Lessico

sf. [sec. XVIII; archeo-+-logia]. Studio dell'antichità e, in senso più specifico, scienza che ha per fine la ricostruzione delle antiche civiltà per mezzo degli scavi e dello studio di monumenti, oggetti, iscrizioni.

Origine ed evoluzione

Inteso da Platone nel significato di storia delle origini di un popolo o di una città, ritornato in voga nel sec. XVII a indicare lo studio di tutti i documenti antichi, limitato dal sec. XIX ai monumenti non letterari, il termine archeologia indica la scienza che studia le testimonianze storiche di culture e civiltà – nonché di insediamenti o giacimenti, terrestri e subacquei – conosciute o conoscibili prevalentemente attraverso la scoperta di resti materiali. Non rientrano quindi nel campo dell'archeologia i giacimenti paleontologici (a meno che non siano collegati all'apparizione dell'uomo), mentre invece l'archeologia si estende oltre l'età antica (in Italia, per esempio, Canne e Castelseprio; nel Nord la cultura dei Vichinghi; in Russia gli scavi di Novgorod, ecc.) e, nei continenti extraeuropei, sino all'età coloniale. Con il termine archeologia, senza altre specificazioni, si intende comunemente l'archeologia cosiddetta classica, che studia le civiltà dei popoli del Mediterraneo, e in partic. dei Greci e dei Romani, sino alle soglie del Medioevo. L'archeologia può essere però anche preistorica (o paletnologia) o medievale, o, ancora, industriale; oppure, in relazione alla localizzazione dei resti antichi, orientale, nordica, africana, americana, ecc. Con il termine archeologia cristiana si intende di solito lo studio dei monumenti cristiani dalle origini sino ai primi secoli del Medioevo. Il primo archeologo, inteso come ricercatore di monumenti antichi, può considerarsi Ciriaco de' Pizzicolli (viaggi in Grecia tra il 1412 e il 1448), mentre J. J. Winckelmann diede per primo un'interpretazione artistica, oltre che storica, dei monumenti dell'archeologia classica (Geschichte der Kunst des Altertums, 1764; Storia dell'arte dell'antichità). Nel sec. XIX si accentuò l'interesse degli studiosi verso le opere di arte figurativa, con particolare riguardo ai capolavori dei grandi maestri (A. Furtwängler). Nel sec. XX le due discipline, dell'archeologia e della storia dell'arte antica, si completano a vicenda, elaborando un'interpretazione storica dei vari periodi delle culture esaminate. Per condurre le sue indagini l'archeologia contemporanea si avvale di numerose altre discipline, come la filologia (per la conoscenza delle fonti), la topografia, l'epigrafia, la numismatica e, dagli ultimi decenni del sec. XX, anche della tecnologia moderna in relazione agli scavi. Per individuare resti archeologici senza effettuare scavi (è questo lo scopo delle prospezioni archeologiche) il sistema più largamente usato è quello della fotografia aerea. In particolari condizioni di stagione, di umidità del suolo, di stato delle colture, risultano evidenti nella fotografia sia l'andamento delle murature antiche (sopra le quali la vegetazione è di solito più rada e il terreno assume tonalità diverse) sia le cavità, come per esempio fossati preistorici (dove la vegetazione cresce più rigogliosa). All'esame stereoscopico di più fotografie aeree della stessa zona si collegano poi i dati desunti da altre fonti (notizie storiche, saggi di scavi) per giungere alla restituzione aerofotogrammetrica della zona. Le prospezioni aeree hanno consentito di ricostruire l'andamento del limes romano in molte regioni dell'Africa e dell'Asia, di identificare insediamenti preistorici, di ricostruire la planimetria di centri archeologici (Agrigento, Metaponto, Selinunte), di determinare il percorso di antiche strade (via Appia, via Annia). Nel Tavoliere foggiano sono stati identificati, oltre a centinaia di villaggi preistorici, molte fattorie romane con complessi sistemi di irrigazione e persino antichi vigneti e oliveti. Si sono anche adottati metodi di prospezione geofisici, analoghi a quelli usati per le ricerche geologiche. Le prospezioni elettriche sono basate sulle alterazioni che la resistività del terreno può subire in corrispondenza di murature antiche e cavità. Il metodo, impiegato in Italia e all'estero dal 1950 ca., ha dato risultati interessanti nelle necropoli etrusche. Le prospezioni magnetiche sono basate sulla misurazione, generalmente mediante magnetometri a protoni, dell'intensità del campo magnetico del terreno, la quale può variare quando nel suolo sono sepolti resti antichi: l'elaborazione dei numerosi dati ottenuti con questo metodo, il più largamente utilizzato (Etruria, Metaponto), viene effettuata con l'uso del calcolatore elettronico. Le prospezioni geochimiche individuano i resti in base alla quantità di fosforo nel terreno eccedente la norma, dovuta ad antichi insediamenti. Meno utilizzabili appaiono le prospezioni elettromagnetiche e quelle con strumenti gravimetrici (utili forse per l'identificazione di grandi cavità), mentre ulteriori approfondimenti richiedono altri metodi di prospezione basati su sistemi radioattivi, su effetti di polarizzazione, su radiazioni infrarosse. Al limite tra prospezione e scavo sono le prospezioni stratigrafiche, che consistono nell'eseguire fori nel terreno a mezzo di apposite sonde a rotazione, che individuano i materiali archeologici sepolti nei diversi strati. Nell'esplorazione della zona di Sibari, la Fondazione Lerici ha adottato una sonda a circolazione d'acqua compressa che fa risalire alla superficie i frammenti antichi. Alla stessa fondazione si deve una sonda fotografica, il cosiddetto “occhio di Minosse”, che permette di fotografare l'interno delle tombe a camera. "Per approfondire Vedi Gedea Arte vol. 2 pp 12-19" "Per approfondire Vedi Gedea Arte vol. 2 pp 12-19"

Esplorazioni

Le prime esplorazioni archeologiche iniziarono a Roma (nel Foro Romano, alle Terme di Caracalla, nella Villa Adriana) per rispondere alle esigenze intellettuali dell'Umanesimo. Dopo un periodo di relativa stasi i Borbone di Napoli iniziarono scavi sistematici a Ercolano (1709-11; 1738-65), a Pompei (ininterrotti dal 1748), a Stabia (1759-82) con la conseguente scoperta della pittura pompeiana. I Farnese intrapresero scavi sul Palatino (1720-29) e i Borbone di Parma a Velleia (dal 1760). Altri scavi a Roma, in alcune località del Lazio (Villa Adriana, Ostia) e dell'Italia settentrionale ebbero particolare impulso alla fine del secolo e soprattutto nel periodo napoleonico. Nel sec. XIX proseguirono gli scavi di città e monumenti romani e si rese possibile la conoscenza diretta della civiltà etrusca con gli scavi nelle necropoli di Vulci, Tarquinia, Cerveteri, Palestrina. Alla fine del secolo, dopo la costituzione di un'apposita Direzione Generale del Ministero della Pubblica Istruzione, si intensificarono gli scavi in tutta Italia e si ebbe un primo contatto con l'arte della Magna Grecia. Vennero sistemati alcuni tra i maggiori musei archeologici del mondo, come il Museo Borbonico, oggi Nazionale, a Napoli, il British Museum a Londra, i Musei Nazionali di Atene e Roma (il Louvre era stato aperto nel 1793). Grandi scoperte si ebbero in Grecia e in Oriente, anche per il trasferimento a Londra (1800-07), da parte di Thomas Bruce conte di Elgin, dei marmi del Partenone. Gli scavi tedeschi e danesi a Egina (1811) e quelli inglesi a Bassae (1812), in Licia (1838), al mausoleo di Alicarnasso (1846) arricchirono la Gliptoteca di Monaco e il British Museum. Nel 1833 i Greci iniziarono l'esplorazione archeologica dell'Acropoli di Atene. Negli ultimi decenni del secolo iniziarono le grandi imprese archeologiche ufficiali, il cui scopo non fu più l'acquisizione di opere d'arte ma lo studio dell'antica civiltà greca; importanti sono state soprattutto quelle dei Tedeschi a Olimpia (dal 1878) e dei Francesi a Delo (dal 1879) e a Delfi (dal 1880), mentre i Greci scavavano Epidauro (1881) e scoprivano sotto la “colmata persiana” dell'Acropoli un grandioso complesso di opere del periodo arcaico (1885-91). In Asia Minore gli Inglesi e poi gli Austriaci scavarono a Efeso (dal 1869), i Tedeschi a Magnesia al Meandro (dal 1891), a Priene (dal 1895), a Mileto (dal 1899) e a Pergamo (dal 1878), portando la grande ara negli Staatliche Museen di Berlino (sezione del Pergamonmuseum). In Crimea i Russi scavarono le città greco-scitiche, arricchendo il Museo dell'Ermitage di oreficerie preziosissime. Negli stessi decenni gli scavi di un geniale dilettante, H. Schliemann, a Troia (dal 1871), a Micene (dal 1874) e a Tirinto (dal 1884) portarono alla luce le testimonianze di quel periodo preellenico che dopo le scoperte di sir A. Evans a Cnosso (1900) è stato definito come civiltà cretese-micenea. Nell'Asia anteriore, dopo gli scavi assiri di P.-E. Botta a Khorsabad (1843-46) e di A. H. Layard a Nimrūd (1849-51), le scoperte di Tello (dal 1866), di Nippur (dal 1888), di Babilonia (dal 1898) posero in luce l'antico mondo sumerico e accadico. Alla fine del secolo gli scavi di Baalbek e Palmira documentarono la civiltà romana d'Oriente. In Egitto le scoperte archeologiche cominciarono con la spedizione di Napoleone (1798-1801) e la scoperta della stele trilingue di Rosetta (1799) e continuarono con la missione franco-italiana di Champollion e Rosellini (1828-30) e quella tedesca di Lepsius (1842-45). Operarono inoltre missioni di diverse nazionalità a Menfi, Tell El Amârna, Abido, Tebe (templi di Luxor e Karnak e necropoli rupestre). Nel sec. XX la continuazione delle imprese precedenti e l'apertura di nuovi campi di scavo in tutti i Paesi d'Europa, in Asia e in Africa hanno avuto soprattutto lo scopo di ottenere una visione generale e organica, dal punto di vista storico, dei dati offerti dalle singole scoperte, con l'ausilio di nuovi metodi di ricerca; si svilupparono in tutto il mondo gli scavi preistorici e, in America, lo studio dell'archeologia precolombiana. Nel mondo greco hanno continuato a operare congiuntamente Greci e stranieri. Gli Italiani scavarono soprattutto a Creta (Festo, Haghia Triada) e nel Dodecaneso (Rodi, Coo), i Tedeschi a Olimpia e a Efeso, i Francesi a Delo, Delfi, Mallia, gli Inglesi a Cnosso e Micene, gli Americani a Corinto, all'agorà di Atene, a Troia, gli Svedesi ad Asine e Cipro, i Danesi a Calidone. In Oriente gli scavi si estesero alla Palestina, alla Mesopotamia (TellHalaf, Uruk e Ur, dove studiosi angloamericani posero in luce l'arte sumerica primitiva), in Persia (Susa, Persepoli), nella valle dell'Indo (civiltà di Mohenjo-Daro e di Harappa), in Libano (Biblo) e in Siria (Ras Shamra, l'antica Ugarit), nell'Asia Minore (Bögazköy, Kültepe e altri centri ittiti). Gli scavi francesi a Bēgram nell'Afghanistan e quelli sovietici nei tumuli (kurgan) dell'Altaj ampliarono le conoscenze delle civiltà iraniche; quelli americani di Dura Europos e le scoperte di Antiochia, Apamea, Damasco illustrarono la civiltà romana in quelle regioni orientali. In Egitto continuò l'esplorazione delle necropoli (Saqqāra, el-Giza) e si ebbe la fortunata scoperta della tomba di Tutankhamon (1922). Nell'Africa settentrionale i centri archeologici della Tunisia e dell'Algeria (Timgad, Thugga, Lambaesis) iniziarono a essere scavati dai Francesi, quelli del Marocco dagli Spagnoli (Lixus), quelli della Libia dagli Italiani (Leptis Magna, Sabratha, Cirene). Tra le più straordinarie scoperte del secolo, quella della città di Ebla (Siria, III millennio a. C.), riportata alla luce da una missione archeologica dell'Università di Roma, e i moltissimi reperti archeologici della Cina (famosissimo l'“esercito di terracotta” di Sian). Quanto all'Italia, le esplorazioni archeologiche investirono tutto il territorio nazionale. A Roma continuavano gli scavi al Foro Romano e al Palatino (Boni, Bartoli), si liberavano i Fori Imperiali e l'Augusteo, si recuperava l'Ara Pacis, si dava un particolare impulso agli scavi di Ostia (Calza). In Campania continuavano gli scavi di Pompei (Maiuri) e si riprendevano quelli sistematici di Ercolano (1927). In Etruria particolare importanza ebbero gli scavi di Veio e Tarquinia, nell'Italia settentrionale quelli di Aquileia e della necropoli di Spina. Negli ultimi decenni del sec. XX si sono intensificate in tutta Italia le ricerche archeologiche: particolarmente eclatanti i risultati della ripresa degli scavi nel centro stesso di Roma, e in Etruria (da Cerveteri a Tarquinia, a Bolsena, a Orvieto, a Volterra, ecc.), in Magna Grecia (Napoli, Velia, Sibari, Crotone, Policoro, Metaponto, i centri del Salento, ecc.), nella Sicilia greca (Selinunte, Megara, Camarina, Siracusa, ecc.) e pregreca (Mozia, i centri fortificati dell'interno), in Sardegna (Tharros, Nora, Monte Sirai, ecc.), ma anche in numerosissimi altri centri dell'Italia centrale e settentrionale.

La ricerca archeologica: lo scavo

Per la ricerca di nuovi dati sul campo, l'archeologia si avvale soprattutto di scavi stratigrafici, "Per un esempio di stratigrafia di uno scavo archeologico vedi schema al lemma del 2° volume." secondo tecniche mutuate dalla geologia, ed elaborate sin dagli anni Trenta del sec. XX in scavi dell'Europa settentrionale e poi, con R. E. M. Wheeler e F. C. Kenyon, in Oriente. Adottati ormai universalmente, per la maggior quantità e qualità di informazioni che forniscono, essi si basano sull'individuazione delle diverse unità stratigrafiche, ciascuna dovuta a un'unitaria azione naturale o umana, e delle relazioni fisiche tra esse intercorrenti. Fasi essenziali di uno scavo stratigrafico sono: l'impostazione; la documentazione il più possibile completa, con schede, piante, grafici, riprese fotografiche, ecc.; l'elaborazione dei dati, sovente con l'ausilio di altre scienze, e la loro pubblicazione.

Metodi di datazione archeologica

In aggiunta ai metodi tradizionali, basati o sul confronto dell'oggetto da datare con altri già noti, o sulla sua provenienza da strati più o meno profondi (datazione relativa), sono stati messi a punto sistemi di datazione assoluta, il più noto dei quali è quello del radiocarbonio (W. F. Libby, 1947). Il metodo è utile per sostanze contenenti carbonio (carbone di legna, legna secca o torba, conchiglie, ossa combuste) e si è rivelato soprattutto importante, nonostante i possibili errori, per la datazione di materiali preistorici fino a 50-70.000 anni or sono. I manufatti di ossidiana possono essere datati in base alla profondità di penetrazione dell'acqua entro il manufatto stesso; analogamente in base allo spessore delle incrostazioni possono essere datati oggetti di vetro. L'età delle ossa può essere determinata, pur con notevoli incertezze, in base alla quantità di fluoro da esse assorbito. Il sistema di datazione basato sul paleomagnetismo (o archeomagnetismo, o magnetismo residuo) si fonda sulla constatazione che il magnetismo terrestre varia di direzione e di intensità e che oggetti contenenti quantità anche piccole di sostanze sensibili all'influsso magnetico (ceramiche, residui di fornaci, mura di mattoni crudi sottoposti a un incendio) conservano il magnetismo del momento in cui è avvenuta la cottura. La dendrocronologia è basata sull'esame della progressione dei cerchi di accrescimento delle piante, che è analoga per tutti gli alberi di una stessa regione in relazione alle condizioni di piovosità. Negli Stati Uniti si sono ottenute seriazioni continue fino a dieci secoli or sono, ciò che ha permesso di conoscere l'anno esatto in cui sono stati tagliati i tronchi di antiche costruzioni e quindi di determinare l'età dei villaggi.

Scienze sussidiarie dell'archeologia

L'archeologia si avvale delle scienze chimiche, fisiche e naturali anche per altre ricerche. L'analisi della composizione chimica dei materiali può spesso chiarire l'origine geografica di un reperto. Si vanno sempre più affermando tecniche di analisi basate sulla spettroscopia di emissione e sull'attivazione neutronica. Le analisi polliniche e dei legni fossili e subfossili, insieme a quelle delle ossa degli animali, indicano la flora e la fauna del periodo nonché il suo clima e sono perciò utilizzabili nel campo preistorico e della paleoecologia. Parimenti, le indagini osteologiche sui resti umani consentono di recuperare una grande quantità di informazioni, non solo sulla mortalità, ma anche sull'alimentazione e la qualità della vita. La determinazione dei gruppi sanguigni, possibile in ossa umane con abbondante tessuto spugnoso, consente di trarre deduzioni sulle migrazioni. Le scienze chimiche e fisiche costituiscono poi l'indispensabile supporto delle moderne tecniche di restauro dei materiali archeologici.

Particolari campi di indagine: generalità

La tendenza ad ampliare il campo dell'indagine archeologica, un tempo limitato solamente all'antichità classica, ha portato, come detto, alla nascita di discipline specifiche, come per esempio l'archeologia biblica, l'archeologia medievale ecc.; nello stesso tempo l'evoluzione delle metodologie di ricerca ha fatto dell'archeologia una scienza multiforme nella quale vengono applicate tecniche particolari, come avviene nell'archeologia subacquea, nell'archeologia degli elevati ecc.

Particolari campi di indagine: archeologia ambientale

L'archeologia ambientale studia gli aspetti fisici e biologici dell'ambiente e le interazioni fra le attività dell'uomo e l'ambiente naturale nel tempo. Le prime ricerche risalgono al sec. XIX, anche se limitate al campo degli studi preistorici. Nell'archeologia classica italiana l'interesse per gli aspetti naturalistici è stato a lungo sporadico e limitato a pochi studiosi di impostazione positivistica. L'affermarsi dell'idealismo all'inizio del sec. XX ha poi imposto una lunga battuta d'arresto agli studi di tipo ambientale in archeologia. L'archeologia ambientale si è affermata invece precocemente nell'Europa Settentrionale e negli Stati Uniti, dove gli studiosi sono stati più sensibili agli aspetti interdisciplinari e alle potenzialità degli studi ambientali. Grande impulso all'archeologia ambientale è stato dato poi dalla corrente americana nota come New Archaeology o archeologia processuale, che riconosce all'archeologia i caratteri di una disciplina scientifica più che storica. A partire dagli anni Cinquanta del sec. XX si è assistito inoltre a un continuo perfezionamento delle tecniche di recupero dei resti organici e delle analisi di laboratorio e a progressi nei sistemi di elaborazione dei dati. L'archeologia ambientale comprende al suo interno numerose discipline: la bioarcheologia, che studia i resti organici e che a sua volta si suddivide in archeobotanica e archeozoologia, che si occupano rispettivamente dei reperti vegetali e dei resti animali nei contesti archeologici; l'antropologia fisica, che ha per oggetto di studio i resti umani; la geoarcheologia che si occupa del vasto campo dei reperti inorganici (ricerche sulle variazioni del livello del mare e sull'evoluzione morfologica del paesaggio, indagini su suoli e sedimenti, studi sui processi di formazione dei depositi archeologici). Un altro campo di ricerca dell'archeologia ambientale è la paleoclimatologia: il clima è uno degli elementi che condiziona maggiormente l'insediamento umano e quindi la sopravvivenza dell'uomo in un dato contesto geografico. Il caso più estremo è rappresentato dalle glaciazioni, ma variazioni climatiche di entità notevole si sono verificate anche in tempi più recenti, causando migrazioni, carestie e scontri fra popoli. Le indagini paleoclimatiche si basano su dati di natura diversa: gli anelli di accrescimento degli alberi; le variazioni nelle associazioni vegetali documentate dalle analisi polliniche; la presenza di molluschi; particolari formazioni geologiche come gli archi morenici in grado d'individuare e datare le variazioni climatiche. Nuovi metodi di indagine, quali carotaggi nei sedimenti profondi degli oceani e nei ghiacciai permanenti, hanno permesso d'incrementare in modo cospicuo i dati sull'andamento del clima nel tempo, ricostruendo in modo più articolato, per esempio, l'alternarsi dei periodi glaciali e interglaciali.

Particolari campi di indagine: archeologia biblica

Ramo dell'archeologia orientale che si prefigge una migliore comprensione dei testi scritturali, i cui limiti cronologici vanno dall'età dei patriarchi (sec. XVIII a. C.) al sec. I d. C., in un'area geografica comprendente la Palestina e le zone mediorientali con essa strettamente collegate. L'archeologia biblica identifica le località bibliche, ricostruisce l'ambiente in cui vissero i personaggi biblici, conferma particolari mediante il riscontro di un personaggio o episodio biblico in documenti storici di altri popoli orientali, fornisce collegamenti con documenti letterari e archeologici di questi popoli. Caratteristico dell'archeologia biblica è lo scavo del khirbet (basso cumulo) e del tell (collina), che nascondono gli antichi insediamenti in strati sovrapposti corrispondenti alle varie epoche. Pioniere dell'archeologia biblica fu il geografo E. Robinson che nel 1838 identificò molte località bibliche. Aprirono l'epoca degli scavi F. de Saulcy (dal 1850 al 1863) e C. Clermont-Ganneau; nel 1867 Ch. Warren compì il primo scavo scientifico sotto le mura di Gerusalemme. Nel 1865 fu fondata la Palestine Exploration Fund, che compose la prima carta topografica della Palestina, e nel 1870 la American Palestine Exploration. I primi risultati in campo archeologico si devono a F. Petrie (dal 1890) che, sulla base del metodo stratigrafico, si servì della ceramica per tentare una cronologia palestinese. Nel 1892 fu fondata l'Ècole Biblique e nel 1898 la Deutsche Orientgesellschaft. Dopo la I guerra mondiale fu creato un Department of Antiquities e tra il 1918 e il 1938 si ebbe il periodo d'oro dell'archeologia biblica. Iniziò i lavori anche la American School of Oriental Research e W. F. Albright fissò la cronologia palestinese.

Particolari campi di indagine: archeologia degli elevati

L'archeologia è per convenzione una scienza i cui oggetti d'analisi giacciono sepolti dalla terra e divengono intellegibili grazie allo scavo. In realtà, al di là di condizioni ambientali particolari (si pensi all'eccezionale stato di conservazione che spesso caratterizza gli insediamenti localizzati in regioni aride o desertiche), l'evoluzione delle metodologie di indagine ha fatto dell'archeologia una disciplina multiforme e nella quale si moltiplicano gli approcci ad hoc. Uno dei casi più interessanti è quello della cosiddetta archeologia degli elevati, ovvero di quel tipo di ricerca che si basa principalmente sull'osservazione delle strutture murarie e sul loro rilevamento. L'archeologia degli elevati deve molta della sua diffusione al considerevole incremento che si è registrato nello sviluppo delle ricerche su contesti di età postclassica. Almeno fino al secondo dopoguerra, in Italia era ancora molto diffuso un atteggiamento in virtù del quale, pur senza giungere alle clamorose “cancellazioni” operate durante il ventennio fascista, non si attribuiva particolare importanza alle testimonianze di età medievale o rinascimentale. A un corretto riequilibrio della situazione hanno molto contribuito gli scavi condotti nelle aree urbane, ed è stato proprio questa l'occasione più frequente per sperimentare e mettere a punto l'archeologia degli elevati. Si tratta, in pratica, di un procedimento per il quale, una volta messa in luce una struttura muraria, se ne effettua un'attenta lettura, grazie alla quale ricavare non solo informazioni specifiche sul tipo di tecnica costruttiva adottata, ma anche sulla vita del manufatto. Casi classici possono essere appunto le murature di edifici, ancora abitati, che fanno parte dei centri storici cittadini. Soprattutto in Italia, infatti, non è raro imbattersi in costruzioni che sono state più volte rimaneggiate, anche nell'arco di parecchi secoli, e questo succedersi di interventi risalta con evidenza dallo stato di conservazione e dalla fisionomia delle murature. Ove sia possibile rimuovere eventuali intonaci (l'operazione può per esempio essere impedita dalla presenza di affreschi, che in quel caso potranno permettere soltanto la realizzazione di piccoli saggi), il tipo di materiali utilizzati, la loro posa in opera, la presenza di tamponature o tagli costituiscono altrettanti indizi, che sono in grado di portare a deduzioni non meno complete di quelle ottenibili grazie a uno scavo.

Particolari campi di indagine: archeologia industriale

Disciplina nata in Gran Bretagna negli anni Cinquanta del sec. XX che si occupa del reperimento, catalogazione, conservazione e studio dei manufatti (opifici, fabbriche, fonti di energia, trasporti e comunicazioni) del periodo della rivoluzione industriale (sec. XVIII-XIX). Oggetto di studio sono quindi i processi produttivi e i mezzi di produzione, ma non nell'ottica tradizionale della storia della tecnica, bensì in quella della ricostruzione del territorio e del contesto sociale che fece da sfondo alla nascita delle industrie. Le ricerche di archeologia industriale tendono perciò a mettere in evidenza le circostanze materiali che hanno consentito la nascita di una certa macchina, di un congegno o di uno stabilimento, individuando le conseguenze che tali avvenimenti hanno avuto sull'ambiente naturale e sugli strati sociali coinvolti. Concetto tipico elaborato dagli archeologi industriali è quello di “paesaggio culturale” inteso come l'insieme delle trasformazioni imposte dall'uomo al suo ambiente attraverso l'impianto di manifatture e della rete di infrastrutture connesse. La coscienza dell'importanza storico-archeologica dei resti della rivoluzione industriale ha avuto come conseguenza in Gran Bretagna l'inserimento dei monumenti industriali nella legislazione di tutela dei beni culturali. È però solo dagli anni Settanta che l'archeologia industriale ha cominciato a definirsi come disciplina di studio, dotata di una teoria e metodi di indagine propri, superando la fase pionieristica, ma anche dilettantesca che si era esaurita nella schedatura fine a se stessa dei resti industriali. L'istituzionalizzazione dell'archeologia industriale può dirsi attuata nel 1978 con la costituzione dell'International Committee for the Conservation of the Industrial Archaeology. L'archeologia industriale non è però un fenomeno esclusivamente britannico; esperienze e ricerche di grande interesse con conseguenti interventi di restauro e valorizzazione si sono registrati soprattutto negli Stati Uniti e in Francia. In Italia nel 1977 si è costituita la Società Italiana per l'Archeologia Industriale, ma già nel 1972 era stato avviato un progetto sulla manifattura di San Leucio presso Caserta e allo stesso anno risale uno studio sui mulini da seta veneziani fra XVI e XVIII secolo; nel 1975 era invece iniziato lo studio finalizzato al restauro e alla valorizzazione del villaggio operaio di Crespi d'Adda. Negli stessi anni era stato avviato un censimento del patrimonio relativo all'archeologia industriale in Italia. Nel 1985 si è poi costituito l'Istituto di Cultura Materiale e Archeologia Industriale, riconosciuto come sezione italiana dell'International Committee for the Conservation of the Industrial Archaeology. A partire dagli anni Ottanta si collocano il recupero dell'area del Lingotto a Torino, la ristrutturazione del porto vecchio di Genova e l'avvio di altri importanti progetti di conservazione e valorizzazione di complessi industriali. In Italia l'archeologia industriale si presenta quindi caratterizzata da una metodologia largamente interdisciplinare e da un dibattito sempre aperto sui limiti cronologici della disciplina: alcuni tendono infatti a dilatare i termini cronologici fino a comprendere tutti gli aspetti della produzione preindustriale in cui sia presente un accentramento delle strutture produttive; altri preferiscono parlare di archeologia della produzione, abolendo di fatto qualsiasi delimitazione cronologica. Più rigorosa è la posizione di quanti associano il concetto di industria a un determinato modo di produzione (economia di mercato, capitalismo e macchine utensili), riconducendo così la disciplina ai secoli della rivoluzione industriale e successivi.

Particolari campi di indagine: archeologia medievale

Disciplina che si occupa dello studio e del recupero sistematico di testimonianze materiali postclassiche e preindustriali. Il suo campo di indagine spazia dalla cultura materiale e dagli aspetti della produzione, distribuzione e consumo dei beni, alla storia dell'insediamento, dei rapporti con l'ambiente e quindi alla storia del paesaggio e del territorio. La nascita della disciplina è recente, anche se, come in altri campi dell'archeologia, studi isolati e pionieristici possono essere rintracciati in tempi più lontani. Agli inizi delle ricerche sistematiche si pongono, in Italia, le indagini di G. P. Bognetti, che seppe rivelare l'autonoma potenzialità di informazione delle fonti archeologiche e la possibilità di integrarle con le tradizionali fonti scritte ai fini della ricostruzione storica. Oggetto degli studi di Bognetti era la storia dei Longobardi, ma i suoi riferimenti culturali divennero, quando da storico si fece anche archeologo, l'archeologia protostorica tedesca e francese. La prima aveva già prodotto importanti studi e tipologie di materiali longobardi negli anni Trenta e Quaranta del sec. XX. Fra il 1961 e il 1962 Bognetti promosse due importanti scavi medievali, coinvolgendo l'Istituto di Storia della Cultura Materiale dell'Accademia Polacca delle Scienze, a Torcello (Venezia) e a Castelseprio (Varese); entrambe le ricerche rimasero interrotte dalla sua morte nel 1963, ma il suo esempio non restò senza seguito. Nel 1962 iniziarono gli scavi dell'insediamento di Invillino (Udine) a opera dell'Istituto di Preistoria di Monaco e nel 1966 Michelangelo Cagiano de Azevedo, titolare di una cattedra di Archeologia cristiana, fece istituire il primo corso universitario di Archeologia medievale all'Università Cattolica di Milano. Molte delle iniziative di quegli anni nacquero nell'ambito del Centro Italiano di Studi sull'Alto Medioevo di Spoleto, fra cui il progetto del Museo dell'Alto Medioevo a Roma, inaugurato nel 1966. Edizioni di materiali fino allora trascurati e dispersi si devono a partire dalla fine degli anni Cinquanta a M. Salmi, A. Peroni, O. von Hessen. Del tutto autonoma è invece l'opera di studio della ceramica medievale portata avanti da T. Mannoni sulla scorta delle metodologie messe a punto da N. Lamboglia nell'Istituto di Studi Liguri; caratteristica dell'opera di Mannoni è anche l'attenzione allo scavo, alla ricognizione del territorio e alle possibili interazioni con discipline scientifiche, al di fuori di precise definizioni cronologiche disciplinari (“archeologia globale”). Per il resto però, la nuova archeologia medievale sembrava essersi posta dei limiti cronologici che non oltrepassavano il sec. IX d. C.; questa situazione iniziò a mutare con negli anni Settanta, quando furono istituiti numerosi insegnamenti universitari di archeologia medievale. Un forte impulso a superare l'Alto Medioevo venne dai nuovi interessi manifestati da storici, influenzati dalla scuola francese delle Annales, per le vicende del popolamento, per il rapporto uomo-ambiente, per i ceti subalterni e le società locali, per gli aspetti materiali della storia dell'insediamento e del paesaggio agrario. L'incontro fra studiosi di varia formazione (archeologi liguri, storici torinesi e fiorentini) portò nel 1974 alla fondazione della rivista Archeologia Medievale, che nel sottotitolo “Cultura materiale, insediamenti, territorio” definiva il campo di intervento della nuova disciplina, distinguendola programmaticamente dagli studi più tradizionali di architettura monumentale e storia dell'arte. Punti di riferimento erano una concezione marxista del passato, che dava un ruolo centrale alla cultura materiale, e il richiamo alle esperienze della scuola polacca. Un ulteriore riconoscimento istituzionale si registrò nel 1978, anno in cui iniziarono a essere inseriti nelle Soprintendenze Archeologiche dei medievisti. Nel moltiplicarsi delle iniziative nell'ultimo scorcio del sec. XX, emerge l'attività dell'Università di Siena, guidata da R. Francovich. Dopo una serie di interventi nelle città toscane, mirati a ricostruire l'evoluzione dell'occupazione del sito e a costruire tipologie ceramiche, Francovich ha condotto numerose indagini di ampio respiro quale lo scavo della Rocca di S. Silvestro presso Campiglia Marittima, un castello che viveva dello sfruttamento minerario del territorio, o quello del castello di Montarrenti (Siena), che hanno contribuito a una nuova definizione del fenomeno dell'incastellamento. L'attività di Mannoni è proseguita nell'ambito dell'Istituto per la Storia della Cultura Materiale con il perfezionamento delle tecniche di ricerca di superficie e di documentazione della cosiddetta “archeologia del sopravvissuto”, cioè delle tracce del Medioevo che fanno ancora parte dell'ambiente urbano o rurale attuale, attraverso l'analisi stratigrafica delle murature. L'affermazione dell'archeologia medievale in Italia ha avuto come sviluppo ulteriore la nascita dell'archeologia urbana, intesa non più come una serie di scavi di emergenza da eseguire frettolosamente quando i cantieri hanno già danneggiato le realtà archeologiche sepolte, ma come una disciplina autonoma in grado di elaborare carte del rischio, e quindi, almeno nelle intenzioni, di partecipare attivamente alla programmazione urbanistica. Dall'archeologia medievale si vanno staccando da ultimo nuove branche, quali l'archeologia postmedievale, l'archeologia dell'architettura, l'archeologia della produzione. Il principio teorico dell'esplorazione totale dei depositi archeologici, che è uno dei fondamenti dell'archeologia contemporanea, ha inoltre costretto anche i classicisti a misurarsi con le stratificazioni medievali e postmedievali. In alcuni casi questa nuova sensibilità ha portato all'apertura o all'approfondimento di altri filoni di ricerca, quale quello della fine della città antica e della nascita della città medievale che vede al lavoro con risultati proficui archeologi classici e medievalisti.

Particolari campi di indagine: archeologia sperimentale

L'archeologia sperimentale ha mosso i suoi primi passi negli anni Sessanta del sec. XX, soprattutto nel settore della preistoria. Il suo fine è quello di sperimentare processi tecnologici o modi di vita allo scopo di verificare se le ipotesi elaborate sulla scorta dei dati acquisiti grazie allo scavo possano avere un riscontro. L'applicazione è stata finora più ampia nell'ambito degli studi preistorici, poiché si tratta di settori nei quali non è possibile avvalersi delle informazioni fornite dalle fonti scritte per trovare risposte adeguate ai quesiti posti dalle indagini svolte. Uno dei casi più tipici di applicazione dell'archeologia sperimentale è la replica delle operazioni necessarie per la fabbricazione di strumenti in selce. Cercando di riprodurre grattatoi o punte di lancia, è stato possibile verificare quali differenze venissero determinate, per esempio, dall'uso di percussori più o meno duri per la lavorazione della materia prima. È stato così osservato come determinati tipi di ritocco degli utensili fossero resi possibili unicamente dall'uso di un percussore ottenuto da un osso o da un corno e si è perfino arrivati a distinguere il diverso tipo di scheggiatura che può derivare dall'impiego di un corno di cervo piuttosto che di un corno di renna. Con procedimenti concettualmente analoghi, è stata sperimentata la produzione di manufatti ceramici senza l'uso del tornio oppure la realizzazione di strutture abitative (capanne) di pali e frasche. Questo genere di operazioni, oltre a rendere possibile la verifica delle ipotesi elaborate in proposito, ha anche dato modo di osservare i tempi e i modi di usura dei manufatti o delle costruzioni. Quest'ultimo è, ovviamente, un dato di estrema importanza, in quanto può fornire un prezioso aiuto nella valutazione dei tempi di vita e di uso dei reperti e delle strutture nei quali erano conservati. Nel corso degli ultimi anni del sec. XX, la pratica dell'archeologia sperimentale si è frequentemente associata alle osservazioni di carattere etnologico, contribuendo alla definizione di una disciplina, l'etnoarcheologia, che si è imposta come uno dei più validi approcci nello studio delle culture che ci hanno preceduto.

Particolari campi di indagine: archeologia subacquea

L'archeologia subacquea si occupa dei resti archeologici, soprattutto impianti portuali, che sono stati sommersi dalle acque, nonché del recupero di navi naufragate e dei loro carichi. L'archeologia subacquea porta alla conoscenza dei commerci e delle tecniche navali degli antichi e si distingue da quella terrestre per i differenti metodi di ricerca e di scavo. Sono stati rilevati insediamenti palafitticoli nei laghi europei, i porti fenici di Tiro, Sidone, Apollonia di Cirenaica, quello romano di Cesarea Marittima sulla costa israeliana e, in Italia, la parte sommersa di Baia, il porto romano di Egnazia e un insediamento villanoviano su palafitte nel lago di Bolsena. Limitati sono sinora i recuperi di navi antiche (navi vichinghe, nave svedese Vasa affondata nel 1628; due navi di Caligola, recuperate nel 1932 abbassando il livello del lago di Nemi e poi distrutte dai Tedeschi nel 1944; navi della Bassa Padana e dello Stagnone presso Marsala, ecc.), ma numerosissimi sono stati negli ultimi anni del sec. XX i relitti individuati e scientificamente indagati, sia in Italia (per esempio a Filicudi e a Marzamemi, sulle coste siciliane; all'isola del Giglio, nell'arcipelago toscano; a Pisa, tra i resti del porto della città romana, riportati alla luce nel 1998) sia all'estero. Relitti e altri resti sommersi sono rilevati con speciali sistemi di triangolazione e quadrettatura e si procede alla formazione di carte archeologiche del mare con l'indicazione dei principali relitti (forma maris antiqui). In Francia è stata appositamente attrezzata la nave Archeonauta; in Italia il Centro sperimentale di archeologia sottomarina di Albenga ha realizzato una campana batiscafica collegata a una camera di decompressione per mezzo di una garritta di passaggio, cosa che consente una più lunga permanenza dei sommozzatori su fondali anche profondi. Gli scavi vengono effettuati con il “boccalino-scavafango” per liberare il fondo dal limo o dalla sabbia, o mediante la “sorbona”, pompa aspirante e premente, azionata da un compressore. Tra i più spettacolari recuperi effettuati in Italia è quello dei cosiddetti “bronzi di Riace” (Reggio di Calabria, 1972), due splendide statue greche risalenti al V sec. a. C.

Particolari campi di indagine: archeologia urbana

Disciplina complessa che indaga contestualmente il passato e il presente degli organismi urbani con approcci multidisciplinari e metodologici specifici e profonde interazioni con lo sviluppo urbanistico attuale. La nascita dell'archeologia urbana in Italia è una conseguenza dell'affermazione dell'archeologia medievale e, più in generale, postclassica, che ha portato al riconoscimento del valore storico di tutte le testimonianze archeologiche e della necessità di concedere uguale dignità di trattamento a tutte le componenti della sequenza stratigrafica. L'applicazione sull'intera stratificazione di un sito dello scavo stratigrafico (e dei sistemi di analisi e di documentazione connessi) permette di reperire dati sulle trasformazioni che hanno interessato l'area indagata nel tempo, facendo luce anche sui periodi meno documentati. In questa ottica il tessuto urbano attuale delle città, che in Italia e in Europa hanno spesso origini romane o medievali, è un insostituibile oggetto di ricerca, in quanto la stratificazione urbana è particolarmente densa e ricca di dati. Ma l'indagine in un contesto urbano vivo pone problemi più numerosi, derivati proprio dalla continuità d'uso del sito, rispetto allo scavo di insediamenti abbandonati. Per questo motivo le indagini di archeologia urbana si riducono il più delle volte a frettolosi scavi di emergenza e di salvataggio. Fondamentale per l'archeologia urbana è la programmazione accurata della ricerca. Sempre più ferma è fra gli archeologi la convinzione che la valutazione delle potenzialità archeologiche del sottosuolo di una città sia molto importante e debba confluire in un'apposita carta, detta anche carta del rischio. La carta del rischio (alla fine del sec. XX redatta in Italia soltanto a Pavia, a Brescia e in pochi altri centri) dovrebbe divenire uno strumento primario per la pianificazione urbanistica degli interventi edilizi e infrastrutturali nel sottosuolo, limitando così sia il ricorso a procedure archeologiche di emergenza, sia l'interruzione dei lavori nei cantieri già aperti. La valutazione consente di conoscere la quantità, la distribuzione e la qualità dei depositi stratificati ancora esistenti e di programmarne la tutela e l'utilizzazione. In primo luogo si procede censendo quanto è stato già distrutto per la realizzazione di cantine, garage sotterranei, fognature, tunnel della metropolitana, ecc.; le aree individuate vengono quindi disegnate su una pianta della città insieme con quanto delle fasi precedenti di vita si è invece conservato in elevato (monumenti romani, mura di difesa, chiese, case e palazzi medievali, ecc). Indicazioni sulla qualità dei depositi vengono tratte dalle relazioni e dalle notizie di vecchi scavi o ritrovamenti, che forniscono dati quali la profondità della stratificazione e la cronologia dei resti individuati. Ulteriori dati vengono ricavati per mezzo di un'indagine combinata di carotaggi e di sondaggi di limitata estensione. Il quadro può poi essere completato dall'esame geolitologico del sottosuolo. L'interpretazione dell'insieme di queste informazioni permette di ricostruire delle sezioni lungo gli assi principali della città, ipotizzando il tipo di stratificazione esistente nelle aree dove mancano del tutto i dati. Sulla base della valutazione è possibile definire una strategia di intervento. In un contesto urbano la ricerca deve forzatamente essere condotta per campionatura. Se infatti sono molti i condizionamenti esterni che agiscono sullo svolgimento di uno scavo in città, sulle sue dimensioni, sui costi e soprattutto sui tempi della ricerca, restano a discrezione dell'archeologo la scelta di scavare solo un settore di un'area, oppure di applicare gradi diversi di analiticità e di documentazione a un settore piuttosto che a un altro. Nell'analisi della formazione dei depositi urbani l'attenzione ai reperti organici (pollini, semi, carboni, residui di pasto) è però indispensabile. Strati di forte spessore riferibili a fasi di abbandono, a eventi naturali quali alluvioni, o alla riconversione agricola di spazi interni alla città possono trovare corretta interpretazione solo in presenza dello studio dei fattori ambientali ricavabili dai reperti organici.

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