Lessico

sm. [sec. XIX; da vero].

1) Movimento letterario e artistico, sviluppatosi sul finire dell'Ottocento, che propugnava l'estrema aderenza alla verità.

2) Per estensione, crudo realismo: quella scena pecca di eccessivo verismo.

Letteratura

Il verismo, sviluppatosi in Italia fra il 1875 e il 1890, pur richiamandosi alla tendenza realistica del Romanticismo che fa capo a A. Manzoni e prendendo forma nell'ambiente fervido di stimoli culturali della Scapigliatura lombarda, si ricollega direttamente alle teorie positivistiche e al grande modello del naturalismo francese. Mentre gli scrittori realisti francesi avevano dietro di sé una società matura e consapevole e potevano quindi fare delle loro opere uno strumento di azione rinnovatrice, i nostri scrittori veristi si trovavano dinanzi a masse culturalmente sprovvedute e incapaci di recepire il messaggio sociale a esse rivolto. Di qui la condizione di isolamento dello scrittore verista che assume un atteggiamento più contemplativo che attivo e volge la sua attenzione alle sofferenze delle plebi contadine, ma è incapace di sottrarsi al paternalismo e di additare concrete possibilità di riscatto. Accanto a questa fondamentale differenza tra naturalismo francese e verismo italiano (orientato il primo verso le classi sociali produttive dal proletariato all'alta borghesia, volto il secondo a descrivere il mondo agricolo-provinciale e le plebi contadine) è da rilevare il carattere moderato, meno rigido, con cui fu applicata la teoria zoliana del “romanzo sperimentale” e lo stesso canone dell'impersonalità. Teorizzato da L. Capuana, il verismo ebbe in Sicilia il suo massimo rappresentante in G. Verga, accanto al quale è da ricordare il concittadino e amico F. De Roberto. In Calabria il verismo si presenta nelle contrapposte versioni del documentarismo socialmente impegnato di V. Padula e della cronaca pittoresca e folclorica di N. Misasi. La chiassosa e dolente civiltà partenopea ha i suoi affettuosi interpreti in Matilde Serao e in S. Di Giacomo, mentre la remota civiltà racchiusa nel paesaggio sardo viene evocata, con arte sospesa tra verismo e decadentismo, da Grazia Deledda. In Italia centrale l'allucinato paesaggio dell'Agro Romano ha il suo appassionato cantore in C. Pascarella, mentre le zone più selvagge e pittoresche dell'Abruzzo sono sublimate nella sgargiante scenografia delle dannunziane Novelle della Pescara; in Toscana il verismo si attenua nel bozzettismo folcloristico di R. Fucini, o viceversa si irrobustisce nella risentita moralità di M. Pratesi. Nell'Italia settentrionale, infine, la lezione verista si riflette nella Milano di E. De Marchi, con la sua atmosfera grigia e stagnante, e si avverte negli scorci di vita piemontese di G. Giacosa e negli sfondi di paesaggio veneto di A. Fogazzaro. Dopo aver nutrito la formazione di L. Pirandello, il verismo ha trovato rinnovata fortuna, nel secondo dopoguerra, in coincidenza con la fioritura del neorealismo.

Teatro

La nascita del teatro verista, che puntava sull'oggettività della rappresentazione, risale al 1884, con la rappresentazione di Cavalleria rusticana di G. Verga. Quest'ultimo e L. Capuana furono i maggiori rappresentanti del verismo di ambiente contadino, caratterizzato dallo scatenarsi, anche cruento, delle passioni. Il verismo di ambiente borghese fiorì invece a Milano, con la sua borghesia industriale, gli interessi e la morale a essa propri. Autori: G. Giacosa (Tristi amori, Come le foglie), M. Praga (La moglie ideale), C. Antona Traversi, G. Rovetta. Nel grande C. Bertolazzi (El nost Milan), in L. Illica, protagonista è il proletariato urbano della stessa Milano.

Arte

Nelle arti figurative il termine verismo indica il movimento sviluppatosi in Italia negli ultimi decenni dell'Ottocento in corrispondenza al naturalismo francese, al quale lo accomunavano tanto il superamento degli ideali storico-eroici del Romanticismo, quanto l'ispirazione al vero, l'adesione al dato dell'esperienza, la scelta di soggetti umili, quotidiani (si parla perciò anche di verismo sociale). Fiorirono così, per l'influsso delle dottrine positivistiche, una pittura e una scultura “di genere”, con temi attinenti al costume e alla sociologia, sensibili più a problemi contenutistici che stilistici. La programmaticità dell'assunto fu riscattata da autentici valori artistici nelle personalità di maggiore rilievo, ma va osservato che il verismo divenne spesso una pura imitazione della realtà e decadde nel patetismo, nella retorica, nel bozzettismo aneddotico. In scultura, accanto ai più robusti temperamenti di V. Gemito, di G. Grandi, di A. Cecioni, nei quali sussistono suggestioni romantiche, vanno ricordati i loro mediocri epigoni (G. Monteverde, O. Tabacchi ecc.). É però nella pittura, nonostante qui l'assunto sociologico sia più evidente, che si trovano i più autentici veristi, eredi dei macchiaioli e delle scuole di Posillipo e di Resina: i fratelli Induno, i veneziani L. Nono e G. Favretto, S. De Tivoli e vari esponenti della scuola napoletana, quali G. Toma, M. Cammarano, F. P. Michetti, A. Mancini.

Musica

Nell'ambito della storiografia musicale si applica il termine verismo a una fase della storia del melodramma – tra Ottocento e Novecento – illustrata dai nomi di G. Puccini, P. Mascagni, R. Leoncavallo, U. Giordano e F. Cilea. Le relazioni con l'omonimo movimento letterario sono tutt'altro che univocamente definite, riscontrandosi nel verismo musicale caratteristiche specifiche e peculiari. Notevoli sono i prestiti dall'esperienza operistica francese (grand-opéra e opéra-comique) sia nella scelta dei soggetti, ispirati alla storia o alla realtà quotidiana, sia nella suggestione verso un esotismo di maniera, estraneo all'esperienza letteraria verista. Se G. Bizet e J. E. F. Massenet sono da indicare come i modelli più prossimi dei veristi italiani, il prologo dei Pagliacci (1892) di Leoncavallo è da considerarsi come una sorta di manifesto del movimento in Italia. Vero è che questo non ebbe mai, né sul piano dei contenuti (aperti a recuperi tardoromantici e a incrinature dell'originaria matrice naturalistica nella direzione dell'impressionismo, del simbolismo, del decadentismo ecc.), né su quello dello stile (oscillante tra la fedeltà agli archetipi del melodramma verdiano e i recuperi di marca francese o addirittura wagneriana) un profilo unitario. Più di un movimento è lecito parlare – per la storia del melodramma italiano – di un'atmosfera “veristica” i cui echi giungono sino alla Turandot (1926) di Puccini, che costituisce anche il più valido tentativo da parte dell'esponente più alto di questa stagione del gusto, di emanciparsi dal vincolo dei suoi schemi. Inoltre, caratteristica del clima culturale italiano posteriore alla prima guerra mondiale fu la frattura netta che gli esponenti del rinnovamento musicale italiano appartenenti alla cosiddetta “generazione dell'Ottanta” (G. F. Malipiero, A. Casella, I. Pizzetti, O. Respighi) tracciarono tra la propria esperienza culturale e quella del verismo, la quale – anche per questo – rimase un episodio relativamente isolato entro cui andò liquidandosi la grande tradizione del melodramma romantico italiano.

Cinema

L'ipoteca verista agì sullo schermo da sempre, sia per ragioni intrinseche al mezzo tecnico di riproduzione (già per L. Lumière il cinema era la machine à refaire la vie), sia per influssi della scuola letteraria zoliana, verificabili nei primitivi cortometraggi statunitensi della serie Scenes of True Life, come nei film di N. MartoglioSperduti nel buio (1914) e Teresa Raquin (1915). Ma il periodo della storia del cinema legato a questa tendenza fu il decennio francese d'anteguerra, e precisamente da La chienne (1931; La cagna) di J. Renoir a Le jour se lève (1939; Alba tragica) di M. Carné.

Bibliografia

Per la letteratura

G. Petronio, Dall'illuminismo al verismo, Palermo, 1962; M. Pomilio, Dal naturalismo al verismo, Napoli, 1962; R. Barilli, La barriera del naturalismo, Milano, 1964; P. Raffa, Avanguardia e realismo, Milano, 1967; G. Carnazzi, Verga e i veristi, Padova, 1991; O. Palmiero (introduzione e note di), Carteggio Verga-Giacosa, Leonforte, 2016; A. G. Drago, Verga: la scrittura e la critica, Pisa, 2018.

Per il teatro

G. Pullini, Teatro italiano fra due secoli, Firenze, 1958; A. Storti Abate, Introduzione a Capuana, Bari, 1989; R. Alonge (a cura di), Giacosa e le seduzioni della scena : fra teatro e opera lirica, Bari, 2008.

Per l’arte
G. Matteucci (a cura di), Domenico e Gerolamo Induno: la storia e la cronaca scritte con il pennello, Tortona, 2006; G. Benedicenti (a cura di), R. Cordisco, I Cascella. Basilio Tommaso Michele Gioacchino. Un secolo di pittura: dal verismo al postimpressionismo, Pescara, 2013; Arte e nazione: dagli Induno a Fattori nelle collezioni del Museo Revoltella, Trieste, 2015; F. Rovati, L'arte dell'Ottocento, Torino, 2017.
 

Per la musica

G. Gavazzeni, I nemici della musica, Milano, 1965; G. Pestelli (a cura di), Il melodramma italiano dell'Ottocento, Torino, 1977; D. J. Grout, Breve storia dell'opera, Milano, 1985; G. Ruberti, Il verismo musicale, Lucca, 2011; G. Guazzone, Fra sogno e verismo. Il sottile filo d'Arianna della lirica – Carmen, Cavalleria rusticana, Pagliacci, La bohème, Gianni Schicchi – i personaggi, i luoghi, i libretti chiariti, Padova, 2012.

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