Descrizione generale

Sf. [sec. XX; foto-+sintesi]. Processo biologico che determina nelle piante verdi la sintesi dei carboidrati a partire da anidride carbonica e acqua in presenza della luce solare. Dato il ruolo delle piante verdi nella catena alimentare, il processo fotosintetico riveste un'importanza fondamentale per la nutrizione e per la vita degli organismi animali. D'altra parte attraverso la fotosintesi l'energia luminosa assorbita dalle piante viene in esse immagazzinata sotto forma di sostanze chimiche ad alto livello energetico. La demolizione metabolica di tali sostanze fornisce alla pianta l'energia necessaria per i processi di accrescimento e per la sintesi dei lipidi, delle proteine, dei polisaccaridi, degli acidi nucleici, ecc.

Le prime teorie

L'inizio degli studi sulla fotosintesi risale all'ultimo quarto del sec. XVIII, in particolare all'opera di J. Priestley e J. Ingenhousz. In alcuni decenni furono individuate le caratteristiche generali del processo, la sua dipendenza dalla luce, la natura chimica delle sostanze di partenza e dei prodotti finali. Un fondamentale completamento degli studi precedenti fu raggiunto negli anni Trenta del sec. XIX, quando Van Niel avanzò l'ipotesi secondo la quale l'azione della luce porterebbe alla scissione dell'acqua (e non dell'anidride carbonica, come prima ritenuto) formando i radicali H e OH. Il radicale H sarebbe necessario alla trasformazione dell'anidride carbonica in carboidrati, mentre il secondo reagirebbe formando ossigeno e acqua nelle piante verdi e soltanto acqua nei batteri fotosintetici. Questa ipotesi è stata in gran parte confermata dagli studi successivi.

La fotolisi

La fotosintesi avviene principalmente nelle lamine fogliari dove le cellule parenchimatiche sono ricche di cloroplasti e di altri pigmenti necessari all'assorbimento dell'energia luminosa. Allo stato attuale delle conoscenze, la fotosintesi si articola in tre fasi fondamentali: la fotolisi dell'acqua, il trasferimento degli atomi di idrogeno da un composto intermedio a un composto finale e la utilizzazione degli atomi di idrogeno nella conversione dell'anidride carbonica in carboidrati. Durante la seconda fase viene immagazzinata energia, cioè viene trasformata l'energia luminosa in energia chimica. L'energia luminosa viene assorbita dai pigmenti vegetali, primo fra tutti dalla clorofilla, magnesioporfirina di cui esistono due tipi principali (clorofilla a e b). Di tutte le radiazioni solari che arrivano sulla Terra le uniche che hanno importanza determinante ai fini del processo fotosintetico sono quelle con lunghezza d'onda compresa fra 300 e 800 millimicron. Una parte di tali radiazioni viene riflessa dalle superfici fogliari, un'altra invece viene assorbita dai pigmenti delle cellule, cioè da clorofille e carotenoidi nelle piante superiori, da fucoxantine, eritrobiline e cianobiline in molte Alghe. La clorofilla a assorbe principalmente radiazioni di lunghezza d'onda compresa tra 430 e 680 millimicron, la clorofilla b quelle comprese tra 480 e 650 millimicron, donde il colore verde assunto dalle foglie. Soltanto la clorofilla a ha la capacità diretta di fotosintesi, mentre gli altri pigmenti fungono da trasmettitori di energia alla clorofilla a. Si è osservato sperimentalmente che anche porzioni isolate di cloroplasti sono in grado di compiere la fotosintesi, purché abbiano almeno 200-400 molecole di clorofilla. Questa osservazione ha portato a ricercare nell'interno dei cloroplasti singole unità elementari indipendenti, dotate di tutti gli enzimi, pigmenti, lipidi, cofattori, caratteristici e indispensabili al processo fotosintetico. Queste unità, osservabili al microscopio elettronico, prendono il nome di quantosomi. L'energia luminosa, assorbita dai pigmenti specifici, produce un leggero mutamento nella distribuzione degli elettroni, determinando in essi uno stato eccitato. Questo consiste nella perdita, da parte del pigmento clorofilliano, di alcuni elettroni che vengono catturati da determinati recettori molecolari. Da tale movimento elettronico si innescano le reazioni fotochimiche, in particolare i processi di ossidoriduzione accoppiati alla fosforilazione ossidativa. In seguito a ricerche sperimentali si è accertata l'esistenza nei vegetali di due diversi sistemi fotochimici, entrambi contenenti clorofilla a (sistemi I e II). A ognuno di questi sistemi corrisponde una serie di reazioni fotochimiche particolari; il sistema I è eccitato soltanto da radiazioni aventi lunghezza d'onda di 680 millimicron, l'altro da radiazioni di 670 millimicron. Il ciclo delle reazioni che si svolgono a carico dei due sistemi può essere schematizzato nel modo seguente: la clorofilla del sistema II, eccitata dalle radiazioni, perde un elettrone che viene catturato dapprima da un accettore, detto citocromo b6, e, in seguito, da questo trasferito a un secondo accettore, il citocromo f. Questo passaggio comporta la liberazione di una certa quantità di energia, sufficiente per consentire la fosforilazione di una molecola di ADP con formazione di ATP. L'elettrone acquistato dal citocromo f viene trasferito alla clorofilla a del sistema I e successivamente su un pigmento, detto ferridossina, che, riducendosi, provoca a sua volta la riduzione di una molecola di NADP. A questo punto avviene la reazione di fotolisi dell'acqua nei cloroplasti attraverso una catena di reazioni biochimiche che può essere globalmente descritta dalla equazione:

.

Durante questo processo l'energia luminosa viene utilizzata inizialmente per sottrarre elettroni all'acqua cellulare e per generare intermedi ad azione riducente.

Il trasferimento degli elettroni

La tappa successiva, anch'essa attuata grazie all'azione della luce, comporta il trasporto di elettroni al coenzima NADP e la produzione di NADPH (glucosio-6-fosfato-deidrogenasi). Unitamente all'ATP, che si forma durante la fosforilazione ossidativa, il NADPH interviene nella trasformazione di CO2 in idrati di carbonio. Gli idrati di carbonio sono monosaccaridi del tipo glucosio (C6H12O6) che già nei cloroplasti si uniscono in legame 1,4 α-glucosidico ad altri radicali glucosidici dello stesso tipo, formando l'amido primario. Questo viene poi demolito per via enzimatica entrando a far parte della cosiddetta linfa elaborata, tramite la quale raggiunge tutte le cellule e gli organi di riserva, dove si trasforma in amido secondario.

La sintesi del glucosio

La biosintesi del glucosio inizia con la carbossilazione di una molecola di ribulosio 1,5-difosfato, da cui originano, tramite un composto intermedio instabile, due molecole di acido 3-fosfoglicerico; da questo il processo continua attraverso reazioni analoghe a quelle della glicolisi anaerobica di Embden e di Meyerof procedenti nel senso opposto, cioè non verso la degradazione, ma verso la sintesi del glucosio. Il glucosio neoformato è il prodotto di partenza per la formazione dell'amilosio, costituito da molecole di glucosio unite con legame 1,4-glucosidico. Il bilancio energetico del ciclo fotosintetico si può così riassumere: per ogni molecola di CO₂ che si trasforma in glicide sono utilizzate due molecole di NADPH che si formano a loro volta con l'intervento di quattro elettroni e tre molecole di ATP, per cui sono necessari non meno di sei fotoni per operare la trasformazione di CO₂ in glicide. Se la produzione di NADPH e di ATP potesse avvenire nella pianta con modalità diverse da quella fotochimica, l'intero processo di organicazione del carbonio si potrebbe completare anche in assenza di luce. Pur necessitando, quindi, dell'irraggiamento solare il processo avviene anche in condizioni di scarsa illuminazione, come nei fondali marini.

L'assimilazione di CO2

A bassi livelli di irraggiamento l'indice massimo di conversione dell'energia luminosa nelle piante verdi (quantità di anidride carbonica, CO2, assimilata per unità di energia assorbita) è circa il 12%. L'assimilazione di CO2 aumenta proporzionalmente all'intensità luminosa fino al raggiungimento di un livello di saturazione che si ha in condizioni di irraggiamento pari al 25% di quelle massime. A valori più alti l'indice di conversione dell'energia luminosa tende a diminuire. Le specie di piante con maggiore capacità di assimilazione dell'anidride carbonica (mais, canna da zucchero, ecc.) assumono in condizioni ottimali di irraggiamento e di temperatura (25-35 ºC) da 42 a 85 mg di CO2 per decimetro quadrato di superficie fogliare/ora. Queste, tuttavia, rappresentano una minima parte del mondo vegetale attivo; infatti la maggior parte del processo fotosintetico che avviene sulla Terra (circa l'80%) è sostenuta dalle Alghe marine e di acqua dolce. In natura se la pianta è tenuta nella completa oscurità, la sua attività fotosintetica è nulla e la respirazione si svolge con consumo di ossigeno ed emissione di anidride carbonica. A intensità luminosa molto bassa lo scambio dei gas interessati nell'attività fotosintetica è ancora inferiore a quello dei gas respiratori e in tal caso sia l'assorbimento dell'ossigeno sia l'emissione dell'anidride carbonica si svolgono nella pianta in proporzioni ridotte.

La fotorespirazione

Il potere fotosintetico, almeno per le piante superiori, dipende in gran parte dalla entità del processo di fotorespirazione, che consiste nella cessione all'ambiente di una certa quantità di anidride carbonica attraverso un meccanismo ossidativo dipendente dalla luce. La fotorespirazione non va confusa però con la respirazione notturna che nelle piante verdi avviene con meccanismi simili a quelli rilevabili nelle cellule animali e nei microrganismi. A differenza della respirazione notturna, la fotorespirazione comporta la perdita di una parte di CO2 assimilata nel corso della fotosintesi e può essere pertanto considerata un fenomeno di dissipazione di materiale biochimico potenzialmente utile per l'economia delle cellule. In genere nelle piante l'efficienza della fotosintesi è inversamente proporzionale all'entità della fotorespirazione ed è probabile che l'inibizione di quest'ultima comporti una significativa attivazione del processo fotosintetico come sembra avvenga nelle Alghe. Questo obiettivo potrebbe essere raggiunto sia con l'impiego di mezzi chimici capaci di interferire selettivamente nel metabolismo delle cellule vegetali sia attraverso manipolazioni del patrimonio genetico cellulare. Il principale substrato utilizzato dalle cellule per la fotorespirazione è l'acido glicolico (CH2OH·COOH), sostanza che si forma nelle prime fasi della fotosintesi a partire da vari precursori e che viene utilizzata previa trasformazione in acido gliossilico per opera di una glicolico-ossidasi presente nelle foglie. L'entità della fotorespirazione dipende dal contenuto cellulare di acido glicolico e quindi dall'andamento dei processi metabolici che portano alla sintesi o al catabolismo di questa sostanza. In presenza di inibitori della sintesi di acido glicolico la fotorespirazione viene inibita e ciò comporta in molte specie di vegetali un significativo incremento della fotosintesi.

I fattori limitanti la capacità fotosintetica

Tra gli altri fattori che limitano la resa del processo fotosintetico vi sono la concentrazione di CO2 nell'aria e la temperatura ambiente. Quando una pianta viene posta in un ambiente con diverse concentrazioni di anidride carbonica e quindi illuminata, si osserva che se la concentrazione di anidride carbonica è molto bassa il massimo di fotosintesi si ottiene con intensità luminosa modesta; aumentando la concentrazione di CO2aumenta anche la soglia dell'intensità luminosa. Il livello della fotosintesi può quindi essere considerato come una funzione della concentrazione di anidride carbonica nell'aria a differenti intensità luminose. Anche la temperatura è un fattore limitante del processo, che acquista importanza quando nel sistema la concentrazione di CO2 è modesta: in questo caso a un aumento della temperatura corrisponde un maggiore assorbimento di CO2 da parte della pianta.

I processi fotosintetici degli organismi primitivi

Probabilmente i primi organismi viventi comparsi sul pianeta erano di tipo eterotrofo, e si nutrivano di prodotti organici di sintesi abiologica. Il nutrimento autotrofo è una conquista successiva. Si ritiene che nell'iniziale atmosfera riducente, il primo processo fotosintetico fosse del tipo CO2+2H2S —→ (CH2O)+H2O+2S, quale si può osservare ancora oggi nei Batteri color porpora e verdi, anaerobi. Un successivo processo fotosintetico fu quello che, per ricavare l'idrogeno, al posto dell'acido solfidrico, utilizzò l'acqua, secondo la reazione:

Questa diversa reazione fotosintetica (oggi tipica delle Alghe Azzurre, e delle piante più evolute) è la responsabile del graduale, ma fondamentale, passaggio dell'atmosfera terrestre, da una composizione riducente a una composizione ossidante. Probabilmente, i primi resti fossili di Alghe Azzurre (stromatoliti) che risalgono a 3,5 miliardi di anni fa, rappresentano già organismi fotosintetici. Questa informazione si ricava dall'indagine paleochimica del carbonato delle stromatoliti. È noto, infatti, che dei due isotopi del carbonio più frequenti in natura (12C e 13C) gli organismi fotosintetici fissano, preferenzialmente, il 12C, alterando così, localmente, il rapporto isotopico naturale 12C/13C.

Bibliografia

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