Descrizione generale

Il quinto e il maggiore pianeta (simbolo v) del Sistema Solare: la sua massa, infatti, è circa due volte quella di tutti gli altri pianeti messi insieme e ben 318 volte la massa della Terra. Giove ha un diametro equatoriale 11,23 volte, volume 1317,89 volte e un'accelerazione di gravità 2,54 volte quelli terrestri .. Nonostante la grande distanza dalla Terra (minima 590 milioni, massima 965 milioni di km), Giove è, dopo Venere, il più luminoso dei pianeti visibili nel cielo notturno: il suo splendore massimo, in magnitudini stellari, è di –2,5. Questo, unito al fatto che Giove è ben visibile per molti mesi all'anno, ne rende facile l'osservazione anche con un modesto telescopio.Giove possiede un esteso sistema di satelliti e un sistema di deboli anelli (vedi oltre).

Struttura e composizione

I dati forniti dalle sonde interplanetarie Pioneer (1973-74) e Voyager (1979-80), e, soprattutto, dalla sonda Galileo, in orbita attorno al pianeta per 14 anni dall'ottobre del 1989 al settembre del 2003, hanno permesso di conoscere molti aspetti di Giove e dei suoi satelliti. Giove ha una struttura fluida: il nucleo, se veramente esiste, deve essere molto piccolo e costituito da silicato di ferro; il massimo volume del pianeta è occupato, infatti, da idrogeno metallico liquido avvolto da uno spesso “guscio” di idrogeno molecolare liquido. Le colorazioni caratteristiche presenti nella coltre nuvolosa sembrano identificare altrettanti livelli atmosferici. Le "zone" – nel modello teorico – rappresentano infatti formazioni fredde (–130 °C), in prevalenza costituite di ammoniaca NH3, e considerate le più elevate nell'atmosfera gioviana (20 km sulla quota convenzionale assunta come “zero”), ove esse disperdono il proprio calore nello spazio esterno. Più o meno alla quota di riferimento si troverebbero a galleggiare le nubi intermedie, di tonalità bruna (solfoidrato d'ammonio NH4SH a –40 °C), mentre un terzo strato, più caldo (+20 °C) e più profondo, formato di goccioline H2O, si estenderebbe a quote 30 km sottostanti. Queste ultime formazioni appaiono bluastre (per la medesima ragione che rende azzurro il cielo sulla Terra) a causa della diffusione Rayleigh che la luce solare subisce in seno alla massa atmosferica superiore. Esaminata all'infrarosso, la luminosità dei diversi strati si mostra proporzionale alle rispettive temperature intrinseche. L'estesa atmosfera di Giove si presenta, anch'essa, a strati: gli inferiori, più densi, sono costituiti da nubi di solfuro e solfoidrato di ammonio, i superiori da nubi di ammoniaca, tutte sotto forma di minuti aghi ghiacciati; una massa gassosa rarefatta, dai contorni ancora non definiti, avvolge il pianeta e appare costituita da idrogeno molecolare con tracce di elio, metano, acqua, acetilene, idrogeno fosforato. La temperatura media esterna di Giove è valutata intorno ai –160 ºC, mentre quella superficiale non supera i –130 ºC: questa differenza conferma che Giove emette più calore di quanto ne riceva dal Sole, il che testimonia di una sorgente termica interna, presente peraltro anche su Saturno (vedi oltre).

L’atmosfera

La densità dell'atmosfera impedisce di vedere la conformazione della superficie planetaria ma è certo che massa fluida e nubi ruotano a velocità diversa, con uno scarto di 360 km/h; a questo è dovuto il caratteristico aspetto di Giove a zone bianco-giallastre e fasce bruno-rossicce che si alternano parallelamente all'equatore e si spostano con velocità diverse; la massima velocità di rotazione assiale, pari a 9h e 50 min, si ha all'equatore planetario, mentre si arriva alle latitudini superiori fino a ca. 9h e 55 min. L'elevata velocità di rotazione su se stesso è in accordo con quella dei maggiori pianeti esterni; a essa si devono il forte appiattimento polare e la particolare struttura del campo magnetico formato da un dipolo (con poli invertiti rispetto a quelli della Terra) connesso a un quadrupolo (o forse a un ottupolo); il campo è inclinato di 10º77' sull'asse del pianeta e dà origine a una zona extraplanetaria a forma toroidale costituita da particelle cariche (fasce di Van Allen) che si estende fino a 20-50 diametri gioviani ed è 10.000 volte più intensa dell'analoga terrestre. Di certo connesse con i moti termoconvettivi e con quelli di rotazione delle particelle cariche sono le formazioni “colorate”, con aspetto di vortici, che si notano sul pianeta; l'atmosfera gioviana mostra infatti fasce di nubi di varia riflettività e colorazione, parallele all'equatore, larghe fino a 20.000 km e associate a potenti correnti a getto che scorrono in direzioni alterne secondo la latitudine. Nelle zone di contatto si innescano moti turbolenti che danno origine, tra l'altro, a strutture anticicloniche ovoidali di dimensioni notevoli, come nel caso della Grande Macchia Rossa, avente superficie comparabile con quella dell'intera Terra e attiva da almeno 3 secoli (come risulta dalle prime osservazioni di Galileo). Esistono inoltre altri complessi flussi vorticosi dei quali non sono ancora chiari i meccanismi che ne consentono la “sopravvivenza” per tempi relativamente lunghi come quelli osservati, a dispetto del carattere intrinsecamente instabile proprio dei fenomeni turbolenti che ne hanno permesso l'instaurarsi. È stato inoltre identificato un possibile processo di “rifornimento” energetico per tali fenomeni ciclonici. In certe formazioni nuvolose e circoscritte (molto simili alle nubi temporalesche terrestri) avvistate dalla sonda Galileo è stato possibile osservare chiaramente, grazie al rapido sopraggiungere della notte gioviana, la presenza di attività elettrica associata a veri e propri fulmini. Ciò sta molto probabilmente a indicare una ragguardevole presenza di vapor acqueo nonché di precipitazioni piovose, anche e soprattutto dopo che il primo è stato direttamente rilevato in nubi situate in profondità nell'atmosfera del pianeta e in prossimità di zone convettive (normalmente l'eventuale vapor acqueo rimarrebbe nascosto agli strumenti dalle nubi di ammoniaca in alta atmosfera). Dunque il meccanismo di produzione energetica che alimenterebbe i cicloni su Giove potrebbe essere molto simile a quello che interviene per gli uragani terrestri: zone di bassa pressione attirano aria umida la quale poi, trasportata da correnti ascensionali convettive, si raffredda provocando la condensazione del vapore con conseguenti precipitazioni e quindi, imponenti rilasci energetici. A quanto pare tale meccanismo non interverrebbe nel caso degli “ovali bianchi” anticiclonici, molto comuni su Giove (non vi si sono mai osservate scariche elettriche). Presumibilmente ciò è dovuto al fatto che in questi casi l'alta pressione impedisce la risalita per convezione di vapore acqueo e quindi gli annessi fenomeni temporaleschi. Pare invece che, come testimoniano le immagini dell'HST (Hubble Space Telescope), la longevità di queste strutture sia dovuta a fenomeni di “fagocitazione” e fusione tra ovali vicini e di dimensioni diverse. È poi da tener presente che, mancando una superficie solida sul pianeta, non si hanno i meccanismi dissipativi che sulla Terra smorzano rapidamente i cicloni quando questi si trovano a transitare sui rilievi e sulle irregolarità della terraferma.

Aurore polari

Alcune immagini nell'ultravioletto, riprese ad alta risoluzione dall'HST, hanno poi mostrato sul pianeta gigante l'esistenza di aurore polari analoghe a quelle visibili nelle nostre regioni polari, anche se molto più intense. Mentre sulla Terra (come pure sul pianeta Saturno) esse sono originate dall'interazione con l'atmosfera di particelle cariche appartenenti al vento solare, convogliate e concentrate ai poli dal campo magnetico, su Giove si tratterebbe per lo più di atomi di gas (ionizzati dalla radiazione solare) provenienti dalle numerose eruzioni vulcaniche su Io, dal quale riescono a sfuggire alla non particolarmente intensa gravità del satellite. Ciò si deduce tra l'altro dalle disomogeneità della radiazione aurorale che dipende dalla direzione di provenienza del flusso di ioni, a sua volta correlata con la posizione di Io. L'energia delle aurore gioviane, inoltre, è fornita dalla rapida rotazione del pianeta, piuttosto che dal vento solare come accade sulla Terra.

Il sistema di anelli

Sin dalla missione Voyager degli anni Settanta, era nota l'esistenza di un sistema di anelli di pulviscolo intorno Giove , composto da un anello principale esteso da 1,3 a 1,8 raggi gioviani (RG ~ 71.000 km) e, parzialmente sovrapposto a questo, il cosiddetto alone (di forma toroidale), formato da quelle particelle del primo che, possedendo una carica elettrica, vengono allontanate dal piano equatoriale dal campo magnetico del pianeta gigante. La sonda Galileo ha rilevato direttamente l'esistenza di due ulteriori tenui anelli, che si estendono il primo da 1,8 a 2,5 RG e il secondo, un po' meno denso e luminoso, da 2,5 a 3,1 RG. Per quanto riguarda l'origine di queste strutture è stato fatto notare da alcuni studiosi come, a causa dell'intenso campo gravitazionale gioviano, le particelle costituenti (del diametro di millesimi di millimetro) non potrebbero rimanere in orbita per più di un centinaio d'anni. Grazie alla missione Galileo, prende consistenza l'ipotesi secondo la quale il pulviscolo precipitato su Giove sarebbe continuamente “rimpiazzato” dal materiale emesso durante impatti di micrometeoriti sulla superficie di alcuni dei satelliti gioviani più piccoli. A tal proposito si è visto come Thebe, Amalthea, Adrastea e Metis (di dimensioni variabili tra 20 e 250 km), non a caso orbitanti proprio all'interno del sistema degli anelli, abbiano la stessa riflettività e lo stesso colore (dunque simile composizione mineralogica) del pulviscolo di questi, costituendo perciò i candidati ideali per il meccanismo di rifornimento di polvere. Molto probabilmente, come sostengono gli astronomi autori di questi studi, anche intorno agli altri pianeti giganti e in corrispondenza delle orbite di piccoli satelliti devono esistere simili anelli .

La collisione della cometa Shoemaker-Levy

La conoscenza di Giove è stata molto accresciuta dall'osservazione dell'impatto della cometa Shoemaker-Levy con il pianeta nel 1995. Alcuni frammenti, 23, distaccatisi dal nucleo solido della cometa (il cui diametro originario, stimato in modo piuttosto incerto, sarebbe stato fra i 2 e gli 8 km) sono penetrati in successione – fra il 16 e il 22 dicembre 1995 – entro l'atmosfera gioviana alla velocità di 60 km/s generandovi altrettante esplosioni d'energia per un equivalente complessivo di 25 mila megatoni. Vari centri osservativi sparsi per il mondo, particolarmente attrezzati per rilevamenti spettroscopici e nell'infrarosso – il telescopio IRTF e il telescopio Keck sul Mauna Kea, l'osservatorio KAO aerotrasportato della NASA, il telescopio spaziale Hubble, la stessa sonda Galileo in rotta verso Giove – hanno seguito l'eccezionale evento e ne hanno tratto informazioni determinanti per la fisica del pianeta. Dall'impatto con le parti solide della Shoemaker-Levy, i planetologi si attendevano una conferma al modello convenzionale dell'atmosfera gioviana, grazie al rilevamento spettroscopico dei prodotti generati per combinazione con le sostanze presenti nel nucleo cometario. I luoghi ove i frammenti della cometa hanno raggiunto l'atmosfera del pianeta hanno sviluppato altrettanti bagliori di luce intensissima, durati anche per qualche decina di minuti e attestanti livelli termici esplosivi compresi fra i 2000 e i 10.000 °C. Ai fenomeni luminosi è seguita, sul disco planetario, la comparsa di nuclei a colorazione oscura animati da rapida espansione (valutata a 1500 km/h); centri d'irradiazione di onde d'urto e di compressione, la cui visibilità si è protratta per alcune settimane. Le subitanee reazioni termiche intervenute nel corso del catastrofico evento, e il brusco rimescolamento degli strati aerei che ne è seguito, hanno provocato una massiccia dispersione di particelle di aerosol rendendo visibili allo spettroscopio numerosi prodotti derivati dalla combinazione e/o dalla dissociazione di sostanze note, fra le quali l'acqua e il monossido di carbonio (ritenuti entrambi d'origine cometaria) e poi l'ammoniaca, lo zolfo, il cianogeno e alcune molecole di idrocarburi facenti evidentemente parte della chimica gioviana.

La sonda atmosferica della Galileo

Le conoscenze sull'atmosfera di Giove sono state accresciute, ma non sempre confermate, anche dall'invio della sonda atmosferica (Atmospheric Probe) della sonda Galileo attraverso l'atmosfera di Giove , il 13 luglio 1995. La Atmospheric Probe, ha fatto il suo ingresso nell'atmosfera superiore di Giove alla velocità di 50 km/s, ne ha attraversato i primi 100 km di spessore terminando di inviare dati solo quando – dopo 58' di discesa, con la temperatura esterna salita a 150 °C e la pressione gassosa a 20 atmosfere – i sette strumenti di bordo hanno cessato di funzionare. Nonostante l'impetuoso rimescolamento degli strati aerei, travolti da correnti spiranti fino a 500 km/h (la loro forza è risultata crescente con la profondità), l'elettrometro di bordo non vi ha riscontrato concentrazioni di cariche elettrostatiche sufficienti a scatenare fenomeni di folgorazione. In secondo luogo, rivelazioni inaspettate sono giunte dal nefelometro e dal radiometro, ai quali la prevista triplice stratificazione delle nubi è apparsa quasi del tutto inesistente. Non le goccioline di ammoniaca dello strato atmosferico superiore; non la diffusione luminosa caratteristica delle nebbie di solfoidrato d'ammonio attese nello strato 20 km sottostante; né tantomeno condensazioni di nubi d'acqua – 15-20 km ancor più sotto – hanno fornito conferma al modello strutturale che gli studiosi erano convinti di rinvenire alle quote esplorate dalla sonda. Anzi, il vapor d'acqua è risultato singolarmente scarso, presentandosi nella proporzione di sole 1700 parti per milione proprio laddove, in teoria, avrebbe dovuto abbondare. La presenza in tracce (1 parte per miliardo) di xeno e di cripto, in virtù della nota affinità chimica di questi gas nobili per i composti ghiacciati, lascia peraltro qualche speranza che l'H2O si trovi incorporata entro alcune sostanze speciali conosciute come clatrati. Una terza circostanza significativa è connessa ai risultati abbastanza imprevedibili che riguardano la composizione dei gas. Lo spettrometro di massa della sonda ha infatti verificato che il rapporto elio/idrogeno raggiunge soltanto la metà (1 atomo su 24) di quello che si riscontra sul Sole, al cui modello – parlando di Giove – si era sempre fatto riferimento. Il medesimo strumento ha pure mostrato che il metano (1000 parti per milione) indica un'abbondanza di carbonio pari a 1,3 volte quella solare; che l'acido solfidrico (20 ppm) è soltanto la metà; che, al contrario, l'ammoniaca (2000 ppm) supera di dieci volte le attese; mentre compare, in tracce, la fosfina PH3, un composto da tempo ritenuto l'agente cromoforo che influisce sulla tipica colorazione delle nubi gioviane. Altro elemento che ha deluso le aspettative è l'assenza di alcuni polimeri organici del carbonio – per esempio l'etano – che si supponeva sintetizzato in quantità sotto lo stimolo della radiazione solare. Posti dinanzi a questo complesso discordante di risultati, molti studiosi si sono dichiarati propensi a ritenere che, in qualche misura, i dati raccolti siano stati alterati dalle particolari condizioni meteorologiche incontrate dalla sonda nel suo percorso attraverso l'atmosfera del pianeta. In ogni caso, lo scenario sembra manifestare un fatto incontrovertibile; cioè che il globo di Giove – almeno nella parte esplorata – non riflette, in realtà, la composizione chimica del modello solare con quella precisione che molti planetologi si attendevano.

La fonte di calore interno

I processi di condensazione delle piogge gioviane, a motivo del calore di vaporizzazione che essi liberano, possono ritenersi, insieme alla lenta compressione generale di tutto il pianeta che libera calore per conversione di energia gravitazionale, una delle componenti che costituiscono le fonti termiche interne di Giove e che gli consentono di irradiare quasi il doppio dell'energia assorbita dal Sole. D'altra parte, i planetologi ritengono che il suo nucleo centrale (la componente solida che racchiude il 4% della massa totale), a causa del riscaldamento prodotto dalla radioattività delle rocce che lo compongono, e dalla compressione cui si trova sottoposto, rappresenti in effetti la sede precipua atta alla liberazione delle sostanze (essenzialmente carbonio, idrogeno, ossigeno, azoto, zolfo) presenti nella miscela gassosa che avvolge il pianeta. A sua volta, l'energia termica così liberata costituirebbe il motore fondamentale per la circolazione convettiva che anima dal basso il mantello gassoso idrogenico e attiverebbe le correnti aeree superiori. Il calcolo dimostra che, sotto condizioni ben definite, i moti convettivi attenuano il decremento termico verso l'esterno, cosicché si può valutare che le temperature presenti nella zona di delimitazione fra il nucleo solido e il mantello idrogenico si aggirino sui 30.000 °C. Peraltro, è presumibile che, gravati da un'esorbitante pressione di 3 milioni d'atmosfere, gli strati inferiori del mantello debbano trovarsi allo stato “degenere”, vale a dire in una sorta di miscela di protoni e di elettroni liberi, la cui proprietà più tipica è quella di comportarsi da metallo superconduttore. Con ogni verosimiglianza, le correnti convettive che la animano, associate alla veloce rotazione di tutta la massa gioviana, costituiscono senza dubbio la fonte dell'intenso campo magnetico che avvolge il pianeta. Allontanandosi dal centro, il decrescere della pressione sovrastante, comincia a consentire l'associazione fra protoni ed elettroni in idrogeno atomico e, successivamente, in idrogeno molecolare allo stato liquido. Si ritiene che la transizione avvenga a una distanza dal centro pari a 0,75-0,80 raggi del pianeta, ovvero – come si è già detto – a circa 15.000 km sotto la coltre delle nubi superiori.

Il sistema satellitare: i satelliti galileiani

Le 4 maggiori lune (scoperte da G. Galilei e da lui chiamate pianeti medicei) sono note come satelliti galileiani. Questi, che hanno dimensioni comprese fra quelle della Luna e quelle di Mercurio, al pari dei 4 piccoli satelliti più interni, descrivono orbite circolari giacenti quasi sul piano equatoriale di Giove , ruotano con moto diretto intorno a esso e si trovano entro 2 milioni di chilometri dal pianeta. Le altre lune, molte delle quali di piccolissime dimensioni (anche pochi chilometri), hanno alcune moto diretto altre moto retrogrado. Il sistema satellitare di Giove , come quello degli altri pianeti giganti, sembra quindi essere piuttosto eterogeneo, tanto che si ipotizza l'origine di alcuni satelliti per cattura (asteroidi), mentre per altri l'origine è attribuita a frammentazione di due corpi più grandi. Si ritiene inoltre che per i satelliti galileiani (Io, Europa, Ganimede, Callisto), si siano formati insieme con Giove : essi hanno, infatti, periodo di rivoluzione uguale a quello di rotazione su se stessi (ciò è dovuto agli intensi effetti mareali). La loro struttura e composizione litologica di superficie è stata esaminata e analizzata a distanza ravvicinata, nel 1981-82, dalle sonde Voyager 1 e 2 che hanno fornito un gran numero di dati e di immagini, ma soprattutto dalla sonda Galileo. Lo spazio dominato dalla presenza del grande pianeta ha indubbiamente risentito, fin dalle origini, dell'azione delle influenze da esso suscitate. Fra queste – oltre le gravitazionali – non va trascurata l'azione termica connessa alla dissipazione dell'energia autogravitazionale derivante dal lento processo che contrae l'intera massa del pianeta. Giove è spesso considerato una sorta di stella abortita in via di raffreddamento; nondimeno, com'è noto, irradia quasi il doppio del calore che riceve dal Sole. Questa sorgente termica si dimostra oggi sufficientemente efficiente da governare e condizionare la meteorologia e il clima di tutto il pianeta. Ma in passato, essa avrebbe svolto anche un ruolo determinante nel pilotare la differenziazione strutturale dei grandi satelliti, durante lo svolgersi dei rispettivi processi evolutivi. Come rilevato, infatti, dalla sonda Galileo,la densità globale di quegli astri va decrescendo significativamente dalle regioni interne verso quelle esterne, passando dai 3,5 g/cm3 di Io, ai 3,0 di Europa, fino ai 2 di Ganimede e di Callisto, le più distanti fra le grandi lune (va ricordato che alcuni satelliti minori, tipo Amalthea, pur circolando su orbite più strette, non rappresentano altro che planetoidi catturati). La circostanza è facilmente comprensibile qualora si ammetta, come del resto appare plausibile, che l'irradiazione termica generata da Giove fosse, ai primordi, abbastanza intensa da provocare – a partire naturalmente dai satelliti vicini in via di formazione – la dispersione delle sostanze più volatili, fra le quali, in particolare, l'idrogeno e l'ossigeno. Codesti due elementi rimasero peraltro in abbondanza a costituire la crosta e il mantello dei satelliti esterni, ove li ritroviamo, oggi, aggregati in H2O, allo stato liquido e ghiacciato. Cosicché, mentre i silicati andarono a confluire nei nuclei centrali in quantità più o meno equivalente, i satelliti interni, da parte loro, si ritrovarono con i propri strati crostali e subcrostali quasi del tutto “denudati” di quelle sostanze leggere.

Il sistema satellitare: i satelliti minori

Al termine della missione della sonda orbitale Galileo erano noti 50 satelliti di Giove, sebbene per molti di essi, scoperti dopo il 2000, non si avessero ancora elementi orbitali certi e neanche un nome. I satelliti principali, dopo i satelliti galileiani, che fanno gruppo a sé, sono, in ordine di distanza dal pianeta: a) i 4 piccoli satelliti interni regolari: XVI Metis, XV Adrastea, V Amaltea, XIV Thebe, tutti all'interno dell'orbita di Io; b) il satellite irregolare, ma con moto diretto: XVIII Themisto; c) il gruppo di Hymalia di satelliti irregolari con moto diretto: XIII Leda, VI Hymalia, X Lysithea, VII Elara, S/2000 J11; d) il gruppo irregolare retrogrado di Ananke: XXXIV Euporie S/2001 J10, XXXV Orthosie S/2001 J9, XXXIII Euanthe S/2001 J7, XXIX Thyone S/2001 J2, XXII Harpalyke S/2000 J5, XXX Hermippe S/2001 J3, XXVII Praxidike S/2000 J7, XXIV Giocasta S/2000 J3, XII Ananke; e) il gruppo irregolare retrogrado di Carme: S/2002 J1, XXXVIII Pasithee S/2001 J6, XXI Chaldene S/2000 J10, XXXVII Kale S/2001 J8, XXVI Isonoe S/2000 J6, XXXI Aitne S/2001 J11, XXV Erinome S/2000 J4, XX Taygete S/2000 J9, XI Carme, XXIII Kalyke S/2000 J2; f) il gruppo irregolare retrogrado di Pasifae: XXXII Eurydome S/2001 J4, XXVIII Autonoe S/2001 J1, XXXVI Sponde S/2001 J5, VIII Pasifae XIX Megaclite S/2000 J8, IX Sinope, XVII Calliroe S/1999 J1, g) il gruppo di satelliti scoperti nel 2003, denominati con le sigle dalla S/2003 J1 alla S/2003 J23. I satelliti regolari sono caratterizzati da orbite circolari con piccole inclinazioni. La loro formazione viene attribuita al disco di gas e polvere che ruotava attorno al pianeta in formazione. Tra i satelliti irregolari, il primo scoperto fu Hhimalya, osservato in lastre fotografiche da Perrine nel 1904. Dopo di che i membri del gruppo dei satelliti irregolari si aggiunsero lentamente uno dopo l'altro durante tutto il sec. XX. L'utilizzo di dispositivi a CCD di grandi dimensioni fece però aumentare velocemente il numero di satelliti irregolari noti attorno a Giove . È possibile che attorno a Giove vi sia un centinaio di questi satelliti con diametro maggiore di un chilometro.

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