Lessico

Sf. [sec. XIV; dal greco philosophía, propr. amore della sapienza].

1) Aspirazione alla conoscenza; in particolare, secondo la celebre definizione dell'Eutidemo di Platone, “l'uso del sapere a vantaggio dell'uomo”.

2) Scienza che tratta dell'essenza, proprietà, cause ed effetti delle cose della natura.

3) Disciplina che ha per oggetto il complesso delle dottrine dei vari filosofi attraverso i secoli: facoltà di filosofia, professore di filosofia.

4) Sistema filosofico: la filosofia di Cartesio.

5) Studio dei principi fondamentali e metodologici di una determinata disciplina: filosofia della scienza.

6) Fig., serenità d'animo nel sopportare le vicissitudini della vita.

Cenni storici: la filosofia greca

Secondo la tradizione la parola risale a Pitagora, il quale definisce il filosofo come colui che cerca la verità disinteressatamente. Platone, assieme al carattere disinteressato della ricerca filosofica, mette in luce anche la sua criticità: il filosofo a differenza dell'artigiano e del poeta deve poter dar ragione di ciò che fa e nessun oggetto o attività egli può prendere in considerazione senza saper rendere conto della loro natura a se stesso e agli altri. La filosofia come ricerca disinteressata (il che naturalmente non esclude che i suoi risultati possano essere messi a vantaggio dell'uomo, ma presuppone solo che specifici interessi pratici non debbano intervenire sin da principio a restringere il campo dell'indagine bloccando la libertà illimitata della ricerca medesima) e critica si suole far nascere in Grecia e questo può essere vero nel senso che per la prima volta in Grecia si è teorizzata una ricerca disinteressata e critica esplicitamente; ma non si deve escludere il pensiero orientale sviluppatosi anche prima di quello greco, nel quale non manca l'esercizio vissuto dell'atteggiamento filosofico, per quanto tale pensiero si mescoli spesso alla religiosità tradizionale o si ponga come espressione di saggezza pratica. Si è detto che la filosofia è conoscenza nel senso più ampio: come tale il termine è però equivoco e la determinazione del suo significato preciso qualifica in gran parte le diverse espressioni della ricerca filosofica: nell'antichità essa comprendeva tutto il sapere (tutta la conoscenza) e solo con l'età contemporanea giunse a distinguersi dalla scienza, che frattanto aveva raggiunto chiara consapevolezza del suo oggetto e dei suoi metodi, riconoscendosi a sua volta un proprio oggetto e ambito di problematica. Per Platone, “filosofo” è colui che ama tutta la conoscenza e “la stessa cosa sono saggezza e scienza”: il filosofo infatti deve poter giungere a chiara consapevolezza di tutti gli aspetti dell'essere; avvalendosi della dialettica, egli assurge dal mondo sensibile alla contemplazione delle idee, che sono al tempo stesso la realtà ultima di cui il mondo è espressione (valore ontologico) e i criteri ultimi in base ai quali si deve pensare e agire (valore logico e assiologico). Alla luce dell'idea il filosofo saprà guidare se stesso e gli uomini nella loro vita. Aristotele distingue la conoscenza filosofica o sapienza dalla saggezza, sottolineando il carattere puramente teorico della prima, mentre la seconda deve concepirsi come semplice prudenza pratica. Contemplazione e azione da Platone strettamente unite, pur nell'asserito primato della prima, sono qui divise. Aristotele parla di “filosofia” o “filosofie” al plurale, comprendendo l'insieme delle scienze (etica, politica, fisica, matematica, ecc.): ciò non gli impedisce però di parlare di “filosofia prima” (che la tradizione chiamerà poi metafisica) come della scienza che studia l'essere in quanto essere, che mira cioè a determinare che cosa è l'essere, a differenza delle altre discipline che studiano l'essere in qualche sua determinazione particolare (così la matematica studia l'essere in quanto quantità, la fisica in quanto movimento, ecc.). Sia Platone sia Aristotele, pur assumendo il termine filosofia nel senso lato indicante l'insieme delle discipline scientifiche, riconoscono cioè la possibilità di una disciplina volta a determinare la realtà ultima dell'universo o il senso dell'essere in generale, di una disciplina che si distacca dalle altre attività spirituali sia teoriche sia pratiche per ricercare i fondamenti ultimi di esse e dei loro oggetti. La tradizione userà i termini metafisica e ontologia per indicare questo ambito di indagine o la trattazione di problemi particolari (per esempio quello dell'arte, della morale, della religione, ecc.), alla luce dei risultati raggiunti in esso. Se per Platone il termine sofia sta a indicare insieme scienza e saggezza e se per Aristotele i due termini si scindono, nella filosofia postaristotelica si ha una forte accentuazione del carattere pratico del filosofare, concepito innanzitutto come guida alla vita, mentre la figura del filosofo sempre più s'identifica con quella del saggio che sa escogitare tecniche di vita appropriate a garantire a se stesso e agli altri una vita felice o almeno armoniosa: in particolare occorre insistere sul carattere interioristico di questa speculazione che indica la via del raggiungimento della felicità nel raccoglimento interiore e manifesta una radicale sfiducia nelle capacità umane di dominare e dirigere gli avvenimenti esteriori. La speculazione filosofica tende così a riassorbirsi nell'etica (stoicismo, epicureismo e in certo senso anche scetticismo) o assume una forte accentuazione religiosa (neoplatonismo). La concezione pratica della filosofia è ancora presente nell'eclettismo che, nello sforzo di ricercare un accordo comune su alcune verità fondamentali fra le varie scuole filosofiche, sembra usare il criterio pragmatico della scarsa o nessuna importanza di differenze teoriche che non si traducano immediatamente in diversi atteggiamenti pratici: questa filosofia sarà particolarmente congeniale alla romanità.

Cenni storici: il cristianesimo

Il cristianesimo, presentandosi come rivelazione di Dio all'uomo, poneva alla filosofia nuovi problemi: come questa rivelazione si rapporta allo sforzo umano di svelare il senso ultimo dell'essere, il significato ultimo della vita? Dopo che la Patristica, servendosi della concettualizzazione greca, cercò di sistemare la dottrina cristiana, la Scolastica cercò di rispondere a questo problema, che in fondo già aveva tormentato l'anima di Sant'Agostino nella sua pratica della filosofia come ripiegamento interiore del soggetto su di sé e aspirazione a una trascendenza che solo nella grazia e rivelazione divina trova il suo compimento. Caratteristico della Scolastica è infatti il problema dei rapporti fra ragione e fede che l'esercizio concreto della fede nel mondo impone. È possibile trovare dei fondamenti razionali per la fede? È possibile fondare filosoficamente le premesse che rendano accettabile il fatto della rivelazione e il suo contenuto? Le grandiose filosofie scolastiche si configurano come risposte a questo problema: esse vanno dall'affermazione di un sostanziale accordo fra fede e ragione, religione e filosofia, pur nel riconoscimento della loro reciproca autonomia (San Tommaso ), alla dichiarazione della loro irriducibile diversità che, riconoscendo alla fede una sua validità intrinseca, ritiene però che la filosofia sia impotente a formarla assegnando a quest'ultima il compito di affrontare problemi diversi come quelli suscitati dall'indagine intorno alla natura (Occam). A tale proposito si è spesso parlato di una dissoluzione intrinseca della Scolastica lungo l'arco del pensiero che va da San Tommaso a Occam, che aprirebbe la via alla nuova scienza e filosofia dell'età moderna. In realtà l'ideale scolastico di una filosofia cristiana che si accordi con i dati della rivelazione continuò a essere perseguito dal pensiero occidentale.

Cenni storici: dal Rinascimento al positivismo

La novità del Rinascimento consistette nella riscoperta della natura celebrata nella sua immediatezza al di fuori di ogni riferimento alla sovranatura e nella riaffermazione del valore autonomo delle varie attività spirituali (arte, politica, ecc.), da studiarsi ciascuna alla luce dei principi immanenti che la comandano contro la medievale reductio artium ad theologiam: il fatto più decisivo fu dato dal costituirsi, in questo ambiente culturale, della scienza moderna che riconobbe il suo metodo proprio nel metodo matematico-sperimentale. La scienza si staccava allora dal corpo della f. e ciò permise in un certo senso una migliore determinazione della natura dei compiti della f. e del suo oggetto. Essa infatti si pose ben presto il problema della verità del metodo che gli scienziati usavano con tanto successo e cercò di fondare non solo la certezza scientifica, ma di escogitare un metodo che a sua volta garantisse la certezza nella stessa trattazione dei problemi filosofici. Veniva così in primo piano il problema della conoscenza e del metodo: razionalismo ed empirismo, che occupano la scena della filosofia moderna, sono sostanzialmente risposte a questo problema, quando esso sia preso nel senso più ampio del termine. Il razionalismo (Cartesio, Spinoza, Leibniz) non rinuncia alla trattazione dei problemi metafisici tradizionali, vedendo nel metodo semplicemente l'introduzione a un edificio sistematico del sapere in cui essi possono trovare la loro soluzione. L'empirismo, sviluppatosi soprattutto in Inghilterra (Bacone, Locke, Hume) tendeva invece a concentrarsi sul problema della conoscenza e a ridurre l'ambito del discorso metafisico. Si sforzò di mostrare come molti problemi tradizionalmente ritenuti risolvibili non lo sono, ma hanno anche scarso o nessun significato per l'uomo: la ragione umana nel suo esercizio filosofico è comunque sufficiente ad aiutare l'uomo nei problemi che lo riguardano più da vicino, cioè quelli che gli sono imposti dalla sua vita sociale e dall'esigenza di dominare la natura. Vicino allo spirito dell'empirismo inglese è anche l'illuminismo francese, nel concepire l'esercizio della filosofia come uno spregiudicato uso della ragione che ha come unico fine il miglioramento dell'esistenza singola e associata dell'uomo. Erede della problematica posta dal razionalismo e dall'empirismo è il criticismo kantiano: Kant ritiene infatti che il compito preliminare della filosofia sia quello di esaminare le possibilità e i limiti della conoscenza umana: quest'esame da una parte garantisce pienamente il sapere fisico-matematico, dall'altra dichiara impossibile la metafisica come scienza: il contenuto della metafisica (Dio, l'immortalità dell'anima, la libertà dell'uomo) può essere riscattato solo sul piano della fede razionale, della ragione cioè nel suo uso pratico come fonte della moralità. Il criticismo si pone così innanzitutto come una dottrina dei limiti della conoscenza umana. Per quanto l'idealismo romantico tedesco che seguì a esso credette di potersi rifare a Kant (nel senso di sviluppare certi elementi del suo pensiero), certamente si staccò da lui nel teorizzare la filosofia come sapere assoluto. L'idealismo mirò infatti a trascendere quei limiti della conoscenza che Kant aveva demarcato, ora affidandosi alla via del sentimento assunto a organo della filosofia (Schelling), ora allargando il concetto stesso di ragione sino a darle un crisma di assolutezza. Quest'ultima è la posizione di Hegel: l'assoluto è la ragione di cui ogni realtà è espressione e la filosofia come “considerazione pensante della realtà” consiste nella presa di coscienza di questa verità e nella ricostruzione razionale del reale in base al principio dialettico di tesi, antitesi e sintesi secondo cui la ragione si dispiega. Dal punto di vista hegeliano la conoscenza scientifica è astratta e parziale e deve essere superata da quella filosofica che sola ci dà la realtà nella sua concretezza e totalità: le stesse attività spirituali più alte, come l'arte e la religione, trovano nella filosofia come sapere assoluto la loro realizzazione piena, nel senso che essa possiede in forma concettuale quella verità che le prime posseggono solo in forma sentimentale e mitica. Al medesimo clima appartiene una dottrina che parrebbe essere l'antitesi di quella hegeliana (e per certi aspetti lo è): il positivismo. Definito “romanticismo della scienza” (Abbagnano), il positivismo consiste in un'esaltazione illimitata della scienza assunta come unica forma di sapere autentico e capace di garantire uno sviluppo armonico dell'umanità: lo sviluppo delle scienze, delle quali la filosofia è la coscienza metodologica e il principio di unificazione, non solo permette il pieno dominio dell'uomo sulla natura ma anche il costituirsi di una nuova religione, di una nuova etica e politica in modo da soddisfare tutte le esigenze umane. Questa filosofia condizionò e accompagnò il formarsi della società industriale e ne condivise l'iniziale ottimismo.

Cenni storici: la filosofia contemporanea

Con la crisi del positivismo si suol fare iniziare la filosofia contemporanea: questa crisi era però stata preceduta da quella dell'idealismo romantico e si può dire che la filosofia contemporanea trovi i suoi antesignani in alcuni filosofi sinora non nominati che si opposero all'idealismo: Kierkegaard, che restituì al filosofare la sua dimensione genuinamente umana radicandolo nell'esistenza del singolo e attribuendogli come compito quello di chiarire le sue alternative di vita; Marx, che, pur senza rompere interamente con Hegel, riprese la sua dialettica assumendo come fondamentale la dimensione storico-sociale ed economica dell'uomo e concepì la filosofia come un'interpretazione del mondo che al contempo fosse impegno per una sua radicale trasformazione; Nietzsche criticò aspramente ogni forma di razionalismo alla ricerca di motivi nascosti del pensare e dell'agire umano, scoprendo con Schopenhauer una realtà più originaria della ragione e facendosi maestro della filosofia come esercizio di demistificazione. Certo non mancano nella filosofia contemporanea ritorni all'idealismo (in funzione antipositivistica), o allo spiritualismo (come filosofia volta all'auscultazione interiore che trova il suo modello in Sant'Agostino), alla Scolastica (soprattutto al tomismo come nel movimento neoscolastico): si cerca di far emergere virtualità intrinseche a queste filosofie che permettano una loro riaffermazione nei confronti della complessa esperienza dell'uomo contemporaneo e delle nuove problematiche filosofiche che caratterizzano il suo mondo. Queste nuove problematiche costituiscono il clima filosofico-culturale della nostra epoca, di cui empirismo logico, fenomenologia, esistenzialismo e marxismo critico ci paiono le espressioni più vive. Queste diverse correnti si differenziano fra loro innanzitutto proprio per il modo d'intendere la filosofia; l'empirismo logico rifiuta ogni metafisica sulla base che gli enunciati metafisici sono privi di senso in quanto non empiricamente verificabili: alla filosofia resta il compito di analizzare il linguaggio scientifico, chiarendo metodi e strutture della scienza (neopositivismo) o quello di analizzare il linguaggio comune, cioè il chiarimento delle espressioni linguistiche nel loro uso comune (filosofia analitica). L'empirismo logico getta una sfida alla nozione tradizionale di filosofia da esso concepita non tanto come una dottrina quanto come un'attività terapeutica diretta a liberarci dalle concezioni del linguaggio che ingenerano gli pseudo-problemi della metafisica. Nell'ambito della filosofia contemporanea questa sfida fu presto raccolta e la riproposta della metafisica non tardò a venire, sicché si può dire che in essa l'empirismo è vivo più che altro come fermento critico, mentre sono rigettate le sue negazioni estreme (certo pragmatismo e neorealismo anglo-americano). La speculazione metafisica vive poi nell'esistenzialismo, che certo critica una metafisica di tipo astratto e oggettivistico, ma si pone il compito del chiarimento delle strutture ontologiche dell'esistenza, del disvelamento cioè dell'essere come esso si manifesta nell'esistenza concretamente presa. Un'esigenza di concretezza anima anche la fenomenologia, che ha come motto “torniamo alle cose stesse!” e che si ripropone il tema della fondazione della scienza, cercandone la radice nel complesso mondo della vita, e si apre al riconoscimento della dimensione storico-sociale dell'uomo, offrendo un nuovo metodo per lo studio delle attività in cui esso si esprime. La preoccupazione di un'analisi filosofica della vita sociale anima gli sviluppi del marxismo critico (Scuola di Francoforte): i suoi rappresentanti chiaramente denunciano il carattere totalitario e le contraddizioni della società capitalistico-borghese, fanno della critica alla società nelle sue manifestazioni concrete il compito della filosofia, sottolineano l'astrattezza del sapere scientifico che per il suo carattere formalistico e strumentale è incapace di tale critica e si lascia facilmente assorbire dalla società come suo strumento. In uno sguardo d'assieme alla filosofia contemporanea, si può concludere che l'uomo è mosso da un'esigenza di concretezza, di fedeltà all'attualità storica, alla situazione storico-sociale, ma che in questo ambito non rinuncia alla filosofia in quanto gli permette di realizzare in maniera autentica e consapevole la sua umanità nella varietà delle sue dimensioni contro ogni tendenza volta a mortificarla, impegnandolo in un perenne sforzo d'interpretazione globale del suo mondo e della vita.

Cenni storici: le tendenze tra la fine del XX e gli inizi del XXI secolo

La fine del sec. XX presenta un panorama filosofico assai diverso da quello della prima metà del Novecento, perché, sebbene permangano elementi di continuità, appare connotato da nuove tendenze e nuovi approcci tematici e metodologici. Per quel che riguarda gli elementi di continuità permane e sembra anzi rafforzarsi l'importanza e quasi la centralità del pensiero tedesco e dei suoi rappresentanti: lo storicismo di Dilthey, la fenomenologia di Husserl, l'ermeneutica di Heidegger e le varianti esistenzialistiche, sviluppatesi dalle reazioni all'idealismo e al positivismo, continuano a condizionare il dibattito contemporaneo. Sebbene in modi e forme diverse a seconda dei pensatori, tali reazioni hanno in comune due esigenze. In primo luogo rendere concreta l'individualità; è il tema dell'esperienza umana e del rapporto tra scienze della natura e scienze dello spirito, per comprendere il quale bisogna rifarsi alla distinzione, nella lingua tedesca, tra Erlebnis, (da erleben, vivere), ossia esperienza come sperimentare, vivere, nella propria interiorità (ovvero, il vissuto delle scienze dello spirito, che mirano a comprendere la differenza e la creatività umana) e Erfahrung, (da erfaheren, dove Fahrt è “viaggio”), ossia esperienza come viaggio dell'uomo attraverso la natura, le cose (ovvero la sperimentazione delle scienze della natura). La distinzione segna non solo la distanza e in qualche misura il capovolgimento del rapporto tra filosofia e scienze: molto meno dalla prima alle seconde e molto più da queste a quella (si consideri per esempio, l'approccio olistico e di qui la teoria della complessità di Bertalanfly e Prigogine o l'anarchismo metodologico di Feyerabend); ma segna anche le oscillazioni della storiografia tra spiegazione e comprensione e le varianti dello storicismo ovvero le diverse chiavi di lettura proposte dalla filosofia della storia per individuare il senso o la direzione o il fine della vita. Sempre la distinzione tra Erlebnis ed Erfahrung riconduce peraltro alle critiche rivolte allo storicismo, il quale, come atteggiamento conoscitivo generale, viene contrastato dallo strutturalismo, e, come filosofia che separa il sapere e la realtà (e, dunque, la conoscenza) in due campi, incontra la forte opposizione di Neurath, Popper e Hempel. Per non dire di chi (da Nietzsche in poi) ha decretato assieme alla fine della filosofia della storia, anche la fine della stessa storia, la quale non avrebbe oggetto se non ci fossero guerre o rivoluzioni e tutt'al più esisterebbero gli annali (Queneau). La seconda esigenza, di contro alla crisi delle opzioni idealista e positivista e soprattutto anche come risposta alle insidie del naturalismo, dello scetticismo neoempirista e del nichilismo, è quella di fondare ovvero salvare la razionalità. Questo è il tema della fondazione ultima della filosofia, posto da Apel, per il quale il fondamento del vivere sociale come della filosofia è la comunicazione (ovvero la comunità ideale delle persone che si intendono reciprocamente), considerata quasi una sorta di a priori kantiano. E anche Habermas, quasi volesse far proprie le suggestioni della grande rete telematica (Internet), vede nella comunità comunicativa la condizione per superare l'ideale borghese dell'opinione pubblica. Su un altro versante e con altri intendimenti anche l'ermeneutica (da Heidegger a Gadamer) guarda al tema della fondazione ultima, in primo luogo come reazione alla crisi dei valori e come bisogno di orizzonti di senso in cui riporre fiducia. Albert invece considera l'ermeneutica di Gadamer come una “continuazione della teologia”. L'importanza dei pensatori tedeschi emerge peraltro dalla produzione di un gruppo di filosofi fatta oggetto di dibattito filosofico quasi sempre dopo la morte degli autori e talora costruita addirittura prima o a ridosso della II guerra mondiale. Tra questi ricordiamo: Rosenzweig, che alla totalità idealistica raffigurata da un triangolo equilatero con al vertice Dio e ai lati rispettivamente Mondo e Uomo, giustappone come intersecazione un altro triangolo equilatero, però rovesciato, con ai vertici Creazione e Rivelazione e alla base Redenzione, ottenendo così la stella giudaica a sei punte, il magen David, ovvero una figura fatta di “sistema” e di “simboli” onnicomprensivi sia dell'essere sia della ricerca filosofica; Benjamin, che si pone tra ebraismo e marxismo dopo aver cercato i nessi (lingua, nomi, cose, Dio) tra cabala e Bibbia e poi nel platonismo (lingua, idee, verità) e infine nel marxismo (arte, tecnica, masse, politica); e, sul versante della filosofia politica, Karl Schmitt e von Hayek; il primo, peraltro compromesso con il nazismo, fa della ricerca di analogie tra diversi campi del sapere (teologia e politica) l'occasione per definire la secolarizzazione non in termini sociologici (la perdita di influenza della Chiesa sulla società), non come passaggio dalla metafisica alla non-metafisica, bensì come la progressiva sostituzione, il cambiamento, degli oggetti di fede e su questa base approda da ultimo, sul piano metodologico, al nesso storico-sistematico tra teologia e politica e sul piano dei contenuti al nomós (recinzione e confine della presa di possesso) della terra. Il secondo, von Hayek, avverte che lo stesso termine storicismo evoca una grande confusione semantica e propone che il mercato e la concorrenza come procedure per la conoscenza del nuovo, fino al punto di porre con riguardo alle forme statuali e alla difesa della libertà personale il dilemma “possiamo avere o un Parlamento libero o un popolo libero” ovvero coglie le ragioni delle difficoltà della democrazia e suggerisce il modello della demarchia (un governo del popolo limitato dalla legge). La peculiarità dei pensatori appena citati è di avere avviato un percorso nuovo fatto di diversi punti di riferimento sia tematici sia metodologici. Con riguardo all'Italia si potrebbe dire sono venute meno le ragioni della forte ideologizzazione che aveva caratterizzato il dibattito filosofico fino alla fine degli anni Settanta, attraverso una dislocazione e classificazione che non fa più riferimento ai tre orientamenti: marxista (che appare dissolto nonostante la presenza della rivista Critica marxista), laico e cattolico, sebbene quest'ultimo appaia in forma più sistematica e organizzata anche quando si apre, o respinge, le suggestioni e gli stimoli che provengono da pensatori di altri Paesi. Sul piano internazionale (europeo e statunitense, perché sembra assente la produzione latino-americana e non riesce a emergere quella orientale) si individuano due tendenze. La prima si organizza intorno a snodi tematici che vanno dal femminismo ad altre chiavi di lettura e “profezie” più interne alla tradizionale ricerca filosofica. Appartengono a questa corrente Virginia Woolf e l'autonomia, anche organizzativa, delle donne intesa come sviluppo di una differenza di valori tra i due sessi; Simone de Beauvoir e la presa di coscienza della sua condizione di vittima come viatico per la meta finale della liberazione della donna; Luce Irigaray e il rifiuto del pensiero patriarcale e del linguaggio maschilista; Cavarero e Muraro con il tema della differenza sessuale e la domanda di un nuovo ordine scritto al femminile; Mary Daly e la teologia femminista contro la tradizione cristiana antifemminista della Bibbia e della Chiesa. Fanno invece riferimento a chiavi di lettura più familiari figure quali Buber e il dialogo relazionale come cardine della filosofia, Simone Weil e la rivalutazione del lavoro manuale e della libertà individuale, Hannah Arendt e gli snodi tra “vita attiva” e “vita contemplativa” (dall'uomo come animal laborans, homo faber e zoon politikòn al pensare, volere e giudicare); Jonas e l'etica come responsabilità verso le generazioni future, Savater e la pedagogia come impegno e valori d'ordine morale, politico, sessuale verso i figli; Gadamer e le varianti del circolo ermeneutico entro cui sono rintracciabili anche Ricoeur e Pareyson, Betti e Grassi; Habermas e la difesa della ragione critica nella fase postmetafisica cui si oppone tra gli altri l'ecologia della razionalità (come separare un'idea buona da una cattiva) di W. W. Bartley III; Levinas e l'etica come filosofia prima nella prospettiva della fede ovvero dalla totalità all'infinito. L'altra tendenza si identifica nel postmoderno che, in Francia si materializza nel decostruzionismo di Derrida, Foucault, Deleuze, Lyotard (non più libri, ma testi da interpretare) e, negli Stati Uniti, in quello di alcuni critici letterari che ritengono valida anche la più arbitraria interpretazione del testo; oppure con Deleuze e Guattari si muove nella prospettiva di un pensiero nomade e irrequieto, senza cominciamento e senza traguardi, che in qualche punto, come schizoanalisi incrocia il pensiero di Lacan. In Italia il postmoderno assume i tratti dell'ontologia debole e si propone e si organizza all'interno di una delle branche in cui si divide la filosofia, ossia il settore teorico-ermeneutico cui vanno affiancati quello analitico-epistemologico e quello storico-filosofico. Intorno al primo il dibattito è iniziato con Krisis di M. Cacciari, Crisi della ragione di A. G. Gargani e Il pensiero debole di G. Vattimo e P. A. Rovatti, volume-manifesto da cui prende il nome la nuova corrente che ora si colloca per intero nell'alveo dell'ermeneutica. Il dibattito è stato alimentato dal confronto talora aspro e sempre assai vivace con alcuni esponenti del settore storico-filosofico (assunto come pensiero forte di contro al debole), quali C. Viano (Va’ pensiero), E. Berti (Le vie della ragione) e soprattutto P. Rossi (Paragone degli ingegni moderni e postmoderni); la contesa si è svolta, in apparenza, sull'interrogativo se gli storici della filosofia siano filosofi in analogia al fatto che gli storici della scienza non sono ipso facto scienziati né sono artisti gli storici dell'arte; però, al fondo della discussione è la questione dello statuto epistemologico della disciplina “filosofia”, ovvero le domande che cosa è “filosofia” e qual è la sua funzione al cospetto di opzioni e modelli ermeneutici fondati sul rapporto tra poesia, narrazione e filosofia e del conflitto di valori tra moderno e postmoderno. Fuori da questo dibattito si è tenuto il settore analitico-epistemologico, che ha in prevalenza referenti di lingua inglese; dai padri della filosofìa analitica a Quine, Davidson, Chomsky, Putnam, Rorty quando gli interessi preminenti sono l'etica e la filosofia politica, rispetto a cui cresce l'attenzione anche sotto la spinta delle domande bioetiche ed ecologiche e in generale, sull'onda del passaggio dalla metaetica all'etica pratica (Dahl, Darhendorf, Hare, Rawls, Nozick) intesa come rivisitazione dell'utilitarismo e dei temi uguaglianza, giustizia, forme statuali e democrazia. Quando invece gli interessi prevalenti sono la filosofia del linguaggio e della mente, la logica e l'intelligenza artificiale allora i riferimenti del dibattito internazionale come di quello italiano sembrano essere le posizioni postpositivistiche di Kuhn, l'opposizione di Lakatos al falsificazionismo popperiano, il connessionismo di Bateson, le varianti del funzionalismo e del comportamentismo; intanto sembra avanzare il bisogno di cominciare a leggere il rapporto filosofia-informatica, filosofia-Internet già a partire dalle modificazioni che la grande rete introduce nel sentire come nel pensare. Infine, il panorama filosofico sembra attraversato da una questione che, sebbene appaia squisitamente storiografica (scansione cronologica o tematica dei pensatori e delle loro proposte), attiene in verità allo stesso statuto della filosofia. Con l'espressione “filosofia contemporanea” si suole o stabilire quando inizia o dire ciò che caratterizza e differenzia la filosofia contemporanea da quelle precedenti, parimenti determinate secondo scansioni temporali. Quando lo storico della filosofia considera Kierkegaard, Marx, Schopenhauer e Nietzsche antesignani della filosofia contemporanea o lo fa perché essi mettono in discussione la funzione-compito della filosofia precedente e, dunque, egli fa storia come individuazione di una direzione; oppure lo fa perché tutti abbiamo esperienza di un prima e di un dopo mentre viviamo il presente e, dunque, mentre ci sentiamo immersi dentro un continuo divenire temporale. Nella fattispecie, però, ciò non dice cosa sia la filosofia contemporanea, perché in filosofia non vi sono certezze su ciò che sia contemporaneità. Anzi, la coppia filosofia-tempo fa esplodere la “doppiezza”, l'ambiguità del primo termine e la diversità di significati del secondo, e ripone due questioni antiche. La prima (la filosofia ha un suo tempo) rinvia al rapporto tra filosofia e storia della filosofia. La seconda (qual è il tempo della filosofia) segnala che non tutti i tempi sono uguali: il tempo della natura non è quello del sapere, della cultura; e inoltre in filosofia il tempo varia a seconda della prospettiva scelta; sicché con riguardo a due orientamenti storiografici, un conto è il tempo dell'orientamento storico-empirico e filologico esemplificato dalla produzione di E. Garin e ben altro appare essere il tempo dell'orientamento ermeneutico di Luigi Pareyson. Il confronto riguarda la storia filosofica che distingue più concetti di tempo e la differenza tra il ricercare cosa è in generale la filosofia e la stessa storia della filosofia e il chiarire in cosa consista il lavoro proprio dello storico. In questa prospettiva torna significativa la considerazione di Ernst Mach, secondo cui il tempo in quanto misura non va visto come una successione prima-dopo entro cui iscrivere l'ordine causale dei fenomeni, quanto piuttosto come una relazione minore/maggiore, la quale non implica che il tempo si muova in una sola direzione e, dunque, non rende di per se stessa più accetta l'una o l'altra delle direzioni. È questa l'opzione spazio-temporale cui spingono i tentativi (Vitiello) di metter capo a una storia topologica della filosofia, la quale assuma la “contemporaneità” non con riguardo ai filosofi e ai loro interpreti, bensì in rapporto a tópoi, ossia agli orizzonti di senso produttivi di storia. Da questo punto di vista la filosofia contemporanea può, dunque, esser letta come un insieme di tópoi, ossia come l'insieme delle funzioni spazio-temporali a cui intendono ricondurla i maggiori pensatori del nostro secolo e il criterio di selezione dello storico della filosofia sembra dover esser quello non della direzione prima/dopo, ma della relazione minore/maggiore, ovvero della connessione a prescindere dalla direzione. E ciò forse spiega perché Remo Bodei abbia dedicato un volume (La filosofia nel Novecento, 1997) non alla storia lineare, “filastrocche di opinioni ricucite attraverso l'esile filo della progressione cronologica”, né alla descrizione di sistemi isolati “che sarebbero in possesso di una esistenza autonoma e fuori dal tempo”, bensì alla “rappresentazione di scene teoriche compatte, scandite per quadri concettuali” nel tentativo di delineare “la mappa dei percorsi in cui la filosofia incrocia i saperi più rappresentativi” e dunque di cogliere le idee in movimento, produttrici del discorso filosofico e della sua storia. Di orizzonti di senso (tópoi) e di “idee in movimento” (vincitrici o vinte) c'è grande copia nel Novecento. Gli uni e le altre sembrano muoversi però all'interno di quella domanda di “senso” (che poi è crisi in senso kantiano) che da un lato vuole evitare le secche dell'impertinente “a cosa serve la filosofia?” e dall'altro ripropone “il punto di vista” della filosofia, che è diverso da quello delle altre scienze con le quali non vuole competere (anche quando sono figlie di sue costole), perché appunto la filosofia non vuole occupare “campi” o “spazi”, ma semplicemente intervenire là dove le altre scienze si fermano. La scena filosofica agli inizi del XXI secolo mostra il notevole sviluppo di alcuni ambiti disciplinari. In particolare ha assunto grande rilievo la bioetica, sui problemi morali determinati dal progresso della ricerca biologica e della sperimentazione medica (D. Callahan, J. Feinberg). È inoltre vivace il dibattito sugli sviluppi dell'etica e della filosofia politica, focalizzato sui concetti di giustizia, eguaglianza, cittadinanza e libertà (C. Taylor, M. Nussmbaum).

Bibliografia

N. Abbagnano, Filosofia, religione e scienza, Torino, 1947; M. F. Sciacca, Filosofia e metafisica, Brescia, 1950; N. Bobbio, N. Abbagnano, A. Guzzo, Compiti della filosofia, Torino, 1952; E. Garin, La filosofia come sapere storico, Bari, 1959; R. Franchini, L'oggetto della filosofia, Napoli, 1962; P. Piovani, Filosofia e storia delle idee, Bari, 1965; N. Abbagnano, Questa pazza filosofia, Novara, 1988.

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