Lessico

sf. [sec. XIV; dal francese artillerie].

1) L'insieme delle bocche da fuoco non portatili, ciascuna delle quali costituisce un pezzo d'artiglieria. Anche l'insieme dei pezzi operanti in una data azione bellica e la tecnica relativa all'impiego di tali armi.

2) L'insieme dei reparti militari addestrati all'uso di tali mezzi bellici, che costituiscono un'arma dell'esercito: corpo d'artiglieria, sergente d'artiglieria.

3) Ant., l'insieme delle macchine da getto usate prima dell'invenzione della polvere da sparo.

Artiglieria terrestre: dalle origini al XVIII secolo

Le prime bocche da fuoco conosciute in Europa furono impiegate in Fiandra nel 1314, in Inghilterra nel 1321 e in Francia nel 1326. Esse però servivano solo per lanciare ancora frecce da balestra, proiettate con maggiore forza e maggiore precisione. Solo qualche tempo dopo si cominciò a lanciare palle di pietra e a impiegare le artiglierie per l'attacco e la difesa delle città. Nella seconda parte della guerra dei Cento anni l'artiglieria acquistò una funzione determinante, permettendo al re di Francia Carlo VII di espugnare in un anno sessanta fra città e fortezze della Normandia e decisivo fu il suo contributo alla vittoria finale francese in quella secolare guerra contro l'Inghilterra: a Castellan (1453) infatti un impiego in massa dell'artiglieria consentì ai Francesi di concluderla con successo. Fino a tutto il sec. XV le artiglierie furono diverse per lunghezza, forma e calibro ed ebbero le denominazioni più varie: falcone, falconetto, colubrina, draghetto, aspide, sagro, bombarda, mortaro, petriera, trabucco, ecc. Anche i condottieri italiani del Rinascimento intesero ben presto la grande importanza dell'artiglieria: Bartolomeo Colleoni fu il primo a servirsi di pezzi leggeri in battaglia; grande artigliere italiano fu il duca Alfonso I d'Este sia come costruttore sia come tattico sul campo di battaglia. Nel sec. XVI si tentò una classificazione delle artiglierie sulla base dei rispettivi calibri e si ebbero: la bombarda, il mortaro, il cannone, la cortana, il passavolante, il basilisco, la cerbottana, la spingarda. Nel corso del secolo furono apportati alle artiglierie vari perfezionamenti quali l'affusto a ruote e l'incavalcamento a orecchioni; si ebbero artiglierie da campagna e artiglierie da fortezza; un'ulteriore loro razionalizzazione fu attuata dall'imperatore Carlo V, il quale dispose che le artiglierie dei suoi eserciti non avessero più di otto calibri; più tardi i calibri furono ridotti a sei e questo criterio uniformatore continuò nei secoli successivi. Verso la fine del sec. XVI altre importanti innovazioni furono l'adozione dei proiettili cavi scoppianti e la redazione, avvenuta in Francia, di un regolamento per l'impiego dell'artiglieria da campagna. Ma il vero inventore dell'artiglieria da campagna fu il re svedese Gustavo Adolfo: egli diminuì i calibri, usò proiettili a cartoccio e a mitraglia e ridusse il peso dei cannoni che fece trainare da cavalli al seguito delle unità di fanteria, delle quali facevano organicamente parte. Nei sec. XVII e XVIII l'artiglieria dovette equipaggiarsi per l'espugnazione delle fortezze mediante l'apertura di brecce nelle mura. Grande rinomanza raggiunse l'artiglieria francese a opera di Jean-Baptiste di Gribeauval, che specializzò i cannoni per funzione e assegnò a essi compiti ben precisi, distinguendo pezzi d'assedio, da fortezza e da campagna. In Prussia, re Federico II organizzò l'artiglieria in reggimenti agli ordini di un generale comandante di tutta l'arma e creò una brigata montata, assicurando ai pezzi un'eccezionale mobilità. Essa fu uno dei principali strumenti delle sue fulminanti vittorie. L'artiglieria da campagna federiciana comprendeva tre calibri e i pezzi erano riuniti in batterie, formando unità organiche di pace e di guerra; la gittata di questa artiglieria era analoga a quella degli altri eserciti (ca. 400 m).

Artiglieria terrestre: il XIX secolo

Napoleone Bonaparte ereditò il materiale del Gribeauval; i calibri erano di 84, 96, 132 e 151 mm; ai cannoni si affiancavano gli obici con calibri di 165 e 220 mm. Le gittate utili di combattimento variavano da un minimo di 400 m a un massimo di 1000. Napoleone inquadrò alcuni reparti d'artiglieria nei reggimenti di fanteria, assegnò a ogni divisione da 8 a 12 pezzi, impiegò l'artiglieria della guardia imperiale come riserva generale e come nucleo di formazioni più ampie: ad Austerlitzper esempio, riunì attorno all'artiglieria della guardia quella di altre divisioni costituendo una batteria di 80 pezzi per rompere il centro nemico; a Jena guidò personalmente l'artiglieria in una manovra di sorpresa; a Eylau l'artiglieria della guardia con una fulminea presa di posizione neutralizzò l'azione dell'artiglieria russa; a Friedland, con una spettacolosa azione di massa l'artiglieria napoleonica sparò in 3 ore 3500 granate e 400 scatole a mitraglia; a Wagram il centro austriaco fu sfondato dal tiro di cento cannoni fatti avanzare al galoppo sul campo di battaglia. Dopo Napoleone, nel 1835, venne fabbricato a Bruxelles il primo cannone rigato; nel 1843 Giovanni Cavalli progettò un cannone rigato a retrocarica; in Francia nel 1858 venne adottato un cannone rigato ad avancarica. Nella guerra di Secessione degli Stati Uniti, il materiale di artiglieria da campagna era di tipo francese e inglese. Nella guerra franco-prussiana del 1870-71 apparve evidente la superiorità tecnica e tattica dell'artiglieria prussiana su quella francese. Alla sostituzione del bronzo con l'acciaio, le artiglierie, verso la fine del sec. XIX, aggiunsero altri ritrovati tecnici, principalissima la polvere senza fumo, che permetteva alle artiglierie di diventare armi offensive di grandissima potenza. I tipi di bocche da fuoco erano, ormai da tempo del resto, ridotti a tre: cannone, obice, mortaio. Riguardo alle caratteristiche tecniche e d'impiego le artiglierie si dividono in: artiglieria da campagna, da montagna, da campagna semovente per la cooperazione, rispettivamente, con la fanteria, gli alpini e le truppe corazzate; artiglieria pesante campale, per l'interdizione e la controbatteria; artiglieria pesante, per l'interdizione lontana e la controbatteria; artiglieria contraerea; artiglieria controcarri; artiglieria missili. La tecnica di combattimento fu quella di dominare e mettere fuori causa nel più breve tempo possibile l'artiglieria nemica per schiacciare la fanteria; si puntò quindi sulla massima superiorità di fuoco e sulle batterie avvicinate il più possibile alle colonne di fanteria avanzanti. Nel 1896 l'artiglieria francese creava il pezzo più moderno, il famoso soixante-quinze poi usato nella prima guerra mondiale. Aveva notevole stabilità e rapidità di tiro (24 colpi al minuto); l'affusto si spostava lateralmente sull'assale, permettendo il falciamento; vari altri accorgimenti consentivano il tiro indiretto da posizioni defilate.

Artiglieria terrestre: il XX secolo

Nel 1906 i Tedeschi creavano un materiale analogo ma inferiore al soixante-quinze, mentre altri Stati europei adottavano materiale derivato da questo. L'Inghilterra e l'Austria-Ungheria impiegarono materiale a tiro rapido, originale. La prima guerra mondialevide un imponente sviluppo delle artiglierie in tutti gli eserciti belligeranti, passando dai 6 pezzi ogni 1000 fanti nel 1914 ai 10 nel 1918. Per la prima volta venne applicato estesamente il traino meccanico e alle tradizionali specialità dell'arma si affiancò l'artiglieria contraerea. Caratteristica dell'impiego dell'artiglieria furono gli enormi concentramenti di fuoco contro posizioni fisse e prestabilite, per preparare l'assalto della fanteria. Tipico esempio di questa tecnica fu il concentramento di 800 cannoni contro la fortezza di Verdun. Altra caratteristica fu l'impiego della bombarda per l'abbattimento dei reticolati e delle fortificazioni campali. Nel 1918, sull'esempio tedesco, si adottò una preparazione di breve durata ma d'inaudita violenza. La cooperazione fra l'artiglieria e la fanteria fu portata a un livello di altissima efficienza dai Francesi con la tecnica del barrage roulant, vera cortina di fuoco che spianava la strada ai fanti all'attacco. Da ricordare anche l'azione dell'artiglieria italiana nella battaglia del Piave (15-23 giugno 1918), che decise della vittoria. Nel 1917 i Tedeschi usarono per la prima volta proiettili a gas. Fra le due guerre mondiali, si tese a incrementare ulteriormente la potenza e la mobilità delle bocche da fuoco in armonia con la sempre più diffusa motorizzazione militare. Scoppiato il secondo conflitto mondiale, l'artiglieria confermò la sua insostituibile funzione distruttrice, sempre efficace anche con l'oscurità e in pessime condizioni atmosferiche. La mobilità, direttamente collegata al carattere di guerra di manovra, fu risolta con il traino completamente meccanico e con il cannone semovente. Una nuova specialità fu l'artiglieria controcarri, per contrastare l'azione sempre più imponente e decisiva dei mezzi corazzati. Particolarmente efficace si rivelò, durante il conflitto, l'artiglieria sovietica, formata da robusti reparti di artiglieria con mezzi cingolati portanti un cannone da 76 o da 85 mm o un obice da 122 e capaci di sviluppare una velocità di 50 km/h con una corazzatura di 90 mm e dotati di un'autonomia di 300 km. Per la loro estrema mobilità potevano accorrere in ogni settore del fronte, laddove le necessità tattiche avessero richiesto la potenza del loro intervento: a Orel (luglio 1943) i Sovietici su un fronte di 80 km riunirono una massa di 150 pezzi per km. Dopo la seconda guerra mondiale, l'apparizione delle armi atomiche consigliò l'applicazione di accorgimenti dettati dall'avvento della nuova energia: vari eserciti hanno in dotazione cannoni e particolarmente obici di medio e grosso calibro che possono sparare proiettili a carica nucleare. L'artiglieria contraerea ha adottato presso molti eserciti calibri di 90 e 105 mm. Fra le bocche da fuoco le maggiori realizzazioni sono quelle dell'obice italiano per artiglieria da montagna da 105/14, dei cannoni-obici russi da 152 e da 203 mm, del cannone statunitense da 280 mm e dell'obice europeo FH 70 da 155/39. A proposito di quest'ultimo giova notare che la vecchia classificazione delle bocche da fuoco basata sulla lunghezza della canna espressa in calibri ha ceduto il posto al criterio di classificarle in cannoni, obici e mortai in base ai fasci di traiettorie che si possono ottenere.

Artiglieria navale

Nelle marine da guerra dei sec. XIV, XV e, in parte, XVI, i cannoni erano del tutto simili a quelli terrestri, tranne nell'affustamento. Presto però furono usati cannoni piuttosto lunghi rispetto a quelli terrestri. La diversificazione dell'artiglieria navale da quella terrestre iniziò alla fine del Cinquecento e si concluse solo con l'avvento dei cannoni moderni. Le navi a remi (caracche o galee) avevano 12 cannoni a prua e 10 a poppa; in quelle a vela i cannoni furono disposti lungo le fiancate, ossia “in batteria”. Nel sec. XVIII i cannoni erano generalmente del calibro di 180 mm, pesavano ca. 2500 kg e lanciavano una palla del peso di ca. 20 kg. L'armamento dei vascelli continuò ad aumentare; quelli a tre ponti del sec. XIX giunsero ad avere fino a 120 cannoni. Con l'avvento della propulsione a vapore e della costruzione metallica (seconda metà del sec. XIX) comparvero le torri corazzate e i moderni cannoni rigati e a retrocarica. Queste nuove caratteristiche si trovarono per la prima volta riunite nella corazzata inglese Dreadnought apparsa nel 1906. Negli ultimi decenni del sec. XIX fu inventato un cannone a tiro rapido contro bersagli molto mobili. Nel 1888 la nave italiana Piemonte fu la prima a essere armata con un cannone da 152 mm a tiro rapido. Nella prima guerra mondiale le navi erano tutte dotate di artiglierie in torre, mentre i loro cannoni possedevano la massima potenza in relazione al calibro, tiro molto celere, organi di manovra e di punteria estremamente esatti. Le navi da guerra sono dotate anche di artiglierie contraeree; posseggono inoltre una centrale di tiro per coordinare l'impiego delle artiglierie. Nella seconda guerra mondiale le artiglierie navali furono agevolate nel tiro dal radar. Inoltre le artiglierie navali furono spesso impiegate in appoggio a operazioni anfibie, per esempio per lo sbarco in Normandia (6 giugno 1944). Negli anni successivi il problema fondamentale dell'artiglieria navale è stato quello di potenziare al massimo la difesa contraerea, problema che è stato risolto dotando le navi di armi autopropulsive (missili) e di cannoni adatti sia al tiro contro aerei sia contro bersagli che si trovano in superficie.

Bibliografia

C. Montù, Storia dell'artiglieria italiana, 15 voll., Roma, 1934-53; G. Marciani, Storia dell'artiglieria italiana, Roma, 1957; E. Egg, J. Jobé, H. Lachouque, Ph.-E. Cleator, D. Reichel, Storia dell'artiglieria, Milano, 1971; G. Bedeschi, O. Vergani, D. Buzzati, Carica! Voloire. 150 anni di artiglieria a cavallo, Milano, 1981.

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