiche. Nella Iugoslavia il movimento di resistenza di Tito aveva già rioccupato gran parte del territorio, congiungendosi nel settembre del 1944 con l'Armata Rossa e liberando Belgrado il 20 ottobre. In Grecia gli Inglesi avevano liberato Atene con l'ausilio delle forze partigiane dell'ELAS (13 ottobre). In Italia gli Alleati avevano passato la linea gotica solo all'estrema destra, arrestandosi a Ravenna e a Faenza. Nelle regioni del Nord tuttavia le formazioni partigiane avevano impegnato, con una decisa e continua azione nelle valli, nelle città e lungo le più importanti vie di comunicazione, una parte considerevole delle forze nazifasciste. Quando gli Alleati avevano da poco iniziato l'ultima offensiva contro la Germania, Stalin, Roosevelt e Churchill s'incontrarono a Jalta (4-11 febbraio) per concordare il coordinamento del piano d'attacco e la successiva spartizione in zone d'influenza dei territori liberati. Il 13 febbraio, preceduto da un'imponente azione aerea, si scatenò l'attacco anglo-americano contro le linee fortificate della Germania occidentale. In poco più di un mese l'intera sponda sinistra del Reno, da Arnhem a Basilea, era controllata dalle forze alleate. Nello stesso tempo i Sovietici da una parte forzavano l'Oder, dall'altra intraprendevano con l'ala sinistra dell'esercito l'offensiva contro le frontiere orientali della Germania, attraverso Budapest e Vienna (espugnate l'una il 13 febbraio e l'altra il 16 aprile). Intanto l'armata inglese di Montgomery avanzava verso Amburgo e Lubecca per isolare a settentrione i territori ancora occupati da truppe tedesche, mentre le armate americane si espandevano per tutta la Germania e si congiungevano in aprile con quelle sovietiche, a N presso Torgau e a S presso Linz. Il 17 dello stesso mese gli Alleati sfondavano le linee tedesche sugli Appennini e, liberata Bologna (21 aprile), avanzavano nella Pianura Padana. I partigiani insorgevano in ogni città; le formazioni scese dalle montagne tagliavano la via della ritirata ai Tedeschi; i CLN assumevano il governo del territorio liberato e ne mantenevano l'amministrazione fino all'arrivo delle truppe alleate. Il 29 aprile – dopo che Mussolini, catturato mentre tentava di fuggire in Svizzera, era stato giustiziato dai partigiani – il comando tedesco d'Italia firmò la resa. Nei giorni seguenti il suicidio di Hitler e di alcuni suoi collaboratori nella cancelleria del Reich (30 aprile), l'entrata in Berlino dell'Armata Rossa (2 maggio) e la firma da parte di Wilhelm Keitel della resa incondizionata (7 maggio) segnarono la fine della guerra in Europa.

La fine della guerra in Estremo Oriente (1944-45)

Al momento della resa tedesca il Giappone, chiuso entro il proprio cordone difensivo, resisteva ancora alla massiccia superiorità aeronavale degli Americani. Questa si concretò, durante la prima metà del 1944, nell'avanzata lungo due diverse direttrici: l'una, al comando del generale MacArthur, nel Pacifico sudoccidentale; l'altra, agli ordini dell'ammiraglio Nimitz, nel Pacifico centrale. La prima assicurò agli Alleati la conquista della Nuova Guinea e delle isole dell'Ammiragliato; l'altra aprì attraverso le Marianne un importante varco verso il Giappone con l'insediamento degli Americani nella base di Saipan. Mentre andava restringendosi sul mare il cerchio intorno al Giappone, questo tentò di rafforzare le proprie posizioni all'interno della zona di difesa, colpendo le basi americane situate in Cina (Kweilin e Nanning) e contrattaccando l'azione inglese diretta a riaprire la “strada della Birmania”. Con queste operazioni i Giapponesi ottennero qualche risultato di rilievo (il collegamento col Tonchino e l'allontanamento a N delle basi americane), ma non riuscirono a contrastare il rifornimento alleato alla Cina, che avveniva ormai per via aerea attraverso l'Himalaya. Nel Pacifico intanto MacArthur avanzava verso le Filippine. Il comando nipponico, per evitare di perdere il collegamento con le terre dell'ovest – la Malesia e l'Indonesia fruttavano al Giappone preziose materie prime – impegnò la propria flotta nel golfo di Leyte. Ma in quest'ultima grande battaglia nel Pacifico (23-26 ottobre 1944) i Giapponesi uscirono duramente sconfitti, perdendo, fra l'altro, una delle due più potenti corazzate, la Musashi. Gli Americani proseguirono nella loro avanzata: le forze di MacArthur occuparono nel febbraio del 1945 Manila e Luzon e sbarcarono in marzo a Okinawa; quelle di Nimitz giunsero nel febbraio a Iwō-jima e la conquistarono nel marzo. Gli USA possedevano intorno al Giappone tutti i punti strategici utili per lo scatenamento dell'offensiva finale. Il Giappone tuttavia, che aveva perso quasi per intero le proprie unità navali e aveva abbandonato tutti i territori occupati negli anni precedenti (dalla Birmania all'Indonesia), non accennava ad arrendersi, anzi ricorse all'impiego di nuovi mezzi (i kamikaze) e risparmiò la propria aviazione per resistere all'ultimo attacco nemico. Questo iniziò nel maggio 1945 con l'incessante martellamento dei porti, degli aerodromi e dei centri di produzione giapponesi. A causa della progressiva distruzione del suo apparato bellico, il Giappone appariva già battuto quando, il 26 luglio, ricevette dal nuovo presidente degli Stati Uniti, Harry Truman, l'intimazione della resa incondizionata. Al rifiuto di Tōkyō, gli USA lanciarono su Hiroshima e Nagasaki (6 e 9 agosto) le bombe atomiche. Fu l'ultimo spaventoso evento della seconda guerra mondiale: dopo che anche l'URSS aveva dichiarato la guerra al Giappone e aveva invaso la Manciuria (8 agosto), l'Impero nipponico accettò la resa (14 agosto).

Il Terzo Mondo e la seconda guerra mondiale

Le conseguenze della seconda guerra mondiale in Europa sono note: meritano invece di essere ricordati gli sconvolgimenti provocati nei Paesi meno direttamente coinvolti nel conflitto, ossia nei continenti extraeuropei "Per la cartina geo-politica del mondo dopo la II guerra mondiale vedi il lemma del 10° volume." che hanno avuto in seguito il nome di Terzo Mondo. Particolarmente rilevanti le conseguenze delle conquiste giapponesi nel continente asiatico, che dettero inizio in Cina al tracollo della dittatura borghese di Chiang Kai-shek, mentre la guerriglia comunista riusciva a battersi contro gli invasori e contro il governo. Anche in Indocina, Indonesia, Malesia, Filippine, Birmania si sviluppò una guerriglia popolare diretta prima contro i Giapponesi, poi, dopo il loro crollo, contro il ritorno dei dominatori bianchi. Gran Bretagna e Stati Uniti si affrettarono a concedere l'indipendenza alle loro colonie (si ricorda tra tutte la proclamazione dell'indipendenza dell'India nel 1947), pur cercando di mantenerle sotto il loro controllo economico; in Indocina invece la Francia scelse la via della guerra contro il Vietminh (prima fase della guerra del Viet Nam). Anche in Africa e nel Medio Oriente la seconda guerra mondiale accelerò la spinta all'indipendenza e anche qui la Gran Bretagna seppe concedere l'indipendenza tempestivamente alle sue colonie, fidando nella sua capacità di continuare a dominarle economicamente (neocolonialismo), mentre Francia, Belgio e Portogallo difendevano staticamente i loro privilegi con le armi (si ricorda per tutte la sanguinosa guerra d'Algeria). Solo l'America Latina fu risparmiata dalle ripercussioni dirette del conflitto, ma il concentramento delle forze e delle risorse britanniche contro la Germania lasciò via libera agli Stati Uniti che completarono rapidamente la loro penetrazione nella regione.

E. Collotti, L'amministrazione tedesca dell'Italia occupata, Milano, 1963; F. W. Deakin, Storia della repubblica di Salò, Torino, 1963; E. Faldella, L'Italia e la seconda guerra mondiale, Bologna, 1967; F. Catalano, L'economia italiana di guerra, Milano, 1969; B. H. Liddel Hart, Storia militare della seconda guerra mondiale, Milano, 1970; R. Zangrandi, L'Italia tradita, Milano, 1972; Autori Vari, Storia controversa della seconda guerra mondiale, 7 voll., Novara, 1976.

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