La formazione politica

Uomo politico tedesco (Braunau am Inn 1889-Berlino 1945). Austriaco di nascita, figlio di un doganiere, trascorse la giovinezza a Linz dove il padre lo aveva iscritto alla Realschule (1900). Morto il padre (1903) e ammalatosi (un principio di tubercolosi), Hitler due anni dopo lasciò gli studi, che seguiva malvolentieri del resto, e incominciò delle letture disordinate. Trasferitosi a Vienna sperò nell'ammissione all'Accademia di Belle Arti, ma fu bocciato per due volte (1907 e 1908) e in preda allo scoraggiamento, anche per la morte della madre, visse dei modesti guadagni di decoratore e di pittore dilettante. Frustrato, divenne facile preda di molte suggestioni: dall'antisemitismo di K. Lueger, al pangermanismo di Schönerer, alla teoria del superuomo di Nietzsche. Alla fine del 1912 o all'inizio del 1913 si trasferì a Monaco, forse per evitare il servizio militare. Lavorò, stancamente, come sempre del resto poco attratto dal lavoro, come muratore. Accolse lo scoppio della guerra con la speranza che ne sarebbe sorta una grande Germania. Si arruolò volontario nel reggimento List: divenne caporale, fu ferito nel 1916 presso Bapaume, rimase offeso dai gas a Ypres nel 1918, ottenne due croci di guerra. La disfatta significò per lui delusione e rancore verso i socialdemocratici e i comunisti, coloro che furono poi da lui indicati come gli autori della “pugnalata nella schiena” e come i soli responsabili della disfatta. Tornò a Monaco verso la fine di gennaio del 1919, dopo aver frequentato un corso di istruzione politica per conto dell'esercito, ed ebbe l'incarico di svolgere indagini sul Partito dei lavoratori tedeschi, vicino agli ambienti militari. Hitler vi si iscrisse, lo organizzò e potenziò. In sei mesi ne divenne il capo. Vi associò altri movimenti nazionalsocialisti e nell'aprile del 1920 quella modesta alleanza assunse la denominazione di National-sozialistische deutsche Arbeiterpartei (NSDAP; Partito nazionalsocialista dei lavoratori tedeschi). Hitler lasciava allora l'esercito, venendone tuttavia finanziato. Abile nel circondarsi di collaboratori efficienti e fanatici (lo dimostrerà associandosi col tempo i vari G. Feder, A. Rosenberg, R. Hess, K. H. Frank, G. Strasser, D. Eckart, J. Streicher, J. Goebbels, H. Goering), trovò in Ernst Röhm, capo delle famigerate SA (Sturmabteilungen, reparti d'assalto), il punto di forza per fare della violenza l'arma dell'intimidazione sotto il pretesto di voler ripristinare l'ordine minacciato dai comunisti.

L'ascesa del partito hitleriano

Il partito hitleriano assunse come programma la dottrina revanscista e riarmista, razzista (antisemitismo) e sciovinista, antidemocratica e nebulosamente socialistica. La crisi del dopoguerra, con la disoccupazione sempre più vasta, l'inflazione inarrestabile, la debolezza e gli errori della Repubblica di Weimar spinsero Hitler, sostenuto dall'ascendente e dal prestigio del generale Ludendorff, a tentare di impadronirsi del Land bavarese. Il fautore della grande Germania giocava la sua prima, importante carta politica con un'azione separatista. Ma il Putsch di Monaco (8-9 novembre 1923) fu un fiasco clamoroso . Condannato a cinque anni, Hitler in realtà scontò solo pochi mesi di prigione a Landsberg e ne uscì alla fine del 1924, dopo aver scritto la prima parte del Mein Kampf (subito pubblicata, mentre la seconda venne conclusa alla fine del 1926 e pubblicata nel 1928). L'ideologia nazista, seppure nel disordine dell'esposizione, vi appariva inequivocabile. La tesi della superiorità della razza ariana (echi di Gobineau, H. S. Chamberlain e di Rosenberg, che scrisse poi col Mito del secolo XX il catechismo del movimento nazionalsocialista), già apparsa nel Völkischer Beobachter (L'osservatore nazionale), vi era ribadita. L'antisemitismo era inteso come una crociata. Seppure in libertà vigilata, Hitler ricostituì il partito, che nel 1925 riprese risolutamente l'offensiva col presupposto di conquistare il potere dall'interno, poiché ogni rivolta diventava un'avventura. Hitler dovette lottare contro l'ala pseudorivoluzionaria capeggiata dai fratelli Gregor e Otto Strasser, contraria alla “via ministeriale”, e anche se le elezioni del 1928 gli furono contrarie Hitler seppe tuttavia tenere a bada le SA vogliose di creare disordini e di passare all'azione. Si alleò con i nazionalisti monarchici di A. Hugenberg e grazie agli aiuti finanziari di parte dell'aristocrazia agraria, dell'alta finanza e della grande industria, soprattutto di Thyssen, terrorizzate dall'idea di una possibile affermazione comunista (la dilagante crisi del 1929 aveva colpito anche la Germania dopo alcuni anni di ripresa dovuta anche agli aiuti anglo-americani) in un momento di smarrimento generale, grazie alla sua grandissima abilità oratoria, al suo talento propagandistico e a tutti i mezzi leciti e illeciti cui ricorse con risolutezza somma, nel 1930 Hitler e il suo partito ottennero oltre 6 milioni di voti, che significarono 107 seggi al Reichstag. Il NSDAP divenne il secondo partito dopo la socialdemocrazia, con un'ossatura paramilitare: le SA di Röhm, cui si erano aggiunti nel 1929 le SS (Schutz-Staffeln, squadre di difesa) di Himmler e un efficientissimo ufficio di propaganda diretto da Goebbels affiancatosi a Hitler nel 1925. Nelle elezioni del 1932 Hitler, nonostante l'avanzata del partito, non riuscì dapprima a ottenere il cancellierato, ma con l'appoggio dell'esercito (assicuratogli dal generale Blomberg, ministro della Guerra), della destra di Hugenberg e di von Papen, e del presidente Hindenburg, sempre riluttante verso il disprezzato “caporale bavarese”, fu infine accettato nel quadro di un governo nazionale.

L'instaurazione della dittatura

Il 30 gennaio 1933 Hitler venne investito ufficialmente della carica. Da questo evento all'instaurazione della dittatura il passo fu breve e fu facilitato dal mito del Führer (capo supremo dotato di uno speciale potere carismatico). Alla morte di Hindenburg (1934) Hitler divenne anche capo dello Stato, col titolo ufficiale di Führer und Reichskanzler. Due mesi prima, soffocata ogni esitazione, nella notte del 30 giugno, passata alla storia come “la notte dei lunghi coltelli”, Hitler aveva liquidato Röhm e i maggiori esponenti delle SA, invise agli alti comandi militari. Più tardi Hitler si sbarazzò anche di altri collaboratori a tutti i livelli, dai finanzieri come Schacht, ai ministri come von Neurath, ai generali come Blomberg e Fritsch, colpevoli di scetticismo verso i piani di conquista nazisti. Affidando la gestione interna ai suoi principali collaboratori (Himmler, Goebbels, Goering, ecc.), che si crearono dei veri e propri imperi personali, senza tuttavia mettere in pericolo la preminenza del Führer, Hitler si occupò soprattutto della politica estera (dove von Ribbentrop fu soltanto un semplice esecutore). Dittatore assoluto, sempre fermamente legato all'idea della grande Germania, Hitler si adoperò per far cadere tutte le clausole del Trattato di Versailles. Convinto di essere uno stratega eccelso, si sovrappose ai generali e, una volta scatenata la seconda guerra mondiale (1939), assunse il comando delle operazioni. Nel 1941 si autonominò comandante supremo, suscitando rancore in tutti i comandi, non mitigato da alcune sue geniali intuizioni che diedero alla Germania la supremazia fino alla decisione di invadere l'URSS. Il blocco quasi contemporaneo davanti a Stalingrado e la controffensiva inglese in Africa (1942) aumentarono i dissensi all'interno della Wehrmacht. I generali si rendevano conto ormai che Hitler stava portando la Germania allo sbaraglio. Più volte vennero orditi complotti per uccidere Hitler, il più noto dei quali resta quello del 20 luglio 1944 attuato dal colonnello von Stauffenberg, cui avevano dato il loro appoggio e la loro adesione H. W. Canaris, Witzleben, L. Beck, E. Hoeppner, F. W. von der Schulenburg (tutti catturati e giustiziati per ordine di Hitler miracolosamente scampato nel suo ufficio devastato da una bomba). Sordo a ogni sollecitazione che invocava la fine dell'ormai inutile guerra, di cui la politica nazista era la principale responsabile, così come si era resa responsabile del massacro scientemente pianificato di milioni di Ebrei e di ogni avversario politico, Hitler assistette al crollo della Germania, come a un grandioso tragico avvenimento wagneriano, e si uccise (30 aprile) nel bunker della Cancelleria di Berlino, dopo aver sposato in extremis Eva Braun, sua compagna da molti anni, mentre i soldati sovietici erano ormai a pochi passi dalla Cancelleria.

Bibliografia

H. R. Trevor-Roper, The Last Days of Hitler, Londra, 1947; H. Picker, Hitlers Tischgespräche im Führerhauptquartier 1941-1942, Bonn, 1951; A. Bullock, Hitler. A Study in Tyranny, Londra, 1952; W. Görlitz, H. Quint, Adolf Hitler-Eine Biographie, Stoccarda, 1952; H. Buchheim, E. Eucken-Erdsieck, G. Buchheit, H. G. Adler, Der Führer ins Nichts-Eine Diagnose Adolf Hitlers, Rastatt, 1960; H. Heiber, Adolf Hitler. Eine Biographie, Berlino, 1960; M. Baumont, La grande conjuration contre Hitler, Parigi, 1963; K. D. Bracher, Die Deutsche Diktatur, Colonia, 1969; J. Fest, Hitler, Parigi, 1973; S. Bertoldi, Hitler e la sua battaglia, Milano, 1990.

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