Lessico

(ant. àuro; poetico òr), sm. [sec. XIII; latino aurum].

1) Elemento chimico di simbolo Au, peso atomico 196,96 e numero atomico 79. Frequente il riferimento all'oro quale metallo usato per ricavare monete e altri oggetti preziosi; per metonimia, può indicare gli oggetti stessi: pagare in oro, in monete d'oro. Al pl., monili, gioielli d'oro: una cassetta con tutti i suoi ori. Spesso assunto come simbolo della ricchezza, del danaro: è tormentato dalla sete dell'oro; nuotare nell'oro, essere molto ricco.

2) Fig., per indicare cosa d'ottima qualità, di grande valore: i suoi consigli sono tutto oro;oro nero, il petrolio; prendere tutto per oro colato, credere a tutto con grande ingenuità; d'oro, prezioso come l'oro, molto caro e amabile: un bambino d'oro; un cuore d'oro, buono e generoso; parole d'oro, piene di saggezza e verità; affare d'oro, molto vantaggioso; pagare a peso d'oro, a prezzo molto alto; vale tanto oro quanto pesa, di cosa molto preziosa o di persona di qualità eccezionali; non è tutt'oro quello che luce, spesso l'apparenza inganna; il secolo d'oro, il più glorioso nella storia della letteratura, dell'arte, della civiltà di una nazione; età dell'oro, la mitica età in cui l'uomo viveva felice; libro d'oro. Per analogia, colore biondo simile a quello dell'oro: riccioli d'oro.

3) Al pl., uno dei quattro semi delle carte da gioco italiane o napoletane, e dei tarocchi, detti anche denari. Nel gioco della scopa il possesso di 6 ori sui 10 del mazzo (“fare gli ori”) conta un punto. Nella scopa con carte francesi il seme di quadri sostituisce gli ori.

4) In araldica è il metallo più nobile: simboleggia fede, forza, ricchezza, comando. Si rappresenta punteggiando le parti che nello scudo hanno tale metallo.

5) Nella cronologia, numero d'oro, uno degli elementi per il calcolo della Pasqua.

6) In meccanica quantistica sono dette regola d'oro n. 1 e n. 2 due regole per il calcolo della probabilità di transizione per unità di tempo fra uno stato iniziale e uno finale di un sistema a due componenti (vedi transizione).

Metodi di estrazione

Nella crosta terrestre, che ne contiene in media 0,005 g/t, l'oro è largamente diffuso ma quasi sempre in quantità tanto piccole da non renderne possibile una conveniente estrazione: ciò vale anche per l'acqua di mare, che ne contiene 1 g ogni 2000 m3. In natura l'oro si rinviene quasi esclusivamente allo stato nativo, disperso in rocce quarzifere (filoni auriferi) generalmente sotto forma di minute pagliuzze o, più raramente, in masserelle dette pepite. Nella maggior parte dei solfuri metallici l'oro è contenuto in tracce per lo più minime. Per disgregazione delle rocce aurifere che ne costituiscono i giacimenti primari, l'oro nativo passa nelle sabbie dei fiumi e nelle rocce sedimentarie che ne derivano (placers). La possibilità di sfruttare economicamente un giacimento aurifero dipende dalla sua natura e dalle spese di estrazione richieste oltre che dal tenore in oro: questo deve essere di almeno qualche grammo per tonnellata. La produzione mondiale di oro è di 2152,282 kg (1997), non sufficiente però a soddisfare la domanda. Al primo posto nella graduatoria dei principali produttori si trova la Repubblica Sudafricana , seguita da Stati Uniti e Australia. In Italia si rinvengono sabbie aurifere, sfruttate in passato ma molto povere, soprattutto lungo il corso di alcuni affluenti di sinistra del Po come il Ticino, il Sesia e la Dora Baltea; nella zona del Monte Rosa si trova il giacimento di solfuri (pirite e arsenopirite) di Pestarena in Valle Anzasca, sfruttato fino al 1961 e ormai inattivo. Per tutta l'antichità, e in pratica fino all'inizio del sec. XX, l'oro è stato estratto quasi esclusivamente dalle sabbie aurifere e solo in seguito si è diffuso lo sfruttamento delle rocce aurifere primarie che, estratte attraverso pozzi o gallerie, vengono poi finemente macinate per poter procedere al recupero dell'oro. Il classico metodo di estrazione tramandato dall'antichità è quello del lavaggio delle sabbie aurifere, basato sulla forte differenza di peso specifico tra l'oro (19,32) e il quarzo e i silicati delle sabbie, assai più leggeri (2-4): una corrente di acqua asporta più facilmente questi ultimi concentrando le particelle d'oro più pesanti. Il lavaggio, o levigazione, si effettuava nella batea, una grande scodella di legno sul fondo della quale si raccoglievano le pagliuzze d'oro. Successivamente, il processo venne realizzato in canali di legno (sluices) larghi da 30 a 60 cm e della lunghezza anche di qualche chilometro, nei quali la sabbia aurifera o il minerale macinato erano immersi e trascinati da una corrente di acqua: le particelle di oro si raccoglievano sul fondo trattenute da basse traverse (riffles) fissate lungo il canale. Altro metodo un tempo usato era l'amalgamazione, basata sul fatto che l'oro si discioglie nel mercurio metallico formando un amalgama di oro: i fanghi auriferi venivano messi a contatto con lastre di rame ricoperte di mercurio; l'oro formava così un amalgama che, di tanto in tanto, veniva raschiato dalle lastre e sottoposto a distillazione allo scopo di recuperare il mercurio, trattando poi il residuo per coppellazione in modo da asportarne il rame. Ormai abbandonato è anche il procedimento detto di clorurazione, che aveva soppiantato nella maggior parte degli impianti l'amalgamazione; con tale metodo il minerale macinato veniva mescolato con cloruro di sodio e attaccato in sospensione acquosa con cloro gassoso in modo da portare l'oro in soluzione sotto forma di cloroaurato di sodio, NaAuCl4, dal quale si precipitava poi l'oro con solfato di ferro (II) o con solfuro di idrogeno. Il metodo oggi in pratica universalmente adottato, e che permette di estrarre economicamente e con buone rese l'oro anche da minerali poveri, è quello detto per cianurazione. Il minerale aurifero, finemente polverizzato, è tenuto in sospensione per più giorni in una soluzione diluita di cianuro di sodio o di potassio, nella quale si insuffla aria così da provocarne l'agitazione: in queste condizioni l'oro passa in soluzione sotto forma di cianoaurato di sodio o di potassio, NaAu(CN)2 o KAu(CN)2; dalla soluzione, separata dalle sabbie per decantazione o per filtrazione, l'oro viene poi precipitato allo stato metallico per cementazione con polvere di zinco o anche di alluminio. L'oro metallico così ottenuto contiene molte impurezze: metalli preziosi, ossidi e idrossidi di metalli comuni e silice. La purificazione dei metalli più reattivi è condotta mediante lavaggio con una soluzione di acido solforico al 10-20%, mentre la silice viene allontanata per fusione con carbonato sodico. L'ulteriore raffinazione si effettua per via elettrolitica o con altri procedimenti secondo la natura e la quantità di impurezze presenti nel metallo. L'oro puro del commercio ha un titolo in genere del 999‰.

Chimica

L'oro puro si presenta come un metallo lucente di colore giallo caratteristico, assai tenero, duttilissimo ed estremamente malleabile , tanto da poterne ottenere fogli semitrasparenti alla luce; fonde a 1063 ºC e bolle a 2970 ºC. È un ottimo conduttore del calore e dell'elettricità. Per la sua grande inerzia agli agenti chimici, lo si considera il metallo nobile per definizione: esso non viene infatti minimamente attaccato dall'ossigeno atmosferico, dagli alcali anche concentrati, o dagli acidi inorganici quali il cloridrico, il nitrico, il solforico, ecc. Per attaccarlo e trasformarlo in composti solubili il reagente più usato è la cosiddetta acqua regia, costituita dalla miscela di 3 parti di acido cloridrico concentrato e di una di acido nitrico concentrato, la quale trasforma l'oro in acido tetracloroaurico, HAuCl4. L'oro viene inoltre, sia pur lentamente, attaccato dal cloro in presenza di acqua e, come già indicato, dalle soluzioni acquose dei cianuri alcalini in presenza di aria. L'oro puro in lingotti è per la maggior parte destinato alla funzione di riserva nelle banche centrali e il suo uso è limitato alle transazioni finanziarie internazionali. Per la maggior parte degli altri usi, come quello in gioielleria, nella coniazione di monete e di medaglie, ecc., l'oro puro è però troppo tenero e pertanto si impiega il metallo sotto forma di lega con altri metalli, così da aumentarne notevolmente la durezza, oltre che a modificarne più o meno sensibilmente il colore. Le leghe più comunemente usate sono quelle binarie oro-rame e oro-argento e quelle ternarie oro-rame-argento: il rame e l'argento sono ambedue miscibili con l'oro in tutti i rapporti anche allo stato solido, motivo per cui tutte queste leghe presentano una struttura compatta e perfettamente omogenea anche all'esame microscopico. L'aggiunta di rame in una percentuale del 10-25%, o anche superiore, aumenta notevolmente la durezza dell'oro e ne rende gradualmente più carico il colore, come nell'oro da conio: l'aggiunta di argento non modifica invece di molto le proprietà meccaniche dell'oro ma già in modesta percentuale ne schiarisce nettamente il colore, che vira al verdognolo quando la percentuale di argento nella lega si avvicina al 25%. Le leghe ternarie costituiscono l'oro solitamente usato per la gioielleria e presentano un colore molto simile a quello dell'oro puro, unito però a proprietà meccaniche migliori. Si hanno così: l'oro rosa (75% di Au; 20% di Cu; 5% di Ag); l'oro verde (75% di Au; 25% di Ag); l'oro bianco, lega di oro di composizione diversa, inizialmente costituita da oro-palladio (75% di Au; 25% di Pd) e in seguito anche da oro e nichel, questo spesso già in lega con cromo o altri metalli. Il titolo in oro delle sue leghe si esprime solitamente in carati, indicando per oro a 24 carati il metallo puro e con valori in proporzione inferiore le leghe a più basso titolo, per esempio come oro a 18 carati il metallo al 75%. Il titolo dell'oro si valuta approssimativamente servendosi della cosiddetta pietra di paragone, una varietà di diaspro di colore nero-verdastro: su questa si striscia l'oggetto che si vuole esaminare in modo che esso vi lasci una traccia lucente, che poi si bagna con acido nitrico concentrato. La traccia lasciata dall'ottone, dal similoro, ecc. scompare perché i metalli di queste leghe vengono attaccati dall'acido nitrico, la traccia lasciata dall'oro puro resta invece completamente inalterata, e quella lasciata dalle leghe di oro sbiadisce in minore o maggiore misura secondo che esse contengano più o meno oro; confrontando la traccia rimasta con metallo a titolo noto si può almeno grossolanamente valutare il tenore della lega saggiata. § Nei suoi composti l'oro è monovalente o trivalente. I composti dell'oro (I), aurosi, sono in genere insolubili; quelli dell'oro (III), aurici, sono per lo più solubili attraverso la formazione di complessi, come il tricloruro AuCl3, che si discioglie in acido cloridrico formando l'acido tetracloroaurico, HAuCl4. I sali di oro si trasformano facilmente in oro metallico per azione del calore o, in soluzione, per azione di riducenti anche blandi, spesso con la formazione di dispersioni colloidali, come la cosiddetta porpora di Cassio usata nella decorazione ceramica che si ottiene riducendo le soluzioni di acido cloroaurico con il cloruro di stagno (II).

Farmacologia

Alcuni composti solubili di oro sono stati impiegati sin dall'antichità nelle malattie della pelle e come farmaci antipruriginosi. In seguito alle ricerche di Kock, che ne evidenziò l'azione inibente lo sviluppo dei micobatteri tubercolari, alcuni sali d'oro vennero utilizzati nella terapia della tubercolosi; in seguito, nonostante i risultati modesti, il loro impiego fu esteso alla terapia della sifilide e dell'artrite. I risultati molto favorevoli nella cura dell'artrite hanno rilanciato i sali d'oro quali presidio terapeutico di grande importanza per il controllo permanente della malattia. I principali composti aurici adoperati in terapia sono l'aurotioglucosio, l'aurotiomalato sodico e l'aurotiosolfato sodico, nei quali l'oro è presente in percentuale variabile dal 30% al 50%. Altre indicazioni terapeutiche si riferiscono al lupus eritematoso, alle uveiti, all'uso dell'Au198 quale antineoplastico, specie nel trattamento delle infiltrazioni tumorali metastatiche della pleura e del peritoneo. Il trattamento con sali d'oro richiede prudenza e il controllo diretto dello specialista, potendo provocare reazioni allergiche, manifestazioni irritative a carico dell'apparato digerente, danni a carico del rene e del sistema emopoietico.

Diritto

L'oro costituisce la riserva di metallo pregiato che gli istituti di emissione di tutto il mondo conservano come garanzia del valore reale della loro carta moneta. Clausola oro, è il patto che le parti possono inserire in un contratto e che, rapportando la somma dovuta al valore commerciale dell'oro, garantisce che la prestazione pecuniaria di una parte rimanga costante nonostante la svalutazione monetaria. I beni mobili d'oro, nel processo civile di esecuzione sono gli oggetti d'oro del debitore che non possono essere venduti per un prezzo inferiore al loro reale valore, a differenza degli altri mobili. Il mercato dell’oro è stato ridisciplinato nel 2000, con legge 17 gennaio 2000, n. 7, in attuazione della direttiva 98/80/CE, del 12 ottobre 1998. La riforma, necessaria per adeguare il nostro Paese alle norme comunitarie, contiene in principio le diverse accezioni con cui si utilizza il termine «oro» (da investimento, in forma di lingotti o placchette o sotto forma di monete; a uso prevalentemente industriale, in forma di semilavorati). La legge prevede, per chi dispone o effettua il trasferimento di oro da o verso l'estero, o il commercio di oro nel territorio nazionale oppure un'altra operazione in oro anche a titolo gratuito, l'obbligo di dichiarare l'operazione all'Ufficio italiano dei cambi, qualora il valore della stessa risulti di importo pari o superiore a 20 milioni di lire. L'esercizio in via professionale del commercio di oro, per conto proprio o per conto di terzi, può essere svolto soltanto da banche e, previa comunicazione all'Ufficio italiano dei cambi, da alcuni soggetti in possesso di particolari requisiti. In caso di violazione degli obblighi stabiliti sanzioni amministrative (pecuniarie) e, nei casi più gravi, sanzioni penali (reclusione e multa).

Economia

La funzione monetaria dell'oro data dalle più remote civiltà. Lo utilizzarono come strumento monetario principale le monarchie della Lidia e della Persia, della Macedonia, dell'Egitto, della Siria. Monete d'oro usarono i Greci (anche se gli preferirono l'argento) e più tardi gli imperatori romani e bizantini. Divenuto scarso durante l'alto Medioevo, fu accantonato nel mondo occidentale in favore dell'argento dalla riforma monetaria di Carlo Magno, mentre l'Impero d'Oriente e gli Arabi continuarono a rimanergli fedeli. Tuttavia continuò ad affiancare l'argento, sebbene in posizione subordinata, fino a tutto il sec. XVIII. La sua produzione si mantenne su livelli relativamente modesti anche dopo la scoperta dell'America: da 5,8 t in media negli anni della scoperta del Nuovo Mondo, a 24,6 t alla metà del Settecento, a 54,8 t alla metà dell'Ottocento. Dopo il ritrovamento di nuovi giacimenti in California (1848), in Australia (1851) e nel Sudafrica (1853), la quantità prodotta cominciò a raggiungere valori più ragguardevoli (intorno alle 200 t) e ancor più verso la fine del secolo e l'inizio del successivo con la scoperta di miniere nel Colorado, in Alaska, nel Transvaal e il più razionale sfruttamento di quelle esistenti (la produzione media annua nel quindicennio 1901-15 toccò le 610 t). Fu quella l'età dell'oro, che si tradusse nell'adozione del monometallismo aureo in quasi tutti i Paesi. La prima guerra mondiale provocò un deprezzamento dell'oro e conseguentemente una contrazione nella produzione (532 t in media all'anno nel periodo 1916-30), fattori questi che, uniti ad altri di natura eminentemente monetaria ed economica, suggerirono l'abbandono del gold standard puro in favore di altri sistemi. Alla crisi del 1929 seguì un forte ribasso dei prezzi e quindi un apprezzamento del metallo giallo la cui produzione aumentò, soprattutto nell'Unione Sudafricana. Gli Stati Uniti, che nel 1934 avevano fissato il prezzo dell'oro a 35 dollari l'oncia impegnandosi a vendere e ad acquistare qualsiasi quantità di esso a tale prezzo, furono i maggiori acquirenti d'oro dato che quasi tutti i Paesi europei avevano adottato un regime di carta-moneta inconvertibile. Tale situazione continuò anche dopo la seconda guerra mondiale, almeno finché la bilancia dei pagamenti USA fu attiva. Quando il deficit di quest'ultima divenne persistente tanto da ridurre drasticamente le riserve auree del Paese e da far temere la sospensione di convertibilità del dollaro, le autorità monetarie delle nazioni occidentali industrializzate decisero di sostenere il prezzo ufficiale dell'oro (35 dollari l'oncia) intervenendo opportunamente sul mercato di Londra: nacque così (1961) il cosiddetto gold pool o “pool dell'oro” (Belgio, Francia, Repubblica Federale di Germania, Italia, Gran Bretagna, Svizzera) che, se fino al 1966 riuscì a mantenere stabile il prezzo dell'oro, dopo tale data, per fronteggiare una crescente domanda a carattere speculativo, dovette sopportare costi gravosissimi in termini di riserve (1,9 miliardi di dollari nel corso del 1967). Il pool si sciolse nel 1968 con la decisione da parte dei membri di limitare alle operazioni fra autorità monetarie i propri trasferimenti di oro. Veniva in tal modo istituito un doppio mercato: l'uno per l'oro monetario al prezzo ufficiale di 35 dollari l'oncia riservato alle banche centrali, l'altro dell'oro-merce (per usi industriali, gioielleria, tesaurizzazione) destinato alle transazioni fra privati (le banche centrali ne sono escluse). § Punti dell'oro, in regime aureo puro, limiti massimo e minimo di oscillazione dei cambi, determinati dalla somma (per debiti verso l'estero) e dalla differenza (per crediti verso l'estero) fra la parità e le spese di spedizione e di assicurazione dell'oro.

Bibliografia

Per la chimica

A. Gentile, Il saggio dei metalli preziosi, Milano, 1951; S. Boas, The Theory of the Properties of Precious Metal, Londra, 1983.

Per l'economia

I. Shannon, The Economic Functions of Gold, Melbourne, 1962; J. Rueff, L'âge de l'inflation, Parigi, 1964; J. Rueff, F. Hirsch, The Role and the Rule of the Gold, Princeton, 1965; F. Morris, The Gold Market, New York, 1985.

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