Giappóne

Indice

(Nippon). Stato dell'Asia orientale (372.824 km²). Capitale: Tōkyō. Divisione amministrativa: prefetture (ken) (47). Popolazione: 127.931.339 ab. (stima 2008). Lingua: giapponese. Religione: shintoisti e buddhisti 90,8%, cristiani 1,2%, altri 8%. Unità monetaria: yen (100 sen). Indice di sviluppo umano: 0,956 (8° posto). Confini: Mar Cinese Orientale (SW), Mar del Giappone (W), oceano Pacifico (E). Membro di: APEC, EBRD , OCDE, ONU, osservatore Consiglio d'Europa e WTO..

Generalità

Stato dell'Asia corrisponde territorialmente al grande arco insulare (Arcipelago Giapponese) che fronteggia l'Asia sul lato dell'oceano Pacifico. Nell'ambito dell'Asia il Giappone si pone in una posizione particolare, essendo il Paese economicamente più progredito del continente. Questo primato, stupefacente per uno Stato asiatico, lontano dai fuochi occidentali promotori del fenomeno industriale, ha le sue dirette motivazioni nelle aperture commerciali del Paese dopo la restaurazione Meiji, nell'urgenza di convertire le strutture economiche e produttive di fronte alle necessità di una popolazione numerosa e povera di spazio (il Giappone è infatti uno degli Stati del mondo più densamente popolati, con oltre 127 milioni di ab. su un territorio, oltreché esiguo, eminentemente montuoso), infine nella sottomissione tutta “asiatica” delle masse ai poteri tradizionali, cui si deve quell'espansionismo imperialistico che ha portato il Giappone a occupare, agli inizi del Novecento, diverse regioni dell'Asia orientale in omaggio a una politica colonialista non dissimile da quella delle potenze industriali europee e che ha lasciato i suoi segni in tutto l'Estremo Oriente. Perdute le sue conquiste con la seconda guerra mondiale, in seguito alla quale ha dovuto rinunciare a ogni ambizione egemonica sul Pacifico a vantaggio degli USA (solo nel 1972 ha riacquistato la piena sovranità sull'arcipelago di Okinawa, già sotto amministrazione statunitense), il Giappone si è impegnato in una corsa all'industrializzazione sostenuta dapprincipio dal capitalismo statunitense, dal quale poi si è progressivamente emancipato raggiungendo in breve tempo, con un'avanzatissima tecnologia e un'efficiente organizzazione delle strutture economiche, livelli di sviluppo straordinariamente elevati. Diversamente però dagli Stati Uniti e, fino al suo dissolvimento, dall'Unione Sovietica, e in ciò simile piuttosto ai Paesi industrializzati d'Europa, il Giappone è povero di risorse naturali: ciò ha reso i suoi primati economici quasi “miracolistici”, fondati su un'intensa attività commerciale, cui peraltro il Paese è storicamente votato per la sua stessa insularità e le sue ampie aperture oceaniche. All'inizio del Duemila tale primato tecnologico rappresenta, tuttavia, soltanto una delle molte facce del Paese. La società nipponica appare, infatti, pervasa da fermenti e inquietudini, in cui trovano posto contraddizioni profonde, a partire dalla difficoltà nel conciliare vecchie e nuove istanze culturali. Fattori, questi, che contribuiscono a disegnare un'immagine del Paese più controversa di quella diffusasi in occidente, e che rendono il Giappone non solo, o non solo più, il Paese del progresso, ma anche il simbolo della post-modernità.

Lo Stato

In base alla Costituzione del 3 novembre 1946 (entrata in vigore il 3 maggio 1947), il Giappone è una monarchia costituzionale; funzioni eminentemente rappresentative ha l'imperatore – già sovrano assoluto ammantato di un carattere divino – oggi solamente “simbolo dello Stato e dell'unità del popolo”. Organo supremo dello Stato è il Parlamento o Dieta (Kokkai), che esercita il potere legislativo e che si compone di due Camere, entrambe elette a suffragio universale: la Camera dei Consiglieri, o Camera alta (Sangi-in), composta di 242 membri eletti per 6 anni e rinnovabili per metà ogni 3 anni, e la Camera dei Deputati, o Camera bassa (Shugi-in), composta da 480 membri eletti per 4 anni. Il potere esecutivo compete al Gabinetto, responsabile nei confronti del Parlamento e formato dal primo ministro – formalmente designato dall'imperatore – e dai vari ministri. Nel 2006, per la prima volta dal dopoguerra, è stato istituito un Ministero della difesa, segno della volontà del governo di scostarsi dalla tradizionale posizione pacifista. Organo più alto del sistema giudiziario, ispirato al diritto europeo continentale, con influenze anglosassoni, è la Corte Suprema, composta da un presidente designato dal Gabinetto e nominato dall'imperatore e 14 giudici, anch'essi nominati dal Gabinetto, ma la cui scelta viene poi sottoposta a giudizio popolare; al di sotto di questa, vi sono le Alte Corti, le Corti distrettuali, le Corti familiari (competenti su controversie familiari e che coinvolgono minori) e i Tribunali sommari (per cause civili e penali di limitata importanza). La pena di morte è in vigore. Dopo la sconfitta nella seconda guerra mondiale il Giappone ha rinunciato alla guerra come diritto sovrano e al ricorso alla forza per dirimere le controversie con altri Paesi: pertanto, l'esercito giapponese svolge compiti di sola autodifesa. Una legge approvata nel 2001 ha autorizzato tuttavia l'invio di forze armate all'estero per compiti di supporto logistico alle operazioni anti-terrorismo e nel 2004 è stata messa in atto la prima missione all'estero dal 1945, con l'invio di un contingente in Iraq in appoggio alle truppe statunitensi. Il servizio militare è volontario. Il sistema scolastico è stato modernizzato nel 1872: la scuola è stata aperta a tutti i cittadini, senza distinzione di classe, e dotata dell'organizzazione che ha tuttora. Successivamente, venne disposto per legge anche l'obbligo scolastico. Grazie alla nuova Costituzione del 1947 l'organizzazione della scuola acquisì un carattere democratico e decentralizzato. L'analfabetismo nel Paese è pressoché inesistente. La scuola primaria ha la durata di 6 anni, alla fine dei quali è obbligatoria la frequenza della scuola secondaria inferiore di 3 anni (o 4, se frequentata per corrispondenza). La secondaria superiore prevede un ulteriore ciclo triennale a indirizzo generale o tecnico. L'istruzione superiore, organizzata sul modello anglosassone, è di alto livello ed è affidata alle numerose università e ai college. Le università (più di 580 in tutto il Paese), in particolare, sono statali, private o dipendenti dalle autorità locali. Alcune delle sedi statali si trovano a Chiba (1949), Sapporo (1918), Kōbe (1949), Kyōto (1897), Fukuoka (1910), Nagoya (1939), Ōsaka (1931), Sendai (1907), Tōkyō (1877). Numerose anche le università private: Yokohama (1949), Ōsaka (1925), Tōkyō (Kokugakuin, 1882; Komazawa, 1952; Meiji, 1903; Nihon, 1903; Waseda, 1882) ecc.

Territorio: morfologia

Il territorio giapponese comprende oltre 3000 isole, piccole e grandi, che da Sahalin e dalle isole Curili (di cui il Giappone rivendica all'ex URSS la sezione meridionale) attraverso le Ryūkyū portano a Taiwan (Formosa). Tuttavia la maggior parte della sua superficie (61%) rientra nell'isola di Honshū o Hondo (231.090 km²), cuore della civiltà nipponica e sede dei principali fulcri della sua organizzazione geografica. Le altre isole maggiori sono Hokkaidō (78.523 km²), Kyūshū (42.163 km²) e Shikoku (18.783 km²). La nascita dell'arcipelago si connette alle perturbazioni tettoniche proprie delle aree marginali dei continenti e, più in generale, al grande cerchio d'instabilità che circonda l'oceano Pacifico. Già nell'era paleozoica esisteva, nell'area oggi occupata dall'arcipelago, una geosinclinale soggetta a incessanti processi evolutivi. Verso la fine di quell'era si ebbero le prime manifestazioni orogenetiche (orogenesi di Akiyoshi) coeve di quelle erciniche europee. Esse portarono all'emersione dei primi rilievi, i cui allineamenti si ritrovano nella parte più interna di Honshū. Alla fine del Mesozoico una nuova orogenesi (di Sakawa), parallela a quella alpina, determinò ulteriori sollevamenti. Questa fase orogenetica continuò fino alla metà del Cenozoico, epoca in cui gran parte del territorio giapponese era emersa dal mare. Nella seconda metà del Cenozoico si ebbero però nuove convulsioni: si delinearono così gli archi montuosi attuali, si formarono le depressioni oggi costituenti i mari di Ohotsk e del Giappone e prese vita quel vulcanesimo che ha edificato nuovi rilievi sopra, o ai margini, delle vecchie strutture. L'assestamento dell'area giapponese è ancora in atto e la sua instabilità è resa critica dall'esistenza delle profonde fosse oceaniche che delimitano l'arcipelago sul lato del Pacifico e che in più punti superano i 10.000 m di profondità (fossa delle Curili, -10.542 m; fossa del Giappone, -10.680 m). L'instabilità strutturale dell'area giapponese – una delle più perturbate nell'ambito della cosiddetta “cintura di fuoco” del Pacifico – è concretamente rivelata dalla frequenza delle manifestazioni sismiche e dall'intensità dell'attività vulcanica, che merita all'arcipelago la fama di “fucina di vulcani”. Strutturalmente l'arcipelago è costituito da diversi archi montuosi tra loro annodati. I principali sono quelli del Honshū settentrionale e del Shikoku (o di Honshū meridionale); essi si allacciano con l'arco di Bonin-Volcano (posto in direzione quasi normale) nella sezione centrale del Honshū, in corrispondenza della cosiddetta Fossa Magna, area di sprofondamento, formata da alcune grandi faglie, che divide in due parti la maggiore isola giapponese. Gli altri archi sono a S quello delle Ryūkyū, che nell'isola di Kyūshū si annoda a quello di Shikoku, e a N gli archi delle Curili e di Sahalin, che nel Hokkaidō si collegano con quello del Honshū settentrionale. Nelle sezioni insulari così definite, le formazioni geologiche variano alquanto; in generale si riconoscono una zona interna rivolta al continente asiatico e una esterna verso l'oceano Pacifico. Questa divisione geologica e strutturale è particolarmente netta nell'arco di Shikoku, essendo data da una frattura longitudinale che separa la parte interna, dominata da massicci di rocce granitoidi, da quella esterna, dove prevalgono le rocce scistose e sedimentarie fortemente corrugate. Tale divisione è meno chiara nella sezione settentrionale del Honshū, dove si hanno un po' ovunque le formazioni granitiche intrusive; le rocce scistose e sedimentarie appaiono invece nella sezione interna del Hokkaidō, allacciandosi alla dorsale di Sahalin. Nel complesso però esiste in Giappone una grande varietà di formazioni geologiche anche in ambiti piuttosto ristretti, fenomeno dovuto all'intensità e alla complessità delle convulsioni orogenetiche. Su tutte le formazioni di base, granitiche o metamorfiche, si sovrappongono quelle vulcaniche recenti, che nel Honshū settentrionale e nel Hokkaidō corrispondono alle dorsali montagnose mediane, mentre nella sezione meridionale del Honshū e nel Shikoku danno luogo a un rilievo più frammentato. L'importanza delle formazioni vulcaniche in Giappone è rivelata da un semplice dato: esse interessano il 26% dell'intero arcipelago. L'attività vulcanica, collegata ai perturbamenti cenozoici, è stata intensa anche in epoche recenti e ben 60 vulcani hanno avuto eruzioni in epoca storica. Oggi i vulcani attivi non sono numerosi; mancano del tutto nel Honshū sudorientale e nel Shikoku, sono invece numerosi nel Kyūshū, nel Honshū settentrionale e nel Hokkaidō. Alcuni rappresentano le sommità delle aree montagnose cui appartengono e un vulcano è comunque la cima più alta di tutto l'arcipelago, il Fuji (3776 m), montagna-simbolo del paesaggio giapponese, sorta presso la Fossa Magna; il suggestivo cono rivaleggia con le vette delle Alpi Giapponesi, la sezione più elevata delle catene interne, che raggiungono i 3192 m nel Shirane. Questi rilievi sono il ringiovanimento delle catene paleozoiche e hanno forme giovanili; ciò vale anche per gli altri sistemi montuosi giapponesi, tutti più o meno soggetti ai grandiosi ringiovanimenti cenozoici. Nel complesso la morfologia è più dolce nelle aree dominate dalle formazioni vulcaniche, caratterizzate da espandimenti di lave molto elastiche che hanno smussato le asperità dei versanti. La massima parte del territorio giapponese è comunque montagnosa (si calcola che il 75% sia costituito da colline o montagne) e, a parte la sezione del Honshū dominata dalle Alpi Giapponesi e dal Fuji, tutte le dorsali spartiacque insulari toccano i 1500-2000 m d'altezza. L'andamento delle valli è complesso e in generale a un corso trasversale in prossimità delle coste succedono verso l'interno solchi longitudinali allineati nella direzione delle catene strutturali, da NE a SW. Sfociando sulle coste queste vallate danno origine alle poche pianure di cui disponga il Giappone, formate dagli apporti alluvionali che hanno portato al colmamento degli sbocchi costieri. Un caso a sé è rappresentato dalla pianura del Kantō, la più estesa del Paese, formatasi in corrispondenza della Fossa Magna per sedimentazione di materiali recenti, in particolare vulcanici (loam) che rendono fertilissima questa regione, immediato entroterra di Tōkyō (di cui può spiegare lo sviluppo eccezionale). Altra estesa pianura è quella di Tokachi, nel Hokkaidō; l'isola dispone pure dell'ampia piana di Sapporo. Le coste dell'arcipelago giapponese (complessivamente 26.813 km) sono estremamente accidentate e varie. Nei loro profili attuali esse sono il risultato dei più recenti sollevamenti che hanno portato a emergere nuove superfici di aree già orograficamente complesse e tormentate. Il lato del Pacifico presenta il contorno più mosso e articolato, mentre le coste del Mar del Giappone sono complessivamente più lineari, con lunghi tratti di litorale basso e sabbioso; fa eccezione la penisola di Noto (isola di Honshū), lunga prominenza costituita da una lingua di terra saldatasi con vecchie formazioni insulari. Lungo il Pacifico il motivo dominante è offerto dalle profonde e articolate insenature (wan) e dalle ampie rade (umi), su cui si affacciano i grandi centri portuali che sono all'origine delle fortune commerciali del Giappone; spiccano, tutte nel Honshū, Tōkyō-wan, con i porti di Tōkyō e Yokohama; Ise-wan, che ospita Nagoya; Ōsaka-wan, sede del complesso portuale di Ōsaka-Kōbe; e, nel Kyūshū, Kagoshima-wan e Ariake-kai. Elemento particolare del contorno costiero giapponese è lo spazio marittimo (Seto naikai o Mare Interno) che separa il Shikoku dal Honshū sudoccidentale, un mare tutto cosparso di isole e isolette derivate dall'emersione dei rilievi compresi tra le dorsali montuose che dominano le due isole; la frammentazione insulare segue qui quella della costa, talora rotta da insenature a rías. Poche sono sul lato del Pacifico le coste basse: corrispondono ai tratti delle pianure più estese (specie nel Hokkaidō, oltre a quella del Kantō) e alle falcature o alle espansioni deltizie agli sbocchi dei fondi vallivi.

Territorio: idrografia

In rapporto alla conformazione delle isole e all'orografia molto frammentata, la rete idrografica del Giappone manca di bacini estesi. I fiumi principali si sviluppano nel Honshū; tributano al Pacifico il Tone, che drena la sezione centrale dell'isola estendendo il suo bacino sulla piana del Kantō, e il Kitakami, mentre scende al Mar del Giappone lo Shinano. Diversamente da questi e da pochi altri che sviluppano i loro bacini in valli longitudinali, come l'Ishitaki e il Teshio, nel Hokkaidō, il resto dei fiumi giapponesi ha corsi più o meno diretti tra lo spartiacque e la costa, verso la quale mantiene una direzione normale. Si capisce come il loro ruolo, nella geografia del Giappone, sia piuttosto modesto. I loro corsi, giovanili nelle zone montagnose interne, presso la costa si distendono nelle piane alluvionali, diventando elementi di attrazione demografica. Nessuna importanza essi hanno ai fini della navigazione in un Paese come il Giappone tutto riversato sulle coste; d'altra parte hanno più o meno tutti corsi immaturi. Il loro regime è invece, nel complesso, piuttosto regolare. L'alimentazione è fornita massimamente dalle precipitazioni che, pur presentando dei massimi in periodi diversi passando da una regione all'altra, non mancano in quasi nessun mese dell'anno. In generale però piove soprattutto d'estate e d'autunno nella sezione sudoccidentale dell'arcipelago, mentre in quella nordorientale le abbondanti precipitazioni nevose invernali determinano piene primaverili. Se i fiumi giapponesi sono di scarso rilievo come assi di attrazione umana, hanno però un ruolo fondamentale come fonti idriche per l'irrigazione. Gran parte delle risaie irrigue (ca. il 68%) sfrutta le acque fluviali, specie nelle pianure costiere, che rappresentano le principali zone agricole del Paese. Ricche e numerose sono in tutto il Giappone le sorgenti, tra cui abbondano quelle termali e termo-minerali, legate alla natura vulcanica delle isole.

Territorio: clima

Per il suo notevole sviluppo latitudinale e per la varietà degli influssi, il Giappone presenta un clima molto vario da parte a parte, nonostante la sua marittimità. Anche mutamenti stagionali del clima sono sensibili e a un'estate di tipo tropicale o subtropicale che investe quasi per intero le isole succede un inverno freddo e piovoso che si fa sentire anche nella parte sudorientale, la più tropicale dell'arcipelago. Il meccanismo degli influssi è piuttosto complesso, essendo collegato ai movimenti delle seguenti masse d'aria: le masse d'aria marittima polare (detta del Mare di Ohotsk), le masse d'aria continentale siberiana e, sul lato opposto, le masse d'aria marittima tropicale (masse di Bonin), le masse equatoriali e quelle tropicali continentali (dello Yangtze Kiang). L'inverno è massimamente soggetto, in tutta la sezione settentrionale, alle masse d'aria d'origine siberiana, che portano freddi venti di NW. Sopra il Mare del Giappone questi venti assorbono molta umidità che scaricano sui rilievi occidentali del Honshū, dove si hanno rilevanti precipitazioni invernali, spesso a carattere nevoso. Agli influssi dell'anticiclone siberiano succede, nella tarda primavera, lo stanziamento dell'anticiclone marittimo polare, cioè delle masse d'aria del Mare di Ohotsk, umide e fredde; scontrandosi con le masse d'aria di Bonin, tropicali marittime, esse formano un fronte depressionario, detto di Bai u, responsabile delle abbondanti precipitazioni estive che si scaricano soprattutto sul Giappone sudoccidentale. In genere l'estate giapponese è umida e nuvolosa, anche se non ovunque necessariamente molto piovosa; la stagione si conclude in settembre con l'arrivo dei tifoni, che risalgono le coste dell'Asia orientale, determinati dallo scontro di aria umida equatoriale con aria continentale fredda. Essi apportano precipitazioni abbondanti lungo le coste meridionali dell'arcipelago e spesso hanno carattere violento e rovinoso. Autunno e primavera si configurano come le stagioni più calme e dolci del clima giapponese, i cui contrasti sono indicati dalle temperature estive e invernali di alcune località. Nel mese più freddo (gennaio) le temperature più basse si registrano nel Hokkaidō (a Sapporo -4 ºC); a Tōkyō, che è però vicina al mare, sono di 4-5 ºC. A Kagoshima, cioè nel Giappone sudoccidentale, in piena area tropicale, sono di 6 ºC, valore molto basso in rapporto alla latitudine. L'estate registra valori ovunque elevati: nel mese più caldo (agosto) si hanno 26-27 ºC a Kagoshima, 25-26 ºC a Tōkyō e 20-21 ºC a Sapporo. Anche per quanto riguarda le precipitazioni (oltre 1200 mm annui nella maggior parte del Giappone) si hanno contrasti notevoli. Le aree più piovose sono il versante interno del Honshū, dove si hanno oltre 2000 mm annui di precipitazioni (in larga parte a carattere nevoso) e il versante esterno del Kyūshū e del Shikoku, dove pure si registrano oltre 2000 mm di piogge annue. Le precipitazioni diminuiscono verso N lungo la costa del Pacifico. Così a Tōkyō si hanno mediamente 1500 mm annui, che si abbassano ancora nel Hokkaidō (a Sapporo anche meno di 1000 mm). Nel quadro climatico del Giappone un'influenza non trascurabile hanno le correnti marine che lambiscono l'arcipelago: la calda Curoscivo, che ha un'azione umidificatrice e moderatamente temperante nelle zone costiere meridionali, e la fredda Ogascivo, che esercita un influsso soprattutto nel Hokkaidō. All'incontro delle correnti si formano le condizioni adatte alla riproduzione del plancton, ciò che spiega l'eccezionale pescosità di certi tratti di mare giapponesi.

Territorio: geografia umana. Dalle origini alla restaurazione Meiji

L'occupazione umana del Giappone è avvenuta attraverso vicende complesse e non ancora ben chiare. Secondo vari studiosi, le genti giapponesi derivano dalla fusione di gruppi autoctoni Ainu con immigrati cinesi e malesi; secondo altri, da genti paleosiberiane fusesi con gruppi tungusi, coreani e cinesi; alcuni ritengono che l'origine dei giapponesi sia da ricollegarsi alle migrazioni dei più antichi gruppi asiatici del NE dai quali derivarono gli Amerindoidi e i Polinesiani. È certo, comunque, che nel sec. VI si erano caratterizzati due gruppi fondamentali, uno affine al tipo sinico (dolicocefalo ad alta statura) e l'altro al tipo sudmongolico (brachicefalo a bassa statura). Nell'ambito di questi due gruppi gli antropologi giapponesi distinguono molteplici varietà riconducibili a quattro forme principali: quella a statura bassa e forte brachicefalia (ihikawa) localizzata nel NE dell'arcipelago; quella a statura medio-bassa e modica brachicefalia (okayama) localizzata nelle regioni centroccidentali e costiere di Honshū; quella a statura medio-superiore e modica dolicocefalia (chikuzen) localizzata in gran parte di Kyūshū; quella a statura alta e spiccata dolicocefalia (satsuma) localizzata nel Sud di Kyūshū e in Shikoku. I tratti vagamente europoidi deriverebbero dal più antico substrato Ainu. Per quanto riguarda i processi inerenti all'acculturazione del Paese, sono state individuate correnti culturali e di popolamento provenienti non solo dalla Cina (attraverso il “ponte” della Corea) ma anche dall'Insulindia. La cultura neolitica di Jōmon ha posto le prime basi dell'organizzazione umana, che si configurò in forme più precise con la successiva cultura di Yayoi, cui si connette l'ultima grande ondata immigratoria di genti del continente, quelle che hanno definito i caratteri del popolo giapponese. Con la cultura di Yayoi si ebbe anche l'introduzione della risicoltura, così com'è praticata in tutta l'Asia sinica e monsonica. Le principali aree di insediamento furono nel Honshū centromeridionale e nel Kyūshū; ben presto il maggior centro di gravitazione di quell'originaria occupazione divenne il bacino di Nara. Ciò rese possibile, nel sec. VII d. C., quel processo di unificazione che si espresse nel primo dominio imperiale, esteso su gran parte della sezione centromeridionale dell'arcipelago. Con tale organizzazione politico-economica si realizzò quel sistema di occupazione delle terre, fondato sul sistema jori (divisione geometrica del territorio, cui corrisponde una parcellazione regolare a base modulare dei campi e corrispondente distribuzione degli insediamenti) che ha lasciato tracce sino a oggi nel paesaggio nipponico. Con la civiltà di Heian, che dominò il Paese tra il sec. VIII e il XII, si ebbero un'espansione della popolazione giapponese verso nord e la costituzione di una trama territoriale molto ampia, con il suo vertice a Kyōto. Fu un periodo economicamente prospero e la popolazione raggiunse, secondo alcune valutazioni, i 6 milioni di ab.; ma proprio la conquista e la colonizzazione di nuove terre, assegnate a principi e a capi militari, posero le basi di quel feudalesimo che lasciò, fino al sec. XIX, tracce incancellabili nelle strutture territoriali. Tale organizzazione aveva il suo fulcro nelle città dei daimyō (i signori feudali) dominate da un castello intorno al quale erano i quartieri dei samurai, degli artigiani e dei commercianti. Nell'epoca dei Tokugawa, che irrigidì l'organizzazione politico-economica del Paese, il fulcro dell'impero si spostò a Edo, la futura Tōkyō: essa contava nel sec. XVIII ca. un milione di ab. e probabilmente era già a quel tempo la più popolosa città del mondo. Tuttavia il Giappone conobbe, sotto il dominio imperiale, un lungo ristagno demografico, dovuto alle pessime condizioni della vita nelle campagne e al quale contribuì anche la brutale pratica del mabiki, il soffocamento dei neonati, in uso presso i contadini più poveri.

Territorio: geografia umana. Dalla restaurazione Meiji ai giorni nostri

La restaurazione Meiji (1868) portò un soffio di vitalità nuova nel Paese: l'economia, non più soggetta alle restrizioni feudali, ebbe impulsi immediati, che si misurarono non solo nei centri urbani attivati da nuovi interessi commerciali e industriali, ma anche nel mondo rurale. Ebbe inizio in quest'epoca l'effettiva colonizzazione del Hokkaidō fino allora rimasto pochissimo popolato (in maggioranza la popolazione era costituita da Ainu), con non più di 30.000 abitanti. L'immigrazione verso l'isola più settentrionale iniziò in forme massicce verso la fine del sec. XIX, introducendo annualmente sino a 60.000 persone. Notevole fu anche la crescita dell'urbanizzazione, che poi esplose verso la fine del secolo. Al primo censimento, eseguito nel 1872, la popolazione giapponese ammontava a 34,8 milioni di abitanti. Essa aumentò successivamente in modo rapido, per effetto delle migliorate condizioni di vita del Paese. Nel 1920, cioè dopo circa mezzo secolo dal primo censimento, la popolazione risultò accresciuta di oltre la metà, anche se nel frattempo il Giappone aveva perduto un certo numero di abitanti con le emigrazioni verso l'America anglosassone, le Hawaii e l'America Meridionale (però l'emigrazione più massiccia verso l'America Meridionale si verificò più tardi, negli anni Trenta, quando raggiunsero il Brasile ben 900.000 giapponesi). Questa emigrazione fu la conseguenza dell'aumentato tasso d'incremento demografico verificatosi dopo il 1920 per effetto di una sensibile diminuzione della mortalità. Gli sviluppi demografici subirono un repentino arresto durante gli anni del conflitto, in particolare nel 1944-45, sia per la ridotta natalità sia per l'elevata mortalità dovuta alle perdite in guerra e ai bombardamenti nelle grandi città. Queste perdite furono in parte bilanciate, alla fine della guerra, dai rimpatri dei numerosi giapponesi che si erano stabiliti in Manciuria, a Formosa e in altri Paesi dell'Estremo Oriente e, negli anni immediatamente 47successivi, furono accompagnati ancora da notevoli oscillazioni dei tassi di natalità e mortalità. Se con il raggiungimento della piena maturità, il Paese ha assistito alla riduzione dell'incremento demografico naturale, attestatosi da alcuni anni su valori addirittura negativi (-0,088% secondo una stima per il 2007), il livello di popolamento del Paese resta tuttavia elevato: la popolazione, che nel 1950 era di 83,2 milioni, al censimento del 1995 risultò quasi raddoppiata, per arrivare, nel 2008, a circa 127.931.339, con una densità media pari a 343 ab./km². Questo valore nasconde, però, le fortissime differenze dovute all'irregolare distribuzione della popolazione. Dato che molte parti del Paese risultano inospitali e poco adatte agli insediamenti umani, se si considera solo la densità della superficie territoriale realmente utilizzata, il valore della densità media cresce fino a 1500 ab./km2, la più elevata al mondo, eccezion fatta per i micro-Stati. I maggiori insediamenti umani si registrano dunque hanno nella fascia litoranea. Il “riversamento” sulle coste degli uomini e delle attività economiche, valido per tutte le isole e in particolar modo per Honshū, la più densamente popolata (l'isola di Hokkaidō è invece la meno popolata con 72 ab./km2), può essere spiegato considerando il grande sviluppo che nel Paese ha avuto l'urbanizzazione. Tale fenomeno ha provocato una sorta di allineamento di una serie di metropoli lungo la costa orient. dell'isola, con densità che raggiungono in certe prefetture (escluse le aree considerate urbane) quasi i 5500 ab./km2. Alle forti densità del litorale del Pacifico fanno riscontro i valori relativamente più bassi della costa del Mar del Giappone, dove pochi sono invece i grandi centri urbani (medie su 150-200 ab./km²). Le zone più spopolate sono quelle interne montagnose del Honshū e soprattutto del Hokkaidō. La speranza di vita media (78 anni per gli uomini, 85 per le donne) e la percentuale di popolazione anziana sono tra le più alte al mondo. Anche gli stranieri sono presenti sul territorio in numero rilevante (poco più di 1 milione e mezzo), mentre gruppi autoctoni (come gli Ainu dell'isola di Hokkaidō) contano poche migliaia di persone.

Territorio: geografia umana. L’urbanizzazione

L'indice di urbanizzazione del Paese è piuttosto alto: il 66% della popolazione è infatti considerata urbana (2008). Gli insediamenti si caratterizzano per la dimensione verticale delle strutture, a causa della scarsa disponibilità di aree edificabili: ciò ha portato alla costruzione di enormi grattacieli, che si alternano alle piccole case tradizionali, costruiti secondo moderni sistemi antisismici. La Mori Tower, nel complesso urbano di Rappingi Hills inaugurato nel 2003, è un edificio di 54 piani che ospita abitazioni, uffici e vari locali per lo svago e il tempo libero nonché un museo: una sorta di città autonoma racchiusa in un grattacielo. La popolazione rurale vive invece, ancor oggi, nel buraku, il tipico villaggio nipponico, che conserva in molti casi quegli aspetti tradizionali legati a una precisa e, in certa misura, autonoma organizzazione. Il buraku è formato in generale da abitazioni compatte e fa capo al tempio shintoista. Alle epoche di colonizzazione imposta si devono i numerosi villaggi di strada e i villaggi inquadrati entro la maglia delle divisioni jori del terreno. Le città hanno ormai allargato su vasti dintorni il loro influsso diretto, e ciò anche perché le migrazioni pendolari di manodopera dalla campagna alla città investono aree molto estese, fatto reso possibile dal grande sviluppo dei trasporti intorno alle aree urbanizzate. Un altro dato interessante per quantificare la misura dell'urbanesimo giapponese può essere data dalla graduatoria delle città: Tōkyōō, la capitale, è una delle più popolose del mondo (8.535.792 ab; 12.677.917 nell'intero agglomerato urbano, nel 2006); a essa si affiancano gli altri poli urbani che si allineano lungo la costa orientale del Honshū: Kyōto, Ōsaka, Kōbe, Nagoya, Shizuoka, Kawasaki, Yokohama ecc. Questa straordinaria concentrazione è all'origine di una conurbazione che raggruppa circa 75 milioni di persone, in un'area pari solo al 6% della superficie del Paese (inferiore, per fare un paragone, all'estensione territoriale del Belgio) e urbana può essere paragonata per molti aspetti alle megalopoli americane, schierate lungo la costa atlantica per dimensioni, imponenza e funzionalità, in quanto costituita da grandi centri portuali e industriali. Alla megalopoli giapponese, manca, tuttavia, il vasto entroterra di quelle statunitensi, sostituito dall'ampio spazio commerciale extranazionale, mondiale, su cui si basa gran parte delle fortune di questi giganteschi complessi urbani. La fioritura di queste metropoli è avvenuta per motivi diversi. Anzitutto, esse sono situate presso le pianure costiere del Giappone centrale, che nella zona di Nara e di Kyōto ha avuto nei secoli passati i centri originari e motori dell'organizzazione politica, economica e culturale del Paese. Secondariamente esse sono state favorite, nel loro sviluppo economico e commerciale, dalla loro posizione, protetta da baie e coste favorevole all'insediamento di porti. La vicinanza di piane agricole popolose ha infine consentito il facile e immediato assorbimento dell'abbondante popolazione rurale. Nell'ambito del complessivo schieramento urbano si possono individuare delle conurbazioni distinte, tra cui si impongono quella che fa capo al triangolo di Kyōto-Ōsaka-Kōbe, quella di Nagoya-Gifu, quella di Tōkyō-Yokohama. Altre concentrazioni si trovano lungo le coste del Kyūshū; la principale è quella che fa capo a Kitakyūshū-Fukuoka, cui si associa la città di Shimonoseki nella vicina estremità del Honshū sudoccidentale; quelle di Nagasaki e Sasebo, di Kumamoto e di Kagoshima. Relativamente meno sviluppato è l'urbanesimo del Shikoku, dove le città maggiori (Takamatsu, Matsuyama) si allineano sulla costa del Mare Interno. Nel Nord del Honshū (Tōhoku) grossi centri sono gli sbocchi portuali di Sendai, Akita e Aomori, la quale ultima funge da tramite tra Honshū e Hokkaidō. Le città di quest'isola sono tutte recenti ma già sviluppatissime, come Hakodate, dirimpetto ad Aomori, e Sapporo, nella più popolosa pianura dell'isola. Le città giapponesi hanno volti e strutture più o meno eguali. Molte di esse sono sorte come sedi feudali e sono dominate dal castello del daimyō, che è un po' il centro simbolico, al di fuori del quale non esistono nuclei coordinatori del tessuto urbano (paragonabili, per esempio, alla piazza centrale delle città occidentali). La città è formata da una giustapposizione di quartieri con funzioni diverse, che li qualificano: così la Ginza, a Tōkyō, è il grande e vivace quartiere degli affari. Alla funzionalità per quartieri si aggiunge quella generale delle città nell'ambito del Paese. In tale quadro Tōkyō fa parte a sé per il suo ruolo molteplice, la dimensione mondiale dei suoi interessi culturali, commerciali, industriali, finanziari. Il suo porto è tra i più attivi del mondo; esso è integrato da quello della vicina Yokohama, che è sede soprattutto delle grandi industrie di trasformazione (siderurgica, petrolifera, ecc.). Più a S, Nagoya è un centro a funzioni regionali molteplici. Nella conurbazione Kyōto-Ōsaka-Kōbe, un ruolo culturale, universitario e turistico ha Kyōto, la più bella città del Giappone, scrigno delle sue tradizioni, mentre Ōsaka è soprattutto centro finanziario e degli affari; Kōbe è invece grande porto dell'industria pesante. Kitakyūshū e le vicine città sono anch'esse prevalentemente legate all'industria di trasformazione. Funzioni industriali hanno più o meno tutte le metropoli giapponesi, benché in generale quelle che non formano delle conurbazioni abbiano un ruolo di centri regionali con attività molteplici. Compiti più strettamente locali, come capoluogo di prefetture o di zone limitate, hanno infine le altre città e cittadine, tra cui molte sono qualificate per essere essenzialmente centri religiosi (Nikkō) o turistici, termali (Horobetsu), o come porti di pesca.

Territorio: ambiente

Alla divisione dell'arcipelago in diversi domini climatici, uno subtropicale e l'altro temperato, si deve la varietà degli aspetti vegetali del Paese. A tale varietà hanno anche contribuito le oscillazioni climatiche delle epoche passate, cui si deve l'introduzione di specie di domini ancora differenti. La foresta subtropicale è, come quella sinica, caratterizzata da specie sempreverdi rappresentate da bambù, querce, alberi della canfora, ecc. Queste e altre specie formano spesso, nel Sud, una sorta di macchia o di boscaglia rada (genya) derivata dalla degradazione della foresta primaria e nella quale predomina sovente il bambù nano (sasa) in fitta associazione; le specie subtropicali si spingono verso N fin sulla costa del Honshū centrale. La foresta temperata è la più estesa ed è rappresentata da latifoglie (pioppi, querce, frassini, castagni, faggi) e da conifere varie, con prevalenza di pino rosso. Nelle zone elevate e nel Hokkaidō compaiono le conifere d'ambiente boreale (abeti vari) che nelle aree più fredde e a maggiori livelli altitudinali lasciano il posto alle praterie (agli stessi livelli si hanno anche macchie arbustive di pini) e alle tundre d'ambiente nivale. In un Paese popolato come il Giappone l'ammanto vegetale naturale è stato largamente alterato dall'uomo; tuttavia, dati la montuosità delle isole e il prevalere della popolazione lungo le coste, il manto boschivo è tuttora molto esteso, rappresentando ben il 64% dell'intera superficie dell'arcipelago; nelle zone montagnose interne meno accessibili vi sono estese aree boscose intatte. La densità della popolazione ha influito anche sulla fauna giapponese, ma le specie esistenti restano numerose e variamente distribuite sul territorio. Le zone montuose sono abitate da cinghiali, tanuki, volpi, cervi, antilopi ecc. Non mancano le scimmie, in particolare il macaco giapponese che popola anche l'isola di Honshū: è questo l'unico primate, oltre all'uomo, a vivere a latitudini così elevate. Tra i rettili del Paese, è da segnalare l'Aodaisho (o Elaphe climacophora), un caratteristico serpente che vive in quasi tutte le isole dell'arcipelago; tra gli anfibi, si ricorda la salamandra gigante del Giappone, che può raggiungere 1,5 m di lunghezza. L'arcipelago ospita circa 600 specie di uccelli. La confluenza di correnti oceaniche fredde e calde ha inoltre prodotto un mare ricco di vita: le acque sono abitate da balene, delfini, focene, salmoni, tonni e un'ampia varietà di crostacei e molluschi. Il Paese è soggetto a numerosi terremoti (i più disastrosi sono stati quello del 1923, che ha colpito Tōkyō e Yokohama e ha provocato la morte di circa 200.000 persone, e quello del 1995, che ha colpito Kōbe e ha provocato la morte di circa 5000 persone) e maremoti; vi sono inoltre numerosi vulcani attivi. Tale instabilità è propria della zona del Pacifico detta l'“anello di fuoco”, di cui l'arcipelago è una delle aree più attive. Il Giappone soffre dei problemi ambientali tipici dei paesi industrializzati, aggravati dallo sfruttamento intensivo dello spazio. L'inquinamento atmosferico è elevato soprattutto nelle metropoli di Tōkyō, Ōsaka e Yokohama. Le emissioni di anidride solforosa si sono significativamente ridotte grazie alle normative ambientali, ma gli ossidi di azoto, che contribuiscono alle piogge acide, costituiscono ancora un problema. La qualità dell'acqua è costantemente migliorata dagli anni Settanta del Novecento, ma l'acidificazione di laghi e bacini idrici ha minacciato numerosi habitat. L'aumento dei rifiuti domestici negli anni Ottanta è stato fra i più alti al mondo e il Giappone si trova oggi a fronteggiare una grave carenza di luoghi da adibire a discariche. È questo il primo Paese, inoltre, a registrare casi di avvelenamento da metalli pesanti (cadmio e mercurio), che hanno provocato centinaia di morti. L'ubicazione delle numerose centrali nucleari, infine, pone rischi ambientali e di sicurezza in caso di terremoto. In Giappone il rapporto con la natura comprende anche elementi sacrali. Fin dall'introduzione nel Paese del buddhismo, nel VI secolo a. C., si coltiva l'etica della conservazione dell'ambiente, con aree protette e riserve di caccia speciali presenti da diversi secoli. Nel 2007 le aree protette occupano il 9,4% del territorio, ma la percentuale sale al 14% se si considera la superficie tutelata in vari modi: parchi nazionali, aree di protezione dell'ambiente selvatico, aree di conservazione della natura dello Stato, più un'ampia serie di riserve faunistiche e santuari speciali (soltanto le aree di conservazione della natura regionali sono 643). I siti naturalistici del Giappone dichiarati patrimonio dell'umanità dall'UNESCO sono: la foresta di faggi di Shirakami-Sanchi (1993), l'area di Yaku-shima (1993), con la sua ricca flora che comprende oltre 1900 specie e sottospecie, tra cui antichi esemplari di cedro giapponese, e la penisola di Shiretoko (2005) che ospita la più importante popolazione di orsi del Paese.

Economia: generalità

Il prodigioso sviluppo dell'economia giapponese ebbe inizio nel 1868, con l'avvento del Meiji (Governo Illuminato), che, abbattendo il preesistente regime feudale, dava concreta risposta alle sollecitazioni sempre più pressanti di una nuova borghesia, prima mercantile poi imprenditoriale, e nel contempo reale soluzione per l'ormai insostenibile situazione di un Paese sovrappopolato, povero quindi di spazio oltre che di risorse naturali, per il quale appariva indispensabile un rinnovamento economico e sociale. Lo Stato, facendo propri i poteri degli antichi feudatari, poté accumulare rapidamente ingenti capitali, che ben presto investì in imprese di tipo industriale, favorendo così l'affermarsi della nascente classe imprenditoriale; nello stesso tempo, anche se inizialmente contrastate, le aperture commerciali con l'estero allargarono gli orizzonti dell'economia. L'industria divenne così arbitro della situazione interna del Paese; sorsero gli zaibatsu, concentrazioni di industrie dominate da grandi famiglie, che a poco a poco raccolsero nelle loro mani le preesistenti piccole e medie aziende, per lo più di ex commercianti, in ciò favorite dalla politica governativa, volta appunto ad accelerare lo sviluppo del Paese mediante il sostegno a pochi grandi complessi a carattere monopolistico. Questa fase di iniziale espansione si avvantaggiò inoltre di un forte protezionismo doganale, necessario per difendere dalla concorrenza straniera i prodotti nazionali, ancora tecnicamente poco avanzati, mentre si diffondeva una spregiudicata propensione a imitare le produzioni già sicuramente affermatesi all'estero. Il rapido sviluppo industriale determinò inevitabilmente il progressivo decadimento dell'economia agricola, nonostante l'avvenuta riforma fondiaria che, con l'abolizione dei latifondi feudali, aveva assegnato la terra ai contadini; ma ne erano seguiti l'estrema frammentazione dei fondi e, quindi, redditi agrari del tutto insufficienti. Si ebbe l'esodo dalle campagne di masse di contadini tradizionalmente ligi al dovere, di abitudini frugalissime e per i quali lo zaibatsu continuava, di fatto, a incarnare il potere feudale; e proprio questa sovrabbondanza di manodopera a costi estremamente bassi fu uno dei fattori determinanti della rapida industrializzazione del Giappone, che per gli approvvigionamenti di materie prime fu spinto a perseguire una politica militare ed espansionistica, conclusasi con l'occupazione della Manciuria e della Corea. Superata senza gravi conseguenze la crisi degli anni Trenta, in virtù di una politica, dapprima, di restrizione monetaria e di austerità e, poi, di liberalizzazione e di investimenti pubblici, il Giappone vedeva rafforzarsi le industrie di base (metalmeccaniche, chimiche, elettriche) e crescere il proprio peso commerciale (4% delle esportazioni mondiali), trovando nell'Asia orientale e nell'area del Pacifico importanti fattori di sviluppo, dalle materie prime alla manodopera e a nuovi sbocchi di mercato. Nonostante l'esito catastrofico del secondo conflitto mondiale, il Paese, grazie a una straordinaria capacità di ripresa, superiore a quella pur formidabile della stessa Germania, si è posto, nel prosieguo del sec. XX, come la maggiore potenza economica del pianeta dopo gli Stati Uniti, e anzi, dagli anni Ottanta, la prima in assoluto sotto il profilo finanziario. Inizialmente, la ricostruzione postbellica fu decisamente favorita dagli stessi Stati Uniti, che videro nel Giappone una barriera all'espansione politica della Cina comunista e pertanto, oltre a fornire cospicui aiuti finanziari, contribuirono a reinserirlo nel novero dei Paesi capitalisti. Emersero ben presto, però, i fattori endogeni della ripresa, prima fra tutti l'organizzazione di nuove e agguerrite holdings (le keiretsu-ka, che sostituivano gli zaibatsu, aboliti con una legge antimonopolistica), imperniate su grandi banche e pertanto dotate di capacità imprenditoriali idonee alla gestione di grandi mezzi finanziari. La disponibilità di questi ultimi, derivante dalla spiccata propensione al risparmio, si associava alla forte domanda del mercato interno, grazie a una continua e sensibile crescita dei salari reali, che moltiplicava di ben 4,5 volte il potere di acquisto nel periodo 1955-70. Inoltre, lo Stato esercitava un'accorta politica di incentivi e sosteneva un'eccellente organizzazione commerciale, coordinata dal Ministero del Commercio Internazionale e dell'Industria (MITI), il quale, agendo come tramite fra potere politico ed economico, finiva per orientare le strategie produttive di fondo. Pur rimanendo fedele ai principi dell'economia liberista, dunque, il governo giapponese veniva assumendo un ruolo sempre più rilevante nella programmazione economica, che, pur dichiaratamente orientativa, si dimostrava, alla prova dei fatti, vincolante e foriera di ottimi successi. Dalla metà degli anni Cinquanta si succedevano una serie di veri e propri boom economici, con tassi di crescita del PIL addirittura superiori al 10% annuo (il doppio degli altri grandi Paesi industriali), intervallati da brevi fasi recessive; la produzione industriale aumentava del 15% nei soli anni Sessanta, con una spiccata diversificazione settoriale, alla base della quale stava comunque il peso dei grandi complessi siderurgici e petrolchimici, localizzati nelle aree portuali per far fronte ai costi di trasporto delle materie prime, pressoché totalmente di importazione. Il primo “shock” petrolifero, nel 1973-74, determinava pertanto un notevole contraccolpo per un Paese il cui fabbisogno di greggio era cresciuto di ben 30 volte in meno di un ventennio. Si rendeva necessario, pertanto, riconvertire i settori a più elevato consumo energetico e, nello stesso tempo, orientare la ricerca di base e applicata sulle fonti alternative, fra cui, in primo piano, quella nucleare; inoltre, trasferire progressivamente gli impianti produttivi, dapprima nei Paesi asiatici vicini (Corea del Sud, Taiwan, Singapore, Thailandia, ecc.), dove la manodopera aveva un costo di gran lunga inferiore, poi direttamente sui mercati di esportazione americani ed europei. L'internazionalizzazione dell'economia giapponese, in tal modo, si faceva sempre più marcata durante gli anni Ottanta, nonostante il perdurare di atteggiamenti più o meno larvatamente protezionistici, cui si contrapponeva il tentativo di frenare l'invasione dei prodotti nipponici da parte degli Stati Uniti e della Comunità Europea. Disponendo di una elevatissima capacità di risparmio delle famiglie e delle imprese (enorme quantità di capitali), gli straordinari successi lasciavano tuttavia aperti rilevanti problemi di ordine sociale che solo in un Paese in cui, per molteplici fattori storici e culturali, erano tanto marcati lo spirito nazionale, l'autodisciplina, il senso di rispetto all'autorità (con ciò anche intendendo la fedeltà alla “famiglia aziendale” come riflesso dell'atavico attaccamento alla famiglia patriarcale) si sono potuti così a lungo trascurare. Innanzi tutto si pone il tipico carattere “dualista” dell'economia, specie dell'industria, nella quale, accanto ai grandi e moderni complessi dove i lavoratori godono di una situazione assolutamente privilegiata e per vari aspetti invidiabile anche nei Paesi occidentali più avanzati, esiste un tessuto di piccole e medie industrie più fragili e più arretrate, che svolgono ruoli complementari a quelli dei colossi industriali e in cui i salari sono molto bassi e pressoché totale è la possibilità di licenziamento o l'obbligo alla mobilità del lavoro, in quanto assolvono a funzioni di “cuscinetto” nei periodi di crisi. Inoltre, il destinare i capitali quasi esclusivamente ai settori produttivi e finanziari ha di necessità determinato enormi carenze negli investimenti sociali, mentre il costante ricorso a criteri di immediata redditività e di intensissimo sfruttamento delle aree più economicamente utili ha causato non meno profondi squilibri sotto il profilo insediativo e ambientale: in particolare, nella megalopoli di Tōkyō risiede ormai quasi un quarto della popolazione totale, in condizioni di abitabilità sempre meno accettabili. Negli anni Novanta, molti elementi intervenivano a turbare gli equilibri che si erano andati delineando: innanzi tutto, la concorrenza ormai apertamente esercitata dai primi fra i NIC (Corea del Sud, Taiwan, Hong Kong, Singapore), che avevano fortemente migliorato la qualità tecnologica dei loro prodotti mantenendone la competitività, e l'esplosione dell'economia cinese, con tassi di crescita del PIL dieci volte superiori a quelli del Giappone, frattanto molto ridimensionati. Iniziata con la fuoriuscita di flussi di manodopera, spesso clandestini, che contribuivano a turbare il mercato del lavoro giapponese, l'influenza del grande vicino si era fatta più preoccupante con l'apertura delle “zone economiche speciali”, lo sviluppo dei trasporti marittimi e la messa in campo di una quantità crescente di risorse, la cui disponibilità risulta davvero schiacciante. La crisi economica presentava già sintomi congiunturali preoccupanti: nel 1993, quando la ripresa si manifestava negli Stati Uniti e nei maggiori Paesi europei, il tasso di crescita del prodotto lordo giapponese risultava addirittura negativo (-0,5%, a fronte di una media di +4,4% nel periodo 1985-92). Il valore tornava positivo nel 1995 (+0,9%), risultando, tuttavia, di gran lunga il più basso dell'area asiatica orientale e meridionale. Nello stesso anno, la rivalutazione dello yen (+20% nei confronti del dollaro) e la forzata apertura del mercato interno, sotto la pressione statunitense, determinavano un'improvvisa e forte riduzione dell'attivo commerciale. Le piccole e medie imprese, i cui prodotti avevano cessato di essere più competitivi, subivano un contraccolpo tale da determinarne in molti casi la chiusura; il tasso di disoccupazione – fenomeno pressoché sconosciuto nel Paese fino a un recente passato – saliva al 4,7% (1999), tendendo alla soglia del 5%. Per singolare contraddizione, i prezzi al consumo diminuivano, ma calava anche la domanda interna, che si rivolgeva comunque, massicciamente, ai prodotti esteri, più vantaggiosi, venduti nei nuovi supermercati e discount delle periferie metropolitane. In più, paradossalmente, la formidabile ricchezza finanziaria del Paese si traduceva in un fattore di debolezza nel momento in cui la classe politica e manageriale giapponese si rivelava incapace di gestirla, determinando, con ciò, una caduta di fiducia, sia interna sia internazionale, alla base della pesante crisi che attanagliava il Paese sul finire del sec. XX. L'apparato produttivo entrava in recessione, con le inevitabili ripercussioni sul mercato mobiliare: l'indice Nikkei della borsa di Tōkyō, che aveva quotato fino a 35.000 punti nel 1990, precipitava al di sotto dei 15.000 punti nel 1997. Il nuovo rallentamento dell'economia metteva in luce come il Giappone fosse rimasto intrappolato in una morsa deflazionistica: la politica monetaria non era riuscita a stimolare la crescita degli investimenti privati, mentre la politica fiscale e i programmi di spesa in opere pubbliche incontravano un limite all'espansione del disavanzo di bilancio e del debito pubblico (prossimo, nel 1997, al 100% del PNL). La progressiva svalutazione dello yen favoriva, se non altro, le esportazioni, facendo crescere il saldo della bilancia commerciale: questo, tuttavia, cominciava ad alimentarsi soprattutto della diminuzione delle importazioni, danneggiando i maggiori partnermondiali del Giappone e inducendoli a sollecitare riforme strutturali mirate ad aprire il mercato giapponese e a rilanciarne i consumi, certamente a discapito della piena occupazione e delle garanzie sociali. Sono stati messi in discussione, pertanto, i fondamenti stessi del “modello giapponese”, protezionista e fortemente controllato dallo Stato, che si traducevano nel mito dell'impiego a vita, della fedeltà all'azienda, del “lavoro uguale missione”. Si può inoltre riscontrare una stretta correlazione tra le ristrutturazioni aziendali (con migliaia di posti di lavoro a rischio) e fenomeni come l'aumento del numero dei divorzi o il crollo del vecchio modello familiare. Dopo la recessione del 1997-98, la più grave del dopoguerra, nel primo semestre del 1999 l'economia giapponese registrava alcuni segnali di ripresa: il PNL tornava a crescere (+0,9 su base annua), la borsa risaliva e aumentavano gli investimenti di capitale e di consumi privati. Ma nei primi mesi del 2001 una nuova grave crisi faceva toccare alla borsa i limiti più bassi degli anni Ottanta. Inoltre, tra il 2000 e il 2001 l'azzeramento dei tassi di interesse provocava il fallimento di tre delle prime dieci società di assicurazione sulla vita giapponesi, impossibilitate a pagare i rimborsi promessi, e il rallentamento dell'economia degli Stati Uniti, primo partner commerciale del Paese, incideva negativamente sull'export. Il debito pubblico aumentava fino a diventare il maggiore tra tutti i Paesi industrializzati (intorno al 130% del PIL). I giapponesi hanno perso fiducia nella loro classe politica, sclerotizzata e corrotta al punto da essersi resa complice di alcuni scandali immobiliari e finanziari, che hanno scosso il Paese a cavallo fra i due millenni. Malgrado questa crisi , dopo il 2002 la crescita del PIL è ripresa (l'incremento nel 2006 è stato del 2,2%) e l'economia giapponese appare uscita dal trend negativo; in particolare i tassi relativi ai prezzi al consumo indicano la fine della spirale deflattiva e una ripresa della fiducia dei consumatori. Rimane l'obiettivo della riduzione del deficit di bilancio (sceso nel 2007 al 3,8% dopo aver toccato l'8% nel 2002 e 2003) e della riduzione del rapporto tra debito e PIL, pari al 180%, il più alto tra i Paesi dell'OCSE. La disoccupazione, dopo aver fatto segnare un picco nel 2002 (5,4%), permane su livelli piuttosto altri (4% nel 2007). Il Giappone resta comunque un Paese ricco, terza potenza economica mondiale (a parità di potere d'acquisto), dopo gli Stati Uniti e la Cina: nel 2008 il PIL è stato pari a 4.923.761 ml $ USA. Nello stesso anno il reddito pro capite era mediamente pari a oltre 38.559 $ USA (secondo, in Asia, al solo Qatar). Inoltre, secondo l'indice di sviluppo umano, il Giappone si colloca al 7° posto nella classifica mondiale. Il Paese è molto avanzato nella cosiddetta e-economy, vale a dire nell'uso dei portali per l'accesso a Internet (oltre 86 milioni di utenti nel 2005), e di conseguenza sono molto diffusi l'e-commerce e le operazioni bancarie on line (i pagamenti elettronici sono ormai più numerosi di quelli effettuati nelle banche).

Economia: agricoltura, allevamento e pesca

Contrariamente agli altri settori economici e nonostante gli sforzi governativi per introdurre sistemi moderni, l'agricoltura , che interessa appena il 13% della superficie nazionale, non ha certo conseguito sensibili progressi né ha compiuto trasformazioni di rilievo nelle tecniche produttive. Essa occupa meno del 5% della popolazione attiva, percentuale in continua e forte diminuzione (ancora nel 1960 era del 33%) dato l'ingentissimo esodo dalle campagne e la grande attrazione esercitata dagli altri settori, e anche la sua incidenza sul PIL è in calo: pari al 6% nel 1973 è scesa sino all'1,5% circa. In seguito alla riforma fondiaria, realizzata negli anni 1947-49 e che ha portato all'abolizione dei preesistenti latifondi, l'attività agricola è svolta essenzialmente da piccoli proprietari terrieri. Data la generale limitatezza dei redditi agricoli e grazie alla meccanizzazione, molti contadini lavorano anche in vicine aziende manifatturiere o comunque dedicano parte del loro tempo ad altre attività produttive; la polverizzazione fondiaria (le proprietà terriere sono in media inferiori a 1 ha: in particolare nelle aree meridionali moltissime sono addirittura inferiori a 0,5 ha, mentre raggiungono dimensioni maggiori in Hokkaidō, dove in buona parte i fondi superano i 5 ha) non consente di realizzare grandi progressi tecnici, benché sia sensibilmente cresciuto l'impiego tanto di macchine agricole quanto di fertilizzanti. Nonostante, quindi, una certa modernizzazione, sostenuta anche dalla tradizionale attività del movimento cooperativo, l'agricoltura è fondamentalmente rimasta con i suoi tipici caratteri asiatici, il che significa netta prevalenza della risicoltura intensiva su gran parte dell'arcipelago (in pratica fino al 37º parallelo); essa però rende possibili due raccolti all'anno. Il riso, esteso su quasi 1,7 milioni di ettari, occupa più di metà dell'arativo e riesce a coprire il fabbisogno interno (molto elevato l'impiego del riso anche per la fabbricazione del sake, il liquore nazionale del Giappone). Dopo varie sperimentazioni, i tecnici giapponesi sono riusciti a creare una varietà di riso che si adatta anche all'ambiente freddo dell'isola di Hokkaidō; la maggior parte della produzione proviene però dalle aree irrigue di Shikoku, Kyūshū e del Honshū centro-meridionale. Un certo sviluppo aveva assunto la coltivazione del frumento, praticata soprattutto in Hokkaidō ma anche nelle altre isole come coltura invernale, che segue quella estiva del riso; la produzione non copre la richiesta interna. Abbastanza diffuso è anche l'orzo, esso pure seminato dopo la raccolta del riso; molto meno rilevanti sono le produzioni degli altri cereali, come mais, avena e miglio, mentre ben rappresentate sono le patate e le patate dolci. Tuttavia i consumi alimentari della popolazione (nel loro complesso coperti non dalle produzioni nazionali) sono in via di graduale trasformazione, soprattutto per le mutate richieste di chi abita nelle città: così, mentre nel complesso è diminuito il consumo pro capite del riso, particolare importanza ha assunto la coltivazione di ortaggi, come pomodori, cipolle, cavoli, ecc., sia nelle immediate vicinanze dei grandi centri urbani sia in aree lontane ma particolarmente favorite dal clima, come le pianure costiere dell'oceano Pacifico, influenzate dalla Corrente di Curoscivo. Anche la frutticoltura ha registrato un notevole incremento per l'accresciuta richiesta nazionale e per il rifornimento all'industria conserviera, largamente al servizio dell'esportazione; si producono annualmente buoni quantitativi di agrumi (che collocano stabilmente il Giappone tra i primi 20 produttori mondiali), di mele, pere, pesche, uva, prugne, ecc. Tra le colture industriali è largamente diffusa quella del tè (100.000 t prodotte nel 2005), coltivato sui pendii montuosi del Giappone centrale e meridionale e in gran parte esportato. Tra le colture oleaginose prevale la soia; tra quelle tessili, tutte piuttosto modeste, il lino e la canapa. La seta non è più prestigiosa quanto un tempo, dato l'affermarsi delle fibre tessili artificiali e conseguentemente la tradizionale gelsicoltura è molto ridotta; discreta è la produzione del tabacco che, con il luppolo, la canna e la barbabietola da zucchero, completa il quadro delle principali colture industriali. Assai esteso è il patrimonio forestale, specie per un Paese di così antico e fitto popolamento; ben il 64% della superficie territoriale è ricoperto da foreste, con prevalenza di conifere o latifoglie a seconda delle varietà climatiche; le maggiori distese di conifere (come quelle di cedri giapponesi o sugi, di cipressi giapponesi o hinoki, di abeti, ecc.) sono strettamente controllate da un apposito organismo governativo allo scopo di non depauperare eccessivamente le risorse nazionali. La produzione annua di legname, largamente utilizzato come materiale da costruzione e per pasta da carta, non è sufficiente al fabbisogno nazionale; si ricorre quindi in larga misura a legname d'importazione. § Come nella maggior parte dei Paesi dell'Estremo Oriente, anche in Giappone il ruolo dell'allevamento è molto limitato; d'altronde estremamente esigue sono le aree a prato e a pascolo permanente, pari ad appena l'1,7% del territorio nazionale. Tuttavia, in relazione alle già menzionate trasformazioni indotte dalle richieste urbane nel settore dell'alimentazione, e in modo specifico per la sempre crescente domanda di carni e latticini, il Giappone dispone oggi, soprattutto per bovini, di complessi zootecnici moderni e assai razionali; dipende invece per lo più dai piccoli agricoltori il tradizionale allevamento di suini e quello importantissimo dei volatili da cortile. § Settore fondamentale dell'economia giapponese, la pesca dà lavoro a un gran numero di addetti, ma in anni recenti, il Giappone ha visto calare la quantità di pescato, e ha perso il primato mondiale, superato dalla Cina, Perù e India. Si colloca invece al primo posto nel mondo per l''allevamento dei pesci in vivaio (acquacoltura). La pesca è organizzata in modo assai moderno, con tecniche d'avanguardia e sperimentazioni attraverso le quali si cerca di valorizzare tutte le possibili risorse del mare, che per il Giappone, Paese insulare, è ovviamente uno spazio vitale. Viene praticata sia da numerosissime imprese di piccole dimensioni, che la esercitano però lungo le coste (gamberi, sgombri, molluschi, ecc.), sia da imponenti complessi industriali, cui si deve oltre il 70% dell'intero pescato. Questi complessi sono attrezzatissimi, con potenti flottiglie di battelli che solcano non solo i mari giapponesi, ma spaziano nel Pacifico, specie nella sezione settentrionale (dove peraltro le delimitazioni delle aree di pesca, basate su accordi internazionali, hanno posto un certo freno alle “invasioni” dei pescatori giapponesi), e si spingono anche nell'Atlantico e nel Mar Glaciale Antartico. Nei mari giapponesi le zone di pesca migliori sono quelle dove si incontrano la Curoscivo e la Ogascivo, ricche insieme di fauna ittica di acque tropicali e di acque fredde; qui si catturano salmoni, merluzzi, aringhe, ecc., mentre nelle altre aree predomina il tonno. I porti di pesca attrezzati sono numerosi lungo le coste di Hokkaidō, Honshū e Kyūshū (dove, tra i tanti, sono rispettivamente situati quelli di Wakkanai, Hachinohe, Miyako e Fukuoka) e ad essi sono annesse grosse industrie conserviere. Molto redditizia è stata anche la caccia alla balena, per la quale il Giappone disponeva di una flotta ben attrezzata. Tale pratica, tuttavia, formalmente è stata sospesa già dal 1988 a seguito di un accordo internazionale che ammette la caccia alle balene solo per scopi scientifici e che tende a tutelare la specie, non si può dire cessata anche se il Paese è accusato di non rispettare il trattato: i pescherecci giapponesi, infatti, continuano a praticarla diffusamente (nel 2003 sono stati uccisi 820 esemplari). Alla pesca si aggiungono altre attività di sfruttamento del mare, tra cui la raccolta delle perle naturali e la coltivazione delle ostriche perlifere (vivai a Toba), per la quale i giapponesi vantano la priorità mondiale. Rilevanza ha assunto anche la raccolta delle alghe, usate per alimentazione. Circa l'importanza della pesca per il Giappone può essere indicativo il fatto che oltre il 50% delle proteine animali di cui si alimenta la popolazione è rappresentato dai prodotti del mare.

Economia: industria

Il settore industriale ha rappresentato, fin dal periodo Meiji, il fondamento dell'economia giapponese, e ancora oggi, nonostante il ruolo progressivamente assunto dal terziario, partecipa per il 30% circa alla formazione del prodotto interno lordo, occupando il 28% della popolazione attiva, una percentuale rimasta pressoché invariata dagli anni Sessanta del Novecento. La produzione industriale giapponese supera il 10% del totale mondiale. I maggiori distretti industriali del Paese sono quelli della pianura del Kantō, comprendente la conurbazione Tōkyō Yokohama, che produce il 20% della produzione industriale nazionale, seguita da quello di Kinki (nella conurbazione Kōbe-Ōsaka). Accanto al tradizionale ramo tessile, notevolmente modernizzatosi a partire dal 1890, il fulcro dello sviluppo industriale fu rappresentato, all'origine, dai rami di base (metalmeccanico, chimico, cementiero), che favorirono il grande processo di infrastrutturazione del Paese e ne sostennero la potenza militare. Anche nel secondo dopoguerra, come si è detto, furono la siderurgia e la petrolchimica a guidare la ripresa e lo sviluppo, portando il Giappone ai primissimi posti delle relative graduatorie mondiali e rifornendo il settore propriamente manifatturiero di semilavorati e beni di investimento. Caratterizzata da un marcato dualismo strutturale e dimensionale, l'industria giapponese ha dato luogo a poderose concentrazioni di grandi impianti nelle maggiori aree urbane costiere, mentre le piccole e medie imprese si sono distribuite più ampiamente sul territorio, pur restando fortemente legate alle maggiori. Dagli anni Settanta, in seguito alle prime crisi petrolifere, l'industria di base ha subito – come in tutti i Paesi avanzati – un netto ridimensionamento e i grandi gruppi imprenditoriali hanno adottato strategie di decentramento produttivo che hanno portato a localizzare gli impianti là dove i fattori di produzione (materie prime, costo del lavoro) risultavano più favorevoli oppure direttamente sui mercati. Ciò ha evidenziato un ulteriore carattere evolutivo dell'industria giapponese, che, all'inizio fortemente imitativa delle tecnologie americane ed europee, si è decisamente trasformata in senso innovativo, esportando i segmenti più “maturi” e conservando i rami high tech, sostenuti da significativi investimenti nella ricerca. Così, soprattutto tra la fine degli anni Settanta e l''inizio degli anni Ottanta è stato sostenuto lo sviluppo dell''industria elettronica, microelettronica, informatica, aerospaziale, delle telecomunicazioni e della bioingegneria, favorendone anche la diffusione su tutto il territorio nazionale. Nonostante la riduzione delle quantità prodotte, in linea con i processi di riconversione sopra richiamati, il Giappone resta ai primi posti della produzione mondiale – dopo l'emergente Repubblica Popolare Cinese – sia di acciaio sia di ghisa e ferroleghe. La distribuzione dei complessi siderurgici è piuttosto vasta; comunque le aree privilegiate restano quelle costiere collegate ai grandi centri marittimi d'importazione di materie prime, in particolare la zona di Tōkyō-Yokohama, di Ōsaka-Kōbe e di Hiroshima. Quanto alle lavorazioni metallurgiche, di notevole rilievo sono quella dell'alluminio, che poggia interamente su bauxite d'importazione, e del rame, con grande centro di produzione a Onahama; elevate sono anche le produzioni di zinco, piombo, magnesio, ecc. Potentissimo è il settore cantieristico, legato alle necessità vitali del Giappone, nettamente al primo posto in questo campo per tonnellaggio delle navi varate, largamente rappresentate da navi da trasporto e da petroliere giganti; i cantieri maggiori, direttamente connessi all'industria siderurgica, sono quelli di Kōbe, Nagasaki, Yokohama, Aioi, Ōsaka, Hiroshima, ecc. Si è affermata a livello mondiale l'industria automobilistica e delle motociclette, rappresentata da fabbriche che riescono a esportare in tutto il mondo. La dislocazione dell'industria automobilistica è legata ai grandi centri industriali della costa di Honshū (Tōkyō-Yokohama, Nagoya, Fujisawa, Ōsaka, Ikeda, ecc.), ma le grandi case (Mitsubishi, Honda, Toyota, Nissan) hanno installato numerosi impianti di produzione e montaggio negli altri Paesi dell'Asia orientale, in America Latina, negli USA e in Europa. Fiorente è anche l'industria del ciclo e del motociclo, che ha conquistato numerosi mercati. L'industria di precisione è forse la più peculiare del Giappone ed è il risultato di una oculatissima scelta economica, dato che i prodotti sono molto elaborati o poco ingombranti, mentre la fabbricazione richiede numerosa e qualificata manodopera. Strumenti ottici giapponesi, tra cui soprattutto macchine fotografiche e cinematografiche, binocoli, microscopi, proiettori, strumenti geodetici, ecc. sono diffusi in tutto il mondo insieme con i prodotti dell'industria radiotecnica (apparecchi radio e televisori) e con gli orologi, con una colossale avanzata sui mercati internazionali, cui si contrappone il calo della presenza svizzera. Affermatissimi e diffusissimi sono altresì i calcolatori e in genere i prodotti dell'industria elettronica e informatica; in particolare la regione di Keihin, comprendente l'area metropolitana di Tōkyō, costituisce l'area industriale specializzata nell'alta tecnologia più importante al mondo, dove sono nate aziende leader nel settore dei computer e dei semiconduttori, quali Toshiba, Fujitsu, Nec, Sony e Hitachi. Non meno poderosa è l'industria chimica, che dispone di numerosi impianti, pure in larga misura dislocati presso i centri portuali; tra le principali produzioni del settore si annoverano quella dell'acido solforico, della soda caustica, dei fertilizzanti azotati, delle materie plastiche e resine artificiali, quindi di coloranti, prodotti farmaceutici, ecc. Anche l'industria della gomma è ottimamente rappresentata: il Giappone produce buoni quantitativi di caucciù sintetico (principali impianti a Kōbe, Tōkyō e Ōsaka) in gran parte impiegato per pneumatici e per le calzature. Un altro settore dell'industria di base in enorme sviluppo è quello cementiero. In espansione è altresì l'industria della carta, anche se oggi si approvvigiona soprattutto all'estero; poderosa è la cartiera di Tomakomai, nell'isola di Hokkaidō. Il Giappone è tuttora tra i massimi fornitori mondiali di fibre e di tessuti, benché rispetto ad altri e più dinamici settori produttivi l'industria tessile abbia visto diminuire la propria importanza; comunque la tendenza in atto è quella di installare in altri Paesi, dove la manodopera lavora a costi bassissimi (Hong Kong, Taiwan, ecc.), nuovi stabilimenti controllati da capitale giapponese. Il settore tradizionale è ancora quello del setificio, ma assai più rilevante è il campo delle fibre tessili artificiali e sintetiche; relativamente limitato è il lanificio, mentre sviluppatissimo è il cotonificio, con centro principale a Ōsaka. Sono molto attive la fabbricazione delle ceramiche (celebri quelle di Seto presso Nagoya) e l'industria vetraria, che trova nel Paese gran parte della materia prima occorrente. Notevole, infine, lo sviluppo del ramo agroalimentare, che comprende zuccherifici e conservifici di pesce, carne (insaccati), frutta e verdura, cui si sono aggiunte importanti industrie lattiere. Nel settore delle bevande alcoliche elevata è naturalmente la produzione di sake, ma enormemente sviluppato è il birrificio; fiorente infine è la manifattura del tabacco, che produce quantitativi elevatissimi di sigarette, sigari, tabacco, ecc.

Economia: risorse minerarie

Come si è detto, le risorse minerarie del Giappone sono limitate e comunque largamente insufficienti rispetto alle richieste del suo potente apparato industriale . Gli unici minerali metallici di cui esistono buoni giacimenti sono quelli di zinco; di minor rilievo sono rame, piombo, oro, argento, stagno, cromo, manganese, tungsteno, mercurio, ecc. Inconsistenti sono le risorse di minerali ferrosi, che debbono essere importati in quantità notevolissima da varie parti del mondo. Tra i minerali non metallici, buoni sono i giacimenti di zolfo. Per quanto riguarda le risorse energetiche, il Giappone dispone quasi unicamente di carbone, non però di eccelsa qualità e neppure di facile estraibilità. I maggiori giacimenti si trovano in Kyūshū e Hokkaidō e il loro sfruttamento (1,3 milioni di t nel 2006) è stato assicurato solo per l'intervento del governo. Il petrolio è presente in quantitativi del tutto irrisori rispetto all'enormità dei consumi nazionali: i giacimenti lungo le coste nordoccidentali di Honshū danno ca. 299.000 t annue; nella stessa zona si ricava anche gas naturale. Per garantirsi l'approvvigionamento delle materie prime di cui necessita, il Giappone ha attuato con successo una politica economica di forti investimenti proprio nei Paesi produttori di materie prime; in particolare per il petrolio, che da solo concorre per oltre un terzo al valore complessivo delle importazioni, la dipendenza dall'estero è pressoché totale. Ovviamente il rifornimento è di fondamentale importanza per un Paese eminentemente industriale come il Giappone. La principale fonte d'energia è costituita dalle centrali termiche che operano con petrolio d'importazione e sono dislocate lungo le coste, dove sorgono le grandi raffinerie che alimentano i consumi delle aree industrializzate e urbanizzate (Yokohama, Tokuyama, Kudamatsu, ecc.). Un notevole contributo (30%) proveniva da oltre 50 centrali nucleari, potenziate , dopo la crisi petrolifera degli anni Settanta, al fine di ridurre la dipendenza dall'estero. Due gravi incidenti avvenuti nel 1999, nel 2007 e quello del 2012 di Fukushima hanno portato alla ribalta il problema della sicurezza degli impianti nucleari, ponendo in discussione la scelta di puntare su tale fonte energetica. Nel 2012 il Paese fermava tutti gli impianti nucleari e intraprendeva un politica per arrivare a un modello energetico più sostenibile.

Economia: commercio

Il terziario occupa circa il 66% della popolazione attiva e produce il 68,8% del PIL. In questo settore, le attività finanziarie hanno raggiunto un elevatissimo sviluppo, portando all'affermazione della Borsa valori di Tōkyō tra quelle più importanti al mondo. Il commercio estero è il settore più straordinariamente organizzato dell'intero sistema economico giapponese, grazie soprattutto all'attività del MITI. La caratteristica di Paese importatore di materie prime ed esportatore di manufatti ha dominato le strategie commerciali e ha visto la crescita vertiginosa del saldo attivo dagli anni Settanta, quando il Giappone ha avviato una riconversione industriale ed energetica tendente a ridurre la dipendenza dall'esterno, mentre i suoi prodotti sono andati dilagando non solo nelle aree in via di sviluppo, ma soprattutto in quelle più avanzate: Stati Uniti ed Europa comunitaria. I principali partner delle esportazioni giapponesi sono gli Stati Uniti, la Cina, la Corea del Sud, Taiwan, Hong Kong e i Paesi dell'ASEAN. Il Giappone esporta soprattutto prodotti siderurgici e metallurgici, autoveicoli e motoveicoli, componenti elettronici, navi, strumenti ottici, apparecchi audio e video, fertilizzanti, fibre tessili, mentre importa petrolio, minerali metallici, prodotti agricoli. Le importazioni provengono in primo luogo dalla Cina, seguita da Stati Uniti, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Australia, Corea del Sud e Indonesia. Il mercato del riso, fino al 1994 protetto da un divieto di importazione, nel 2000 è stato completamente liberalizzato. La bilancia commerciale, pur con oscillazioni nel tempo, si è sempre mantenuta tendenzialmente positiva, con “picchi” del saldo attivo negli anni Ottanta e Novanta; anche la bilancia dei pagamenti, nonostante le recenti crisi finanziarie interne e internazionali, può contare sui colossali interessi che provengono dai più rilevanti investimenti in numerosi Stati del Terzo Mondo, ma altresì in molti Paesi altamente industrializzati. Secondo stime relative al 2007 l'avanzo delle partite correnti ammonta a 166,6 miliardi di dollari, pari al 3,9% del PIL.

Economia: comunicazioni e turismo

La frammentazione insulare, il notevole sviluppo orografico oltre alle calamità quali terremoti e tsunami hanno costituito, in Giappone, un forte ostacolo alla realizzazione di una rete unitaria di vie di comunicazione. Proprio l'instabilità geologica ha favorito gli investimenti nelle ricerche sui metodi di previsione dei fenomeni naturali distruttivi e nell'elaborazione di misure antisismiche per gli edifici e le vie di comunicazione, campo nel quale il Paese è all'avanguardia. Fin dai secoli più lontani la trama delle comunicazioni stradali (in seguito, anche di quelle ferroviarie) si articolò lungo le coste, sulle quali ebbe sempre i suoi nodi principali. Comunque il Paese è dotato oggi di un sistema sufficientemente organico di vie di comunicazione, anche se non forse all'altezza della sua economia globale. Le ferrovie, in larghissima parte statali, si sviluppano per oltre 20.000 km (2005) e hanno la loro massima concentrazione nelle aree convergenti sulle grandi città che, per i trasporti urbani, si avvalgono ampiamente di metropolitane; linee ad alta velocità, percorse dai treni rapidi Shinkansen, sono in servizio nella cosiddetta linea del Tokaidō (tra Ōsaka e Tōkyō), tra Ōsaka e Hakata e tra Tōkyō e Morioka. Honshū è naturalmente l'isola meglio servita; numerosi ferry-boats e poderosi tunnel sottomarini assicurano i raccordi nell'intero arcipelago: il Giappone può contare sulla più lunga galleria ferroviaria del mondo, la Seikan, di oltre 53 km, un tunnel sottomarino che attraversa lo stretto di Tsugaru tra le isole di Hokkaidō e Honshū. Le strade si sviluppano complessivamente per oltre 1,18 milioni di km, e assorbono assorbono il 90% del traffico merci e il 65% di quello passeggeri; anch'esse si snodano per lo più lungo i litorali, allacciando tra loro le città costiere (esistono tuttavia anche numerose arterie trasversali) e sopportando un movimento di oltre 78 milioni di autoveicoli; la rete autostradale (circa 7000 km), risulta ancora sottodimensionata per sostenere tale traffico. Nel 1998 è stato aperto al traffico il viadotto Akashi-Kaikyo (3910 m), il ponte sospeso più lungo del mondo, che collega Kōbe all'isola di Awaji. Dimensioni gigantesche e attrezzature tecnologicamente d'avanguardia hanno naturalmente i principali porti il cui movimento è veramente poderoso; tra i maggiori scali marittimi, tutti con oltre 100 milioni di t annualmente sbarcate e imbarcate, sono Chiba, Kōbe, Yokohama e Nagoya; di poco inferiore è il porto di Kawasaki. Gran parte del traffico marittimo è svolto da navi giapponesi che battono tutte le rotte del globo, ma specialmente quelle del Pacifico; la marina mercantile nazionale dispone di ca. 6900 navi, con una stazza totale lorda di 12,7 milioni di t. Per le comunicazioni aeree internazionali il Giappone si avvale della compagnia Japan Air Lines (JAL), che effettua collegamenti diretti si può dire in tutto il mondo, incluse le rotte transpolari e transiberiane; esistono numerosissime altre compagnie minori, tra cui la più importante, destinata ai servizi interni, è la All Nippon Airways. I maggiori aeroporti sono quelli internazionali di Tōkyō (Narita) e di Ōsaka, Fukuoka, Sapporo. Quanto al turismo, cresciuto soprattutto dagli ultimi decenni del 20° XX secolo grazie anche ad una buona ricettività, sono oltre 6 milioni gli stranieri che annualmente visitano il Giappone, ma, in effetti, è assai più alto il numero dei giapponesi che si recano all'estero. Tra le mete turistiche favorite dai giapponesi vi sono la Thailandia e l'Italia, ma la breve durata dei soggiorni rende difficile distinguere i movimenti turistici dai viaggi d'ffari fra i numerosi ingressi registrati negli Stati Uniti, in Corea del Sud e in Cina.

Preistoria

Tra i ritrovamenti più antichi in Giappone si segnalano le industrie a schegge e bifacciali rinvenute a Sozudai, nell'isola di Kyūshū (Giappone meridionale) che potrebbero risalire a circa 70.000 anni fa. Leggermente più recenti sono le industrie più antiche del sito di Hoshino, 80 km a nord di Tōkyō, datate a ca. 50.000 anni fa, mentre quelle dei livelli più recenti dello stesso sito risalgono al Paleolitico superiore. A 30.000 anni datano i materiali provenienti dal riparo di Fukui (isola di Honshū). Numerose sono le testimonianze di industrie del Paleolitico superiore; tra esse si ricordano Nogawa, vicino a Tōkyō, con date comprese tra 18.500 e 7500 anni a. C.; Yasumiba, nell'isola di Honshū (Giappone centrale) con manufatti datati a ca. 14.000 anni fa; Uenodaira, ca. 150 km a nord di Tōkyō, con punte foliacee bifacciali datate tra 14.000 e 12.000 anni a. C., e Shirataki con punte foliacee, grattatoi e armature di giavellotto in ossidiana, con datazioni tra 18.000 e 10.000 anni a. C. Molto più conosciuti sono i complessi culturali dei tempi successivi, che per il Neolitico e l'Eneolitico si concentrano nel gruppo di Jōmon e suoi attardamenti, nonché nella successiva cultura di Yayoi.

Storia: dalle origini dell’impero alla decadenza dei Fujiwara

La storia giapponese dei periodi più antichi è ricostruibile attraverso le scarne testimonianze delle fonti storiografiche cinesi, l'esame dei reperti archeologici e la lettura delle opere storiografiche locali come il Kojiki e il Nihongi. Queste sono state tuttavia redatte solo nel sec. VIII e risentono del desiderio di rivaleggiare con la veneranda antichità cinese, elemento che le rende poco attendibili per quanto riguarda i periodi più antichi. Secondo la mitologia del Kojiki, infatti, le origini dell'Impero sarebbero da collocare nel 660 a. C. con la discesa dal cielo di Jimmu Tennō, il nipote della Dea del Sole e primo sovrano della dinastia tuttora regnante. In realtà, solo nei primi secoli dell'era volgare, grazie a rinnovati flussi migratori dal continente, il Giappone conobbe un'epoca che si può definire protostorica e che è caratterizzata dalle grandi “tombe a tumulo”. In quel momento il Paese sembrava presentarsi come un'allentata confederazione di entità semitribali, gli uji, uniti da vincoli veri o presunti di sangue e dall'adorazione di una divinità comune. Il sovrano del Giappone (o, meglio, di una ridotta parte dell'odierno arcipelago, forse limitata all'isola di Kyūshū) non era che il capo dell'uji più potente, una figura (spesso si trattava di donne con caratteristiche sciamaniche) i cui poteri politici effettivi erano, in pratica, piuttosto circoscritti. La società del tempo conosceva, attraverso la mediazione sino-coreana, l'uso dei metalli, l'agricoltura e la scrittura. La religione era costituita dall'insieme di culti, riti e credenze che presero più tardi il nome di shintō. L'avvento dell'epoca storica ha coinciso sostanzialmente con l'introduzione del buddhismo (metà del sec. VI) che scatenò lunghe lotte fra le tre famiglie più potenti: i Soga, i Mononobe e i Nakatomi. Questi ultimi, nel sostegno del culto indigeno shintoista, rivendicavano la concezione tradizionale dello Stato, mentre i Soga (pur senza rendersene perfettamente conto) con la difesa del buddhismo miravano alla creazione di uno Stato a potere centrale sull'esempio cinese. Il trionfo dei Soga trovò in Shōtoku Taishi (573-621), reggente ed erede al trono dell'imperatrice Suiko, il propagatore più efficace della nuova religione. Sotto di lui si ebbe la totale affermazione del buddhismo e la svolta decisiva nella trasformazione del Giappone in un impero centralizzato. I legami con la Cina si fecero più stretti: nel 604 Shōtoku Taishi decise l'adozione del calendario cinese e promulgò il Codice in diciassette articoli, che sanciva i mutamenti istituzionali del nuovo Impero giapponese; nel 607 ebbero inizio le “ambascerie giapponesi” in Cina che accentuarono l'influenza continentale sull'arcipelago. I principi politici propugnati da Shōtoku Taishi presero forma definitiva nel 646 con la riforma Taika, un tentativo di dare al nuovo Impero giapponese la struttura burocratica di quello cinese con lo scioglimento di alcuni uji, la nomina di governatori per le province, un nuovo sistema fiscale e un censimento. Con la centralizzazione dello Stato si iniziò anche la storia urbana del Paese: cadde infatti l'usanza di mutare capitale alla morte di ogni sovrano, e nel 710 l'imperatrice Gemmyō ordinò la costruzione della città di Nara, su modello cinese, facendo di essa la prima autentica capitale. Il periodo di Nara (710-784) è una tappa importante nella storia culturale del Paese: a essa contribuirono in modo determinante i bonzi, che tuttavia presero parte troppo attiva alla vita politica della corte. I loro legami (nonché i loro intrighi) costrinsero l'imperatore Kammu a trasferire la capitale dapprima a Nagaoka e infine, nel 794, a Heian (l'odierna Kyōto), destinata a rimanere sede della corte imperiale fino al 1868. Il periodo che seguì, detto appunto Heian (794-1185), rivelò l'impossibilità a realizzare il processo di sinizzazione della società giapponese e sottolineò, proprio nei suoi aspetti culturali più positivi, il divario tra la corte e il resto del Paese. Mentre sul piano istituzionale si assisteva al fenomeno delle due corti (quella dell'imperatore in carica e quella dell'imperatore abdicatario), il potere effettivo era nelle mani della famiglia Fujiwara, che non riuscì però a evitare il sorgere di nuove e potenti famiglie militari nei vasti territori orientali. Infatti la continua cessione dei diritti di proprietà della terra a monasteri buddhisti e alle famiglie dell'aristocrazia aveva facilitato la formazione di latifondi e questi a loro volta avevano provocato il nascere di gruppi armati semiautonomi. Della presenza di tali milizie approfittarono alcune famiglie di lontana ascendenza imperiale, come i Taira e i Minamoto, per formare veri e propri eserciti in grado di minacciare il potere dei Fujiwara. Il pericolo fu avvertito troppo tardi, dall'ultimo “grande” dei Fujiwara, Michinaga (965-1027), che allacciò vanamente strette relazioni con i clan militari.

Storia: dal clan dei Taira al 1478

Decaduti i Fujiwara, dopo un iniziale prevalere del clan dei Taira furono i Minamoto a prendere le redini del potere sconfiggendo i rivali nella più famosa battaglia navale del Giappone antico: quella di Dan no Ura nel 1185. Questa data non segnò solo il passaggio dal periodo Heian a quello di Kamakura (1185-1333), ma anche un radicale cambiamento nella società giapponese. Il vincitore, Minamoto-no Yoritomo, trasferì la sua corte a Kamakura, instaurò un governo militare (il bakufu, “governo della tenda”) e prese il titolo di shōgun. Tale carica non era in contrasto con la figura dell'imperatore, anche se in realtà il potere effettivo restò quasi ininterrottamente nelle mani dello shōgun fino alla restaurazione Meiji del 1868. Ma il sorgere di poteri locali costrinse Yoritomo a un gioco sapiente di alleanze con i feudatari più forti, e quando tale senso politico mancava nei suoi discendenti il potere passava gradatamente nelle mani di reggenti, gli Hōjō, con la stessa funzione che la famiglia Fujiwara aveva in periodo Heian nei confronti degli imperatori. Nel 1274, per la prima volta nella sua storia, il pericolo di un'invasione minacciò il Giappone. Offeso per il ripetuto rifiuto dello shōgun a farsi suo vassallo, Qubilai Khān lanciò i suoi Mongoli alla conquista dell'arcipelago, attaccando a Hakata nel Kyūshū settentrionale. La strenua difesa dei feudatari locali e un provvido ciclone respinsero l'assalto. L'impresa fu ritentata nel 1281, di nuovo senza successo, date le misure di difesa prese dagli Hōjō e dal bakufu. Paradossalmente fu proprio questa vittoria a segnare la fine degli Hōjō. A differenza delle precedenti lotte intestine, infatti, non esistevano questa volta le spoglie di un vinto da distribuire in premio ai feudatari che avevano sostenuto il peso della lotta e gli Hōjō dovettero quindi premiare i vassalli ridimensionando la potenza familiare che era alla base della loro supremazia. A questa situazione si deve aggiungere la grave crisi causata da una lotta dinastica per la successione al trono scoppiata nella capitale. Il periodo 1333-92 (detto Nanboku-chō, periodo delle corti del Sud e del Nord) vide infatti contrapporsi due distinti rami della famiglia imperiale ciascuno dei quali rivendicava i diritti alla legittimità. Fra le personalità che lo hanno caratterizzato sono l'imperatore Godaigo, accanito difensore della legittimità della corte del Sud, il suo grande antagonista, lo shōgun Ashikaga Takauji e Kitabatake Chikafusa, autore del Jinno Shōtōki, opera storico-politica a difesa della tesi di Godaigo. Se con Takauji ha avuto inizio l'effettivo shogunato Ashikaga, fu a cominciare con il 3º shōgun, Yoshimitsu, che il Paese godette di una pace relativa. La capitale politica fu di nuovo trasportata a Kyōto, in un quartiere detto Muromachi che ha dato anche il nome al periodo (1392-1573). Il tentativo di centralizzazione del potere da parte degli Ashikaga fu frustrato da un elemento nuovo: la crescente influenza di numerosi feudatari, specialmente di quelli delle regioni occidentali. Per ovvie ragioni geografiche, lungo queste coste si era sviluppato sempre più il commercio con la Cina e la Corea, e tale commercio finì poi per influenzare beneficamente anche le zone centrali del Paese. Il periodo Ashikaga infatti ha registrato un notevole sviluppo economico, sostenuto anche dal diffondersi di un regime monetario a sostituzione della merce di scambio. I legami commerciali con il continente favorirono l'intensificarsi degli scambi culturali, e lo zen permeò la vita sociale del periodo. Fra gli shōgun Ashikaga ci furono degli ottimi mecenati: la pittura, l'architettura, il teatro nō, la cerimonia del tè li ebbero a loro protettori. Ma questo mondo che cominciava a cristallizzarsi in un'apparente tranquillità fu improvvisamente scosso, verso il 1465, dalle lotte per la scelta del successore dell'8º shōgun, Yoshimasa. Lo shogunato fu travolto (ma non annullato) dalle lotte che coinvolsero grandi famiglie di feudatari (daimyō) (era di Önin, 1467-78): quando queste cessarono il Paese era in preda alla più completa anarchia.

Storia: dal periodo Sengoku al 1867

Si aprì così un periodo chiamato Sengoku (degli Stati Combattenti, 1482-1568) in cui si assisté alla trasformazione di numerosi feudi in vere e proprie signorie. Il sec. XVI portò un profondo mutamento nelle strutture del Paese con lo sviluppo del commercio privato in quasi tutta l'area asiatica, la nascita di città libere, l'arrivo degli Occidentali con l'introduzione delle armi da fuoco e del cristianesimo, la riunificazione del Paese sotto dittatura militare e il primo tentativo di una politica espansionistica panasiatica. L'iniziatore della riunificazione del Giappone fu Oda Nobunaga (1534-1582), un piccolo daimyō delle province centrali cui presto si unirono Toyotomi Hideyoshi (1536-1598) e Tokugawa Ieyasu (1542-1616) a formare la triade a cui il Giappone deve l'unificazione. Hideyoshi può forse essere considerato la maggior figura politica e militare della storia giapponese. Morto Nobunaga, accordatosi con Ieyasu, egli, abile stratega e ottimo politico, in pochi anni riuscì a legare a sé anche i daimyō più riottosi. Si servì del cristianesimo, per la lotta contro i monaci buddhisti ribelli e per godere del commercio che i Portoghesi avevano con la Cina. Approfittò poi della diffusa convinzione che gli Occidentali cattolici fossero una potenziale “quinta colonna” dell'espansionismo europeo, e, essendo già bene avviato il commercio, li espulse. In una vasta strategia di conquista che doveva comprendere anche la Cina, Hideyoshi occupò nel 1592 la Corea. Ma dopo un iniziale successo l'esercito giapponese fu fermato dall'intervento di quello cinese e la posizione di stallo durò sino alla morte di Hideyoshi nel 1598: poi le truppe vennero ritirate. Nella successiva lotta per il potere ebbe la meglio Ieyasu che sconfisse il figlio e i seguaci di Hideyoshi e, proclamato shōgun nel 1603, trasferì la capitale politica a Edo, l'odierna Tōkyō (a Kyōto rimasero l'imperatore e la corte), dando inizio al periodo Tokugawa (1603-1868) che condusse il Giappone alle soglie del mondo moderno. Lo Stato fu riorganizzato secondo criteri ispirati al pensiero neoconfuciano di Chu Hsi e tutte le classi sociali furono sottoposte a uno stretto controllo. La rigidezza nel sistema interno fu accompagnata da una totale chiusura verso l'esterno, chiusura che bloccava i commerci e comportava la proibizione e la persecuzione del cristianesimo. Ma i contatti con l'estero non furono del tutto troncati: restavano gli Olandesi confinati a Deshima (Nagasaki), tenue canale attraverso il quale però la curiosità giapponese si rivolse allo studio delle cose occidentali (rangaku). Per ca. 200 anni il Paese conobbe una relativa pace e prosperità. Intensa fu la vita culturale che vide l'affermarsi della letteratura borghese, del teatro kabuki, della poesia, gli sviluppi della scuola filocinese (cioè confuciana) e di quella nazionalista (cioè shintoista) a danno del buddhismo. Ma all'inizio del sec. XIX, per ragioni interne dovute a pressioni internazionali, il sistema entrò in una crisi culminata nel 1853 con l'arrivo del commodoro M. Perry latore delle richieste americane di apertura. In un clima di grande incertezza politica, il 31 marzo 1854 venne firmato il Trattato di Kanagawa che aprì alle navi americane i porti di Shimoda e Hakodate e insediò nel primo un console statunitense. Seguirono analoghi trattati con Gran Bretagna, Russia, Francia e Olanda e nel 1858 nuovi accordi che portarono all'instaurazione dei diritti doganali. Ciò portò a un periodo di forti tensioni interne e nel 1867 le forze nazionaliste ottenevano la resa dell'ultimo shōgun e la caduta definitiva del bakufu. Così, dopo secoli, il potere effettivo ritornò nelle mani dell'imperatore, nella persona di Mutsuhito che trasferì la capitale da Kyōto a Edo, ribattezzandola Tōkyō.

Storia: il governo illuminato di Mutsuhito

Gli anni noti con il nome di Meiji (Governo Illuminato, 1868-1912) sono degni di attenzione sia per la storia interna del Giappone sia per le sue vicende di politica estera che stupirono allora il mondo, del tutto impreparato all'ipotesi che un Paese estraneo alla civiltà occidentale potesse affermarsi tra le maggiori potenze del globo. Il Giappone si modernizzò mutuando nuovi valori dallo stesso Occidente. L'antica tradizione estremo-orientale di rispetto per il sapere facilitava la diffusione della cultura e quindi la mobilitazione intelligente di tutte le forze. D'altro canto, la conversione in senso produttivo delle ricchezze della nobiltà feudale e lo sfruttamento del lavoro della campagna rendeva possibile una rapidissima opera di industrializzazione. In politica estera il Giappone ebbe in una prima fase relazioni soprattutto con la Russia, alla quale cedette Sahalin in cambio delle isole Curili. Subentrò poi, a causa delle comuni mire sulla Corea, la diatriba con la Cina che portò nel 1894 alla guerra. Era il primo conflitto internazionale rilevante che il Giappone affrontava dopo l'apertura all'Occidente. La sua efficiente macchina bellica s'impose al colosso cinese ormai in decadenza. Occupati posti chiave come Dalny e Port Arthur (l'odierna Lüshun), i giapponesi dilagarono in Manciuria e arrivarono a minacciare Pechino. Il 17 aprile 1895 venne firmato il Trattato di Shimonoseki: la Cina cedette Taiwan, le Pescadores, il Liaotung, riconobbe l'indipendenza della Corea, pagò una forte indennità e aprì quattro porti al commercio nipponico. Il successo del Giappone preoccupava però le potenze occidentali e Francia, Russia e Germania premettero affinché il Giappone rinunciasse al Liaotung in cambio di un'altra indennità. Il governo fu costretto ad accettare, ma tale decisione provocò malumori soprattutto nei confronti dell'impero zarista che aveva approfittato subito della situazione per occupare proprio quei territori, come Port Arthur, che erano stati negati al Giappone. Inoltre, la continua ingerenza russa nei territori della Manciuria e in Corea portò il Giappone a una seconda grande sfida: nel 1904 attaccò l'impero dello zar. Il mondo assistette stupito a un'altra clamorosa vittoria del piccolo Stato asiatico. Con il Trattato di Portsmouth del 1905 la Russia fu costretta a cedere la parte a sud del 50º parallelo dell'isola di Sahalin, la zona del Liaotung già sottratta alla Cina, i propri interessi in Manciuria, e a lasciar via libera ai progetti nipponici sulla Corea. La definitiva annessione della penisola da parte del governo di Tōkyō avvenne nel 1910, dopo che i contrasti interni sulla politica da seguire avevano portato clamorosamente alla ribalta il disaccordo tra il partito dei civili e quello dei militari.

Storia: dal 1912 alla fine della seconda guerra mondiale

Nel 1912 morì Mutsuhito e gli succedette il figlio Yoshihito, il cui regno (1912-26) è noto con l'appellativo di Taishō (Grande Rettitudine). Allo scoppio della prima guerra mondiale il Giappone trovò il pretesto per dichiarare guerra alla Germania e il 24 agosto 1914 entrava nel conflitto. Conquistò rapidamente Tsingtao e Jiaozhou Wan e le isole tedesche del Pacifico, cioè le Marianne, le Caroline e le Marshall: conquiste che furono ratificate dalla Conferenza di Versailles del 1919. Ma l'attenzione nipponica era in quegli anni tutta rivolta alla Cina e, approfittando del momento favorevole, il 18 gennaio 1915 il governo giapponese presentava a quello cinese le famose “Ventun Domande”, in pratica un ultimatum, con le quali si inseriva perentoriamente nella vita politica cinese. La fine della guerra vedeva il Giappone tra le grandi potenze mondiali. Crisi di politica interna non avevano arrestato un processo di sviluppo economico molto accentuato che stimolava i grandi gruppi monopolistici (zaibatsu) a premere per una politica antimilitarista nell'interesse di liberi scambi. Quando nel 1926 salì al trono l'imperatore Hirohito, che assunse il nome di Shōwa (Pace Illuminata), il futuro del Paese pareva avviato secondo programmi pacifici e ordinati. Invece l'equilibrio entrò quasi subito in crisi. La politica antisovietica, le mire sulla Cina, il risentimento per le misure americane contro l'immigrazione spinsero il Giappone verso una politica espansionista che, dopo l'ingerenza indiretta in Manciuria, sfociò nella crisi con la Cina. Del 1932 è la proclamazione dell'Impero indipendente (ma in realtà vassallo) del Manchukuo; del 1937 è l'inizio del conflitto diretto con la Cina che portò all'occupazione di vastissime aree e alla creazione in esse di un governo fantoccio con capitale a Nanchino, a capo del quale era un ex collaboratore di Chiang Kai-shek, Wang Ching-wei. I militari, sempre più potenti, condizionavano la vita politica e diffondevano un'ideologia per alcuni aspetti comune ai fascismi occidentali. Il Giappone usciva dalle Nazioni Unite, firmava il Patto Anticomintern con la Germania nel 1936 (al quale l'Italia aderiva nel 1937) e il Patto tripartito con Italia e Germania nel 1940. Intanto peggioravano i rapporti con gli Stati Uniti (i quali chiedevano al Giappone la rinuncia all'espansionismo coloniale) e il 7 dicembre 1941, con l'attacco giapponese a Pearl Harbor, iniziava in Estremo Oriente la seconda guerra mondiale. Per circa un anno l'avanzata nipponica fu inarrestabile: dalle Aleutine alla Nuova Guinea e alle porte dell'India. Poi le sorti si rovesciarono gradatamente e lo scoppio delle atomiche su Hiroshima e Nagasaki in un Paese già prostrato indusse l'imperatore a offrire la resa, accettata il 14 agosto 1945 e ratificata il 2 settembre successivo.

Storia: dal dopoguerra alla difficile congiuntura politico-economica

La storia giapponese dal secondo dopoguerra è scandita in fasi abbastanza distinte. La prima si chiuse tre anni dopo la firma del trattato di pace a San Francisco (1951) e del Trattato Nippo-Americano di Sicurezza firmato a Tōkyō nello stesso anno. Questo periodo, identificato in sede interna con il mandato del primo ministro Yoshida Shigeru (1946-54), fu caratterizzato dall'accettazione dell'occupazione statunitense, dalla fondazione del nuovo assetto istituzionale (1947) d'ispirazione democratica, dal formarsi di nuovi equilibri partitici e dall'inizio della ricostruzione economica. Il governo di Hatoyama Ichirō (1954-56) costituì, invece, la seconda fase: affermazione definitiva del predominio politico dei conservatori, provvisoria riunificazione dei due partiti socialisti, miglioramento dei rapporti con l'URSS. Seguì a questa la fase identificata con la presidenza di Kishi Nobusuke (1957-60), in cui si rafforzò il carattere filoamericano della politica nipponica. Sul piano internazionale in questo periodo si giunse alla modifica del trattato di mutua difesa, in senso meno sfavorevole al Giappone, e si avviò il difficile colloquio con i Paesi dell'Asia sud-orientale dove era ancora vivo il ricordo dell'occupazione giapponese. I successivi governi di Ikeda Hayato (1960-64) e di Satō Eisaku (1964-72) rappresentarono, invece, la fase del miracolo economico, durante cui il Giappone si affermò in un brevissimo volgere di anni come la terza potenza economica mondiale. Nel 1972, con l'avvento al potere di Tanaka Kakuei, del Partito liberal-democratico, il Paese affrontò e risolse finalmente il problema delle relazioni diplomatiche con Pechino. Dopo le dimissioni di Tanaka (1974), per sospetti di illeciti che investirono il suo partito, il Giappone vide alternarsi al governo diversi primi ministri, che repentinamente si dimettevano, come il liberal-democratico Takeo Fukuda. Nel 1982 veniva nominato primo ministro il nuovo leader del Partito liberal-democratico, Yasuhiro Nakasone, che con un governo più duraturo (1982-87) avviò una politica di riforme dell'amministrazione, diretta in particolare al riassetto delle imprese controllate dallo Stato, come le telecomunicazioni e le ferrovie, e del sistema fiscale al fine di riportare in pareggio il bilancio da molto tempo deficitario. La stabilità politica raggiunta negli anni Ottanta con il governo di Nakasone, dopo pochi mesi dalla morte dell'imperatore Hirohito (gennaio 1989) e dall'ascesa al trono del figlio Akihito, veniva però nuovamente minata. Designato alla presidenza del Partito liberal-democratico e alla direzione del governo Noburo Takeshita, questi assunse entrambe le cariche nel novembre 1987, con il proposito di seguire le linee di politica interna ed estera già tracciate dal suo predecessore. Ben presto comunque, nel giugno 1988, il suo governo venne coinvolto in uno scandalo finanziario, che agli inizi dell'anno seguente lo indusse alle dimissioni. Il Giappone si avviò così verso un secondo periodo di instabilità politica che vide i suoi successivi governi coinvolti ancora in diversi scandali. Nel 1993, le elezioni per la Camera dei Rappresentanti, pur non segnando una nuova drastica sconfitta per il Partito liberal-democratico, videro l'ingresso nella Dieta di nuove formazioni politiche e la decisa affermazione del Nuovo Partito del Giappone, guidato da Morihiro Hosokawa. Veniva così nominato, per la prima volta dopo 38 anni, un premier non appartenente al Partito liberal-democratico. Formato un governo di coalizione con un'attenta distribuzione delle cariche tra i partiti che lo sostenevano, Hosokawa avviava una serie di riforme, prima tra tutte quella elettorale, nel tentativo di favorire le grandi formazioni politiche e semplificare il frammentato quadro politico del Paese. La riforma del sistema elettorale, approvata nel gennaio 1994, senza il sostegno della coalizione di governo, prevedeva la riduzione dei membri della Camera dei Rappresentanti da 511 a 500, l'adozione del sistema proporzionale per l'elezione del 40% dei deputati e la ridefinizione dei collegi elettorali, in maniera da ridurre l'incidenza del voto delle aeree rurali, tradizionalmente più conservatrici. Nell'aprile del 1994, comunque, le difficoltà di accordo all'interno della coalizione di governo e il coinvolgimento dello stesso premier in passati scandali finanziari, inducevano Hosokawa alle dimissioni. Dopo la breve parentesi di un governo guidato dal socialdemocratico Tomiichi Murayama, il Giappone, attanagliato da una serie di problemi che andavano dal terremoto nella regione di Kōbe agli attentati terroristici della setta buddhista Suprema Verità, vedeva il ritorno dei liberaldemocratici al potere. Le elezioni legislative del 2002 venivano vinte da una coalizione formata ancora dai liberaldemocratici, guidati da Junichiro Koizumi, premier della coalizione stessa, dal partito buddhista Komeito e dai conservatori. Le nuove elezioni legislative del novembre 2003, vedevano ancora la vittoria della coalizione di governo, che però perdeva seggi alla Camera, mentre si rafforzava il Partito democratico dell'opposizione. Nell'agosto 2005 il governo cadeva dopo essere stato sconfitto sulla proposta di privatizzazione delle poste, ma nelle elezioni di settembre, condotte proprio sulla campagna di privatizzazioni voluta dal premier Koizumi, il partito liberaldemocratico otteneva 296 seggi contro i 113 dell'opposizione, confermando il successo della coalizione di governo. In settembre la Dieta riconfermava Koizumi alla guida del governo. Nel settembre 2006 Koizumi si ritirava e al suo posto veniva eletto premier Shinzō Abe, designato dal partito liberal-democratico, il cui programma prevedeva il miglioramento dei rapporti con la Cina e la continuazione delle riforme strutturali iniziate da Koizumi. Il nuovo premier dava alla politica un'impostazione nazionalista e in questo senso veniva istituito per la prima volta dal dopoguerra un ministero del Difesa. Nel luglio 2007 il Partito liberaldemocratico (PLD) del Primo Ministro Abe veniva sconfitto nelle elezioni per il rinnovo parziale della Camera dei consiglieri; in settembre il premier Abe si dimetteva e veniva nominato al suo posto Yasuo Fukada, che si dimetteva nell'agosto 2008 per una serie di contestazioni alla sua politica, soprattutto quella economica. In seguito il parlamento eleggeva premier Taro Aso, leader del PLD. Nel luglio 2009, dopo la sconfitta elettorale del suo partito nelle elezioni municipali di Tōkyō, il premier scioglieva la Camera bassa del parlamento in attesa di elezioni anticipate. Queste ultime si svolgevano in agosto e vedevano la vittoria dei democratici (PDG) con 308 seggi, mettendo fine a 54 anni di governo da parte del PLD (119 seggi). A capo del governo veniva nominato Yukio Hatoyama, leader del PDG, ma dopo il fallimento della modifica all'accordo tra Stati Uniti e Giappone per la ricollocazione della base militare di Futenma, Hatoyama rassegnava le dimissioni (giugno 2010) e al suo posto veniva nominato il leader dei democratici Naoto Kan. Un mese dopo si svolgevano le elezioni per il rinnovo della Camera alta, vinte dal partito all'opposizione (PLD), creando stallo politico nel Paese. Nel marzo del 2011 un terremoto di magnitudo 9.0, con epicentro a 150 km dalla costa nordorientale, causava uno tsunami, di onde alte fino a dieci metri, che si abbatteva soprattutto sulla prefettura di Miyagi, distruggendo interi centri abitati e causando migliaia di morti. Il terremoto danneggiava il sistema di raffreddamento della centrale nucleare di Fukushima, provocando l'innalzamento della temperatura dei reattori; questo costringeva il governo a evacuare la zona, colpita da un livello di radioattività superiore alla norma. Nell'agosto del 2011 Yoshito Noda veniva eletto segretario del Partito democratico e nuovo premier del Paese. Nel dicembre del 2012 l'ex premier Shinzō Abe vinceva l'elezioni politiche, sconfiggendo il premier uscente Noda. Abe vinceva anche le elezioni del luglio del 2013.

Cultura: generalità

Universalmente identificato con l'Estremo Oriente, o più propriamente con “le radici del Sole”, come indicano i due ideogrammi che compongono il nome del Paese, il Giappone ha alimentato per secoli un fascino del tutto particolare nell'immaginario e nella cultura occidentali, complici, da un lato, la condizione di estrema lontananza e, dall'altro, la profonda impenetrabilità che nel corso della storia ha contraddistinto il Paese. Qui continuano a coesistere religione e secolarizzazione, obbedienza agli antichi rituali di comportamento (dalla cerimonia del tè ai rigidi rapporti tra i sessi, dall'etichetta formale alla subordinazione verso le autorità familiari e sociali, dalla superstizione alla capillare organizzazione di ogni aspetto della vita privata o sociale) e desiderio di rottura di quelle medesime regole. Storicamente, l'arcipelago nipponico è stato a lungo influenzato dalla cultura cinese, a cominciare dall'adozione del buddhismo (le cui pratiche si sono poi miscelate con il preesistente shintoismo), o della scrittura (il giapponese è uno dei sistemi linguistici odierni più complicati al mondo, con tre scritture diverse). A queste si sono poi sostituite o aggiunte, a partire da metà Ottocento, le influenze culturali provenienti da Europa e Stati Uniti, accompagnate da una rielaborazione interna dei contenuti e soprattutto delle forme, in ossequio a quei dettati di “etichetta” ed estetica così radicati nella vita di ogni giapponese. Questo formale rispetto di canoni e regole acquisite è accompagnato da un altro tratto peculiare della società nipponica, vale a dire una sorta di “permeabilità” culturale, espressione, nel mondo contemporaneo, soprattutto delle giovani generazioni. Assorbiti dal mondo virtuale dei videogiochi, autori e consumatori di forme tra le più movimentate di rock e punk, i giovani giapponesi partecipano in modo altrettanto massivo alle feste tradizionali, alle cerimonie familiari, ai riti della società. Ma sono le arti, dalla letteratura alla pittura alla video-art, a rappresentare il contesto privilegiato in cui tradizione e innovazione trovano un punto di raccordo, riuscendo in un certo senso a convivere nonostante i forti contrasti delle forme di cui sono espressione: i brevi componimenti della tradizione poetica antica, gli haiku, vengono letti e studiati dai giovani scrittori che ambientano i loro romanzi nell'atomizzata e alienante realtà contemporanea; le ceramiche decorate e la statuaria buddhista che occupano i templi rappresentano motivo di ispirazione per gli artisti del web e delle installazioni urbane. Allo stesso modo il teatro, la danza, il cinema traggono suggestioni e stimoli dalla tradizione, alla ricerca di quella sintesi tra antico e moderno divenuta la vera sfida artistica nel Giappone contemporaneo. Porta di accesso e di collegamento tra i due mondi è, sicuramente, il fumetto (manga, anime, cartoni animati), una forma di letteratura contemporanea le cui origini risalgono ai tradizionali dipinti a inchiostro ancora rintracciabili sulle pareti di templi e musei, raffiguranti personaggi mitologici e sacri, o caricature. Luogo simbolo delle contraddizioni, e nello stesso tempo di tutto ciò che è modernità e tecnologia, è la capitale Tōkyō dove, all'interno dei suoi quartieri più avveniristici, trovano posto istituzioni di grande valore storico-culturale, come il National Museum, custode della collezione di arte giapponese più vasta del mondo. Il vero fulcro culturale del Paese è però rappresentato da Kyōto, l'antica capitale (794-1868), ricca di templi e palazzi (uno su tutti, il Kinkaku-ji, il famoso Padiglione d'oro del tempio Rokuon-ji) e sede di innumerevoli manifestazioni e feste popolari (matsuri). Emblemi della grande ricchezza storica e culturale del Paese sono i numerosi siti dichiarati dall'UNESCO patrimonio dell'umanità: i Monumenti buddhisti della regione di Huryu-ji (1993); Himeji-jo (1993); Monumenti storici dell'antica Kyōto (1994); Shirakawa e Gokayama (1995); Santuario scintoista di Itsukushima (1996); Monumenti storici a Nara (1998); Santuari e templi di Nikko (1999); Siti Gusuku e beni associati del Regno di Ryūkiū (2000); Luoghi sacri e strade di pellegrinaggio sui monti Kii (2004); Miniere d'argento di Iwami Ginza (2007). Di diversa natura, ma di altrettanta importanza, è il ruolo ricoperto nella storia culturale del paese da altre due città: Nagasaki e Hiroshima, universalmente note per la tragedia nucleare che le colpì nell'agosto del 1945. In particolare, a Hiroshima è stato edificato, sulle rovine dell'unico edificio rimasto in piedi, il Museo del memoriale della pace. Questo luogo, divenuto simbolo delle devastazioni provocate dalla bomba atomica, è nel contempo il luogo della memoria e della sua nemesi, quasi un “contenitore ermetico” in cui conservare resti e reperti drammatici ma anche dove racchiudere tutto quello che a quell'evento riporta, cifra più intima e inquietante della difficoltà del Paese a confrontarsi con quel passato e a fornirne una rielaborazione feconda.

Cultura: tradizioni

Il Giappone conserva ancora oggi, nonostante la sua fortissima occidentalizzazione, non poche pratiche tradizionali. Si potrebbe anzi dire che la vita giapponese conosce accanto all'acuta occidentalizzazione un altrettanto acuto stato di sopravvivenza delle più antiche pratiche culturali e liturgiche. Feudali o popolari, tali pratiche sono molto numerose e grandemente diffuse. Ci si limiterà dunque a segnalare le più importanti, tra cui la divinazione, che sopravvive in tutti gli strati della popolazione. Quasi tutte le decisioni importanti, soprattutto per quanto concerne la vita sociale, sono prese dopo avere consultato gli eki-sha (indovini) o dopo avere interrogato il tesō (sorta di chiromanzia), il ninsō (sorta di fisiognomica) e soprattutto l'astrologia vera e propria, mediante una specie di bussola calamitata o una carta dei cieli, in cui sono rappresentati i dodici animali indicatori dei mesi. Un'altra pratica divinatoria molto diffusa è quella dell'oracolo, o-mikuji. La risposta è ottenuta scegliendo un bastoncino di legno recante un numero che corrisponde a determinate immagini simboliche. Questo oracolo veniva soprattutto usato per la scelta del terreno, la collocazione e l'orientamento dell'abitazione da costruire. Molte feste private giapponesi, quali si conservano tuttora, provengono, di fatto, dalle antiche pratiche religiose e superstiziose concernenti l'edificazione orientata delle abitazioni: il Mune-age, festa che veniva praticata al momento della posa del colmo del tetto e che consisteva in una riunione intorno al fuoco per la durata della notte, sopravvive quale festa di inaugurazione di una nuova residenza. La superficie della casa era calcolata, tradizionalmente, a partire dal tatami (stuoia di ca. 185 cm per 95 cm) e non superava globalmente la misura di sei, otto o dieci tatami. Questa pratica, unita ad alcune altre, serve tuttora da supporto simbolico al cha-no-yu, la cerimonia del tè, che ha luogo nella stanza principale dell'abitazione. La cerimonia del tè, ricca di simbolismi, la cui usanza risale al sec. XV e le cui regole furono stabilite un secolo più tardi da Rikyū, maestro del tè del generale Toyotomi Hideyoshi, è praticata regolarmente dai giapponesi e riveste una grande importanza rituale e sociale: dopo le abluzioni, si penetra nella stanza del tè attraverso una porta stretta, in ginocchio o curvi. La stanza è nuda a eccezione di una nicchia in cui è esposto un kakemono (pittura o calligrafia); sul suolo si trovano gli oggetti tradizionali che servono per la cerimonia. Il tè viene deposto in fondo alla tazza, viene versata l'acqua bollente e il tutto viene agitato con una specie di frusta o di spatola di bambù; quando appare la schiuma la tazza viene offerta all'invitato d'onore che, dopo aver bevuto, la passa agli altri successivamente (l'ultimo deve vuotare la tazza). Dopo di che l'ospite fa passare, di mano in mano, gli utensili perché vengano ammirati. Si può dire che le principali pratiche simboliche dei giapponesi sono legate all'abitazione, quale luogo a partire dal quale la vita viene “orientata”. L'altra pratica molto nota anche in Occidente, l'ikebana (fiori viventi), cioè l'arte di disporre fiori e rami, è strettamente connessa ai simbolismi dell'abitazione e del suo giardino. Insegnata da varie scuole, soprattutto dalla scuola Ikenobo del tempio Rokkakudo di Kyōto, l'ikebana consiste principalmente nel disporre in un triangolo ideale un insieme di fiori, rami, ecc. che deve risultare composto da tre fasci slanciati di altezza diseguale: il più alto simboleggia il cielo, il mediano l'uomo, il più basso la terra. Un'altra scuola, la scuola Moribana, insegna l'arte della composizione a tre dimensioni (all'alto e al basso della scuola Ikenobo essa aggiunge il volume, cioè l'orientamento secondo le direzioni dello spazio circostante). Se queste due pratiche, la cerimonia del tè e l'ikebana, rivestono un carattere insieme estetico e religioso, altrettanto si potrebbe dire del simbolismo dei pasti sopratutto quando hanno un carattere ufficiale. In effetti il Giappone è il Paese per eccellenza delle “buone maniere”. Tutto è rigorosamente codificato e questo insieme folclorico-liturgico della vita di ogni giorno sopravvive o meglio vive imponendo un'etichetta a degli uomini che, pur essendo completamente occidentalizzati, non rinunciano ai loro antichi codici simbolici. Le donne per esempio, che continuano ad avere uno statuto inferiore rispetto agli uomini, trovano nell'Onna Daïgaku (Il grande sapere delle donne) le regole del loro stato; scritto da Kaibara Ekken nel sec. XVII, questo testo può venire riassunto in 8 punti: le 3 grandi obbedienze (ai genitori nella gioventù, al marito nel matrimonio, ai figli nella vecchiaia) e le 5 malattie morali (la disubbidienza, l'odio, la maldicenza, l'invidia, la stupidità). Gli uomini invece, trovano le loro regole di vita nel Bushidō (La via del guerriero), redatto un secolo più tardi del codice femminile. Le pratiche del folclore sopravvivono soprattutto durante le ricorrenze del matrimonio e della nascita. In entrambi i casi tutto il cerimoniale è rigorosamente orchestrato; nel matrimonio riveste una particolare importanza il trasferimento degli oggetti della sposa nel futuro domicilio della coppia. Nel caso della nascita di un bambino, una cerimonia importante ha luogo il quinto mese di gravidanza, quando il marito offre alla moglie il yuwata-obi (cintura di maternità); è questa una sopravvivenza dell'antica pratica dell'imposizione del nome al nascituro. La festa vera e propria per la nascita avviene invece centoventi giorni dopo il parto e ha nome Tabezome (festa del nutrimento). Si tratta in questo caso di una sopravvivenza legata al rientro della madre nella comunità familiare, che avveniva con una cerimonia durante la quale la madre nutriva in pubblico il figlio. Oggi, come ieri, hanno grande importanza nell'educazione i giochi (e soprattutto la pratica del disegno all'aperto); va inoltre notato che ai bambini sono dedicate due importanti feste, il Jizōbon che coincide con la festa dei morti: Jizō è il dio protettore dei bambini vivi e morti e a lui sono dedicati i “cimiteri dei bambini mai nati”, in cui le donne che hanno perso un figlio lo ricordano e ne invocano la protezione nell'adilà. Oltre ai giochi rivestono un carattere propriamente nazionale gli sport, considerati come discipline tradizionali e in parte derivati dall'insegnamento zen. Va indicato soprattutto il sumō (lotta ordinaria), praticata da lottatori quasi obesi: su un ring quadrato sormontato da un baldacchino, viene tracciato un cerchio; il gioco consiste nell'espellere l'avversario dal cerchio (il sumō è retto da 48 regole, 12 movimenti e 3 tecniche). Vi sono quindi le arti marziali (sia per gli uomini sia per le donne): il kendō (la via della sciabola), il kyūjutsu (tiro all'arco), il jūdō e le sue varianti: l'aikido e il karate, oggi ben noti ovunque. Alle discipline tradizionali, nel XX secolo, si è comunque aggiunta una fervida passione per calcio, baseball e altri sport tipicamente occidentali. Una nota va riservata infine alla cucina, molto più ampia e articolata di quanto in Occidente si creda. Se ormai sushi, sashimi e tempura sono internazionalmente conosciuti e apprezzati, le varianti in cui carne, pesce e verdure vengono preparati e accompagnati da salse e pastelle è pressoché infinita. Molto diffusi sono i ristoranti specializzati in un solo tipo di cucina, benché esistano anche gli shokudo, dove trovarne di molti tipi. Frequente inoltre la pratica di cucinare da sé al proprio tavolo i cibi serviti crudi, su una griglia, in un tegame ecc. Caratteristico è, inoltre, il pranzo tipico tradizionale giapponese da consumare fuori casa, il bentō, caratterizzato da riso, verdure, carne e pesce racchiusi in appositi contenitori a scomparti nei quali la disposizione del cibo segue le stesse regole della ricerca del bello e della forma tipica della cultura giapponese. Nelle bevande, al tradizionale tè si è sostituita la birra, che, al pari, di molti altri alcolici, è amata dalla maggior parte dei giapponesi. Sempre tra gli alcolici, si ricordano anche il sakè, ottenuto dalla fermentazione del riso e del lievito di riso, servito nelle sue varianti light, dolce o secca, e l'umeshu, liquore di prugne.

Cultura: letteratura. Generalità

Della produzione delle origini si è tramandato solo quanto perpetuato dalla tradizione orale e affidato più tardi alla scrittura. È il caso dei norito (parole pronunciate), sorta di allocuzioni solenni di carattere religioso e magico-incantatorio, legate alla formazione della religione shintoista e della nazione giapponese. All'introduzione del buddhismo e della cultura cinese in generale seguirono radicali innovazioni nella struttura socio-politica del Paese e nella sua cultura. A Taishi Shōtoku (573-621), massimo statista ed erudito del Giappone antico, si deve il Codice in diciassette articoli, il primo corpo di leggi scritte basate prevalentemente sul pensiero confuciano. Shōtoku fu anche il propagatore del buddhismo e il primo commentatore di sacre scritture (sūtra). A partire dai primi documenti certi di epoca Nara si suole dividere la letteratura giapponese nei sei grandi periodi attraverso i quali si è svolta la storia del Paese: Nara, Heian, Kamakura, Muromachi e Momoyama, Edo (o dei Tokugawa), moderno e contemporaneo.

Cultura: letteratura. Il periodo Nara

Nel periodo Nara (645-794), dal nome della prima residenza imperiale, massima realizzazione fu la storiografia. Nel 712 fu compilato il Kojiki (Memorie degli antichi eventi), nel 720 il Nihongi (Annali del Giappone). Redatti su modelli storiografici cinesi, raccolgono tutto il patrimonio mitologico e leggendario e delineano la discendenza divina della dinastia imperiale, della quale vengono narrati i primi secoli di storia. Del sec. VIII sono i fudoki, relazioni topografiche che illustravano le caratteristiche delle singole zone del Paese. L'unico conservatoci integralmente è l'Izumo Fudoki. Il repertorio più ampio e antico di poesie in lingua giapponese è il Man'yōshū (Raccolta di diecimila foglie). Il compilatore è incerto, ma forse più rimaneggiatori hanno apportato successivi ampliamenti a un'edizione originale andata perduta. Fra i 561 poeti, prevalentemente del genere tanka, emergono i cosiddetti “cinque grandi” del Man’yōshū: Hitomaro, Akahito, Okura, Tabito, Yakamochi. L'opera è considerata la pagina più preziosa della lirica giapponese.

Cultura: letteratura. Il periodo Heian

Il periodo Heian (794-1185), dal nome della nuova capitale, Heian-kyō (più tardi Kyōto), fu caratterizzato da una raffinata cultura imbevuta di gusto cinese. Nel sec. X fu ordinato il Kokinshū (Raccolta di poesie antiche e moderne), di cui è famosa la prefazione di Tsurayuki Ki no (872-ca. 950), che vi traccia una breve storia della poesia giapponese. Di questo primo critico è anche il primo diario, il Tosa Nikki (Il diario di Tosa), genere sempre largamente coltivato, nel quale eccelsero le tre più grandi scrittrici dell'epoca: Shikibu Izumi (ca. 966-1030), Shōnagon Sei (n. 966 ca.), Shikibu Murasaki (978-ca. 1015). Quest'ultima però è ben più famosa per l'opera che è considerata uno dei capolavori della letteratura mondiale: il Genji Monogatari. Esso costituisce l'espressione letterariamente più matura del genere narrativo detto monogatari di cui il racconto fiabesco anonimo, Taketori Monogatari (Il racconto del tagliatore di bambù), costituisce il primo esemplare pervenutoci. A un'altra famosa poetessa, Emon Akazome no (976-1041), è attribuito l'Eiga Monogatari (Storia di splendori), che è il primo esempio di monogatari di tipo storico. Di argomento storico è anche il corpo degli Shi Kagami (Quattro specchi), che introducono il fatto storico come argomento di dialogo fra più persone.

Cultura: letteratura. Il periodo Kamakura

Con il periodo Kamakura (1185-1333), dal nome della città sede del primo governo militare o shogunato, la storiografia di corte perse prestigio a favore di quella shogunale. Traccia la storia del Paese dal 1180 al 1266 l'Azuma Kagami (Specchi delle province orientali). In narrativa si ebbe lo sviluppo del gunki monogatari (racconto di guerra), di tono epico, ispirato alle recenti lotte tra le grandi famiglie feudali. Famosi: l'Hōgen Monogatari (Storia dell'era Hōgen), l'Heiji Monogatari (Storia dell'era Heiji), l'Heike Monogatari (Storia degli Heike) e il Genpei Seisuiki (Prosperità e decadenza dei Taira e dei Minamoto). Più tardo il Taiheiki (Cronaca della grande pace), che narra la caduta dello shogunato di Kamakura e l'instaurazione di quello degli Ashikaga. Del genere zuihitsu (note sparse) sono celebri due opere: l'Hōjōki (Ricordi della mia capanna) di Chōmei Kamo no (1154-1216) e lo Tsurezuregusa (Varietà dei momenti d'ozio) di Hōshi Kenkō (1283-1350). Un bel diario di viaggio è l'Izayoi Nikki (Diario della sedicesima notte) della monaca Abutsu-ni (1209-1283). Altro lungo diario è il Meigetsuki (Note scritte al chiaro di luna) di Teika Fujiwara (1162-1241), uno dei compilatori dello Shinkokinshū e altre antologie ufficiali, ma soprattutto famoso per una fortunata scelta di tanka dei sec. VI-XIII, lo Hyakunin Isshu (Cento poesie di cento poeti).

Cultura: letteratura. I periodi Muromachi e Momoyama

Durante i periodi Muromachi e Momoyama (1392-1603), dall'instaurazione dello shogunato degli Ashikaga dopo lunghe lotte (in cui si inserisce il breve periodo del Nanboku-chō, 1333-92), si ripristinò Kyōto come capitale effettiva. Una nuova forma poetica, il renga (poesia a catena), era nata dall'artificio dei tornei poetici e dei giochi di composizione di moda a corte. Celebre autore di renga fu Sōgi Iio(1421-1502), che nell'Azuma Mondō ne dettava i principi di composizione. Suo discepolo fu Botanka Shōhaku (1443-1527). Più tardi la parte iniziale del renga si staccò in una minuscola poesia di tre versi di contenuto per lo più umoristico, detta haiku e largamente coltivata nei secoli successivi. Ma la grande realizzazione del periodo fu il teatro nō.

Cultura: letteratura. Il periodo Edo o dei Tokugawa

Nel periodo Edo o dei Tokugawa (1603-1868), in cui il governo shogunale passò ai Tokugawa e la sua sede a Edo (odierna Tōkyō), l'incremento delle industrie e dei commerci determinò l'ascesa di un ceto urbano e mercantile, per le cui esigenze sorse una narrativa di destinazione popolare, interamente in kana e di contenuto avventuroso o favolistico o aneddotico. Noto cultore del genere fu Ryōi Asai (1621-1691). Su una traduzione olandese fu condotta una versione in giapponese delle favole di Esopo, l'Isoppu Monogatari. Si erano già instaurati, infatti, i primi contatti con gli europei ed era iniziata anche l'introduzione del cristianesimo, poi osteggiato e perseguitato. Queste vicende non influenzarono molto la letteratura, ma ispirarono opere narrative come il Kirishitan Taiji Monogatari (Storia dello sterminio dei cristiani). Grande successo ebbe un nuovo tipo di romanzo, l'ukiyo-zōshi (libri del mondo fluttuante), ispirato alla vita di tutti i giorni nelle grandi città. Principale autore del genere fu Saikaku Ihara (1642-1693), le cui numerose opere – tra cui Kōshoku ichidai otoko (1682; Vita di un libertino), Kōshoku ichidai onna (1686; Vita di una mondana), Nippon eitaigura (1688; Il magazzino eterno del Giappone) – rivelano una grande inventiva e una straordinaria capacità di creare nuovi modelli che mescolano elementi romantici con un realismo scettico e privo di sentimentalismi. La via iniziata da Saikaku fu portata avanti, seppure con risultati meno brillanti, da Kiseki Ejima (1667-1736) e Ippū Nishizawa (1665-1731). A partire dalla seconda metà del Settecento si affermarono altri generi di narrativa in prosa: i kibyōshi (copertina gialla), umoristici e spesso satirici, e gli sharebon (libri alla moda), ambientati nei quartieri di piacere delle grandi città e in particolare nello Yushiwara di Edo. Dedicati alle relazioni fra clienti e prostitute, alla complicata etichetta e al sistema di valori che le regolava, essi contano fra gli scrittori più rappresentativi Nanpo Ota (1749-1823) e Kyōden Santō (1761-1816). Proibiti nel 1790 per ragioni di pubblica morale, gli sharebon cedettero il passo ai ninjōbon (libri di sentimenti) che, pur trattando in sostanza gli stessi argomenti e gli stessi ambienti, accentuavano l'elemento dell'amore romantico. Fra gli autori di maggior rilievo si ricorda Shunsui Tamenaga (1789-1843). Un altro genere di grande importanza fu costituito dai cosiddetti yomihon (libri da leggere), racconti storici e avventurosi, spesso ispirati alla letteratura popolare cinese, che riservavano particolare attenzione all'intreccio e allo stile, imponendosi un maggior impegno letterario e artistico. Interprete insuperato di questo tipo di racconto fu Akinari Ueda (1734-1809): le sue raccolte, Ugetsu monogatari (Racconti di pioggia e di luna) e Harusame monogatari (Racconti delle piogge di primavera), restano fra gli esempi più interessanti di racconti storici, spesso dominati dall'elemento fantastico e soprannaturale. Dopo di lui, Bakin Takizawa (1767-1848) diede ulteriore sviluppo al genere, accentuando in modo vistoso da una parte l'elemento avventuroso e i colpi di scena, dall'altra la componente didattica ispirata alla morale confuciana e al buddhismo. La poesia haikai assurse a dignità artistica con Bashō Matsuo (1643-1694), evolvendosi in un genere lirico di carattere fortemente impressionistico. Di haikai intercalati a prosa furono composti i diari di viaggio del poeta, fra i quali resta più famoso lo Oku no hosomichi (La stretta via verso il nord). Ripreso successivamente da Buson Yosa (o Taniguchi) (1716-1783) e Issa Kobayashi (1763-1827), lo haikai (denominato haiku in epoca moderna) resta uno dei generi poetici più originali della letteratura giapponese. Il teatro si sviluppò a sua volta, dando vita a due generi “popolari”: il kabuki, interpretato da attori, e il jōruri (oggi bunraku), teatro dei burattini. Il maggior autore di testi fu Monzaemon Chikamatsu (1653-1724), cui si devono drammi storici di grande spettacolarità e drammi sociali ispirati ai conflitti inevitabili fra le imposizioni di una società fortemente gerarchica e conservatrice e le esigenze di libertà individuale. Tra gli altri autori di teatro ricordiamo Kaion Ki no (1663-1742) e Izumo Takeda (1691-1756). Quest'ultimo, in collaborazione con Senryū Namiki e altri, fu autore di Kana-dehon chūshin-gura (Un manuale sillabico ovvero il magazzino di vassalli fedeli), la famosa storia della vendetta dei quarantasette samurai, che ancor oggi resta uno dei testi fondamentali del teatro di epoca Tokugawa. Tra gli ultimi grandi autori di drammi kabuki, si ricordano Nanboku Tsuruya (1755-1829), famoso per le sue macabre storie di fantasmi, e Mokuami Kawatake (1816-1893). Un settore a sé costituì la letteratura erudita. Il movimento dei kangakusha (cultori di studi cinesi), affermatosi nel sec. XVII, auspicava un rilancio della cultura cinese e del pensiero neoconfuciano, ispirato al filosofo razionalista cinese Zhu Xi. Esponente di maggior rilievo fu Hakuseki Arai (1657-1725). L'esaltazione della cultura cinese portò come conseguenza la reazione dei kokugakusha (cultori di studi nazionali), che si dedicarono all'interpretazione, al rinnovamento, alla divulgazione del patrimonio della tradizione indigena. Tra i maggiori rappresentanti: Mabuchi Kamo no (1697-1769) e Norinaga Motoori (1730-1801).

Cultura: letteratura. Il periodo Meiji e l’influenza dell’Occidente

Nel periodo moderno e contemporaneo, dalla restaurazione Meiji (1868) a oggi, la letteratura si è rinnovata sotto l'influenza dell'Occidente. L'esigenza di un nuovo tipo di romanzo, ispirato alla realtà contemporanea e attento alla psicologia dei personaggi fu espressa soprattutto da Shōyō Tsubouchi (1859-1934) nel suo saggio Shōsetsu shinzui (L'essenza del romanzo). Nel contempo si organizzava un vero e proprio movimento volto a rinnovare il linguaggio, rinunciando alle forme letterarie ispirate ai testi classici, a favore di quelle colloquiali. Tra i primi scrittori di rilievo della nuova letteratura di fine secolo, si ricorda Shimei Futabatei (1864-1909), autore di Ukigumo (Nuvole fluttuanti), Kyōka Izumi (1873-1939) e la scrittrice Ichiyō Higuchi (1872-1896). La corrente del “naturalismo”, sviluppatasi a inizio secolo, ebbe a sua volta un ruolo della massima importanza sia nell'evoluzione di un tipo di narrativa che osservasse la realtà con un atteggiamento obbiettivo e “scientifico”, sia nello sviluppo di una lingua letteraria il più possibile aderente a quella parlata. La svolta del Novecento vede affermarsi alcuni fra i maggiori scrittori: Ogai Mori (1862-1922), che meglio di ogni altro impersona la figura dell'intellettuale illuminato, poeta, traduttore, saggista e autore di romanzi e di drammi teatrali; Sōseki Natsume (1867-1916), una delle voci più originali, attento alla realtà del nuovo Giappone e alle sue contraddizioni, ma la cui analisi delle esigenze di affermazione dell'individuo si conclude spesso con una pessimistica valutazione della solitudine a cui l'uomo moderno è inevitabilmente condannato. E ancora Kafū Nagai (1879-1959), la cui nostalgia, velata di estetismo, per situazioni e atmosfere del passato non esclude l'interesse per la realtà sociale che si veniva sviluppando. Nel campo della poesia, si tenta con successo di rinnovare gli schemi dei generi tradizionali. Rinnovatori del tanka furono la poetessa Akiko Yosano (1878-1942) e Takuboku Ishikawa (1885-1912); dello haikai (ora ridefinito haiku), Skiki Masaoka (1867-1902). Altri, come Hakushū Kitahara (1885-1942) o Sakutarō Hagiwara (1886-1942), tentarono forme nuove, staccate dalla tradizione e vicine ai modelli occidentali. Tōson Shimazaki (1872-1943) fu a sua volta poeta prima di approdare con successo alla narrativa di ispirazione naturalistica. L'influenza del naturalismo, nell'interpretazione offerta dagli scrittori giapponesi, ebbe una parte dominante nell'elaborazione di un tipo di romanzo particolare, definito watakushi shōsetsu (romanzo dell'io) e caratterizzato dalla componente autobiografica e intimistica, che avrebbe dominato a lungo la scena letteraria. Di questo genere è autore celebrato Naoya Shiga (1883-1971). L'interesse per i movimenti di avanguardia europei portò, verso gli anni Venti del Novecento, a sperimentare nuove forme di romanzo. Dalla cosiddetta Scuola delle nuove sensazioni, Shinkankakuha, sarebbe emerso Yasunari Kawabata (1899-1972), premio Nobel per la letteratura nel 1968. Nello stesso periodo, Junichirō Tanizaki (1886-1965), un altro dei maestri del Novecento, perfezionava il suo discorso su un romanzo ben strutturato, ricco di immaginazione e di colore, non privo di interesse per elementi romantici o decadenti. Gli anni Venti, ricchissimi in campo letterario, vedono anche l'affermarsi – sia pure per un breve momento – di una letteratura di sinistra attenta al richiamo di un impegno politico, esemplificata dalle opere di Takiji Kobayashi (1903-1933). La parentesi della guerra del Pacifico e la sconfitta del 1945 portarono importanti rivolgimenti. Il periodo dell'immediato dopoguerra fu segnato da una fioritura straordinaria di autori e opere di ogni genere. Tra i nomi di maggior spicco, Osamu Dazai (1909-1948), esponente di una generazione sconfitta e disillusa, portato al narcisismo e alla dissipazione come i personaggi dei suoi romanzi più famosi: Shayō (Il sole si spegne) e Ningen shikkaku (Non più umano). Più tardi emerge la figura contraddittoria di Yukio Mishima (1925-1970), in qualche modo ancorata al passato e a una tradizione di valori che appariva sempre più anacronistica e confusa negli anni della ripresa e del nuovo benessere. Suo coetaneo e ugualmente critico del sistema, anche se mosso da opposti ideali, è Kōbō Abe (1924-1993), mentre i romanzi di Kenzaburō Ōe (n. 1935), premio Nobel 1994, spesso aspri e provocatori, analizzano senza illusioni i problemi della società contemporanea. Fra le scrittrici, emergono Fumiko Enchi (1905-1986) e Sawako Ariyoshi (1931-1984).

Cultura: letteratura. Gli anni a cavallo del nuovo millennio

Alla fine degli anni Novanta del XX secolo il panorama letterario si apriva, da un lato, all'insegna del successo di una nuova traduzione in giapponese moderno del classico Genji Monogatari (Romanzo di Genji), molto apprezzata dal pubblico, dall'altro recependo i fermenti sociali del momento e soprattutto alcuni episodi di cronaca nera di cui erano stati protagonisti adolescenti, episodi tanto più sconvolgenti agli occhi dell'opinione pubblica in quanto esplosi con incredibile violenza e brutalità all'interno di un Paese che ancora vanta un basso tasso di criminalità urbana. La violenza è la protagonista di Eiji (1999), romanzo di Kiyoshi Shigematsu (n. 1963), storia di un quattordicenne, Eiji per l'appunto, testimone indifferente di una serie di reati, chiuso in un mondo di coetanei retto da regole e ritmi propri, che li separano dalla società adulta. La violenza è la protagonista anche in Indibijuaru Purojekushon (1997) di Kazushige Abe (n. 1968), scrittore fra i principali rappresentanti della cultura giovanile e vincitore nel 2005 del prestigioso Premio Akutagawa con Gurando finare (2004). Con i suoi romanzi ambientati per lo più nel popolare quartiere di Shibuya, fra musica rock, sale cinematografiche e videogames, Kazushige si conferma degno erede di autori quali Haruki Murakami e Ryū Murakami. Indirettamente ispirato all'assassinio commesso a Kōbe da un quattordicenne, teso a sottolineare le disuguaglianze sociali esasperate dalla società consumistica, è Gōrudo Rasshu (1998; Oro rapace) di Miri Yu (n. 1969), scrittrice già apprezzata per altri suoi racconti come Furuhausu (1996) e Kazoku Shinema (1997; Scene di famiglia) nel quale, con un linguaggio conciso e senza retorica, affrontava i temi dello sfaldamento della famiglia. Miri Yu, figlia di coreani residenti in Giappone, è portavoce nei suoi racconti di una “perifericità” rispetto alla cultura ufficiale e di una pervicace resistenza contro ogni forma di omologazione, la stessa che si ritrova nelle pagine di molti romanzi di scrittori di origine coreana, che costituiscono uno degli aspetti di maggior significato, ancorché fra i meno conosciuti, della letteratura di lingua giapponese contemporanea. Si tratta di una letteratura ricca, polemica, talvolta sentimentale, ma che getta una luce inquietante su una delle maggiori sfide che la società giapponese, ancora chiusa nell'illusione di una omogeneità “razziale”, in realtà inesistente, si trova ad affrontare. Miri Yu ha successivamente pubblicato anche Inochi (2000; Vita), un'autobiografia da cui è stato tratto l'omonimo film. I romanzi di Hoesung Lee (n. 1935) e quelli di Sogiru Yan (n. 1936), di cui ricordiamo in particolare Chi to hone (1998; Sangue e ossa), rappresentano un importante contributo in questa direzione. Controcorrente rispetto a una certa tendenza degli anni Novanta, che aveva proposto una lingua letteraria sempre più vicina al colloquiale, disseminata di slang e di parole inglesi o anglogiapponesi, Keiichirō Hirano (n. 1975) sceglie per il suo Nisshoku (1998; Eclisse di sole) - che peraltro si apre con una citazione di Lattanzio e parla di un monaco cristiano nella Francia del sec. XV percorsa da ondate di dottrine “eretiche” - una scrittura rigorosa, intellettualistica, arricchita da un lessico sino-giapponese che sembra scoraggiare ogni possibilità di lettura distratta o frettolosa. Il caso di Hirano, anche autore di Ichigetsu monogatari (1999) e Kao no nai rataitachi (2006), non è l'unico esempio e si allinea alla necessità, avvertita anche da altri scrittori, di salvaguardare la propria fisionomia intellettuale contro la standardizzazione imperante che tende ad appiattire ogni differenza culturale, ma anche di porre un freno al ritmo di comunicazione troppo veloce, sintetico e diretto che il nuovo linguaggio dei computer sembra aver promosso. Un accenno merita il graduale, ma costante successo ottenuto dai libri di Atsuko Suga (1929-1998). Studiosa di letteratura italiana, sensibile traduttrice di autori come Italo Calvino, Antonio Tabucchi e Natalia Ginzburg, Suga è stata inoltre autrice di una serie di saggi pubblicati negli anni della maturità, tutti dedicati alla sua esperienza di vita italiana, ai ricordi dell'infanzia, alle amicizie di un tempo, alle città dove ha vissuto e di cui è riuscita a ricreare l'atmosfera con un linguaggio evocativo e limpido, acclamato dalla critica: Mirano kiri no fūkei (1990; Milano, paesaggi di nebbia), Korushia shoten no nakamatachi (1992; Gli amici della Corsia de' Servi), Venetsia no yado (1993; Dimore a Venezia), Yurusunaru no kutsu (1996; Le scarpe della Yourcenar). Impostasi sulla scena internazionale sul finire del secolo con una letteratura che ha preso le distanze da certo rigore stilistico e dai contenuti ideologici, è Banana Yoshimoto (n. 1964), come Atsuko Suga legata in maniera particolare all'Italia, e apprezzata soprattutto per il suo linguaggio semplice e per i temi in cui si riescono a identificare le giovani generazioni di ogni latitudine (la letteratura Shojo). Tra i suoi lavori si ricordano Kitchen (1988), fortunato romanzo d'esordio, Il corpo sa tutto e Il coperchio del mare (2007). Analoga alla Yoshimoto nel registro di scrittura adottato è Machi Tawara (n. 1962). Degna di nota è anche l'opera scritta a quattro mani da Hitonari Tsuji (n. 1959) e Kaori Ekuni (n. 1964), dal titolo Reisei to jonetsu no aida (1999; Between composure and passion), che si inserisce nello stesso filone letterario, centrale è infatti il tema delle dinamiche di genere. Nel genere poliziesco, che si discosta dai romanzi ispirati agli episodi di cronaca nera citati in precedenza, fra le personalità più interessanti vi sono certamente Natsuo Kirino (n. 1951), pluripremiata in patria per i suoi romanzi, tra cui Le quattro casalinghe di Tokyo, e Yori Fujiwara. Si ricordano ancora i giovani Eimi Yamada (n. 1959) e Rieko Matsuura (n. 1958).

Cultura: arte. Fino al periodo Asuka

Documento delle prime manifestazioni artistiche in Giappone sono i manufatti fittili realizzati dai portatori del Neolitico in un'epoca di avanzato sviluppo (III-II millennio a. C.). Nella sua fase più evoluta la ceramica Jōmon fu sostituita dalla ceramica dipinta fatta al tornio del periodo Yayoi (sec. IV-III a. C.-III d. C.). Questa cultura, caratterizzata da influenze della Cina meridionale e della Corea, segnò l'introduzione dell'agricoltura e l'inizio dell'età dei metalli con una produzione di oggetti a carattere cultuale. L'attività megalitica svolta in questo periodo con la costruzione di dolmen e di menhir introduce al periodo Kofun, o delle “tombe antiche”, che va dai sec. III-IV al sec. VI d. C., con persistenze che toccano la fine del sec. VII e l'inizio del sec. VIII, cioè già in epoca Nara. Attorno a queste antiche sepolture a tumulo (di cui alcune a forma di vasta toppa, come la tomba dell'imperatore Nintoku a Ōsaka) – se ne contano ca. 50.000 – figuravano gli haniwa, cilindri di argilla recanti nella parte superiore immagini umane (anche animali oppure oggetti in miniatura) eseguite con elementari stilizzazioni e ispirate a modelli della società del tempo (danzatori, falconieri, guerrieri e cavalieri). Rapporti tra la Cina Han e il Giappone Yayoi e Kofun sono documentati dal ritrovamento nelle tombe (di cui alcune di epoca tarda presentano decorazioni pittoriche murali a violenti colori) di specchi in bronzo di fattura cinese (con decorazione a motivi geometrici del tipo “TLV”), considerati oggetto di culto e venerati in Giappone nei templi shintō, la cui architettura deriva dall'originaria forma del granaio rustico della civiltà Yayoi, come appare nell'antico santuario shintō di Ise (sec. VII). A questo modello è ispirata la forma di tutti gli altri templi dello shintoismo nei quattro stili fondamentali (shimmei-zukuri, taisha-zukuri, sumiyoshi-zukuri e kasuga-zukuri) tratti da elementi ricorrenti dei primi templi di Ise, di Izumo e di Nara, più tardi tuttavia sensibili a modifiche e aggiornamenti stilistici per l'assimilazione di elementi dell'architettura buddhista.

Cultura: arte. Il periodo Asuka

La diffusione della cultura cinese in Giappone si attuò nel periodo Asuka (552-645), soprattutto tramite il buddhismo, e l'apporto di questa civiltà figurativa dell'Asia sostanziò subito dei suoi moduli iconografici la scultura buddhista giapponese con una serie di capolavori (gruppo in bronzo dorato della Triade di Sākyamuni, Nara, Hōryū-ji, Kondō; i Quattro Re Guardiani, Shitennō, in legno policromo e dorato, Nara, Hōryū-ji, Kondō; le immagini lignee di Miroku Bosatsu, Kyōto, Kōryu-ji; Nara, Chūgū-ji). Un posto a sé stilisticamente occupa l'imponente statua di Kudara-Kannon, il cui nome (Kudara) rivela la matrice coreana (Nara, Hōryū-ji). Anche la pittura Asuka raggiunse un altissimo livello, sia pure documentato nelle uniche prove del frammento ricamato di tappezzeria Tenjukoku (Nara, Chūgū-ji) e delle pitture che decorano il piccolo tempio-reliquiario Tamamushi-no-zushi (Nara, Hōryū-ji, Kondō). Quasi nulla è rimasto dell'architettura Asuka, informata ai nuovi criteri architettonici introdotti dalla Cina, ma basta il complesso dell'Hōryū-ji, nei pressi di Nara, che costituisce la più antica architettura in legno, per intendere il concetto informatore che presiedeva ai principi di queste costruzioni e le infinite possibilità di soluzioni strutturali e di raggiungimenti estetici consentiti dall'uso e dallo sfruttamento del legno nelle più imprevedibili applicazioni. Edificato agli inizi del sec. VII, entro la cinta del suo chiostro rettangolare (hōrō) con portico a copertura sporgente, sorgono, in perfetta simmetria su una linea perpendicolare all'asse N-S, la pagoda a cinque piani decrescenti () e la “Sala d'oro” (padiglione a pianta rettangolare detto Kondō); sul fondo, rispetto alla porta centrale (chūmon), si trova un edificio per la lettura dei testi sacri (Kōdō), affiancato ai lati da due costruzioni minori, rispettivamente “Sala delle scritture” (Kyōzō) e “Sala della campana” (Shōrō). Distrutto in un incendio intorno al 670, il tempio fu poi ricostruito all'inizio del sec. VIII con alcune varianti e aggiunte (il piccolo padiglione ottagonale o “Sala dei sogni”, Yumedono), nonché abbellimenti (pitture murali nel Kondō, collegabili stilisticamente alle pitture tombali cinesi) realizzati a cavallo delle due ere Hakuhō (646-710) e Tempyō (710-94) del periodo Nara, in cui si definiscono nell'ambito dell'architettura cinese gli esiti della tradizione architettonica fissata nelle premesse del periodo Asuka.

Cultura: arte. Il periodo Nara

Lo svolgimento dell'arte giapponese nei sec. VII e VIII coincide e si attua nel periodo Nara, soprattutto a partire dal 702, in cui maggiore e più conscia è l'aderenza alle istituzioni e al patrimonio culturale della civiltà cinese. A partire dal primo decennio del sec. VIII la presenza della cultura cinese in Giappone, come altrove nell'Asia estremo-orientale, si realizzò con un vero e proprio innesto sulle tradizioni locali già contaminate dall'origine di caratteri formativi sino-coreani. La nuova capitale fu fondata nel 710 a Heijō-Kyō (l'odierna Nara), dopo le precedenti sedi di Naniwa (Ōsaka) e di Fujiwara, ispirandosi per l'urbanistica e per l'architettura al modello della città cinese di Ch'ang-an, capitale delle dinastie Han e T'ang. L'uso tradizionale del solo legno nelle costruzioni se da un lato rese più difficile la traduzione in questo materiale dell'architettura T'ang da un altro riuscì quanto mai proficuo per la libertà di soluzioni e spesso con risultati di autentica originalità. Tra i grandi templi con piante a schemi diversi sorti nel periodo Nara sono da ricordare lo Yakushi-ji, il Tōdai-ji, dotato del caratteristico padiglione (shōsōin), specie di deposito del tesoro derivato nella forma dall'antico granaio shintō; il Kōfuku-ji, il Taimadera, il Tōshōdai-ji e lo Eizan-ji. Di questi e di altri templi rimangono, dell'epoca, isolate costruzioni, come pagode (che qui assumono valore equivalente a quello dello stūpa) e Sale (padiglioni) nella varietà di funzioni a esse assegnate. Sull'impulso di questo fervore costruttivo fiorirono le arti e l'artigianato per l'apporto di artisti e maestranze degli stessi monasteri. Come l'architettura, anche la scultura e la pittura si ispirarono alle fonti cinesi dell'arte T'ang e si realizzarono soprattutto nell'ambito religioso del buddhismo. A sostanziare la scarna documentazione della pittura Nara, limitata nella sua espressione maggiore a ciò che rimane delle pitture che decoravano il Kondō dell'Hōryū-ji, vengono ad aggiungersi ora le pitture murali della tomba di Takamatzu-zuke nel villaggio di Asuka, scoperta nel 1972, la cui datazione oscilla tra la fine del sec. VII e l'inizio del sec. VIII. Queste pitture rappresentano due gruppi contrapposti di “dame” e “valletti”, mentre nelle pareti laterali sono rappresentati animali fantastici legati alla simbologia cosmica cinese. Il realismo delle figure, i particolari delle acconciature e degli abbigliamenti, la ricchezza e la vivacità dei colori, la sicurezza del disegno, mostrano una conoscenza, uno stile e una tecnica senza precedenti nella pittura giapponese di quest'epoca, la cui matrice deve ricercarsi nella tradizione della pittura T'ang, arricchita di elementi centro-asiatici e interferente su uno stile composito sino-coreano. Queste pitture precedono di circa mezzo secolo le prime prove dell'arte degli emakimono: la prima pittura su rotolo appare solo nel 735 attraverso la copia giapponese del sutra cinese Ka ko-Genzai-Inga-Kyo (Causa ed effetto nel passato e nel presente), in cui le scene dipinte sono un'elaborazione della pittura cinese di paesaggi e figure dell'epoca T'ang. Il realismo del brano di pittura della tomba di Takamatzu-zuke è la sola nota di contatto con l vivace realismo offerto dalla scultura Nara, che segna, appunto, in questo senso, un'evoluzione stilistica rispetto alla produzione del precedente periodo Asuka. Oltre alle opere in bronzo del primo periodo Nara, che mostrano già una decisa interpretazione giapponese dello stile cinese T'ang profondamente assimilato (statue di Sho-Kannon e di Yakushi con gli accoliti Gakkō e Nikkō; Nara, Yakushi-ji), importanti sono quelle eseguite in lacca secca e in argilla nel secondo periodo (Tempyō). In argilla essiccata e dipinta sono le statue dei due Bodhisattva che compongono la Triade con Fukūkenjaku Kannon (in lacca secca dorata) nell'antico edificio (Hokkedō) che costituiva il primo Tōdai-ji a Nara, poi destinato a raccogliere opere di scultura, come le gigantesche statue di Kichijōten, di Benzaiten, dei Quattro Re Guardiani. I maggiori esempi di scultura in lacca secca dipinta (tecnica che permetteva di ottenere varietà di effetti e precisa descrizione di particolari) si trovano invece nel Kōfuku-ji di Nara (statue dei Guardiani Celesti e dei Discepoli di Śākyamuni). In lacca secca dipinta è pure un'importante opera di ritrattistica Nara (il Sacerdote Ganjin nel Tōshōdai-ji di Nara), il cui genere trova varietà di espressioni nella ricca produzione delle maschere lignee per la danza Gigaku (in gran numero sono conservate nei templi), dove il gusto per il caricaturale e il grottesco s'accompagna spesso con acute annotazioni psicologiche. La tecnica per le sculture in legno eseguite in un unico pezzo (ichiboku-bori) dà origine a un nuovo stile, che caratterizzerà in parte la successiva scultura Heian.

Cultura: arte. Il periodo Heian

L'arte del periodo Heian (794-1185) si svolge senza gli apporti della cultura cinese, favorendo così lo sviluppo degli stili indigeni secondo il gusto raffinato della società aristocratica quale si manifestò nel periodo in cui maggiore fu il potere assunto dalla casta dei Fujiwara, che dalla metà del sec. IX dominò la vita politica e culturale del Giappone. È in questo periodo che si realizza la pittura nazionale Yamato-e, il cui stile trova la massima espressione nelle illustrazioni dei racconti su rotolo (emakimono). Altri sviluppi della pittura profana furono sollecitati dalle stesse caratteristiche dell'architettura delle case signorili (shinden-zukuri) che offriva nel sistema di suddivisione interna degli spazi superfici nuove per la decorazione, quali i divisori scorrevoli o mobili (byobu). Temi della pittura Heian, oltre a quello classico delle “quattro stagioni” dipinto su seta (kinu-e) e commentato da un componimento poetico (waka), erano le illustrazioni ispirate ai romanzi, ai fatti storici e alle biografie dipinte su carta (kami-e). Il Genji Monogatari (monogatari-e: pitture racconto), per esempio, ha fornito il tema a molti rotoli eseguiti già nel sec. XI e ricchi di invenzioni formali e compositive. Una variante della tecnica tsukuri-e (disegno a inchiostro e colori) fu quella sumi-e, pittura a solo inchiostro (che tanto sviluppo ebbe nei periodi successivi), con la quale furono eseguiti i rotoli Chōiūgiga (Caricature degli animali), attribuiti al pittore noto con il nome di Toba Sōjō (1053-1140) e conservati nel tempio di Kozan (Kyōto). Agli inizi del sec. IX risale l'istituzione dell'Edokoro, organo statale pertinente l'attività pittorica nell'ambito della corte imperiale, il cui ufficio e carattere si mantennero fino al sec. XIX. Fecondi impulsi all'arte religiosa derivarono dalle fortune del buddhismo nello sviluppo di nuove tendenze e di nuovi sistemi di pensiero, implicando così il manifestarsi di nuove pratiche cultuali. In questo periodo fiorirono le sette esoteriche Tendai e Mikkyō, attraverso le quali fu operato, tra l'altro, l'allargamento del pantheon buddhistico per inserire nell'ambito delle sue manifestazioni anche quelle relative al culto delle divinità shintō, di cui un antico esempio nella rappresentazione scultorea è la statua lignea di Dea shintoista nel santuario Matsuo a Kyōto. Più tardi un nuovo arricchimento iconografico si manifestò nell'arte con il diffondersi in larghi strati popolari del culto del Buddha Amitābha (Amida) e di quello del Bodhisattva Avalokiteśvara (Kannon). Nella prima metà del sec. XI apparvero i Raigō, dipinti raffiguranti Amida con la sua corte divina che venivano mostrati ai morenti. Uno dei maggiori esempi di Raigō è nelle pitture murali (Paradiso di Amida) della “Sala della Fenice” (Hōōdō) del Byōdōin di Uji (Kyōto), eseguite nel 1053, dove si coglie anche, nella trattazione delle immagini, la ricerca di definire una tipologia di volti giapponesi, ricerca che offre esiti interessanti nella pittura su rotolo di seta raffigurante il Parinirvana del Buddha (tempio di Kongōbu sul monte Koya), eseguita nel 1086. L'architettura buddhista di questo periodo, il cui incremento sollecitò leggi urbanistiche a tutela della città, favorendo così la costruzione di grandiosi monasteri in montagna (le cui forme furono prese a modello da altri costruiti entro e subito fuori della capitale), si espresse in una varietà di stili, spesso determinati dall'adeguamento delle strutture alle caratteristiche dell'ambiente naturale, che comportarono l'introduzione di nuovi edifici. Esempi dell'architettura Heian sono i templi Mikkyō Enryaku-ji (Hieisan) e il Kongōbu (Kōya-san); il Konjikidō del Chūson-ji, la “Sala della Fenice” del Byōdōin di Uji. Sviluppi ebbe anche l'architettura civile: le abitazioni dei nobili (shinden-zukuri) si ispirarono al modello degli edifici staccati (shinsenen) delle tre sezioni del complesso del palazzo imperiale (Daidairi). Tra le varie scuole di scultura prevalsero in questo periodo due stili, uno legato alle immagini buddhistiche conservate nel Tōshōdai-ji e l'altro aderente alla visione esoterica Mikkyō (sculture nei templi di Tōji, Kyōto; di Kanshin nella prefettura di Ōsaka). Carattere dominante nella scultura Heian è la ricercata bellezza delle immagini, alla quale però non corrisponde la trattazione dei corpi che rivelano sproporzioni nell'accentuazione di maestosità. Tra i capolavori si ricordano le due statue di Yakushi (Kyōto, Jingo-ji, Kondō; Nara, Shinyakushi-ji), la Kannon con undici teste (Nara, Hōkke-ji), la statua del Re Guardiano Tobatsu Bishamonten (Kyōto, Kyōōgokoku-ji), il ritratto del Sacerdote Roben, fondatore del Tōdai-ji (ove figura), le araldiche Fenici che ornano il santuario della Fenice nel Byōdōin (Uji), la possente statua di Amida Nyorai (nel medesimo santuario) scolpita da Jōchō (1053), la pittoresca immagine di Kichijoten (Kyōto, Jōruriji), così terrena nella sua delicata bellezza. Dagli elementi ornamentali che impreziosiscono la statuaria Heian, nell'ordine di schermi, baldacchini, mandorle, diademi, aureole, gioielli, stendardi si ha una precisa testimonianza dell'alto livello raggiunto dall'artigianato in quest'epoca, così attivo ed esperto nei vari campi per soddisfare la ricca clientela dei preti e dei nobili. Sugli esiti dei grandi raggiungimenti realizzati in quest'epoca il Giappone codifica i caratteri essenziali della propria civiltà, destinata a evolversi e lentamente trasformarsi per gestazione intima nel proprio ambito naturale e culturale.

Cultura: arte. Il periodo Kamakura

Ancora motivi religiosi e trasformazioni politiche sono all'origine dei fatti artistici prodottisi durante il periodo Kamakura (1185-1333), durante il quale grande importanza ebbero sulla cultura la filosofia zen e il potere della casta militare. Sorsero templi zen nello stile cinese (kara-yo): Kennin-ji (1202, Kyōto), Kencho-ji (1253, Kamakura), “Sala delle Reliquie” (Shariden) dello Engaku-ji (1279, Kamakura). Nacque l'architettura dei samurai, di cui tuttavia non ci sono giunti esempi (elementi essenziali dell'abitazione del samurai erano i fusuma e i kiki-chigaido, porte scorrevoli, una stanza per i colloqui, nicchie per il kakemono e oggetti decorativi, una veranda o shoin). La vecchia aristocrazia ridusse la propria abitazione (shinden-zukuri) all'edificio principale (shinden). Fiorì in quest'epoca l'arte degli emakimono sui temi della storia dei templi (Shigisan-Engi-Emakimono, Kasuga-Gongen-Kenki-Emakimono), sulle feste annuali di corte (Nenju-Gyoji-Emakimono), su racconti di guerra (Heiji-Monogatari-Emakimono), sulle biografie illustrate (e-den) di importanti monaci (Ippen-Shonin-Eden), su altre vicende storiche (Banno-Dainagon-Ekotoba, Moko-Shura-Ekotoba). In pittura si sviluppò anche il genere del ritratto nel quale fu famoso Fujiwara Takanobu (ritratti di Minamoto-no-Yoritomo e di Fujiwara Mitsuyoshi) per l'acutezza dell'indagine psicologica. La medesima appare ancor più sottolineata nell'aggressivo realismo della scultura, in una serie di ritratti (Seshin e Mujaku nel Kōfuku-ji di Nara; il sacerdote Shunjo, Tōdai-ji, Nara; Uesugi Shigefusa, Meigetsuin, Nara) e di espressive immagini di divinità. Oltre a Unkei, i maggiori interpreti della scultura furono Tanchei, Kōkei e il figlio adottivo Kaikei, Kōshō, Jokei.

Cultura: arte. Il periodo Muromachi

La tendenza della scultura ai modi stilistici del passato si accentuò maggiormente nel successivo periodo Muromachi (1333-1573), che ne segnò un po' la decadenza, mentre si affermava l'arte delle maschere nell'ambito del teatro per qualità tecniche e originalità di creazione. Espressione artistica dello spirito zen divenne nel sec. XV la pittura monocroma a inchiostro (suiboku-ga) praticata soprattutto nei monasteri di questa religione a opera dei preti-pittori (gasō). Con questa tecnica, nel tema del paesaggio, eccelsero Josetsu, Shūbun, Sesshū (che fu il maggiore di tutti), il suo allievo Sesson, Kei Shoki. A questi s'aggiungono Nōami, Geiami e Sōami, che ricercarono il carattere decorativo dei paesaggi sulla traccia delle pitture cinesi Sung. Ad altra corrente appartengono in quest'epoca gli iniziatori della scuola Kanō (Masanobu, Motonobu e Yukinobu) a servizio della corte Ashikaga, aperta a ogni forma d'arte. Nei caratteri della pittura Muromachi elementi della tradizione Yamato-e si fondono e rivivono nello stile della scuola Tosa. L'arrivo degli Occidentali nella prima metà del sec. XVI divenne in pittura argomento per temi namban (occidentali del Sud). La diffusione della cerimonia del tè (cha-no-yū) incrementò la produzione di teiere in metallo e di tutto il vasellame in ceramica a essa connessa. L'architettura shinden-zukuri ripiegò su dimensioni sempre più anguste determinando la diffusione dello stile shoin-zukuri.

Cultura: arte. Il periodo Momoyama

Nuovi orientamenti ebbe l'architettura nel breve periodo Momoyama (1573-1614) con la costruzione di una serie di castelli fortificati che sollecitarono nuovi tipi di arredamento, improntati a un gusto sfarzoso. Dal 1543 al 1611 furono costruiti i castelli di Azuchi (che si avvalse per le decorazioni interne dell'opera di Eitoku Kanō), di Ōsaka, del Jurakudai di Kyōto, di Momoyama, seguiti, tra gli altri, da quelli di Matsumoto, di Nijo, di Hime-ji e di Nagoya. Accanto all'arte dei castelli, che caratterizzò tutto questo periodo, si sviluppò quella dei giardini (con lago e rocce) e quella della cerimonia del tè, per la quale furono creati due nuovi edifici, il cha-seki (sala del tè) e il cha-shitsu (padiglione del tè) di estrema semplicità.

Cultura: arte. Il periodo Edo

Orgogliosa del proprio passato al quale rimase fondamentalmente legata, la civiltà giapponese del periodo Edo , o dei Tokugawa (1615-1868), ne evocò con ambiziosa retorica celebrativa le forme e gli aspetti più tradizionali, dando di sé un'immagine cristallizzata, ricca di colori e di pittoresco, quale si rivelò all'incontro con l'Occidente nel sec. XIX. Le chiusure culturali di questo periodo non impedirono però la lenta trasformazione del gusto delle nuove classi sociali e lo svilupparsi dell'arte popolare delle stampe secondo lo stile della pittura Ukiyo-e, che costituisce il più importante fatto artistico dell'epoca e uno tra i più interessanti contributi alle origini dell'arte moderna europea. L'incontro con l'Occidente favorì nell'arte giapponese lo sviluppo di alcune tendenze europeizzanti già in atto alla fine del periodo Edo e la cui attività divenne più vitale nel periodo Meiji-Taisho.

Cultura: arte. Il periodo Meiji-Taisho (1868-1926)

Con la fondazione nel 1876 della Scuola di Belle Arti con corsi di insegnamento delle tecniche della pittura a olio occidentale (vi insegnarono gli italiani E. Chiossone e A. Fontanesi; nella sezione della scultura insegnò V. Ragusa). Tale sezione fu poi creata nel 1896 nella Scuola di Belle Arti di Tōkyō, dove insegnò Seiki Kuroda, che aveva soggiornato in Francia. Accanto e in opposizione alle correnti occidentalizzanti, che nel corso della prima metà del sec. XX avevano via via assimilato le influenze del postimpressionismo, del fauvismo, dell'espressionismo, del cubismo, del surrealismo e dell'arte astratta, si rafforzò la corrente fedele agli stili della tradizione, la cui attività giunge fino ai giorni nostri, raccogliendo i migliori risultati però nel campo delle arti decorative, dove i caratteri autentici dell'arte giapponese trovano maggiori disponibilità di espressione.

Cultura: arte. L’età contemporanea

Determinante appare l'azione svolta in questo dibattito dai movimenti d'avanguardia sviluppatisi in Giappone dopo il 1945. Un'importanza eccezionale assume nei caratteri della civiltà contemporanea giapponese il ruolo svolto dall'architettura (e quindi dell'urbanistica), la cui evoluzione, manifestatasi con l'incontro della civiltà occidentale che portò nell'arcipelago nuovi materiali costruttivi (acciaio e cemento armato) e le influenze di Wright, Le Corbusier, Gropius e Mies van der Rohe, giunge alle sorprendenti realizzazioni che si sono susseguite a partire dagli anni Cinquanta del XX secolo. Tra i maggiori artefici dell'immagine architettonica contemporanea del Giappone, che può essere assunta quale simbolo della sua spettacolare ascesa economica, figurano, a iniziare dai più vecchi, Tōgo Murano e A. Raymond, Junzō Sakakura, Kunio Maekawa, Kiyonori Kikutake, Kisho Noriaki Kurokawa e, soprattutto, Kenzō Tange, le cui opere risentono della bruciante esigenza di rottura con ogni sorta di esitazione dialettica con la storia, ma altresì rivelano, nell'entusiasmante creatività sempre originale, limiti e pericoli che sono propri della produzione sperimentale. Sotto la sua influenza nasce il Metabolism, cui prendono parte Kikutake, Kurokawa e Fumihiko Maki. Numerose le realizzazioni del gruppo nell'ambito dell'architettura istituzionale. Dopo l'Expo di Ōsaka (1970), che segna l'apice del movimento suddetto, la cultura architettonica giapponese mostra due orientamenti: i “professionisti”, fautori di un linguaggio architettonico funzionalista e altamente tecnologico, e i “concettualisti” rivolti alla ricerca estetica e simbolica dell'oggetto architettonico. Tra questi ultimi ricordiamo Arata Isozaki e Kazuo Shinohara. Dagli anni Ottanta del Novecento l'architettura giapponese ha raccolto l'interesse internazionale anche intorno all'opera di Tadao Andō, che, insieme a Isozaki e Shinohara, opera in contesti tra i più diversi in tutto il mondo. L'arte giapponese continua a svolgere un ruolo di primo piano nel panorama internazionale grazie alla sua tensione innovativa e alle soluzioni originali che hanno spesso anticipato esperienze congeneri negli ambienti occidentali. Gli anni Ottanta hanno visto la maturazione delle caratteristiche essenziali, quali la tendenza materica, la forte accentuazione concettuale e la manifestazione artistica intesa come “evento”, già messe in luce nella decade precedente da alcuni gruppi di segno avanguardistico sorti in Giappone con l'intento, fra l'altro, di distinguersi dallo spirito occidentale, traendo ispirazione dal pensiero asiatico. La diversa concezione del mondo e la peculiare filosofia della natura, che hanno sempre dato luogo a un sentimento diffuso di esteticità, nella pratica dell'arte della fine degli anni Ottanta hanno condotto a opere di grande originalità che si imperniano sostanzialmente sul rapporto che coinvolge l'uomo e l'ambiente circostante. In tale prospettiva all'artista viene negato un ruolo “creativo”, limitando la sua funzione a quella di mediatore fra elementi del mondo della natura e percezione del fruitore. L'accostarsi alla natura, considerata quale soggetto compartecipe della manifestazione artistica, ha visto l'intervento dell'artista muoversi nei due sensi dell'esperienza: verso il particolare e verso l'universale. L'attenzione si focalizza cioè su singoli aspetti, nell'ambito dei quali vengono privilegiati materiali quali pietra, legno, acqua, terra, ferro, plastica, ecc., che vengono isolati dall'ambiente circostante onde farne scaturire la bellezza intrinseca. Considerando l'assorbimento dell'artista in un ruolo di catalizzatore e l'impulso a un compimento di visione e di stile di vita, la critica giapponese preferisce riferirsi alla propria arte non come a una “forma d'arte”, ma piuttosto a un “evento”, scorgendo nella definizione “arte che non è arte” l'unica possibilità di circoscrivere in parole la portata essenziale del proprio contributo. Tra le figure più importanti del Novecento figurativo giapponese emergono Saburo Hasegawa (1906-1957), esponente di punta dell'astrattismo, Takeo Yamaguchi (1902-1983), Saito Yoshishige (1904-2001). Nell'arte che fa della sperimentazione tecnologica uno dei motivi fondanti si segnalano Yasumasa Morimura, che unisce la manipolazione fotografica a spunti tratti dalla contemporaneità o dalla tradizione, così come Tatsuo Miyajima. La tecnologia digitale è alla base anche delle opere di Mariko Mori. Masato Nakamura è prevalentemente performer, come i membri del commandN, gruppo artistico che utilizza gli spazi urbani di Tōkyō per le proprie opere-video. Lo sviluppo dell'arte contemporanea si lega per altro verso al proliferare di spazi espositivi, istituzioni, fondazioni e iniziative di respiro internazionale, sia sul fronte pubblico che privato: fra i molti la Tōkyō Opera City Art Gallery, il National Museum of Modern Art e il National Art Centre nella capitale, il Kyōto Art Centre, il Kōbe Art Village Centre.

Cultura: teatro

In Giappone le prime forme di spettacolo appaiono strettamente legate ad antiche manifestazioni liturgiche in occasione di periodici riti agresti connessi allo shintoismo, nei cui svolgimenti erano inseriti canti, danze e pantomime propiziatorie. Alcune di queste cerimonie, note con il nome di kagura o wazaoki (divertimenti degli dei) e suddivise in mi-kagura (sacre danze shintoiste eseguite presso la corte imperiale o dinanzi ai templi) e in sato-kagura (danze popolari eseguite in alcune festività da attori mascherati al suono del flauto e del tamburo), erano già mitologicamente giustificate da alcuni passi del Kojiki e sono rimaste a far parte del culto indigeno fino a oggi. Ma elementi cinesi e buddhisti si combinarono in seguito con le rappresentazioni indigene, che avevano frattanto perduto il loro carattere rituale e si erano venute configurando più come spettacoli profani di contenuto giocoso e burlesco (tali le utagaki, trattenimenti con danze e canti, specie di feste campestri; le tamai, le azumamai, ecc.). Risalgono ai sec. VII e VIII le prime forme di spettacolo storicamente riconoscibili, note con i nomi di gigaku (cortei mascherati con danze e brevi farse) e bugaku (spettacoli di danze simboliche). Esse, con il sangaku, poi sarugaku (musica delle scimmie), che nella sua forma d'arte (sarugaku-no-nō) fu di preludio al , con il mimo bucolico buddhista del dengaku (musica delle risaie), furono appunto il risultato di questa contaminazione e, con il loro splendido e a volte grottesco corredo di maschere, godettero di largo favore e popolarità. Tutte queste forme vennero organizzate ufficialmente dall'Ufficio per gli Spettacoli e la Musica di Corte (Gagaku-ryō), fondato nel 701, secondo le istruzioni del codice dell'era Taihō. Ma trattandosi di spettacoli spesso privi di testi e di sceneggiature, prevalentemente composti di danze, canti, esibizioni acrobatiche e brevi testi recitativi di vario genere, è difficile oggi ricostruirne il contenuto. Assai poco si può desumere da quanto sopravvisse nei generi più tardi e in particolare in quella complessa e completa forma di spettacolo che doveva essere il , che costituisce la massima realizzazione teatrale giapponese. Forma di dramma lirico, ispirato ai miti nazionali, alle antiche leggende e alle saghe eroiche e basato su testi che si distinguono in drammi di divinità, di battaglie, di vendette e di magia (scritti sia in prosa sia in versi e quasi tutti di elevatissimo valore letterario), il si compone di canto, danza, musica e recitativo affidato prevalentemente a due soli attori. Gli attori (anche le parti femminili sono interpretate da uomini) vestono costumi molto belli e complessi e indossano maschere di preziosissima fattura; la scena è assai nuda e sempre fissa. La rappresentazione, che inizialmente impegnava un numero elevatissimo di ore, è intermezzata, per distrarre e divertire il pubblico, da farse molto simili alle nostre commedie di carattere, chiamate kyōgen, il cui contenuto, vivace e scanzonato, che ritrae situazioni della vita comune, e il cui linguaggio, dialettale e spesso sguaiato, contrastano vivamente e volutamente con la raffinatezza e l'aulicità del . Il merito di aver tramandato l'elaborazione e la codificazione definitiva del , rimasto sostanzialmente inalterato fino ai nostri giorni, spetta a Kiyotsugu Kan'ami (1334-1385) e soprattutto a suo figlio Motokiyo Zeami (1363-1444), autore di centinaia di drammi e di diversi trattati, fra cui il Kadenshō (Il libro della trasmissione del fiore). In esso egli espose compiutamente le sue teorie estetiche, soprattutto a proposito delle tecniche di recitazione, nelle quali prescrisse che l'attore del dovesse avere due principali requisiti: lo hana, il fiore, una specie di qualità naturale e congenita dell'artista sviluppata anche dall'abilità tecnica, e lo yūgen, il mistero, la profondità, sorta di stato di compenetrazione nell'essenza dell'arte. Forme teatrali decisamente popolari sorsero in epoca Tokugawa (1603-1868) accanto al crescente sviluppo del . Il bunraku, in origine introdotto dalla Cina, si venne legando al repertorio dei cantastorie girovaghi giapponesi che avevano reso celebre soprattutto un racconto, il Jōruri-hime Monogatari (La storia della dama Jōruri), nato nel sec. XVI. Di qui il nome di jōruri, passato a indicare il genere, per il quale verso la fine del sec. XVI e gli inizi del XVII alcuni declamatori iniziarono ad avvalersi di burattini manovrati a mano. Ōsaka divenne uno dei centri più rinomati di jōruri e accolse uno dei primi teatri stabili, il Takemoto-za. Il kabuki invece (ancor oggi rappresentato anche nella sua forma più moderna, lo shin-kabuki o neo-kabuki) all'origine consisteva in spettacoli di danze e pantomime, alternate a intermezzi comici, alle quali si affiancarono in seguito il dialogo e l'azione. I drammi, sia per il kabuki sia per il jōruri, furono distinti in due tipi: jidai-mono, di ispirazione storico-epica, e sewa-mono, di argomento sociale e ispirati a storie di amori infelici, di conflitti di classe, di rigidi doveri sociali, che avevano una loro corrispondenza con gran parte della contemporanea letteratura degli ukiyo-zōshi. Sul piano artistico l'affermazione del teatro kabuki fu operata principalmente dagli attori Tōjurō Sakata (1647-1709) e Ichikawa Danjūrō (1660-1704), che diedero agli spettacoli la forma e la struttura conservate fino a oggi e definirono le tecniche di recitazione e l'intero sviluppo dei drammi, per quanto concerne sia le sceneggiature sia le coreografie. I maggiori drammaturghi dell'uno come dell'altro genere furono Monzaemon Chikamatsu (1653-1724) e Ki no Kaion (1663-1742), i cui testi più famosi sono ancora oggi frequentemente messi in scena. L'influenza occidentale, in seguito alla riapertura del Paese (1868), fu recepita anche dal teatro che si modernizzò come genere e nelle tecniche recitative. Ciò avvenne soprattutto per il kabuki, nel cui repertorio furono inseriti testi d'ispirazione realistica e molto realisticamente rappresentati. Diede il via al nuovo orientamento il grande attore Ichikawa Danjūrō IX (1838-1903), avvalendosi di testi di drammaturghi quali Mukuami Kawatake (1816-1893). In seguito si formò a Ōsaka il cosiddetto teatro della nuova scuola (shinpa), forma di transizione dal kabuki allo Shingeki (Nuovo teatro), il quale ha assunto completamente le caratteristiche del teatro occidentale, riportando tra l'altro sulla scena, da cui era stata tenuta severamente lontana nel e nelle altre forme teatrali dal sec. XVIII, la donna. Si deve a Shōyō Tsubouchi (1859-1934), oltre a un certo numero di tragedie, un importante saggio dal titolo Wagakuni no shingeki (Il nostro teatro storico). Altri noti scrittori si dedicarono spesso ai testi teatrali: Saneatsu Mushakōji (1885-1976), Kan Kikuchi (1888-1948), Kurata Hyakuzō (1891-1943), Kidō Okamoto (1872-1939), Ōgai Mori (1862-1922) e Kaoru Osanai (1881-1928), che fu noto anche come critico, regista, innovatore e sperimentatore assiduo e instancabile e fondatore dello Tsukiji-shōgekijō (Piccolo teatro di Tsukiji), una formazione che servì da guida alle più importanti compagnie dell'epoca. Anche il teatro, sebbene spesso disordinatamente, subì gli influssi delle varie tendenze dell'Occidente, da cui furono introdotte innumerevoli opere. Rilevante fu pure la funzione del teatro proletario, per cui scrissero buoni testi, fra gli altri, Murayama Tomoyashi, Jūrō Miyoshi (1902-1958), Magatsuka Takashi (1879-1915) e Shimazaki Tōson (1872-1943). Alcuni validi autori, membri del Bungaku-za (teatro letterario), fra cui sono da ricordare Kubota Mantarō e Kishida Kunio (1890-1951), svolsero un'importante opera di opposizione a ogni forma di schematicità contenutistica e formale. L'ultimo conflitto dissestò le varie compagnie, tranne il Bungaku-za, ma ben presto il teatro risorse con nuove e interessanti realizzazioni e con autori degni di nota quali Tanaka Chikao, Mafune Yutaka e Kinoshita Junji, che operò un'interessante contaminazione tra il kabuki e il teatro occidentale. Sulle scene giapponesi continuano comunque a coesistere, rappresentazioni d'avanguardia, non di rado di notevole valore artistico, e generi tradizionali, ancora molto apprezzati. Nuova vitalità ha mostrato il genere shōgekijō, con un intenso ricambio generazionale fra gli autori, che ne ha assicurato rinnovamento e prolificità. Tra i nomi più importanti si ricordano Kohei Tsuka (n. 1948), Hideki Noda (n. 1955), Oriza Hirata (n. 1962), Keishi Nagatsuka (n. 1975). La nuova stella del kabuki è invece Kankuro Nakamura.

Cultura: musica

La musica giapponese presenta forti affinità con quelle di Cina, Mongolia, Corea e Viet Nam, con le quali forma un'unica famiglia; da Cina e Corea subì influssi particolarmente significativi. Come negli altri Paesi del gruppo citato la scala base è quella pentatonica del ciclo delle quinte e lo strumento tipo è una cetra dalle corde di seta, che in Giappone reca il nome di koto. Non si hanno molte notizie sui secoli più remoti. Nel sec. VIII d. C. risulta testimoniata la musica che accompagnava i riti buddhisti; si formò allora, per influsso cinese, il genere tipico della musica di corte giapponese, il Gagaku (musica elegante). L'orchestra del Gagaku era formata dallo shō (sorta di organo a bocca), dal ryūteki (flauto orizzontale), dallo hichiriki (piffero-oboe), dal biwa (liuto piriforme) e da diversi tipi di tamburi: strumenti in gran parte importati dalla Cina. La musica giapponese conobbe altre evoluzioni in rapporto al formarsi di nuove sette religiose e al mutarsi dei riti; in campo profano si svilupparono diversi tipi di pantomime. Nel periodo Kamakura sorse un canto accompagnato dal biwa e consistente nella declamazione di saghe eroiche. Verso la fine della stessa epoca nacque dalla fusione di spettacoli teatrali precedenti il , lo spettacolo nazionale del Giappone, in cui la musica occupa una posizione di primo piano, accanto alla mimica e alla recitazione. Oltre al canto vi intervengono per la parte musicale un flauto e tre tamburi (talvolta anche altri strumenti). La musica ebbe una funzione di rilievo anche nella contemporanea farsa kyōgen e nel più tardo genere teatrale del kabuki. Intorno alla metà del sec. XVI fu importato dalla Cina un antico strumento che divenne lo shamisen (sorta di liuto a 3 corde) ed ebbe una vasta diffusione. Tra gli strumenti più caratteristici della musica giapponese va menzionato anche il flauto diritto di canna di bambù chiamato shakuhachi. I generi musicali principali già nominati si cristallizzarono e non subirono trasformazioni sin verso la fine del sec. XIX, cioè fino al momento in cui il Giappone si aprì all'influenza della musica occidentale, che assimilò profondamente, più di ogni altro Paese asiatico, istituendo parallelamente (unico nell'Estremo Oriente) scuole e orchestre di alto livello. Le più significative e originali tradizioni tuttavia non furono lasciate decadere e soprattutto in tempi recenti sono state consapevolmente valorizzate. Il primo compositore di musica sinfonica e fondatore di un'orchestra filarmonica di tipo occidentale fu Kosaku Yamada (1886-1965), che aveva studiato in Germania. Molti dei primi autori di musica sinfonica furono condizionati da modelli tedeschi (Wagner e Strauss in particolare); altri, come Yoritsune Matsudaira, si sono interessati alla dodecafonia tentando anche una fusione con le tradizioni nazionali, mentre compositori più giovani hanno aderito alle correnti europee più avanzate. Vanno menzionati, fra quanti si sono posti in luce nel sec. XX, Komei Abe (n. 1911), Kiyose Yasuje (1900-1981), Minao Shibata (n. 1916), Yoshiro Irino, Shin-ichi Matsushita, Yoriaki Matsudaira (n. 1931), Makoto Moroi (n. 1930), Toru Takemitsu (1930-1996), Kazuo Fukushima (n. 1930), Toshi Ichiyanagi (n. 1933). La vita musicale trova la sua massima espressione nell'attività di numerose orchestre sinfoniche, compagnie d'opera e di vari festival annuali (Festival dell'Arte, per conto del Ministero dell'Educazione; Festival internazionale di Ōsaka; Festival di musica contemporanea, in varie sedi; Festival di musica moderna, a Tōkyō). Emblema della “contaminazione” musicale fra Oriente e Occidente e fra tradizione e tecnologia, è Ryuichi Sakamoto (1952), compositore eclettico, fondatore della Yellow Magic Orchestra e autore di opere musicali che hanno spaziato fra i generi e le geografie sonore di tutto il pianeta. Premiato con l'Oscar per la colonna sonora de di B. Bertolucci, l'“imperatore di Tōkyō” vanta collaborazioni e produzioni discografiche tanto vaste quanto poliedriche: si segnalano Solid State Survivor (1979), Sweet Revenge (1994), Cendre (2007).

Cultura: danza

Accanto alle forme tradizionali del e del kabuki, nelle quali musica, canto, recitazione e danza formano un tutt'uno, nel secondo decennio del sec. XX fu introdotto in Giappone lo studio del balletto. Gradualmente questa disciplina – e, nel decennio successivo la modern dance – guadagnarono numerosi adepti fra appassionati e praticanti. Negli anni Trenta una corrente di modernismo giapponese di matrice occidentale fu capeggiata da Bihu Ishii e Masao Takada. Solo nel secondo dopoguerra, ispirati dalla tragedia di Hiroshima, i danzatori Tatsumi Hijikata e Kazuo Ohno diedero vita a una nuova corrente di modernismo, culturalmente originale per tecnica e stile, che negli anni Ottanta ha avuto larghissima eco in Europa – in particolar modo in Francia, dove ha esercitato una certa influenza su alcuni autori della nouvelle danse – e si è diffusa attraverso il lavoro dello stesso Ohno, del gruppo dei Sankai Juku, di Carlotta Ikeda. Anche lo studio del balletto ha avuto grande impulso nel secondo dopoguerra, alimentando l'attività di numerose compagnie, la più importante delle quali – per continuità e professionalità dell'impegno – è il Tōkyō Ballet. Sono sempre più numerosi i ballerini giapponesi vincitori di concorsi internazionali di prestigio a conferma dell'interesse e della passione con cui essi studiano discipline anche lontanissime dalla loro tradizione come il flamenco. Impostisi a livello internazionale e in prima linea nella sperimentazione tra generi e linguaggi sono MinTanaka, Sakiko Oshima e alcuni ensemble quali Agua Gala e Nomado's. Le influenze della cultura pop hanno portato, sul finire del XX secolo, alla nascita della J-dance, in cui sono confluite le istanze della modernità e delle nuove generazioni urbane, con i loro vissuti impregnati di caos, velocità, “schizofrenia”. Tra gli esponenti più appezzati, benché caratterizzati da percorsi ed esiti artistici divergenti, si ricordano Kim Itoh e Mikuni Yanaihara. Di segno opposto la ricerca artistica di Tsuyoshi Shirai, per il quale il ruolo del corpo, ancor prima della tecnica, è centrale, in una sorta di performance di arte contemporanea più che di danza vera e propria.

Cultura: cinema. Dagli esordi agli anni Trenta

Già noto e praticato alla fine dell'Ottocento, il cinema ebbe in Giappone una storia intricata e fu a lungo, quantitativamente, il più copioso del mondo (nel 1924, un anno dopo il terremoto che aveva distrutto tutti gli studi tranne uno, si produssero 875 film). Questa vicenda, in cui la speculazione produttiva (che nessun cataclisma naturale o politico riuscì mai a frenare) raggiunse livelli e scandali mai toccati neppure in Occidente, si caratterizzò fin dagli anni Dieci del XX secolo, sul piano culturale, come lotta interna fra vecchio e nuovo, fra tradizione e progresso, fra Kyōto, che si specializzò nei film in costume di fonte teatrale (jidai-geki), e Tōkyō, che predilesse il contemporaneo (gendai-geki). Sebbene a tale rigida consuetudine non corrispondesse una scala di valori e i maggiori registi praticassero sovente l'uno e l'altro filone, la ripartizione in categorie, sottocategorie e altre varianti pesò per lungo tempo condizionando la produzione, schematizzando i generi e costringendoli in limiti assai più ferrei che a Hollywood. Si aggiunga, fino alla soglia degli anni Venti, l'uso del benshi o commentatore, talora più interessante del film, e quello dell'oyama, attore travestito da donna, per comprendere le resistenze che, nonostante la sua popolarità, lo spettacolo cinematografico trovò sulla propria via. Quello che la Nikkatsu, la prima grande società (sorta nel 1912), non aveva potuto fare, sebbene avesse rifiutato il formalismo feudale del teatro kabuki per una nuova scuola (shinpa), riuscì dal 1919 all'Associazione per il film d'arte, che compì il primo passo per l'emancipazione del cinema giapponese. Negli anni Venti i modelli hollywoodiani servirono allo svecchiamento: registi in possesso di tecnica e di linguaggio più svelti, interpreti anche non professionisti e dunque più spontanei. Per la casa di produzione Shōchiku, un esponente dello Shingeki (Nuovo teatro), Osanai Kaoru, creò con il film Anime sulla strada (1921, protagonista Minoru Murata) il cinema sociale. Il decennio fu caratterizzato dall'avvento delle attrici, dallo sviluppo del film in costume (talvolta ridotto a cliché e di cui fu massimo divo Matsunosuke Onoe), dalle commedie e dai drammi domestico-sentimentali, ma anche, sotto l'influsso del cinema rivoluzionario sovietico, dai primi tentativi di offrire un quadro realistico del Giappone moderno: tendenza in cui, oltre a Murata, si impegnarono registi quali Eizo Tanaka, Kensa ku Suzuki, Yasujirō Shimazu e Kenji Mizoguchi, mentre Teinosuke Kinugasa, ex attore oyama che aveva studiato in Germania, realizzava con Una pagina matta (1927) e Incroci (1928; in Occidente Ombre dello Yoshiwara) due classici dello sperimentalismo. Nel sonoro si distinsero subito il caposcuola Shimazu, il suo allievo Heinosuke Goshō, Daisuke Itō che introdusse nel jidai-geki la critica sociale, Tomu Uchida che vi innestò la satira, lo stesso Kinugasa che diede la prima memorabile versione dei 47 ronin (1932), Mikio Naruse che si specializzò (come più tardi il Mizoguchi) nella tematica femminile, e Yasujirō Ozu, uno dei maggiori descrittori e portavoce della piccola borghesia che il cinema abbia mai avuto, il quale adottò toni comici e amari nell'ancor muto Sono nato, eppure... (1932). Gli anni Trenta portarono alla massima espressione artistica le tendenze più valide di una scuola nipponica ormai pienamente originale. I due capolavori di Mizoguchi Le sorelle del Gion (1935) ed Elegia di Ōsaka (1935), l'ammirevole quartetto di Uchida formato da Il teatro della vita (1936), La città nuda (1937), Il cammino senza fine (1937) e La terra (1939, giunto anche alla Mostra di Venezia), la rivelazione di Sadao Yamanaka (Umanità e palloni di carta, 1937), le affermazioni di Shirō Toyoda, Minoru Shibuya e Tomotaka Tazaka (di cui il film Cinque esploratori, 1939, fu presentato pure a Venezia con il titolo La pattuglia), le conferme del vecchio Shimazu e del suo stretto e geniale seguace Ozu costituirono le punte di un cinema maturo, che soltanto la guerra poteva stroncare.

Cultura: cinema. Dal periodo bellico agli anni Sessanta

Nel periodo bellico il miglior cinema giapponese si rifiutò di appoggiare o propagandare il militarismo imperiale e si rifugiò nei tempi passati (creando il genere geido-mono, biografie di artisti dell'era Meiji), nei film sui bambini (shonen-mono), nelle storie d'amore, nell'intimismo familiare e negli appelli all'umanità. Anzi, nella trilogia Shanghai, Nanchino, Pechino (1938-39), lo straordinario documentarista Fumio Kamei, invece di cantare trionfalmente le vittorie in Cina, evidenziò coraggiosamente le miserie del conflitto e dipinse le vittime dell'aggressione, mentre il nuovo regista Keisuke Kinoshita, nel film L’esercito (1944) commissionatogli dal Ministero della Guerra, puntò senza eufemismi sulle madri cui, per tre generazioni, venivano implacabilmente strappati i figli. Accanto a quella di Kinoshita, anche la personalità di Akira Kurosawa si rivelò nel tempo di guerra. Il ritratto della società postbellica, in un senso affine al nostro neorealismo ma con più accentuata sfumatura neoromantica, occupò anche in Giappone i migliori talenti. Mentre Mizoguchi ambientava tra le macerie una vicenda di prostituzione (Le donne della notte, 1948), Kurosawa, l'alfiere del nuovo cinema, si affermava con L’angelo ubriaco (1948): più tardi egli avrebbe realizzato, dopo il trionfo ottenuto a Venezia nel 1951 con Rashomon, che per la prima volta spalancò le porte dell'Occidente al cinema nipponico, il suo capolavoro con Vivere (1952). Ma la fioritura negli anni Cinquanta fu generale. Mizoguchi attinse il culmine della propria arte nella trilogia in costume Vita di O-Haru donna galante (1952), Ugetsu monogatari ovvero I racconti della luna pallida d'agosto (1953) e L’intendente Sanshō (1954), tutti e tre premiati a Venezia; il decano Kinugasa strappò al Festival di Cannes la Palma d'oro con il suo film a colori La porta dell’inferno (1954); Kinoshita toccò anch'egli il vertice con Il puro amore di Carmen (1952), Una tragedia giapponese (1953) e Ventiquattro occhi (1954); sempre più coerentemente e magistralmente Ozu proseguì il suo cammino analizzando le trasformazioni nella famiglia media; Goshō, Naruse e Toyoda produssero, ciascuno, almeno tre film di superiore livello. Si impose con loro il talento eclettico di Kimisaburō Yoshimura, mentre tra i più dotati della tendenza di sinistra (una rilevante importanza avevano assunto le cooperative indipendenti che si erano opposte al dominio delle 5 grandi case) emersero con film vigorosi Tadashi Imai, Kaneto Shindō, Satsuo Yamamoto e altri. Tra le opere meglio conosciute in Occidente si ricordano almeno I sette samurai (1954) di Kurosawa, L'arpa birmana (1956) di Kon Ichikawa (realizzatore, nel 1983, di Neve sottile), La strada della vergogna (1956), l'ultima di Mizoguchi, e L’isola nuda (1961) di Shindō. Sulla soglia degli anni Sessanta si affacciò il nome di Masaki Kobayashi, autore della trilogia La condizione umana (1958-61), di Harakiri (1962) e, assai più tardi, de Il processo di Tōkyō, presentato al Festival di Berlino del 1985. Va citato anche Hiroshi Teshigahara (La donna della sabbia, 1963) per la sua modernità. Nel decennio successivo anche in Giappone si sviluppò un'ondata rinnovatrice, che coincise con la crisi delle maggiori compagnie, le quali per controbattere la concorrenza televisiva e conservare la media annuale sui 500 film, rinunciarono alla produzione cosiddetta di prestigio, pescando a piene mani nel mare torbido della violenza e del sesso. Né da tale formula si astennero, proprio per ottenere un impatto sul pubblico, gli innovatori, come dimostra il titolo di un loro film-manifesto, Eros+massacro (1969) di Yoshishige Yoshida. Soltanto, costoro ne rovesciarono gli effetti, trasformandoli in anarchismo e rivolta, in motivi di turbamento e di trasgressione, in critica totale alle istituzioni. Capofila di tale corrente, che attaccò e distrusse i vecchi idoli, fu un cineasta complesso e affascinante, Nagisa Ōshima (da Notte e nebbia del Giappone, 1960, a La cerimonia, 1971).

Cultura: cinema. Dalla crisi degli anni Settanta all’affermazione internazionale

Negli anni Settanta si è consumata in Giappone una crisi del cinema di estrema gravità; i maggiori registi si sono visti costretti a scegliere tra la disoccupazione e la televisione. Pochi titoli emergono, come Legge marziale (1973) di Yoshida, Takiji Kobayashi (1975) di Tadashi Imai (1912-1991), La ballata solitaria di Chikuzan (1978) di Shindō, e il film femminista La strada lontana di Sachiko Hidari, ex attrice della Donna-insetto, presentato a Berlino nel 1978. Prevalgono tre settori: l'underground, con i poemetti grottesco-surreali di Katsu Kanai, l'animazione satirica, sull'esempio del fulmineo Yoji Kuri, e il cinema militante del collettivo Ogawa. Non desta sorpresa, quindi, se Kurosawa e Ōshima, per proseguire l'attività, hanno fatto ricorso all'aiuto straniero: il trasgressivo Ōshima a capitali francesi per l'erotico Impero dei sensi (1976) e a quelli inglesi per Furyō, presentato a Cannes nel 1983; Kurosawa si è rivolto all'URSS per Dersu Uzala (1975), agli USA per Kagemusha (1980), due opere molto apprezzate e che hanno ottenuto numerosi premi, cui hanno fatto seguito nel 1985 Ran, ispirato al Re Lear di Shakespeare, nel 1990 Rapsodia d’agosto e nel 1993 Madadayo. Tra gli altri registi, si ricorda Shōei Imamura, autore di La vendetta è mia (1979), La ballata di Narayama, Palma d'oro al Festival di Cannes nel 1983, e L’anguilla (1997), nuovamente Palma d'oro. Da notare invece, nella seconda metà degli anni Ottanta, la progressiva invasione di Hollywood da parte di capitali giapponesi, fatto resosi clamorosamente evidente con l'acquisto della Columbia compiuto dalla Sony. Al contrario, è stato deludente il contributo artistico dato dal Giappone al cinema negli stessi anni: tra film di genere e destinati al mercato interno (peraltro fortemente dominato dalle cinematografie estere), internazionalmente sono emersi pochi registi; in particolare citiamo Juzo Itami (L’esattrice, 1987; Tampopo, 1988) e Kei Kumai (Morte di un maestro del tè, 1988). Negli anni Novanta, se non altro dal punto di vista dell'interesse artistico, la situazione è sembrata mutare non tanto nel cosiddetto cinema d'autore, in crisi come in gran parte della scena internazionale, quanto nella riappropriazione in maniera comunque personale di generi e filoni commerciali. Nel campo dell'animazione si sono affermati due cineasti originali con prodotti fantascientifici e decisamente destinati a un pubblico adulto, Katsuhiro Otomo con Akira (1989), poi autore di una commedia dell'orrore con attori in carne e ossa, World Apartment Horror (1991), e Mamoru Oshii con Ghost in the Shell (1995). Tsukamoto Shin'ya ha rivitalizzato il genere horror con gli stupefacenti incubi biometallici di Tetsuo (1989) e Tetsuo II (1991), prima di approdare all'action thriller più duro con Tokio Fist (1995). Dove però la scena nipponica è sembrata vivacizzarsi al meglio è nel thriller e nel poliziesco, forse per la competizione con la vicina e “invadente” Hong Kong. Takeshi Kitano è subito apparso come caposcuola con un Poliziotto violento (1989) e Sonatine (1993), anche se non si devono dimenticare sue disgressioni in altri settori come nel caso di Kids Returns (1996), Hana-Bi (1997), che ha vinto il Leone d'oro alla Mostra di Venezia del 1997 e Zatoichi (2003), vera e propria commistione di generi. Sulla sua scia si possono citare Ishii Takashi (Fino alla morte, 1992; Gonin, 1995; Gonin 2, 1996) e Aoyama Shinji (Helpless, 1996; Yurîka, 2000), mentre più affezionati al ritratto psicologico-sentimentale appaiono Kenchi Iwamoto (Kikuchi, 1990) e Shinozaki Makoto (Okaeri, 1995; Wasurerarenu hitobito, 2000). Ancor più legati a poetiche drammatico-elegiache del lontano passato sembrano infine autori promettenti come Shunji Iwai (Lettera d’amore, 1995; Coda di rondine-Yen Town, 1996; Riri Shu Shu no Subete, 2001) e Keto Tetsu (Canto di bambù, 1993). Alla fine degli anni Novanta e dopo un lungo silenzio, Ōshima torna alla regia con Tabù – Gohatto (1999), un storia interpretata da Takeshi Kitano che tratta del tema dell'omosessualità all'interno di un'accademia samurai ottocentesca. Questi sono anche gli anni di Hideo Nakata (n. 1961), regista che si impone sulla scena internazionale con gli horror Ringu (1998), Ringu 2 (1999) e Dark Water (2002). Gli anni Duemila sono caratterizzati dalla continuità del successo delle pellicole di animazione: Hayao Miyazaki, dopo alcuni film negli anni Novanta (Porco Rosso, 1992; Princess Mononoke, 1997), nel 2001 gira La città incantata, premiato con l'Oscar; del 2004 sono invece Godzilla: Final Wars, di Ryuhei Kitamura, e Ghost in the Shell 2: Innocence, apprezzato sequel diretto sempre da Oshii. Su altri fronti, si impone anche la produzione di Satoshi Kon, di cui si ricordano le pellicole: Milennium Actress (2001), Tōkyō Godfathers (2003) e Paprika (2006).

Cultura: religione

Nel sec. VI d. C. arrivò in Giappone, insieme con la cultura cinese, anche il buddhismo e probabilmente in tale occasione i giapponesi organizzarono in forme nuove la loro religione nazionale, chiamandola, in contrapposizione alla “via del Buddha”, “via degli dei”, o shintō. Tra shintoismo e buddhismo vi è dapprima armonia in quanto perseguenti scopi diversi: l'uno la salvezza mondana e l'altro quella extramondana. In seguito, la formazione di sette sincretistiche ha comportato una loro concorrenza, ma nelle sue linee essenziali la storia religiosa giapponese rimane caratterizzata da un culto pubblico shintoista (ivi compresi i culti privati, ma ugualmente civici, degli antenati), e una religiosità privata espressa prevalentemente nelle varie forme di buddhismo, di cui le principali sono il tendai, lo zen e il jodo. L'interpretazione della religione in Giappone rimane, in ogni caso, un fatto piuttosto individuale, personalizzato (non è raro vedere tra i doni offerti nei templi dolci fatti in casa o bevande da supermercato), tanto che può essere più appropriato, soprattutto in epoca moderna, parlare di spiritualità, per abbracciare e comprendere meglio i molteplici modi di vivere la dimensione religiosa dei nipponici.

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Sul kabuki: Z. Kinkaid, Kabuki: the Popular Stage of Japan, New York, 1925; A. C. Scott, Kabuki Theatre of Japan, Londra, 1955; E. Ernst, Kabuki Theatre, New York, 1956; A. S., G. M. Halford, The Kabuki Handbook, Tokyo, 1960; G. Azzaroni, Dentro il mondo del Kabuki, Padova, 1989. Sul kyogen: A. Beaujard, Le théâtre comiques des japanais, Parigi, 1957.

Sul bunraku: A. C. Scott, Puppet Theatre of Japan, Tokyo, 1963; D. Keene, Bunraku, Palo Alto, 1965. Sul teatro moderno: K. Toyotaka, Japanese Music and Drama in the Meiji Era, Tokyo, 1956; D. W. Plath, The After Hours: Modern Japan and the Search for Enjoyment, Berkeley, 1964.

Per il cinema

Y. Masumura, Profilo storico del cinema giapponese, Roma, 1954; Sh. e M. Giuglaris, Le cinéma japonais, Parigi, 1956; J. L. Anderson, D. Richie, Il cinema giapponese, Milano, 1961; Autori Vari, Akira Kurosawa, in “Études cinématographiques”, 30-31, Parigi, 1964; M. Mesnil, Mizoguchi Kenji, Parigi, 1965; M. Tessier, Petite planète du cinéma: Japon, in “Cinéma”, 139, Parigi, 1969; L. Micciché, Giappone, in “Il nuovo cinema degli anni '60”, Torino, 1972; M. Tessier, Cinq japonais en quête de films, in “Écran '72”, 3 e 7, Parigi, 1972.

Per il folclore

P. S. Rivetta, Il paese della eroica felicità. Usi e costumi giapponesi, Milano, 1944; R. Benedict, The Chrysanthemum and the Sword, Boston, 1946; W. T. De Bary, Sources of the Japanese Tradition, New York, 1958; D. Keene, Living Japan, Londra, 1959; F. Maraini, L’isola delle pescatrici, Bari, 1960; F. Dentoni, Feste e stagioni in Giappone, Roma, 1980.

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