Lessico

Sm. [sec. XIII; latino tardo (iĕcur) ficātum, calco del greco (hêpar) sykōtón, fegato ingrassato con fichi].

1) Organo ghiandolare dei Vertebrati, annesso all'apparato gastroenterico: ingrossato, soffrire di ; loc. fig.: mangiarsi il , rodersi dalla rabbia; farsi venire il mal di , prendersela eccessivamente per qualche cosa

2) Il fegato macellato; costituisce un alimento importante e apprezzatissimo, di facile digestione e di alto potere nutritivo. In particolare, il fegato del maiale (fegatello); il fegato dei volatili (fegatino); il fegato degli ovini e dei caprini (coratella). Il fegato dei bovini, il più diffuso, si prepara ai ferri, in padella, negli spiedini e grigliati misti, alla veneta (con cipolle), impanato e fritto, ecc.

3) Fig., coraggio, audacia: ha del fegato.

Anatomia comparata

Il fegato è un organo dell'apparato digerente che produce enzimi e sostanze necessarie alla digestione e interviene nel metabolismo delle sostanze assorbite. Tutti i Vertebrati sono dotati di fegato che occupa sempre un ampio spazio nella parte ventrale dell'addome. Il fegato trae origine per gemmazione del primitivo tubo epiteliale nato sull'endoderma, dove si forma una sorta di diverticolo (abbozzo epatico) che comunica dapprima ampiamente con l'intestino rudimentale; tale comunicazione si restringe progressivamente per formare una specie di peduncolo cavo, da cui si originerà il coledoco. Il tessuto epatico deriva invece dalla proliferazione della parte craniale dell'abbozzo epatico e si sviluppa in mezzo a una massa mesodermica. Tale tessuto è primitivamente formato da trabecole epiteliali finemente vascolarizzate che si anastomizzano fra loro; dalle trabecole deriveranno le cellule epatiche e i canali biliari, che costituiranno, a sviluppo terminato, il parenchima epatico a struttura lobulare. Il fegato si presenta con forme esterne sensibilmente diverse anche nei gruppi zoologicamente più affini e può apparire a lobi più o meno numerosi e più o meno incisi. Strutturalmente è costituito nei Ciclostomi e negli Elasmobranchi da tubuli ramificati e anastomizzati, negli altri Vertebrati da una rete di cordoni cellulari compatti formanti un parenchima in cui sono scavate le vie biliari. La disposizione a lobuli è evidente soprattutto nei Mammiferi. Le vie biliari sboccano o direttamente nell'intestino con uno o più dotti (dotti epatici) o nella cistifellea, a sua volta comunicante con l'intestino tramite il dotto coledoco. In ogni caso però, quando vi sono più dotti epatici, uno solo di questi può sboccare nella cistifellea mentre gli altri sfociano direttamente nell'intestino. In certi animali la cistifellea manca come per esempio nel piccione tra gli Uccelli e negli Equidi tra i Mammiferi. Talvolta viene impropriamente chiamato fegato anche l'epatopancreas degli Invertebrati che oltre a funzioni secretorie ha anche attività di assorbimento. La più importante funzione delle cellule epatiche, in realtà, non è quella legata alla digestione, ma al trattamento dei materiali assorbiti dall'intestino. Nel fegato possono essere accumulati proteine, lipidi e carboidrati introdotti con l'alimentazione. In particolare gli zuccheri semplici sono accumulati nel fegato sotto forma di glicogeno e rilasciati, in caso di necessità, nel circolo sanguigno. Le cellule del fegato possono sintetizzare le proteine, modificare la composizione dei grassi, trasformare le proteine o i grassi in carboidrati, metabolizzare l'emoglobina in pigmenti biliari, trasformare i rifiuti azotati delle cellule.

Anatomia umana

Nell'uomo, il fegato si trova nella parte superiore destra della cavità addominale, subito sotto il diaframma; ha forma grossolanamente ovoidale, colore rosso brunastro e consistenza molle. Il fegato è a contatto con il diaframma, mediante la sua faccia superiore convessa, con l'intestino e il rene destro mediante quella inferiore concava, e con la parete posteriore dell'addome e il rachide mediante la faccia posteriore. Sulla sua superficie si rivelano incisure e impronte dovute all'intimo contatto con altre formazioni anatomiche. Sulla faccia inferiore sono impressi solchi profondi dovuti alle impronte corrispondenti alla cistifellea, alla vena ombelicale e al canale venoso; sulla stessa faccia inferiore si trova l'ilo o porta del fegato, attraverso il quale passano vasi, nervi e canali epatici. La faccia superiore è divisa in due parti dalla linea d'inserzione del legamento falciforme; la faccia posteriore infine è attraversata da una doccia, corrispondente alla vena cava inferiore (vena porta) e segnata da un'incavatura dovuta all'esofago. Per la presenza dei vari solchi, il fegato è distinto in quattro lobi, il destro, il sinistro, il quadrato, il caudato. Esso è tenuto al suo posto dai visceri sottostanti, dalla vena cava inferiore a esso intimamente legata, ma anche dal centro tendineo del diaframma, dal peritoneo parietale e da altre lamine sierose peritoneali, quali i legamenti epatici destro e sinistro, il falciforme, il rotondo e l'epatoduodenale. Esternamente il fegato è avvolto da due membrane o tuniche, una sierosa, dipendente dal peritoneo, più superficiale, e una fibrosa (o capsula di Glisson) che riveste senza interruzioni tutto l'organo, continuandosi con il connettivo interlobulare e avvolgendone i vasi e i condotti biliferi. La struttura interna è lobulare; il parenchima epatico è infatti costituito da un gran numero di unità elementari, i lobuli, tutti uguali e dotati di autonoma funzione. Tali lobuli, che danno al tessuto epatico un aspetto lievemente granuloso, hanno forma di piramidi poligonali tronche, alte 2 mm e larghe 1; negli spazi interlobulari, detti anche portali, decorrono le ultime ramificazioni della vena porta, attraverso le quali giunge al lobulo il sangue proveniente dall'intestino, carico di sostanze assorbite nel corso della digestione. Nell'asse del lobulo scorre invece la vena centrolobulare, che rappresenta l'origine del cosiddetto circolo del fegato o circolo portale, cioè delle vene sovraepatiche tributarie della vena cava inferiore. Tra la vena centrolobulare e la periferia del lobulo le cellule epatiche sono ordinate in colonne disposte radialmente, che lasciano tra di loro degli spazi (sinusoidi) attraverso i quali il sangue proveniente dalle vene interlobulari raggiunge la vena centrolobulare. Il sangue scorre direttamente a contatto con le cellule epatiche poiché manca nei sinusoidi un vero e proprio endotelio. Sono presenti solo cellule reticolo-istiocitarie, dette cellule di Kupffer, la cui funzione è essenzialmente legata alla sintesi della bilirubina dall'emoglobina. Nelle colonne di cellule epatiche del lobulo decorrono pure i capillari biliari, che confluiscono alla periferia del lobulo dando vita ai dotti biliari. Questi a loro volta, all'altezza dell'ilo del fegato si fondono in un unico dotto (dotto epatico), che con il condotto cistico, proveniente dalla cistifellea, viene a costituire il coledoco, il canale muscolo-membranoso che porta la bile al duodeno. Oltre ai vasi sanguiniferi, dal fegato partono vasi linfatici, distinti in profondi che si originano dai lobuli e in superficiali che formano una fitta rete sotto la membrana sierosa. I nervi del fegato derivano dal plesso celiaco e dal vago e formano, lungo l'arteria epatica e i suoi rami, il plesso epatico.

Fisiologia

Il fegato è deputato alla produzione dei sali e dei pigmenti biliari e alla secrezione della bile nell'intestino, fondamentale per la digestione. Sebbene la bile non contenga enzimi digestivi, essa svolge una valida azione digestiva: neutralizza l'acidità dei cibi che entrano nell'intestino creando un pH favorevole per l'azione di alcuni enzimi pancreatici e intestinali, ed emulsiona i grassi, riducendoli in gocce più piccole. Il fegato svolge inoltre importanti funzioni nel metabolismo glicidico, lipidico e proteico essenziali per l'intero organismo. Il 6-7% in peso del fegato è costituito da glicogeno che, allorché i tessuti si impoveriscono di materiali necessari per la produzione di energia, viene depolimerizzato, cioè trasformato in unità di glucosio prontamente utilizzabili a scopo energetico. In circostanze particolari (per esempio digiuno, diabete, stress fisico, ecc.) il fegato cerca di fornire ugualmente glucosio ai tessuti operandone la sintesi ex novo a partire dagli amminoacidi (neoglucogenesi). Nell'ambito del metabolismo lipidico il fegato ha un ruolo preminente nei processi di mobilizzazione, di trasporto e di utilizzazione dei grassi. Infatti a livello epatico avviene la sintesi delle lipoproteine, che può avvenire solo in presenza dei cosiddetti “fattori lipotropi”, quali il lipocaico del pancreas, le basi organiche metilate (per esempio colina) o i composti donatori di metili (metionina, betaine, ecc.). In mancanza di fattori lipotropi il fegato non è in grado di sintetizzare lipoproteine e di rimuovere quindi dalle sue cellule i grassi che continuamente gli pervengono dalla periferia e, in particolare, dai territori intestinali deputati all'assorbimento alimentare. Le cellule epatiche si saturano pertanto per la presenza di minute goccioline lipidiche (infiltrazione grassa), processo al quale può fare seguito la degenerazione fibrosa dell'organo (cirrosi). Altre attività epatiche legate al metabolismo dei lipidi sono la biosintesi endogena e l'esterificazione del colesterolo, la neoformazione di acidi grassi a partire dall'acetil-coenzima A, la loro demolizione ossidativa. Quest'ultimo processo, che comporta la liberazione di una certa quantità di energia, acquista un importante significato compensatorio in caso di insufficiente disponibilità tessutale di carboidrati, analogamente a quanto avviene per la già menzionata neosintesi del glucosio dagli amminoacidi. Tra le numerose attività del fegato connesse con il metabolismo proteico rivestono importanza particolare i processi di transamminazione e di deamminazione degli amminoacidi e la sintesi dell'urea. Per ciò che riguarda la funzione protido-poietica, occorre ricordare che nel fegato vengono sintetizzati il fibrinogeno, le albumine del plasma, la transferrina, la transocortina, la ceruloplasmina, i fattori VII, IX e XI della coagulazione, la protrombina e numerose altre sostanze proteiche. In qualità di organo interposto tra il circolo portale e quello generale, e quindi di “filtro” per le sostanze che vengono assorbite dall'intestino, il fegato possiede anche importanti funzioni detossicanti. Queste si svolgono sia per mezzo di sistemi enzimatici, sia mediante assorbimento o fissazione dei composti chimici circolanti nel sangue i quali vengono successivamente eliminati nell'intestino con la bile. Attraverso processi enzimatici, di ossidazione, di riduzione, di coniugazione con acido glicuronico, acido acetico, glicocolla, acido solforico ecc., il fegato trasforma e neutralizza un gran numero di sostanze esogene le quali, una volta assorbite dall'intestino, potrebbero esercitare effetti tossici sui vari organi se riuscissero a raggiungere immodificate la circolazione generale. È tale il caso di numerosi farmaci, di agenti chimici industriali, di additivi alimentari, di insetticidi, coloranti, pigmenti vegetali, ecc. (detossicazione). È stato dimostrato che i sistemi enzimatici detossicanti del fegato non trasformano un determinato composto chimico solo perché estraneo all'organismo (come avviene nell'ambito delle reazioni immunitarie) o perché siano caratterizzati da un'infinita gamma di possibilità trasformative. Tali processi si svolgono invece su tutte le sostanze, naturali o sintetiche, la cui molecola contiene gruppi funzionali presenti anche in costituenti normali delle cellule, i quali, in virtù della loro struttura, possono essere ordinario substrato degli enzimi in questione. Così, per esempio, la detossicazione epatica delle sostanze esogene chimicamente derivate del fenolo, del naftolo o degli idrocarburi aromatici policiclici è possibile in quanto composti strutturalmente simili si formano anche nell'ambito del metabolismo epatico degli amminoacidi, degli steroidi e della tiroxina. È stato dimostrato che il numero delle sostanze endogene ordinariamente metabolizzate dai sistemi enzimatici detossicanti del fegato è molto più elevato di quanto si potesse un tempo prevedere, comprendendo i glicocorticoidi, l'aldosterone, gli estrogeni, il progesterone, gli androgeni, il colesterolo, i sali biliari, la vasopressina, la bilirubina, gli ormoni tiroidei. Ai rilievi sulle capacità del fegato di trasformare o di inattivare gli ormoni sono legate alcune patogenesi di varie malattie dell'apparato endocrino. Va anche accennata la funzione di immagazzinamento nel fegato del ferro e di numerose vitamine (vitamina A, vitamina D, vitamina K, vitamina E, vitamine del complesso B e la vitamina B₁₂ in particolare).

Fisiopatologia

Il complesso ruolo fisiologico del fegato fa sì che le malattie che lo colpiscono abbiano a manifestarsi con una sintomatologia polimorfa, integrando nella maggior parte dei casi il tipico quadro dell'insufficienza epatica. Nell'ambito di questa sindrome, che insorge nel corso di epatopatie primitive o secondarie, si possono distinguere una piccola e una grande insufficienza epatica. La prima, di entità più lieve, è caratterizzata da disturbi gastro-intestinali, nausea, lingua patinata, alito fetido, digestione laboriosa, irritabilità, meteorismo, torpore postprandiale, modesta positività dei test funzionali. La grande insufficienza epatica può instaurarsi in modo acuto (per esempio nell'atrofia giallo-acuta delle epatiti virali e spirochetosiche, negli avvelenamenti da fosforo o da cloroformio, nella tossicosi gravidica), oppure in modo cronico, ingravescente, come negli stati più avanzati della cirrosi, delle epatopatie tossiche e infettive. In ambedue i casi i sintomi dell'insufficienza sfociano nel quadro del coma epatico, il quale, dopo una fase di pre-coma caratterizzata da astenia, cefalea, ittero, prurito intenso, tremori, contratture muscolari ed eccitazione psichica, evolve verso la perdita della coscienza, con la comparsa di manifestazioni emorragiche, alterazioni respiratorie, insufficienza renale e gravi squilibri nella composizione dei liquidi circolanti. Occorre tuttavia rilevare che il quadro dell'insufficienza epatica si instaura solo quando gran parte del tessuto è gravemente alterata. È noto d'altra parte che nell'animale da esperimento l'asportazione dell'80% della massa del fegato è perfettamente compatibile con la vita. A spiegazione di questi fatti occorre tener presente da un lato l'enorme potenzialità metabolica del fegato che supera di molto le ordinarie richieste funzionali dell'organismo e del ricambio, dall'altro la rapidità di rigenerazione di lobuli perfettamente funzionanti che si ha in seguito all'asportazione o a lesioni estese del viscere. Il fatto che solamente gravi lesioni del fegato si accompagnino con segni evidenti di insufficienza funzionale fa sì che la sintomatologia delle epatopatie sia espressa chiaramente solo nelle fasi più avanzate del processo morboso. Da ciò deriva l'importanza, ai fini clinico-terapeutici, di evidenziare precocemente i segni, sia pure modesti, di un deficit funzionale del fegato. A tale scopo vengono utilizzati vari test di laboratorio, tra i quali: il dosaggio nel sangue della bilirubina diretta e indiretta (reazione di Van den Berg), la determinazione del contenuto proteico del plasma (nell'insufficienza epatica si riduce il livello plasmatico delle albumine, che sono prodotte dal fegato, mentre resta invariato quello delle globuline); lo studio della velocità di trasformazione del galattosio in glucosio (prova del galattosio); la velocità di escrezione nella bile di alcuni coloranti quali la bromosulfonftaleina (BSP); le varie prove di labilità colloidale (basate sul fatto che, in funzione del tasso di albumine, varia la velocità con cui alcuni agenti chimici provocano la sedimentazione o la precipitazione dei colloidi plasmatici); il dosaggio nel sangue di alcuni enzimi epatici (aldolasi, lattico-deidrogenasi, transaminasi) i quali compaiono nel sangue o vi aumentano quando la cellula epatica viene lesa o distrutta; il tempo e il tasso di protrombina e, in generale, l'andamento dei processi della coagulazione. Alterazioni epatiche possono essere provocate da numerosi agenti chimici introdotti accidentalmente o di proposito nell'organismo per via inalatoria, orale, parenterale.

Fegato bioartificiale

Dispositivo che permette la sopravvivenza del paziente per brevi periodi, in attesa del trapianto di fegato, nei casi di insufficienza epatica acuta provocati da epatiti fulminanti oppure da avvelenamento dovuto a funghi o a farmaci. In questi casi il fegato viene rapidamente distrutto e, di conseguenza, l'unica possibilità terapeutica è il trapianto. Nei casi in cui non è possibile reperire l'organo da trapiantare nel breve tempo (poche ore) imposto dal decorso della malattia, disporre di un fegato artificiale permette di mantenere le funzioni metaboliche essenziali per la vita e significa far giungere il paziente al trapianto in condizioni cliniche adeguate per superare l'intervento. Il fegato bioartificiale consiste in un filtro che, collegato al paziente e collocato all'esterno dell'organismo, permette di filtrare il sangue. Il trattamento prevede l'utilizzo di un'ora al giorno per 15 giorni. Il filtro è un'apparecchiatura che separa il plasma da globuli rossi e bianchi e quindi, attraverso un sistema di canali permeabili, lo mette a contatto con cellule animali ottenute da fegato di maiale, purificate e trattate in modo da mantenere attive le funzioni epatiche.

Bibliografia

J. Tappermann, Fisiologia metabolica ed endocrina, Roma, 1969; E. C. Texter, Physiology of the Gastro-intestinal Tract, St. Louis, 1969; H. W. Davenport, Fisiologia dell'apparato digerente, Roma, 1970; P. Caramazza, Fegato e alimentazione, Roma, 1987.

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