Lessico

(antiq. arme), sf. (pl. armi; ant. arme) [sec. XIII; latino arma-ōrum e, più tardi, arma-ae].

1) Qualunque strumento usato dall'uomo per offendere o per difendersi: armi difensive od offensive; arma bianca, che ferisce di punta o di taglio; arma da fuoco, che lanciano a distanza proiettili a opera di sostanze esplosive; armi chimiche e batteriologiche, aggressivi chimici e batteriologici impiegati a scopi bellici; armi atomiche, nucleari; armi tradizionali, che non utilizzano l'energia atomica; arma a doppio taglio, arma bianca affilata dalle due parti; fig., argomento che si può ritorcere a danno di chi lo usa; porto d'armi, licenza di portare con sé armi; presentare le armi, rendere gli onori militari; concedere l'onore delle armi, tributare gli onori militari a chi si arrende dopo valorosa difesa; passare per le armi, giustiziare sommariamente.

2) Qualunque mezzo di difesa od offesa, anche fig.: le unghie sono l'arma del gatto; il sorriso è talvolta l'arma più efficace.

3) Per estensione (specialmente pl.): A) per indicare la guerra, l'arte bellica o anche il servizio militare: compagno d'armi, commilitone; in armi, in stato di guerra; uomo d'armi, esperto d'arte militare; piazza d'armi, luogo spazioso per esercizi militari; anche fig.: prime armi, gli inizi della carriera militare e, per estensione, di qualunque carriera o attività; chiamare alle armi, sotto le armi, a prestare servizio militare; prendere, deporre le armi, iniziare, cessare il combattimento o una guerra; all'armi. B) Per indicare le truppe armate, l'esercito: armi mercenarie. C) Per indicare ciascuno dei corpi particolari in cui sono divise le forze armate, secondo la diversa destinazione: arma di fanteria, d'artiglieria, del genio; l'arma azzurra, l'aeronautica.

4) In araldica, arme.

Etnologia e preistoria

Presso la maggioranza dei gruppi etnici i vari attrezzi usati per il lavoro e la caccia sono utilizzati anche come armi; così per l'arco, il boomerang, l'ascia, la lancia, il coltello, la clava, la cerbottana, le bolas, la fionda. Da alcuni di questi sono derivate armi vere e proprie: dalla lancia, il giavellotto per il tiro a distanza, l'asta corta per il corpo a corpo, il bastone parabotte per la difesa; dal coltello, la multipunta per il tiro a distanza, la spada e la sciabola per il corpo a corpo. L'area di diffusione delle varie armi è ampia; solo quelle tipiche come la multipunta (dell'Africa), il boomerang (dell'Australia; tuttavia è stato trovato un cospicuo resto di boomerang in osso in un deposito di una grotta a SE di Cracovia, Polonia, risalente a ca. 25.000 anni fa), la cerbottana (dell'Indonesia, Nuova Guinea, ecc.), la bola (dell'America Meridionale) e poche altre hanno aree più limitate (v. alle singole voci). § A parte corpi contundenti come bastoni o pietre usati occasionalmente, come pure alcuni manufatti litici atti a molti usi (amigdaloidi, cuspidi e lame del Paleolitico), le più antiche armi di offesa possono esser considerati alcuni manufatti del Paleolitico superiore: lunghe zagaglie di osso o corno; arponi a singola o doppia dentatura, anch'essi di osso o corno; cuspidi litiche da lancia o giavellotto, la cui forma peduncolata dimostra come venissero fissate a un'asta di legno. Di alcune di tali armi da getto si hanno anche rappresentazioni figurate nell'arte paleolitica, in quella levantina, nell'arte preistorica africana, ecc. L'uso dell'arco, forse già iniziato nel Paleolitico superiore, è ampiamente diffuso dal Mesolitico in poi; le cuspidi di freccia di selce scheggiata presentano varietà di forme e sono fra i reperti più comuni e abbondanti tra la fine del Neolitico e l'iniziale età dei metalli; nelle torbiere che conservarono avanzi lignei di abitati palafitticoli è stato trovato qualche raro esemplare di freccia completa dell'asticciola di legno. Simili armi potevano ovviamente essere da caccia come da combattimento; lo stesso può dirsi per le teste di mazza di pietra levigata, con foro centrale o con solco periferico per la legatura. Vere e proprie armi da corpo a corpo possono essere considerate le cosiddette asce da combattimento, o martelli-ascia, e infine l'arma più tipica, il pugnale. I più antichi pugnali, di selce scheggiata, appartengono alla civiltà eneolitica e sono contemporanei ai primi pugnaletti e alle prime alabarde con lama di rame. Nell'Età del Bronzo la nuova lega permette di costruire armi più grandi e resistenti. Compaiono le prime spade da fendente, legate probabilmente alla diffusione del cavallo e, sul finire del periodo, le lance. Nel corso dell'Età del Ferro è documentato l'impiego prevalente della spada corta e del pugnale; si conoscono, inoltre, numerosi esempi di armi da difesa, soprattutto elmi e scudi. Solo in una fase tarda si afferma l'uso di armi in ferro.

Storia: le armi bianche

In senso stretto, si indicano prevalentemente le armi portatili, sia antiche sia moderne, convenzionalmente suddivise in due gruppi principali: armi bianche e armi da fuoco. Le armi bianche comprendono le armi da punta e da taglio, da botta e da getto. Le armi da punta e da taglio, oggi quasi del tutto obsolete, comprendevano la lancia, la picca, l'alabarda, il giavellotto, l'angone, la partigiana, la spada, la sciabola, la scimitarra, la daga e il pugnale, che si differenziavano tra loro per la foggia e la lunghezza della lama e per il taglio, che poteva essere su un solo lato, come nella sciabola, o su due lati, come nella spada. Le armi da botta comprendevano le bipenni, le asce, i martelli d'arme e le mazze ferrate (rigide o snodate). Armi da getto erano l'arco e la balestra.

Storia: le armi da fuoco

Le armi da fuoco sono così chiamate perché utilizzano la forza propulsiva della polvere da sparo per lanciare un proiettile; la loro origine è conseguente alla scoperta della polvere nera, o polvere pirica, avvenuta probabilmente in Europa nel sec. XIII. Le prime armi da fuoco erano costituite da un tubo di ferro o di bronzo chiuso a un'estremità e provvisto di un piccolo foro laterale, attraverso il quale si provocava l'accensione della polvere introducendovi un ferro rovente. Questo sistema rimase per secoli in uso nei pezzi da affusto, mentre per le armi portatili venne aggiunto uno scodellino dalla parte esterna del foro (focone), destinato ad accogliere un po' di polvere fine che veniva accesa per contatto mediante una miccia. L'incendio della polvere si propagava così attraverso il focone, facendo esplodere la carica di lancio. Con l'aggiunta di una calciatura in legno e di un morsetto portamiccia, quest'arma rudimentale dette origine all'archibugio che, verso il 1517, venne equipaggiato con l'acciarino a ruota, nel quale lo sfregamento di un pezzetto di pirite contro una ruota affogata nello scodellino della polvere ne provocava l'esplosione. I migliori acciarini a ruota furono tedeschi e svedesi e ressero per secoli il confronto con i più moderni sistemi di accensione. Per uso bellico, s'impiegavano palle di diametro inferiore a quello della canna e per migliorare la precisione di tiro si avvolgeva la palla con un pezzetto di stoffa o di pelle sottile impregnato di grasso, che aveva lo scopo sia di pulire le pareti della canna, sia di eliminare la fuga dei gas attorno alla palla. Per lo stesso scopo si facevano profonde scanalature verticali sulla superficie interna della canna, al fine di raccogliere i residui della combustione. In processo di tempo si osservò, probabilmente per caso, che le canne con rigature elicoidali consentivano tiri più lunghi e molto più precisi, ma la rigatura elicoidale fu universalmente adottata solo alla fine del sec. XIX. L'evoluzione tecnica dei sistemi meccanici di accensione passò attraverso quattro tappe: acciarino a ruota (1517), acciarino snaphaunce (1580), a micheletto (1590), a pietra focaia (1630), con progressive caratteristiche di efficienza e di semplicità costruttiva. Tutti i sistemi tuttavia sono coesistiti fino alla fine del sec. XVIII, ciascuno nell'area d'influenza politica ed economica del proprio Paese di origine: la ruota in Germania, lo snaphaunce nei Paesi Bassi, il micheletto in Spagna e la pietra focaia in Francia e in Inghilterra. A parte la realizzazione di alcuni interessanti esemplari unici e l'adozione di alcuni accorgimenti tecnici, le armi da fuoco rimasero sostanzialmente invariate fino all'introduzione della capsula a percussione, avvenuta intorno al 1820 a seguito della scoperta dell'innesco a fulminato di mercurio, effettuata da Forsyth nel 1807. L'acciarino a percussione, direttamente derivato da quello a pietra, è molto più semplice e funzionale riducendosi a un piccolo chiodo forato, avvitato al focone e destinato a sorreggere la capsula di ottone contenente il fulminato. Altri vantaggi sono la più elevata velocità di tiro e la possibilità di un uso efficace in caso di pioggia. Dopo il 1830 il ritmo delle scoperte fu talmente veloce da determinare in meno di 70 anni il passaggio dall'arma a pietra alle moderne armi automatiche, attraverso numerosi modelli di transizione. Tra il 1836 e il 1841 apparvero i primi modelli di rivoltelle Colt, che furono le prime armi prodotte in serie e caratterizzate dalla perfetta intercambiabilità delle parti. Nel 1841 la Prussia adottò il fucile ad ago Dreyse, la cui superiorità venne definitivamente dimostrata nella battaglia di Sadowa. Quest'arma, brevettata nel 1836, era già di concezione moderna, avendo un sistema a retrocarica con otturatore cilindrico e usando cartucce di carta con l'innesco situato nella parte posteriore cava della palla. Il principale inconveniente del Dreyse, la scarsa tenuta di gas, fu risolto dall'avvento della cartuccia a bossolo metallico (1850), con innesco prima anulare e successivamente centrale (sistema Berdan). Tra il 1850 e il 1870 vennero scoperti e sperimentati quasi tutti i sistemi di chiusura per armi a retrocarica, dietro le pressanti sollecitazioni di tutti gli Stati Maggiori. Dopo la campagna per i ducati di Schleswig e Holstein (guerra prussiano-danese) tutti erano convinti della superiorità militare dell'arma a retrocarica, anche a scapito della precisione e lunghezza di tiro. Nel 1866 la Francia adottò il fucile a retrocarica Chassepot e nel 1867 la Svizzera, sempre all'avanguardia per la qualità delle armi, equipaggiò l'esercito con un fucile a ripetizione, il Vetterli calibro 10,4, successivamente adottato anche dall'Italia (1870) nella più economica versione a colpo singolo. Nel 1871 la Prussia sostituì il Dreyse con il Mauser, adottando il famoso “Infanteriegewehr Mod. 71”, che può essere considerato il primo dei moderni fucili militari a otturatore. Contemporaneamente la polvere nera venne generalmente sostituita dalla polvere alla nitrocellulosa, o polvere senza fumo, scoperta nel 1870. Per armi civili, destinate a usare cartucce meno potenti, si diffusero i sistemi di ripetizione a leva (Winchester, Marlin, Savage) derivati dal Vulcanic del 1850 e dall'Henry del 1860. Nel 1884 l'americano Hiram Maxim brevettò la prima mitragliatrice completamente automatica, che si diffuse rapidamente in tutto il mondo. Con la scoperta dei sistemi di ripetizione a sottrazione di gas e dei sistemi di chiusura per pistole (Mauser, Borchardt-Luger, Browning), si concluse entro il sec. XIX la storia dell'evoluzione delle armi da fuoco. A partire dal 1900 non si è avuta alcuna scoperta di rilievo; il progresso si è sviluppato nella ricerca di perfezionamenti meccanici e funzionali e soprattutto nell'impiego di nuovi materiali e di nuovi metodi di fabbricazione. Sebbene possa sembrare strano, anche per le armi da caccia la storia si è conclusa nell'Ottocento: sono infatti della fine di quel secolo i primi fucili automatici e del decennio 1880-90 le prime doppiette inglesi a cani interni, a tutt'oggi insuperate.

Diritto

L'articolo 585 del Codice Penale stabilisce che s'intendono per armi: quelle da sparo e tutte le altre la cui destinazione naturale è l'offesa alle persone; tutti gli strumenti atti a offendere dei quali la legge vieta il porto (coltelli e forbici con lama superiore ai 4 cm; mazze e bastoni ferrati, rasoi, falci, ronchetti, scalpelli). L'uso delle armi costituisce nei reati di lesione o di omicidio preterintenzionale circostanza aggravante. Sono assimilate alle armi le materie asfissianti o accecanti (Codice Penale, articolo 585). La fabbricazione e il commercio di armi possono svolgersi esclusivamente dietro prescritte autorizzazioni; in loro mancanza tali attività concretano reati contravvenzionali puniti con l'arresto o con l'ammenda congiunti o alternativi. La materia delle armi è disciplinata dalle leggi 2 ottobre 1967, n. 895; 18 aprile 1975, n. 110; 21 febbraio 1990, n. 36. I principali reati sono: porto illegale di armi da guerra in luogo pubblico o aperto al pubblico; detenzione illegale di armi da guerra; detenzione illegale di armi comuni da sparo; porto illegale in luogo pubblico o aperto al pubblico di armi comuni da sparo; produzione e commercio di armi giocattolo riproducenti armi da guerra o comuni da sparo. Inoltre, la legge 25 marzo 1986, n. 85, consente il possesso di un massimo di sei armi per uso sportivo. Il Codice penale militare di pace punisce l'alienazione, la distruzione e il deterioramento di armi (art. 164, 169). In diritto internazionale, varie convenzioni regolano l'uso delle armi. Il Trattato di Mosca del 1963, pur non consacrando l'illiceità delle armi nucleari, costituì la prima convenzione intesa a limitare il loro impiego bellico. Il Trattato di Parigi del 20 novembre 1990 tra i Paesi della NATO e quelli del Patto di Varsavia sancisce che “nessuna arma sarà mai usata salvo in casi di legittima difesa o nei casi conformi alla Carta delle Nazioni Unite” e l'impegno a proseguire il processo di limitazione delle armi convenzionali in Europa. La Convenzione di Parigi del 13 gennaio 1993 ratificata con legge 18 novembre 1995, n. 496, proibisce lo sviluppo, la produzione, l'immagazzinaggio e l'uso di armi chimiche e detta norme sulla loro distruzione. Protocolli addizionali alla Convenzione di Ginevra del 10 ottobre 1980, fatti a Vienna il 13 ottobre 1995 e a Ginevra il 3 maggio 1996 e ratificati dall'Italia con legge 30 luglio 1998, n. 290, proibiscono o restringono l'uso delle mine, delle armi laser e di altri ordigni bellici.

Arte

L'arma rivela sempre l'intervento di componenti culturali e artistiche attraverso le quali essa precisa il momento storico e la civiltà a cui appartiene. Fin dalle prime esperienze della lavorazione dei metalli l'arma, ascia, pugnale, daga o lancia, fu soggetta ad accogliere nella sua struttura primaria di prodotto strumentale l'apporto di elementi secondari, suggeriti da esigenze diverse, che più tardi troveranno una più compiuta definizione nell'ordine delle sollecitazioni estetiche. Talvolta l'interferenza di particolari “abbellimenti” determinò “distrazioni” strutturali attraverso l'accentuazione di linee e l'esaltazione di superfici: tuttavia essi furono sempre subordinati al valore primario dell'arma quale prodotto funzionale. Sia in bronzo sia in ferro, particolare valore ebbero le armi destinate a funzioni cultuali e cerimoniali. Sulla spinta delle grandi religioni storiche, prima in Oriente e poi nell'Occidente cristiano del Medioevo, una nuova prospettiva, ricca di temi formali e decorativi, offriva alla produzione delle armi nuove possibilità ornamentali. L'arma non fu soltanto uno strumento funzionale: essa divenne attributo di divinità, insegna di comando, simbolo di potere; in molti casi fu portata alla magnificenza di oggetto prezioso, talvolta assunse anche valore di opera d'arte. Già in epoca remota il prestigio esercitato dalle armi cerimoniali ebbe riflessi immediati in quelle destinate all'uso pratico. Se ne ha testimonianza in alcune documentazioni nel corso del II millennio a. C. attraverso alcune asce da combattimento lorestane (in cui è già annunciata quella caratteristica composizione detta del “giunto zoomorfo” – l'impugnatura a forma di bocca di belva che stringe la lama – che sarà usata dagli Sciti e molti secoli dopo in Indocina nelle armi astate annamite). Altri esempi sono pervenuti dai territori russi (Kuban), dalla Siria settentrionale (ma di epoca posteriore) e attraverso alcuni prodotti di artigiani elamiti del sec. XII a. C. Gli orafi mesopotamici furono i protagonisti di una produzione di alto livello tecnico e artistico, per eleganza di forme e originalità di disegno. Da Ur provengono impugnature d'oro di spade e le famose maschere d'oro che ricoprivano il volto dei defunti per difenderli dalle impurità, il cui modello, composto di placche romboidali, si diffuse durante il II millennio a. C. prima nell'area della civiltà micenea (di cui famosi sono i pugnali del sec. XVI a. C., con lame bronzee incrostate d'oro con raffigurazioni di caccia, che sopravvanzano perfino i modelli egizi) e poi in Siria e in Macedonia. Agli elementi stilistici diffusi nel Mediterraneo orientale si contrappongono quelli della produzione caucasica (impugnature d'oro di spade rinvenute nelle tombe della Cappadocia), la cui importanza nella storia metallurgica e in particolare dell'oreficeria è documentata fin dal II millennio a. C. Il colore e la duttilità dei metalli preziosi stimolarono l'elaborazione di tecniche di lavorazione particolari che si svilupparono e si perfezionarono attraverso i secoli, quali l'incisione, il cesello, la filigrana, la granulazione, l'agemina, l'intarsio di pietre preziose o di paste vitree. Il ruolo svolto dalle tribù delle steppe che vivevano ai margini delle grandi civiltà, stabilitesi al di qua e al di là dell'Alta Asia, ha un valore determinante per lo sviluppo della lavorazione dei metalli, specie per le armi. I nomadi creano le premesse alle più svariate tecniche di combattimento. È la loro forza d'urto, in ultima analisi, ad affinare i mezzi e gli strumenti idonei per la difesa dei popoli sedentari. L'età dei metalli s'identifica con le culture delle steppe. Riferimento evidente sono le famose lance d'argento della Bessarabia (1800 a. C.) e alcuni tipi di asce e di falci, ancora nei modelli in rame, di Sosnvaia-Masa. A irradiare verso la Cina i procedimenti tecnici della lavorazione del bronzo furono le culture del Bajkal (i cui legami con la Cina possono farsi risalire fin dalla metà del III millennio a. C.), specie quella detta di Glazkovo, forse responsabile di aver trasmesso ai Cinesi verso il 1500 a. C. la giada, con la quale furono eseguite presto alcune preziose punte di lancia. Con la diffusione del bronzo nella Cina degli Shang, i motivi decorativi si accentrano quasi improvvisamente sulla raffigurazione di forme animali. Questo stile sarà poi ritrasmesso ai Siberiani. Il motivo animalistico fu applicato alle armi prima come tema decorativo poi come elemento interferente la struttura medesima. L'immagine della “bestia” decorerà i finimenti del cavallo, la guaina delle armi, le superfici degli scudi. Ad altri influssi riportano certe guaine d'oro e impugnature di spade degli Sciti, la cui ornamentazione sul pomo con teste di animali affrontati ripropone aspetti dell'arte iranica, accanto ad altri di quelle greca e cinese. La predilezione per i prodotti più appariscenti delle oreficerie del tempo fece degli Sciti i clienti più ricercati dai ricchi mercanti greci che tenevano empori lungo le rive settentrionali e orientali del Mar Nero fin dal sec. VII a. C. In parte come conseguenza di questi contatti, giungerà nel mondo classico quell'ondata di “orientalismo” che si manifesterà nei campi più diversi. Nella medesima epoca, attraverso la cultura del bronzo Dong Son, si diffondono nel Sud-Est asiatico gli stili decorativi curvilinei permeati di influenze cinesi, che trasformeranno il tradizionale stile monumentale proprio delle culture dell'India esteriore prima del sec. VIII a. C. In Indonesia questi stili si manifesteranno attraverso un repertorio di motivi persistenti nel tempo e nelle applicazioni più varie, dall'architettura alla decorazione delle armi e dei tamburi. Questa decorazione si rinviene fino al sec. XVIII d. C. nelle impugnature d'oro o d'avorio del kris, nei foderi d'argento di spade e nei preziosi ferri di lancia. Relazioni politiche, traffici commerciali e avvenimenti bellici favorirono attraverso i secoli vicendevoli influenze culturali e artistiche tra Oriente e Occidente, le cui manifestazioni più immediate si concretano proprio nel settore dell'equipaggiamento militare e nelle tecniche di combattimento. Più oltre nei tempi, attraverso le invasioni barbariche, non pochi popoli europei assimilarono per le decorazioni di armi il gusto policromo dell'oreficeria sarmata e bizantina, accogliendo quindi suggerimenti dagli orafi vichinghi e dagli armaioli carolingi, che diffusero (sec. VIII-IX) la tipica lancia gigliata con sbarretta. È l'epoca in cui si diffonde in Europa la staffa di ferro (dopo un lungo processo di maturazione svoltosi probabilmente secoli prima tra la Cina, l'India e l'Asia centrale), che inaugura la nuova tecnica di combattimento d'urto a cavallo e porta la cavalleria ad assumere una decisiva importanza (specie dopo la battaglia di Poitiers del 732), attraverso la quale Carlo Martello suggeriva una nuova fisionomia alla classe feudale del Medioevo. A dare corso a un nuovo periodo storico delle armi orientali, con conseguenze così ricche per l'Occidente, fu l'espansione dell'islamismo (sec. VIII) nella sua inarrestabile marcia di conquiste. Intorno a questa epoca nel Giappone della corte di Heian la leggendaria spada del samurai si configura nella sua struttura tradizionale e nei suoi inconfondibili elementi ornamentali. Nell'esaltazione mistica degli ideali di fede le armi musulmane sono portate ad assumere una loro ben precisa fisionomia, espressa dalla forma e da quell'insieme indefinibile di suggerimenti suscitati dal gioco astratto delle decorazioni, che tra i sec. X e XI si impreziosiscono, specie in quelle di fattura persiana, di bande trattate con caratteri cufici tra arabeschi di delicato disegno. La trattatistica islamica relativa alle armi è ricca di tutta una fioritura di saggi e formulari tecnici, tra i quali importanti sono quelli sulla fabbricazione e decorazione di spade di al-Kindī, filosofo e scienziato morto nel sec. IX. Ancor più celebre è il trattato di Murḍà ibn ʽAlī al-Ṭarsūsī, composto per il Saladino nel sec. XII. Un po' tutto l'equipaggiamento militare iranico nell'antica tradizione achemenide e sassanide fu adottato e diffuso dagli eserciti musulmani, che ne divulgarono le caratteristiche attraverso l'Asia e l'Europa. Basterebbe ricordare l'arte della damaschinatura introdotta a Venezia (sec. XIV-XV) o il gusto per gli smalti colorati su fondo oro in Spagna nelle raffinate spade di Boabdil (sec. XV). Soprattutto nell'India dei Moghūl (sec. XVI-XVIII) le armi e le armature musulmane trovarono un terreno fecondo per svilupparsi come oggetti d'arte, specie sotto il regno del grande Akbar (sec. XVI), che vantava una delle maggiori collezioni del genere. Fu dietro l'influsso delle armi islamiche e sul suggerimento di quelle introdotte con le invasioni barbariche che l'Europa elaborò e sviluppò tutta una varietà di armi individuali collocabili entro uno spazio di tempo che va dal sec. XIII al sec. XIX. Numerosi furono i centri di produzione, la cui rinomanza ha assunto nel tempo proporzioni storiche, quali Milano (dove trionfò l'arte dei Piccinino e dei Caimo), Solingen, Passau, Monaco, Augsburg, Vienna, Toledo (qui la fantasia dell'artefice, corrispondendo alle ambizioni del committente, trasformava le else di spada a “gabbia” in volute musicali, o quelle a “tazza” e a “vela” in opere di delicato ricamo). Nelle armi si rifletterono la moda e il gusto che caratterizzarono le varie epoche; così, per esempio, nel periodo che va dal Seicento agli inizi dell'Ottocento, la produzione europea risentì degli stili dettati dalla Francia. Dove il gusto squisitamente europeo si ritrova pressoché integro (anche se pure in questo campo molto insegnarono gli orientali) è nella decorazione delle armi da fuoco, in cui si trasferiscono le tecniche prima impiegate per abbellire il teniere delle balestre. Archibugi, fucili, pistole accolgono nella montatura lignea intarsi d'avorio, di madreperla, guarnizioni di metalli preziosi, oltre alle ageminature e ai disegni a morsura sulle parti metalliche, che vengono forgiate e cesellate come piccole sculture (come il famoso fucile Farnese). Per sovrani, principi e la nobiltà delle maggiori corti d'Europa tutta un'équipe di artisti e armaioli lavora ai corredi completi per caccia, per parate, per investiture. E ogni arma è portata a riflettere, come un quadro o come una suppellettile, i caratteri del proprio tempo.

Folclore

Le danze d'armi, legate ai riti di propiziazione per la fertilità del suolo, hanno origini antichissime e un'area di diffusione molto vasta. La più antica è la pirrica greca; la più diffusa, nel Medioevo in Italia e altrove, è la moresca, che traeva ispirazione dalla lotta tra mori e cristiani. Le danze armate italiane, dal bal del saber alla 'ndrezzata, dal ballo della cordella a quello eseguito dagli “spadonari”, rivivono in varie località, in genere in occasione di feste religiose o stagionali.

R. Held, La storia delle armi da fuoco, Milano, 1958; G. Giorgetti, Storia delle armi da fuoco, Milano, 1960; C. Blair, European and American Arms, Londra, 1962; R. M. Knutsen, Japanese Polearms, Londra, 1963; M. Thierbach, Die Geschichtliche Entwicklung Der Handfeuerwaffen, Graz, 1965; G. Vianello, Armi in Oriente, Milano, 1967; E. C. Ezell, Armi leggere di tutto il mondo, Parma, 1988.

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