Lessico

agg. [sec. XIX; da dialetto].

1) Proprio di un dialetto; che è scritto in dialetto: espressione dialettale.

2) Che usa il dialetto: scrittore dialettale.

Letteratura e teatro: dalle origini al XVIII secolo

Occorre preliminarmente distinguere tra letteratura d'arte o “riflessa”, che suppone come antecedente la letteratura in lingua, e letteratura popolare in dialetto o “spontanea”, in gran parte anonima e di tradizione orale, che anticipa la letteratura nazionale e non può pertanto essere correttamente definita dialettale. La letteratura dialettale acquistò coscienza di sé, trasformandosi da spontanea in riflessa, solo nel sec. XVI, quando il fiorentino letterario fu codificato da P. Bembo come modello della lingua nazionale: una tirannia accentratrice che fu respinta dai maggiori esponenti della letteratura d'opposizione del Cinquecento, il Ruzzante e il Folengo. In dialetto pavano scrisse i suoi capolavori teatrali Angelo Beolco detto il Ruzzante, che analizzò acutamente le reazioni psicologiche e sociali del contadino, strappato dal suo isolamento rustico, al contatto dell'esperienza con le forme del mondo storico. Al Ruzzante può essere accostato T. Folengo, che, nella sua lingua maccheronica, inserì i più diversi materiali offerti dal dialetto, piegandoli a una colorita espressività di eccezionale efficacia. La letteratura dialettale acquistò nuova importanza e diffusione nel Seicento. Nella sua duplice funzione di rappresentazione realistica e di parodia, essa si atteggiava, rispetto alla letteratura aulica, come una sorta di liberazione e di ironico superamento. Nel Cônt Piôlett il piemontese C. G. Tana rinnovò originalmente il vecchio schema teatrale del travestimento e dell'agnizione, mentre il milanese C. M. Maggi, dando vita al personaggio di Meneghino, popolano semplice e ricco di buon senso, scoprì nel dialetto il deposito dei valori etici da contrapporre alla miseria dei tempi. Anche G. C. Croce, l'autore del Bertoldo, descrisse nelle sue rime in dialetto bolognese gli aspetti minuti della vita quotidiana. A Venezia, M. Boschini lasciò, nel gustoso dialetto della Carta del navegar pitoresco, una testimonianza del lussureggiante stile metaforico dell'età barocca. Nella letteratura in dialetto napoletano del sec. XVII, la rappresentazione di aspetti curiosi della vita popolare si unì al gusto per i concetti, le arguzie, le stravaganze verbali, da G. C. Cortese a F. Sgruttendio e soprattutto a G. Basile, autore di un capolavoro della letteratura dialettale, il Pentamerone, ricco d'un metaforeggiare saputo e insieme popolarescamente sanguigno. Nel Settecento la poesia dialettale venne attenuando il tono di parodia nei confronti della letteratura in lingua e si fece idillica, descrittiva, melodica, aderendo ai motivi dell'Arcadia. In Piemonte sono degni di ricordo S. Balbis ed E. Calvo. A Milano la poesia dialettale è rappresentata da C. A. Tanzi e D. Balestrieri, nei quali i motivi arcadici e idillici si uniscono a spunti satirici; sul piano teorico, la difesa del dialetto milanese, denigrato da padre Branda, fu assunta vigorosamente da Parini. A Venezia continuarono la tradizione A. M. Lamberti, autore di maliziose canzonette (famosa la Biondina in gondoléta), apologhi, idilli; F. Gritti, favolista e fustigatore, nei suoi epigrammi, dei patrizi del tempo; G. Baffo, autore di sonetti, in linguaggio molto libero, sui costumi di Venezia. Un posto a parte spetta al Goldoni, che, nel suo teatro in veneziano, conferiva per la prima volta al dialetto piena autonomia di lingua parlata, aprendo una nuova pagina nella concezione del dialetto come strumento espressivo. La poesia dialettale siciliana si riassume nel nome di G. Meli, il più grande poeta dialettale del sec. XVIII e uno dei maggiori dell'Arcadia, nelle cui opere il dialetto trova una sua misura di linguaggio letterario. Nell'Ottocento la letteratura in dialetto si fece, con C. Porta e G. G. Belli, espressione profonda della rivoluzione romantica che, perseguendo il mito della poesia antiletteraria, si è sviluppata in Italia sulla linea di una rappresentazione oggettiva e realistica, mentre con A. Brofferio si ha l'unico poeta dialettale nella cui opera rivive, nei modi della satira politica, la passione risorgimentale.

Letteratura e teatro: il XIX e il XX secolo

Fra l'Ottocento e il Novecento la diffusione delle poetiche del verismo e del naturalismo influì profondamente sullo sviluppo della poesia dialettale. L'attenzione al paesaggio, al costume, alle particolarità regionali suggerita dal verismo agì nel senso di una più appassionata adesione al mondo popolare, alle sue miserie, alle sue passioni, alla sua vitalità elementare e primitiva. In questa medesima prospettiva devono essere collocati i sonetti pisani, amari e pietosi, di R. Fucini, la poesia appassionata in vernacolo napoletano di F. Russo, quella ricca di spunti impressionistici e crepuscolari del veronese Berto Barbarani. Ma gli esempi più alti sono rappresentati dalle opere di C. Pascarella e S. Di Giacomo. In Pascarella la volontà di una rappresentazione oggettiva, lontana da ogni inflessione sentimentale, ricrea una partecipazione drammatica e polemica dell'artista ai temi del suo lavoro. Per Di Giacomo invece l'oggetto della poesia non è più soltanto il mondo esterno, l'ambiente, ma si sposta piuttosto verso l'interno. Nella letteratura del Novecento la tradizione dialettale è attiva più come elemento di affinamento stilistico che come sviluppo di una tematica tipica del dialetto. I dialetti sono usati soprattutto per le loro risorse d'immediatezza e di aderenza espressiva. Isolata, in questo senso, la voce del romano Trilussa che, attento ai dati della cronaca e del documento, si è rifatto a una satira popolana, venata di furberie e di scetticismi. Negli altri poeti in dialetto sono invece numerosi i riferimenti alle esperienze poetiche in lingua (da Pascoli, attraverso i crepuscolari, a Montale). Sono da ricordare infine la poesia amara, ricca di accenti espressionistici, del milanese D. Tessa, quella sottilmente ironica e moralistica del veneto G. Noventa, quella più cosciente nell'acquisizione dei valori del gusto poetico contemporaneo del romano M. Dell'Arco, e inoltre i testi dialettali dei romagnoli T. Guerra e R. Baldini, del napoletano E. De Filippo, dei siciliani Vann'Anto' e I. Buttitta, di P. P. Pasolini, d'origine friulana, dei trevigiani E. Calzavara e A. Zanzotto, e infine i versi del triestino V. Giotti e del gradese B. Marin, i cui risultati, per freschezza d'invenzione e purezza di rappresentazione, trascendono gli stessi limiti della letteratura dialettale. § Il fenomeno di un vero e proprio teatro dialettale si è sviluppato in non molti Paesi europei: Italia, Francia, Svizzera, Germania e Austria. In Italia, dove ragioni storiche e sociologiche ne hanno favorito l'affermazione con particolare vivacità, merita una trattazione autonoma per dimensioni e qualità di risultati il teatro nei dialetti: bolognese, genovese, milanese, napoletano, piemontese, romagnolo, romanesco, siciliano, toscano, veneto.

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