Lessico

Sm. (f. dèa; m. pl. dèi) [sec. XII; latino dĕus].

1) Nelle religioni monoteistiche e in particolare nel cristianesimo, l'essere supremo concepito come eterno, infinito e perfetto e come creatore dell'universo (in questo significato si scrive con iniziale maiuscola): pregare, invocare Dio; credere in Dio; Dio padre, la prima persona della Trinità; il Figlio di Dio, Gesù Cristo; Uomo Dio, appellativo di Cristo, in quanto partecipe della natura umana e divina; la madre di Dio, la Madonna; la sposa di Dio, la Chiesa cattolica; la casa di Dio, il tempio, la chiesa; la parola di Dio, gli insegnamenti desunti dai testi sacri, i principi della morale cattolica; un uomo senza Dio, un senza Dio, un ateo e, per estensione, persona priva di coscienza morale; servo di Dio, sacerdotepersona vissuta santamente; grazia di Dio, ben di Dio, abbondanza di ogni cosa; un'ira di Dio, finimondo, baccano; si dice anche di cosa o persona pessima; familiarmente, quantità enorme: c'era un'ira di Dio di gente; flagello, castigo di Dio, cosa, evento, persona che arreca gravissimi danni; è la mano di Dio, si dice di aiuto che giunge insperato o di castigo meritato.

2) Si usa in numerose loc., specialmente della lingua familiare, per esprimere meraviglia, impazienza, disappunto: Dio benedetto; Dio santo; gran Dio; per Dio; per dare più efficacia a una preghiera, a una richiesta: in nome di Dio!; per l'amor di Dio!; con valore esclamativo: Dio, che disastro!; per esprimere augurio: Dio t'accompagni!; per esprimere soddisfazione, gratitudine: Dio sia lodato!; per esprimere desiderio: Dio lo voglia; per esprimere timore, incertezza: Dio sa se...; per rafforzare un'affermazione: lo caccerò di casa, come è vero Dio!; in formule di scongiuro: che Dio ce la mandi buona; per esprimere rassegnazione: come Dio vuole; va con Dio, espressione con cui si congeda qualcuno manifestandogli un affettuoso augurio o anche, ironicamente, in senso di compatimento; lavoro fatto come Dio vuole, alla meno peggio; se Dio vuole, finalmente; come Dio comanda, di cosa perfetta, che soddisfa pienamente; essere nella mente di Dio, detto di un evento del quale ancora non si sa nulla; in grazia di Dio, senza peccati mortali; fig., di cosa o persona come si deve, soddisfacente; piove, nevica, vien giù che Dio la manda, con grande intensità e violenza. Proverbi: “Non cade foglia che Dio non voglia”, tutto avviene per volontà di Dio; “Dio non paga il sabato”, le nostre azioni avranno, prima o poi, la giusta ricompensa o il giusto castigo.

3) Nelle religioni politeistiche, ciascuno degli esseri considerati di natura superiore all'umana, dotati di immortalità e di altri attributi (in questo senso ha il pl. e il f., è preceduto dall'art. e si scrive con iniziale minuscola): gli dei della Grecia; il dio della guerra; la dio della bellezza.

4) Fig., persona che eccelle particolarmente in un'arte, una professione e simili; persona o cosa che sia fatta quasi oggetto di culto: suona come un dio; il danaro è il suo unico dio.

Religioni: generalità

L'uso di indicare con tale nome gli esseri extraumani variamente concepiti dalle diverse religioni è acritico e nasce dalla necessità d'interpretare nei termini della cultura occidentale, condizionata da una religione “teistica” (ossia fondata sull'idea di Dio), realtà culturali di tipo totalmente differente e che, rispetto all'idea di Dio, potrebbero essere considerate addirittura “ateistiche”, come, per esempio, il buddhismo, religione esplicitamente atea. L'uso scientifico del termine copre invece due soli tipi di concezione religiosa: le divinità delle religioni politeistiche e il Dio unico delle religioni monoteistiche. Pur trattandosi di concezioni fondamentalmente diverse, in questo caso l'uso di un medesimo termine è giustificato dalla loro storia. Gli dei unici dei monoteismi storici si sono sempre realizzati contro i politeismi, e pertanto sono stati messi a confronto con le divinità di queste religioni. Così è successo, per esempio, che la stessa parola (deus) che indicava nell'antichità romana gli dei politeistici diventò il nome del Dio cristiano.

Le religioni politeistiche

La divinità delle religioni politeistiche si distingue da ogni altro essere extraumano cui venga attribuito un culto: per la personificazione ottenuta mediante antropomorfizzazione e attribuzione di un nome personale; per la sua felice condizione esistenziale che soprattutto ne determina la sovrumanità; per l'efficienza permanente e tuttavia limitata a un preciso campo d'azione, identificato in un determinato settore del mondo che viene organizzato e interpretato attorno al nome e alla persona del dio. La divisione del mondo in settori, la loro scelta e organizzazione, nonché l'interpretazione, sono prodotti arbitrari delle diverse culture che, ciascuna a suo modo, esprimono con un sistema di figure divine il proprio e inconfondibile sistema di valori. In questa prospettiva ideologica la divinità personifica un determinato settore del mondo e l'insieme delle divinità (il pantheon costituisce l'intero mondo). La divinità è, come è stato detto degli dei greci, una “forma del mondo”. Essa è eterna come il mondo stesso: nei politeismi in cui, come nella mitologia germanica, è prevista una fine del mondo, anche le divinità sono destinate a perire (concetto germanico del “crepuscolo degli dei”); nei politeismi in cui esistono miti della nascita del mondo, questi si esprimono come nascita degli dei (teogonia). La funzione di tale immanenza al mondo – da un altro punto di vista: personificazione divina del mondo – è quella di fornire un aspetto logico (umano) alla realtà di per sé illogica (extraumana): l'uomo per mezzo degli dei dialoga col mondo e il “dialogo” si esprime nella forma di un culto permanente che viene tributato agli dei.

Le religioni monoteistiche

Il Dio unico delle religioni monoteistiche si fa comprensibile in senso fenomenologico proprio a partire dalla concezione delle divinità politeistiche. È anch'esso “personale” e tuttavia non personifica niente; pur presentando un più o meno accentuato antropomorfismo, non ha caratterizzazione né un nome proprio che debba distinguerlo da altre divinità (le quali logicamente non ci sono in un monoteismo), ma è designato col termine con cui i politeismi indicano l'intera categoria divina. Anche la sua è una “felice” condizione esistenziale, ma in senso assoluto, e non soltanto, come per i politeismi, in relazione alla condizione umana; infatti per il Dio unico non c'è la possibilità di conflitti con altri dei. Anche la sua efficienza (o potenza) è permanente e investe ogni cosa, per cui il suo campo d'azione è infinito, la sua potenza diventa onnipotenza. Questa differenziazione del Dio unico dalle divinità politeistiche si esprime, dunque, essenzialmente nell'unicità rispetto alla pluralità. Questa unicità, muovendo dal rifiuto della settorialità, non risponde più a una suddivisione logica del mondo inteso come realtà da interpretare e da assimilare culturalmente. Anzi, ne prescinde per appellarsi a un Dio trascendente, davanti al quale anche l'uomo cesserebbe di esistere come realtà valutabile se non ci fosse Dio a fornire, dall'esterno, valori e significati.

Filosofia

La filosofia occidentale, e in primo luogo quella greca, si sviluppò dalla primitiva mitologia alla concezione eleatica dell'essere “eterno e immutabile”, alla “mente” di Anassagora e all'“Idea del Bene” di Platone. Aristotele definì Dio “Atto puro”, “Primo motore immobile”, “Pensiero di pensiero”, perfezione cui tendono tutte le cose; il suo pensiero sarà accolto e rivissuto dalla speculazione medievale-cristiana: così come sarà in vario modo da essa accolto il pensiero neoplatonico, che nell'“Uno” di Plotino, primo principio assolutamente inesprimibile, vede la fonte di tutte le cose per un graduale processo di emanazione, e che conferisce grande rilievo all'esperienza mistica e ascetica. Se nel Medioevo fu dominante la stretta unione di religione, filosofia e teologia, il pensiero rinascimentale, pur indulgendo spesso a un rinnovato panteismo naturalistico con Telesio, Bruno e Campanella, o vedendo la nascita di un rinnovato platonismo nel Ficino e nel Cusano, iniziò un processo di progressiva separazione fra verità di Fede e verità di Ragione che culminerà nel razionalismo moderno e di qui nell'Illuminismo. Nell'ambito del razionalismo, Spinoza identificò Dio con la Natura e Leibniz lo considerò come la “monade suprema”, reggitrice dell'armonia universale; nell'ambito dell'empirismo, mentre Locke e Berkeley pensarono ancora possibile la dimostrazione razionale dell'esistenza di Dio, Hume giunse a negare tale dimostrabilità, aprendo la via alla confutazione che Kant, nella Critica della ragion pura, operò nei confronti delle “prove dell'esistenza di Dio”. Sempre Kant, tuttavia, nella Critica della ragion pratica, aprì la via a una fede religiosa che rinunciava alla dimostrabilità razionale ma si muoveva sul terreno dell'esigenza morale. L'idealismo classico tedesco postkantiano trovò nella seconda fase del pensiero di Fichte e di Schelling formulazioni religiose che appaiono oggi estremamente moderne e attuali. A un rigoroso immanentismo approdò invece Hegel con la sua concezione di Dio come “Idea pura”, di cui la realtà è manifestazione necessaria, che si esprime nelle celebri formule dette “razionalità del reale” o “identità del finito e dell'infinito”. La reazione a Hegel in nome del finito, compromesso nel suo sistema, portò da un lato all'ateismo (Feuerbach e Marx), dall'altro alla riaffermazione della trascendenza e al ritrovamento del Dio personale della concezione religiosa (Kierkegaard). La critica all'immanentismo hegeliano e la riaffermazione della trascendenza di Kirkegaard coloriscono di sé gran parte del pensiero contemporaneo, come risposta alla “sfida” dell'ateismo feuerbachiano e marxiano.

Teologia cristiana

A costituire la concezione cristiana di Dio, quale si è venuta storicamente svolgendo nel processo secolare dell'elaborazione teologica, concorsero in modo determinante le tradizioni culturali, ebraica e greca, situate tra loro in un rapporto che, secondo i casi, è di connessione e integrazione, d'incontro dialettico oppure di reciproca esclusione. Tratto essenziale di Dio nell'Antico Testamento è la sua assoluta trascendenza, che ha come conseguenza immediata la sua inconoscibilità. Sottratto in tal modo all'ambito della riflessione razionale, Dio si manifesta ciò non di meno in modo caratteristico, ovvero intervenendo nella storia umana, entro la quale divengono conoscibili i suoi atti e la sua volontà. Nella propria automanifestazione, Dio si rivela come creatore del mondo e unico signore della storia, da lui condotta verso i fini che si propone con sovrana libertà: nei confronti dell'uomo, Dio agisce facendogli grazia o giudicandolo, secondo che sia osservata o meno l'obbedienza alla sua volontà, che esprime il tipo autentico del rapporto dell'uomo con Dio. Una simile concezione di Dio costituisce non solo il naturale punto di riferimento della predicazione di Gesù, ma il presupposto altresì della teologia del cristianesimo primitivo: il Nuovo Testamento documenta il fatto che la persona e il destino di Gesù Cristo vengono interpretati appunto come il definitivo intervento rivelatore del Dio trascendente nella storia. Secondo la linea neotestamentaria, il problema teologico si pone alla Chiesa antica contemporaneamente come problema cristologico, ma l'innesto della concettualità greca nella problematica cristiana, che caratterizza la riflessione della Chiesa antica, se da un lato consente una formulazione rigorosa della fede cristiana nel Dio trinitario, porta d'altro lato con sé la possibilità dello sviluppo di una concezione di Dio sostanzialmente difforme rispetto a quella intesa dal pensiero biblico, giacché il presupposto fondamentale della conoscibilità razionale di Dio, implicato dall'impostazione speculativa greca del problema teologico, vanifica sia l'idea dell'assoluta trascendenza di Dio sia, conseguentemente, quella dell'unicità della sua rivelazione in un determinato punto della storia. In effetti, le concezioni di Dio elaborate sino al sec. XIV dalla teologia medievale si presentano legate in grandissima parte all'eredità del pensiero greco, e quindi convergenti nell'affermazione di fondo della continuità fra mondo naturale e Dio, che, sul piano gnoseologico, si traduce nell'asserzione della possibilità di una conoscenza naturale di Dio (per esempio, le prove dell'esistenza di Dio formulate da San Tommaso). Il pensiero medievale stesso esprime però anche una diversa posizione teologica – formulata nel modo più esplicito e conseguente da Guglielmo d'Occam – che costituisce un ritorno all'originaria concezione di Dio ebraica e neotestamentaria: l'obiettivo critico della teologia occamista è appunto il fondamento tanto ontologico (continuità tra mondo e Dio) quanto gnoseologico (conoscibilità naturale, o razionale, di Dio) della riflessione teologico-filosofica scaturita dall'elaborazione dell'eredità del pensiero greco, cui si contrappone nuovamente l'idea dell'assoluta trascendenza di Dio rispetto al mondo e alla ragione umana. Si può dire che nelle motivazioni teologiche di fondo del contrasto che oppone nel Medioevo tomismo e occamismo siano contenuti i termini essenziali delle differenti concezioni di Dio espresse nell'età moderna e contemporanea dal cattolicesimo e dal protestantesimo. Nel cattolicesimo, erede e continuatore del pensiero tomista, è ribadita la possibilità della conoscenza naturale di Dio, definita dogmaticamente nella Constitutio de fide del Concilio Vaticano I (1870) dove si afferma che “Dio, principio e fine di tutte le cose, può essere conosciuto con certezza attraverso le cose create, in forza del lume naturale della ragione umana”, e ciò sulla base del presupposto che esista un'analogia tra l'essere di Dio e quello del mondo (analogia entis). Legato storicamente all'occamismo, attraverso Lutero, ma soprattutto ponendosi come erede consapevole dell'esclusiva tradizione biblica, il protestantesimo nega, al contrario, la continuità e l'analogia tra mondo e Dio e l'accessibilità di Dio alla riflessione razionale che prescinda dall'incontro con la realtà storica di Gesù Cristo, nella quale consiste l'unica piena rivelazione divina: le asserzioni della teologia dialettica sull'assoluta trascendenza di Dio, sulla sua inconoscibilità naturale, sull'esclusività della sua rivelazione in un determinato punto della storia non solo riassumono il senso essenziale della concezione di Dio protestante, ma costituiscono il momento contemporaneo della riaffermazione conseguente della concezione biblica, entro la continua dialettica tra questa e l'eredità del pensiero greco che caratterizza lo svolgimento della concezione di Dio nella storia del cristianesimo. Sulla rivelazione di Dio in quanto Dio nascosto ha insistito K. Barth, con una ricerca teologica ricca di risultati e di profonde illuminazioni; inizialmente vicino a lui nella direzione della “teologia dialettica” è R. Bultmann, che ha poi seguito la via della demitologizzazione del Nuovo Testamento. Teilhard de Chardin vuole testimoniare, dal canto suo, che Dio si manifesta attraverso l'evoluzione del mondo creato dall'Alfa, punto da cui esso parte, fino all'Omega verso il quale tende. È da ricordare, infine, nell'ambito della moderna teologia della secolarizzazione, la corrente teologica della “morte di Dio” (Van Buren, Hamilton, Altizer, ecc.), che insiste sull'aspetto profano del mondo e sull'assenza di Dio da esso.

Iconografia cristiana

Le più antiche raffigurazioni di Dio sono simboliche, in quanto l'Antico Testamento esprime il divieto di rappresentare la divinità. Sulla base dei testi sacri in cui si parla della “mano di Dio” che aiuta e castiga, Dio è simboleggiato in una mano, sempre la destra, che esce dalle nubi per benedire, comandare o minacciare. Questa raffigurazione, già presente negli affreschi della sinagoga di Dûra Europos (ca. 250, Damasco, Museo Nazionale), è diffusa nell'arte paleocristiana (Roma, mosaici della navata di S. Maria Maggiore; Ravenna, S. Vitale), carolingia (Salterio di Utrecht) e ottoniana (Hildesheim, porte di bronzo per la chiesa di S. Michele, oggi nel duomo). Durante il Sacro Romano Impero, la mano divina assunse un valore particolare in composizioni di carattere politico, come nelle miniature in cui sovrasta il capo dell'imperatore (Bibbia di Grandval, Londra, British Museum; Bibbia di Carlo il Calvo, Parigi, Biblioteca Nazionale). La mano di Dio si trova ancora in opere romaniche (affreschi di S. Clemente di Tahull, oggi al Museo di Barcellona), mentre a partire dall'arte gotica questa rappresentazione scompare gradatamente, cedendo il passo a quelle figurate. Accanto alla raffigurazione simbolica, infatti, esiste, fin dal periodo paleocristiano, anche una rappresentazione antropomorfica di Dio, ma unicamente nelle scene della Creazione (Bibbia di Cotton, sec. VI; Salterio di Utrecht, sec. IX), in cui l'Eterno appare come un uomo giovane, sbarbato, identificabile quindi con il Cristo. Solo dopo il Mille, scomparso il timore dell'idolatria e dell'eresia di Ario, si diffuse la raffigurazione di Dio con l'aspetto di un vecchio barbuto e dai lunghi capelli (Wiligelmo, Storie della Genesi, rilievi della facciata del duomo di Modena). In questo aspetto Dio continua a venir rappresentato sia da solo, a mezzo busto in gloria tra le nubi o in un tondo sovrastante la scena (Giovanni Bellini, Il battesimo di Cristo, Vicenza, chiesa di Santa Corona; Perugino, Pala di Vallombrosa, Firenze, Uffizi), sia accanto a Gesù o alle sue spalle, in raffigurazioni della Trinità (TizianoMadrid, Prado; Masaccio, Firenze, Santa Maria Novella; Dürer, Vienna, Kunsthistorisches Museum). Talvolta Dio fu rappresentato anche in vesti imperiali o pontificali, come nel Polittico di Gand di J. van Eyck (Gand, cattedrale di S. Bavone); manto rosso, corona e attributi regali ha anche nella Decapitazione di S. Giovanni Battista di H. Memling (Brugge, Hans Memlingmuseum), dove appare a figura intera ma in proporzioni piccolissime, racchiuso in una nuvoletta alta nel cielo. Nel Rinascimento, sotto l'influsso dell'arte classica, Dio assume talvolta i caratteri di Giove Olimpio (Raffaello, Visione di Ezechiele, Firenze, Galleria Palatina; Michelangelo, Cappella Sistina).

Bibliografia

Per il cristianesimo

R. Garrigou-Lagrange, Dieu, son existence et sa nature, 2 voll., Parigi, 1950; F. Kattenbusch, Die Entstehung einer christlichen Theologie, Darmastdt, 1962; H. Bourgeois, Il Dio dei cristiani, Bologna, 1976; H. U. Van Balthasar, Verità di Dio. Teologica, Milano, 1990.

Per la filosofia

R. Jolivet, Il dio dei filosofi e degli scienziati, Roma, 1957; G. Siegmund, Scienza ed esistenza di Dio, Roma, 1967; A. D'Onofrio, Dio in noi, Napoli, 1982; J. de Finance, Sensibile a Dio, Roma, 1990.

Per l'arte e la letteratura

L. Heilmeier, Die Gottheit in der äleren christlichen Kunst, Monaco, 1922; L. Réau, Iconographie de l'art chrétien, Parigi, 1957; J. Imbach, Dio nella letteratura contemporanea, Roma, 1975.

Per le religioni in genere

L. R. Farnell, The Attributes of God, Oxford, 1925; R. Pettazzoni, Dio. Formazione e sviluppo del monoteismo, I, Roma, 1925; A. Zacchi, Dio, Roma, 1925; E. Le Roy, Le problème de Dieu, Parigi, 1929; M. F. Sciacca, Il problema di Dio e della religione nella filosofia attuale, Brescia, 1944; R. Pettazzoni, L'onniscenza di Dio, Torino, 1955; A. Del Noce, Il problema dell'ateismo, Bologna, 1964; A. Boniverto (a cura di), La ricerca di Dio nelle religioni, Bologna, 1980.

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