Dalle origini agli anni Settanta

s. inglese usato in italiano come sm. Si riferisce (più propr. industrial design) a quell'attività di progettazione intesa a conferire forme d'arte a oggetti d'uso di produzione seriale (dall'utensile al pannello prefabbricato), legata ai processi produttivi e alle esigenze contingenti dell'industria. L'industrial design tende comunque a considerarsi vero e proprio ambito di ricerca esteticamente autonoma e addirittura incidente sui processi produttivi. L'importanza della scelta di un determinato prodotto da introdurre sul mercato ha posto necessariamente l'industrial design a contatto con una serie di discipline collaterali (per esempio, le teorie dell'informazione). Infatti, il concetto di standard, come possibilità di moltiplicazione in serie, si è dimostrato soggetto alle spinte causate dal rapido consumo cui è sottoposta l'immagine formale di un determinato oggetto, tali da influenzare in maniera decisiva gli indirizzi e le tecniche della produzione industriale in quel settore specifico. Le origini storiche del disegno industriale vengono poste all'inizio del sec. XIX con le realizzazioni dell'ingegneria inglese e francese (il Royal Pavillon di Brighton di J. Nash del 1818) i cui esponenti intuirono per primi le possibilità estetiche dei nuovi sistemi di produzione. Furono tuttavia alcuni protagonisti del movimento inglese delle Arts and Crafts, i primi a riconoscere i valori artistici della produzione di serie. Tra questi, W. Crane, L. Day e R. Ashbee. Altrove, tra i pionieri della nuova tendenza fu determinante l'attività svolta da H. van de Velde, P. Guimard, E. Gallé, J. Hoffmann, K. Moser (in Italia, Campanini e d'Aronco). Un'importante fase per lo sviluppo e la diffusione dell'industrial design ebbe inizio nel 1919 quando W. Gropius assunse la direzione del Bauhaus di Weimar, che rappresentò nel periodo tra le due guerre la prima vera scuola di disegno industriale. Negli Stati Uniti, dopo la grande crisi economica culminata nel 1929, nasceva la styling, cioè quella tendenza a considerare essenziale il miglioramento estetico del prodotto prescindendo dal miglioramento delle sue effettive qualità funzionali. Dopo la II guerra mondiale la sfera di interessi del design si è allargata trovando applicazione in diversi campi: da quello della grafica (graphic design) a quello dell'informazione visiva (visual design) e a quello più complesso dell'architettura (town design). Successivamente il design mondiale ha accentuato la tendenza a dar vita a vere e proprie scuole, con indirizzi e interessi ben precisati. Negli USA vanno ricordate le figure di C. Eames, V. Panton ed E. Noyes che emergono ancora su un panorama progettuale che privilegia in modo eccessivo gli aspetti estetici del prodotto su quelli funzionali (good design): all'avanguardia sono invece le esperienze di didattica del design e le ricerche tecnologiche sui materiali e i processi produttivi. In Europa, si segnalano la scuola finlandese, rappresentata da T. Wirkkala ed E. Saarinen e soprattutto l'italiana, che ha i suoi esponenti di punta in G. Aulenti, M. Bellini, C. Boeri, A. e P. Castiglioni, J. Colombo, E. Mari, V. Magistretti, P. Manzù, B. Munari, R. Sambonet, E. Sottsass, M. Zanuso. Complessivamente, la tendenza generale del design europeo è quella di trovare una formula che permetta il superamento del contrasto tra progettazione industriale e consumo di lusso, in nome di una più vasta diffusione sociale dei prodotti. Alla fine degli anni Sessanta, nel contesto di importanti mutamenti sociali e culturali del periodo, il radical design azzera i valori del good design, fondandone di nuovi e aprendo nuove questioni sia sul piano concettuale sia su quello della forma. Si sancisce al contempo una pluralità operativa e progettuale. Così negli anni Settanta, nel contesto della cultura postindustriale, nella disgregazione del pensiero “forte” e del “modello”, si afferma nel disegno del prodotto industriale un'area postmoderna che propone linguaggi frammentari, provocatori. Parallelamente permane un ambito progettuale fedele alla metodologia positivista e rivolto ai valori pragmatici del processo industriale.

La mostra Italy: The New Domestic Landscape

La mostra Italy: The New Domestic Landscape. Achievements and Problems of Italian Design organizzata da E. Ambasz nel maggio 1972 al Museum of Modern Art di New York sintetizzò bene questi due approcci. L'importanza dell'evento risiede soprattutto nel sancire a livello internazionale il ruolo che il disegno industriale italiano ha conquistato negli anni. La particolarità è che si trattò della prima esposizione che il MoMA dedicò al design contemporaneo di un Paese. In catalogo erano presenti due filoni di ricerca, il primo che vedeva il design come capace di risolvere problemi, il secondo, definito controdesign, che sottolineava l'esigenza di un cambiamento profondo della società. La mostra era suddivisa in tre sezioni: un primo reparto storico di carattere merceologico raccoglieva centosessanta oggetti per la casa prodotti dal 1962 al 1972, in un secondo settore si richiedeva ai partecipanti l'ideazione di micro-ambienti capaci di ricostruire attraverso modelli cerimoniali e rituali la vita domestica italiana. In molti casi si è giunti a una progettazione utopistica che non rispondeva alla realtà abitativa. Per esempio nella sezione House Environments, Archizoom presentarono una stanza grigia completamente vuota; il pubblico era invitato dalla voce di una bimba a immaginare la "sua" casa piena di luce e di colore: "Abitare è facile, vivete come credete meglio, la casa non è un problema". M. Bellini definì l'habitat dell'uomo moderno entro lo spazio di un'automobile in Kar-a-Sutra, innovativo mezzo di locomozione in quanto le sedute interne, vere e proprie poltrone si trasformavano in letti; J. Colombo realizzò la Total Furnishing Unit, una serie di blocchi autonomi l'uno dall'altro (cucina, bagno, zona di letto e soggiorno suddivisi dall'armadio-diaframma) che potevano essere composti a piacimento. U. La Pietra progettò Cellula abitativa, una sorta di casa virtuale multimediale; G. Pesce affrontò il tema del rischio atomico nel progetto Ambiente sotterraneo postatomico. Alberto Rosselli con Isao Hosoe elaborò la Casa mobile, una specie di abitazione-roulotte trasportabile. E. Sottsass jr. progettò in PVC grigio il Sistema di mobili contenitori multiuso, una serie di elementi muniti di ruote che una volta composti definivani ampi e articolati spazi dell'abitare. Superstudio progettò Micro-evento/Microambiente, in cui veniva proposta la possibilità di una vita senza oggetti. M. Zanuso e R. Sapper crearono l'Unità mobile di abitazione per uso collettivo o di emergenza, abitacolo estendibile e trasportabile. La terza sezione, infine, metteva in mostra dodici pezzi realizzati mediante un concorso sempre sul tema dell'abitacolo.

Dagli anni Settanta al primo decennio del Duemila

Se da un lato questa mostra segnava il riconoscimento internazionale ed una supremazia italiana precedentemente detenuta dai Paesi Scandinavi, dall'altro metteva in luce un momento di crisi a livello progettuale che nasceva dalla difficoltà di mettere in pratica il progetto di una tipologia abitativa. All'inizio degli anni Ottanta del XX secolo il gruppo italiano Memphis raccoglie l'eredità dell'avanguardia radicale degli anni Settanta dando vita anche nel design ad un'estetica postmoderna o, come preferiscono dire gli stessi rappresentanti, ad “un nuovo stile internazionale”. Viene rimesso in discussione infatti il diktat modernista secondo cui “la forma segue la funzione” per privilegiare il ruolo simbolico dell'oggetto consentendo un uso e abuso di differenti forme, materiali e colori di ispirazione pop. Tra i designer di spicco di questo decennio si segnalano, tra gli altri, il tedesco R. Sapper, l'americano M. Graves, il giapponese S. Kuramata, il francese P. Starck. Gli anni Novanta rispondono all'eclettismo del decennio precedente privilegiando un ritorno alla sobrietà, a linee semplici e “minimal” come nel caso dei progetti degli italiani Antonio Citterio, A. Meda, del giapponese Toyo Ito, dell'inglese Jasper Morrison. In questi anni il problema ecologico e della tutela dell'ambiente tocca anche il mondo del progetto: i designer si fanno più rispettosi e più attenti soprattutto nell'utilizzo di materiali di recupero e reciclabili. Per definire le ultime ricerche nel campo del disegno industriale il critico Clino Trini Castelli ha coniato alla fine degli anni Novanta il termine “Transitive Design”. Partendo dal termine latino transire – andare oltre – egli fa riferimento a tutti quegli oggetti che instaurano un legame tra passato e futuro; a forme conosciute e già viste vengono così aggiunti nuovi dettagli tipici del gusto contemporaneo.

Bibliografia

G. C. Argan, W. Gropius e la Bauhaus, Torino, 1951; L. Munford, Art and Technique, New York, 1952; W. Gropius, Architettura integrata, Milano, 1959; R. Banham, Theory and Design in the First Machine Age, Londra, 1960; P. Albisinni, G. Bucciarelli, L. De Carlo, Architettura dell’immagine, Roma, 1989.

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