Generalità

"Per la cartina geografica vedi il lemma del 2° volume." Sistema montuoso che interessa l'intera penisola italiana costituendone l'ossatura; collegato a NW alle Alpi, si protende con un'accentuata curva avente la concavità rivolta al mar Tirreno, continuandosi al di là dello stretto di Messina nei monti che orlano la Siciliasettentrionale. Lungo oltre 1200 km, largo da 30 a 150 km, copre una superficie di ca. 150.000 km². I versanti sono dissimmetrici: quello tirrenico, considerato il versante interno, è in genere più ampio e inframmezzato da ampi solchi longitudinali percorsi dai tratti superiori di alcuni tributari del Tirreno; il versante adriatico, o esterno, digrada invece al mare tramite una regione collinare incisa dalle valli trasversali dei tributari dell'Adriatico. Pur nella diversità dell'aspetto morfologico, il paesaggio dell'Appennino trova la sua unità nel fatto che le rocce che lo costituiscono sono quasi totalmente di natura sedimentaria. Il rilievo appare fortemente alterato dall'agente modellatore cui fu sottoposto in modo preponderante, talora esclusivo: l'erosione delle acque correnti. Particolare evidenza assume il fenomeno nei suoli argillosi, dove i fianchi vallivi appaiono demoliti dai solchi dei calanchi, oppure dove il terreno franoso, imbevuto di acque, smotta a valle in masse compatte. Nelle masse rocciose di natura calcarea il carsismo ha facile presa; di modesta entità sono le manifestazioni ipogee finora conosciute, mentre sono più numerose quelle subaeree. Come limite di separazione tra l'Appennino e le Alpi è considerato convenzionalmente il colle di Cadibona (436 m), alle spalle di Savona, benché dal punto di vista geologico tale limite sia posto più a E, sulla linea Sestri-Voltaggio. Analogamente alle Alpi, l'Appennino è solitamente suddiviso in tre sezioni principali, Appennino Settentrionale, Appennino Centrale e Appennino Meridionale, convenzionalmente separate da valli trasversali o da valichi "Per i principali valichi appenninici vedi tabella al lemma del 2° volume." ; inoltre una ripartizione in senso longitudinale distingue l'Appennino propriamente detto dall'Antiappennino.

Orografia: Appennino Settentrionale

L'Appennino Settentrionale si allunga ad arco dal colle di Cadibona fino al solco inciso dalle valli dei fiumi Tevere e Metauro, in corrispondenza del passo di Bocca Serriola (730 m). Costituito per lo più da rocce arenacee e marnose facilmente erodibili, ha forme tondeggianti e terreni molto franosi. Eccetto un iniziale allineamento montuoso unico, è contraddistinto sul versante marittimo dalla presenza di catene minori, parallele all'asse del sistema, separate da questo da ampi solchi vallivi, mentre verso la Pianura Padana scendono numerose dorsali, fra loro parallele, trasversali rispetto all'asse principale appenninico. L'Appennino Settentrionale è generalmente suddiviso in Ligure e Tosco-Emiliano, il cui limite è indicato per convenzione dal passo della Cisa (1039 m) o, secondo altri, dal vicino passo del Brattello (953 m). L'Appennino Ligure forma nella sua sezione occidentale, tra il colle di Cadibona e il passo dei Giovi, un'unica catena orientata da SW a NE, di modesta altezza (monte Beigua, 1287 m) e che costituisce l'anello di congiunzione con le Alpi; scende ripido al mare, mentre il versante rivolto alla Pianura Padana digrada in un'ampia zona di colline. A E dei Giovi l'altezza dell'Appennino aumenta rapidamente (monte Lesima, 1724 m; monte Penna, 1735 m; monte Maggiorasca, 1799 m); il rilievo assume il generale orientamento NW-SE ed è caratteristico il fatto che le maggiori altitudini non siano sulla linea spartiacque, ma su dorsali che si spingono verso la Pianura Padana. Tre catene principali, collegate da allineamenti trasversali, formano l'Appennino Tosco-Emiliano: la prima inizia al passo della Cisa culminando a 2121 m nel monte Cusna; all'altezza del monte Cimone (2165 m), massima elevazione dell'Appennino Settentrionale, si raccorda con la seconda; questa a sua volta si collega, presso l'alta valle del Reno, con la terza catena, dapprima poco elevata, ma che si innalza in seguito nei monti Falterona (1654 m) e Fumaiolo (1407 m), da cui nascono rispettivamente l'Arno e il Tevere. Sul versante interno si dipartono dalla dorsale alcune catene minori, come le Alpi Apuane (considerate talvolta come un rilievo indipendente), il Pratomagno, l'Alpe di Catenaia ecc., tra cui si adagiano i menzionati bacini longitudinali (Lunigiana, Garfagnana, Mugello, Casentino).

Orografia: Appennino Centrale

L'Appennino Centrale ha come limiti la Bocca Serriola e la Bocca di Forlì (891 m), presso Rionero Sannitico. Arenaceo-marnoso ai margini (e anche argilloso e sabbioso sulle pendici orientali digradanti verso l'Adriatico), è costituito nella dorsale principale in prevalenza da rocce calcaree, aride e nude in superficie, specialmente nelle zone più elevate, a causa della loro permeabilità; la diversa costituzione geologica e un più forte sollevamento conferiscono tratti peculiari a questa porzione dell'Appennino, in particolare una più accentuata asperità del paesaggio nonché un sensibile sviluppo dei fenomeni carsici. Alla precedente disposizione a quinte subentra sul versante tirrenico una più complessa struttura che comprende veri e propri massicci racchiudenti altopiani e conche più o meno vaste, divisi da profondi solchi vallivi mentre sul versante adriatico permane generalmente la struttura a pettine con valli parallele separate da dorsali, salvo che nell'Abruzzo centrale, dove si innalzano le massime vette di tutto il sistema. Nell'Appennino Centrale si distinguono l'Umbro-Marchigiano e l'Abruzzese, separati dalla valle del fiume Tronto sul versante adriatico e da quella del fiume Velino sul versante tirrenico, collegate dal colle della Serra, presso il più noto passo di Montereale (1015 m). Nell'Appennino Umbro-Marchigiano l'orografia è caratterizzata da alcune catene parallele, leggermente incurvate, con la concavità rivolta al versante interno; la principale è la più esterna, che inizia all'altezza della valle del Metauro e culmina nel monte Vettore (2476 m), nel gruppo dei monti Sibillini. Nell'Appennino Abruzzese si raggiungono le massime elevazioni appenniniche. Alle catene subentrano vasti massicci, comunemente distinti in tre fasce: la più esterna ha inizio a S del Tronto, e comprende i monti della Laga (2455 m, nel monte Gorzano), il Gran Sasso d'Italia(2912 m nel Corno Grande, culmine dell'intero sistema e sede dell'unico ghiacciaio appenninico) e la Maiella; la fascia mediana, sulla quale corre la linea spartiacque, include il monte Velino (2487 m), il monte Sirente (2349 m) e i monti della Meta (monte Petroso, 2247 m; monte La Meta, 2241 m); separata da essa dalla valle del Liri, si allunga la fascia interna, comprendente i monti Sabini, Simbruini, Ernici e Prenestini. Tra le fasce montuose s'interpongono altopiani e conche: fra le maggiori sono quelle del Fucino, dell'Aquila, di Sulmona.

Orografia: Appennino Meridionale

L'Appennino Meridionale si fraziona ormai in rilievi isolati, divisi da bacini profondamente depressi e privi di regolare allineamento. Anche la struttura geologica non è uniforme: accanto a rilievi ancora calcarei, come nell'Appennino Centrale, sono presenti antichissime rocce cristalline, del tutto diverse cioè da quelle che compongono il resto del sistema. L'Appennino Meridionale viene comunemente distinto in Campano, Lucano e Calabro. Costituito in prevalenza da calcari è l'Appennino Campano (detto talora Napoletano e anche, nella parte settentrionale e orientale, Sannita), compreso tra la Bocca di Forlì e la sella di Conza (697 m), posta quest'ultima tra le valli adriatica dell'Ofanto e tirrenica del Sele; ne fanno parte il massiccio del Matese (2050 m nel monte Miletto), i monti Picentini (monte Cervialto, 1809 m), i monti Lattari, tutti spostati, rispetto allo spartiacque, verso il mar Tirreno. A S della sella di Conza e fino al passo dello Scalone (740 m) si dispone l'Appennino Lucano, anch'esso calcareo e orientato grosso modo da NW a SE; comprende i massicci dell'Alburno (1742 m) e del Cervati (1899 m) e, più a E, oltre il vallo di Diano, il monte Volturino (1836 m) e il gruppo del Sirino (2005 m nel monte del Papa). A E si stendono sul versante adriatico monotoni pianalti, sovente franosi, tra cui spicca però l'apparato vulcanico del monte Vulture (1326 m). L'estremità meridionale dell'Appennino Lucano è chiusa dal massiccio del Pollino, che culmina a 2267 m nella Serra Dolcedorme. Profondamente diverso dal resto dell'Appennino, sia dal punto di vista litologico sia da quello orografico, è l'Appennino Calabro (o anche Calabrese) formato essenzialmente da rocce cristalline. Al di là del passo dello Scalone e fino al corso del fiume Savuto si allunga, parallelamente alla costa tirrenica, la Catena Costiera, che nel monte Cocuzzo tocca i 1541 m; a E la valle del Crati la separa dall'altopiano della Sila, culminante a 1928 m nel monte Botte Donato. A S della gola di Marcellinara il rilievo si frammenta in tre altopiani, il Poro (710 m), Le Serre (monte Pecoraro, 1423 m) e l'Aspromonte (monte Montalto, 1955 m), caratterizzato dalla sommità a cupola e dai ripidi fianchi che scendono al mare, massiccio che costituisce la parte terminale della penisola italiana. Infine al di là dello stretto di Messina l'Appennino prosegue lungo la costa settentrionale della Sicilia nell'Appennino Siculo, formato dai tre gruppi dei monti Peloritani, analoghi a quello calabro per struttura geologica, Nebrodi (o Caronie) e Madonie, formati questi ultimi da calcari, marne e arenarie.

Geologia

La formazione della catena appenninica è riconducibile al ciclo orogenetico alpino: infatti, a seguito della collisione fra le litosfere continentali dell'Europa e dell'Africa (fase mesoalpina, Eocene-Oligocene) si verificò la deformazione di quella porzione del prisma sedimentario africano, non coinvolta in precedenza nella costruzione dell'edificio alpino. Le rocce coinvolte in questo processo furono deformate e traslate verso i settori di avampaese (avampaese adriatico e avampaese ibleo) e sollevate a costituire una fascia continua di rilievi dalla Liguria alla Sicilia. I rilievi dell'Appennino Settentrionale, di quello Centrale e di quello Meridionale costituiscono una catena continua di direzione NW-SE e presentano strutture vergenti verso l'Adriatico, mentre l'Appennino Siculo, caratterizzato da una catena di rilievi di direzione E-W, presenta strutture vergenti verso l'Africa. Il prisma sedimentario africano, la cui deformazione ha dato origine alla catena appenninica, era costituito da un'alternanza di domini di mare aperto (ambiente pelagico) e domini di piattaforma carbonatica (ambiente neritico). Nell'Appennino Centro-Settentrionale la ricostruzione paleogeografica proposta dagli studiosi, andando dal settore oceanico della Tetide (domini interni) verso la linea di riva (domini esterni), prevede: un dominio ubicato su crosta oceanica, caratterizzato da una sedimentazione di mare profondo (dominio ligure); un dominio ubicato su crosta continentale, caratterizzato anch'esso da una sedimentazione di mare profondo (dominio subligure o sicilide) a cui segue una serie di domini, ubicati su crosta continentale, caratterizzati da sedimentazione di mare relativamente profondo (dominio toscano, dominio del Cervarola e dominio umbro-marchigiano). La ricostruzione paleogeografica proposta per l'Appennino Centro-Meridionale, andando sempre dal settore oceanico della Tetide verso la linea di riva (continente africano) prevede: un dominio ubicato su crosta oceanica, caratterizzato da una sedimentazione di mare profondo (dominio ligure); un dominio ubicato su crosta continentale, caratterizzato anch'esso da una sedimentazione di mare profondo (dominio sicilide); a questi due domini segue un'alternanza di piattaforme carbonatiche (mare poco profondo) e domini di mare aperto (relativamente profondo, bacino pelagico), nella seguente successione: piattaforma campano-lucana, bacino lagonegrese, piattaforma abruzzese-campana, bacino molisano e piattaforma apula. Nell'Appennino Siculo la ricostruzione paleogeografica è molto simile a quella dell'Appennino Centro-Meridionale; in questa porzione di catena è molto ben rappresentato il dominio sicilide a cui segue un'alternanza di piattaforme carbonatiche e bacini pelagici nella seguente successione (andando dall'interno verso l'esterno): piattaforma panormide, bacino imerese, piattaforma trapanese, bacino sicano, piattaforma saccense. La costruzione della catena appenninica ha inizio in concomitanza con la collisione tra la litosfera continentale dei blocchi africano ed europeo (Eocene-Oligocene); la conseguente deformazione ha interessato dapprima i domini più interni (domini ligure e sicilide) e successivamente quelli più esterni. La strutturazione della catena appenninica è avvenuta in seguito a più fasi parossistiche, distribuite principalmente nel Miocene e Pliocene, e alle ultime deformazioni compressive, che si collocano al limite Pliocene-Pleistocene. Di fondamentale importanza per l'evoluzione del sistema orogenetico appenninico (catena-avanfossa-avampaese) sembra essere stata l'evoluzione del bacino tirrenico, il quale si è originato in un settore caratterizzato da una forte distensione che ha provocato un assottigliamento crostale e la risalita di magma dal mantello terrestre fino in superficie. I processi ora descritti (distensione, assottigliamento e magmatismo) hanno avuto dei momenti di acme (Tortoniano-Messiniano, Messiniano-Pliocene inferiore, Pliocene superiore-Pleistocene) coincidenti con altrettanti movimenti parossistici dell'orogenesi appenninica. Per questo motivo alcuni geologi considerano in un rapporto di causa-effetto l'origine del bacino tirrenico e le fasi tettoniche post-tortoniane che hanno portato all'edificazione della catena appenninica. La distensione legata alla formazione del bacino tirrenico ha interessato tutto il margine tirrenico degli Appennino, originando grosse faglie distensive, strutture tipo Horst (blocco tettonico sollevato) e Graben (fossa tettonica), e provocando la risalita di ingenti quantità di magma che hanno dato origine ai complessi vulcanici delle province magmatiche toscana, laziale e campana.

Assetto strutturale: generalità

"Per la struttura geologica dell'Appennino vedi cartina al lemma del 2° volume." La catena appenninica, da un punto di vista strutturale, risulta abbastanza disomogenea in senso longitudinale. Essa può essere suddivisa in almeno quattro segmenti: Appennino Centro-Settentrionale (Ligure, Tosco-Emiliano e Marchigiano), Appennino Centro-Meridionale (Abruzzese, Sannita, Campano e Lucano), Arco Calabro-Peloritano (Appennino Calabrese) e Appennino Siculo.

Assetto strutturale: Appennino Centro-Settentrionale

In corrispondenza della linea Sestri-Voltaggio avviene la sutura tra la catena alpina e il segmento settentrionale della catena appenninica. A differenza degli altri settori dell'Appennino, in quello Centro-Settentrionale affiora in più punti il basamento cristallino, che risulta ampiamente coinvolto nella costruzione della catena. L'assetto tettonico dell'Appennino Centro-Settentrionale è caratterizzato da pieghe, sovrascorrimenti e ricoprimenti da parte dei terreni a forte alloctonia (complesso liguride e complesso sicilide). Il processo orogenetico che ha dato origine a questo tratto di catena ha interessato dapprima il dominio ligure, la cui deformazione ha determinato la formazione di un complesso a forte alloctonia (complesso liguride) contenente brandelli di crosta oceanica deformati (ofioliti). Successivamente, la tettogenesi ha interessato domini via via più esterni, collocati su crosta continentale, e ha determinato il carreggiamento e il sovrascorrimento delle unità deformate sopra quelle in via di deformazione; questo meccanismo ha fatto sì che nell'edificio della catena, caratterizzato da una pila di unità adriatico-vergenti, accatastate una sull'altra, l'unità tettonica geometricamente più alta risulta essersi originata per prima, mentre quella più bassa si è originata per ultima. Le unità tettoniche costituenti l'Appennino Centro-Settentrionale sono, dall'alto verso il basso: il complesso liguride, il complesso sicilide, la falda toscana, l'unità del Cervarola e l'unità umbro-marchigiana. Di notevole interesse per la definizione dell'assetto strutturale di questa parte dell'Appennino risulta essere la finestra tettonica delle Alpi Apuane, dove, al di sotto della falda toscana, affiorano termini metamorfosati attribuibili alla stessa Successione toscana. Nell'Appennino Centro-Settentrionale l'evoluzione temporale del sistema orogenetico appenninico è molto ben documentata; sono, infatti, ben riconoscibili i depositi dell'avanfossa oligocenica (Macigno), di quella del Miocene inferiore (Cervarola), di quella del Miocene medio (Marnoso-Arenacea) e infine di quella del Miocene superiore (Laga), disposti, nell'ordine, da W verso E, a testimonianza della migrazione del sistema catena-avanfossa-avampaese verso l'avampaese adriatico. Il margine tirrenico dell'Appennino Centro-Settentrionale è stato interessato, a partire dal Messiniano, da una tettonica distensiva che ha originato strutture tipo Horst e Graben e ha permesso l'ingressione marina nei settori maggiormente depressi (Graben), con la deposizione di una serie di sedimenti marini che vanno sotto il nome di ciclo neogenico toscano.

Assetto strutturale: Appennino Centro-Meridionale

Analogamente a quanto visto per l'Appennino Centro-Settentrionale, il tratto centromeridionale della catena mostra terreni a forte alloctonia (complesso liguride, con ofioliti, e complesso sicilide). Questi costituiscono il ricoprimento tettonico delle restanti unità della catena. Le unità al di sotto dei terreni a forte alloctonia risultano accatastate le une sulle altre secondo un processo genetico simile a quello che ha interessato l'Appennino Centro-Settentrionale. In questo tratto di catena si distingue, quindi, dall'alto verso il basso: complesso liguride, complesso sicilide, unità campano-lucane, unità lagonegresi, unità abruzzesi-campane, unità molisane e unità apule. Il raccorciamento subito dal prisma sedimentario africano durante la strutturazione di questo tratto di catena risulta essere notevolmente superiore a quello calcolato per l'Appennino Centro-Settentrionale. L'assetto strutturale di questo tratto di catena è messo in luce da una serie di finestre tettoniche (finestra di Campagna e finestra di Frosolone) e da evidenti superfici di sovrascorrimento. La presenza di questi elementi strutturali riflette l'esistenza di una struttura a falde di ricoprimento, caratteristica di questo tratto di catena. Anche nell'Appennino Meridionale, così come in quello Settentrionale, la distensione connessa con la formazione del bacino tirrenico ha interessato il margine occidentale della catena, dislocandolo in blocchi più o meno ribassati e consentendo la risalita in superficie di ingenti quantità di magma (provincia magmatica campana).

Assetto strutturale: Arco Calabro-Peloritano

L'Appennino Calabro presenta caratteristiche uniche rispetto alle restanti porzioni di catena a esso confinanti. La peculiarità di questo tratto di catena sta nel fatto che la maggior parte delle unità tettoniche costituenti l'Arco Calabro-Peloritano ha affinità alpina e presenta vergenza europea (complesso calabride). Il complesso calabride, infatti, costituisce un frammento di catena alpina, Europa-vergente, che, durante la tettogenesi dell'Appennino, è stato trasportato verso E-SE e accavallato sui domini appenninici in via di deformazione; catena alpina e unità appenniniche sono state traslate, successivamente, verso SE, cioè verso l'avampaese adriatico-ionico. L'inserimento del segmento di catena alpina al di sopra di un segmento di catena appenninica è potuto avvenire grazie alla presenza di due importanti svincoli meccanici, a prevalente componente orizzontale: la faglia di Sangineto, a N, e la faglia Longi-Taormina, a S. La faglia di Sangineto attualmente separa l'Arco Calabro-Peloritano dall'Appennino Lucano, mentre la faglia Longi-Taormina lo separa dall'Appennino Siculo. La sovrapposizione delle unità ad affinità alpina sulle unità appenniniche è ben visibile in alcune finestre tettoniche presenti nella Catena Costiera calabrese. Un'ulteriore peculiarità di questo settore di catena, rispetto agli altri segmenti dell'Appennino, è data dagli elevati valori della velocità di sollevamento a cui è stato sottoposto l'Arco Calabro-Peloritano dal Pleistocene a oggi.

Assetto strutturale: Arco Siculo

L'Appennino Siculo è il segmento di orogene appenninico disposto in senso E-W, a differenza della restante porzione di catena, orientata NW-SE. L'assetto strutturale di questa catena è del tutto simile a quello che caratterizza l'Appennino Meridionale. L'edificio della catena è costituito da una serie di unità strutturali accavallate l'una sull'altra, indicanti trasporto orogenico meridionale (vergenza africana). Le unità tettoniche coinvolte nella strutturazione di questo tratto di Appennino derivano dalla deformazione di diversi domini paleogeografici appartenenti al prisma sedimentario africano. Analogamente a quanto visto per l'Appennino Centro-Settentrionale e Appennino Centro-Meridionale, le unità tettoniche geometricamente più elevate derivano dalla deformazione di domini più interni, che sono anche i primi a essere coinvolti nella tettogenesi di un prisma sedimentario. Nell'edificio dell'Appennino Siculo le unità tettoniche più elevate appartengono all'Arco Calabro-Peloritano (unità dei monti Peloritani); queste si accavallano sulle unità del complesso sicilide lungo la linea tettonica Longi-Taormina. Al di sotto delle unità del complesso sicilide si ritrovano unità strutturali derivate dalla deformazione, avvenuta nell'intervallo di tempo tra il Miocene inferiore e la parte bassa del Miocene superiore, del dominio panormide, del dominio imerese e del dominio trapanese. Al di sotto di queste vi sono altre unità tettoniche derivate dalla deformazione, avvenuta a partire dal Miocene superiore fino al Pliocene inferiore, del dominio trapanese e di quelli sicano e saccense. Questo tratto di catena sembra continuare con le stesse caratteristiche geometriche nei monti del Maghreb (Africa settentrionale).

Clima

Il clima dell'Appennino è condizionato dalla vicinanza al mare, per cui solo nelle zone più elevate si hanno condizioni climatiche di tipo montano, con inverni freddi e nevosi ed estati fresche; sulle pendici più basse il clima si avvicina a quello mediterraneo, con estati calde e secche e inverni miti. Solo le conche intermontane, meno esposte all'influenza marina, hanno un clima con caratteristiche continentali (inverni freddi ed estati calde). Le precipitazioni sono abbondanti nelle zone più elevate (oltre 1500 mm annui) e decrescono con il diminuire dell'altitudine; le zone di maggiore piovosità si registrano sul versante tirrenico, che riceve i venti marini carichi di umidità da libeccio e talvolta da maestrale, mentre assai più scarse sono le precipitazioni nelle conche e sul versante adriatico. Le nevicate sono abbondanti durante l'inverno, ma con persistenza del manto nevoso solo al di sopra dei 1000 m. Tra i venti, abbastanza frequenti sono quelli di grecale (NE) e di scirocco (SE).

Idrografia

Nell'Appennino sono pochi i fiumi veramente importanti per lunghezza di corso, ampiezza di bacino ed entità di portata. I maggiori (Arno, Tevere) sono tributari del Tirreno e svolgono buona parte del loro corso entro le valli longitudinali che si aprono fra le catene appenniniche. Sul versante adriatico la conformazione del rilievo spiega la scarsa lunghezza dei corsi d'acqua, che scendono direttamente al mare e sono regolarmente paralleli fra loro almeno nel tratto inferiore. Il regime dei fiumi appenninici è di tipo prevalentemente torrentizio, caratterizzato da una magra estiva e da due piene legate alle piogge, una invernale-primaverile e una autunnale; procedendo verso S però non si verifica più la piena autunnale e si allunga il periodo di magra estiva (per mesi le fiumare calabresi sono asciutte). Una portata più abbondante e un regime più regolare presentano però quei fiumi – come il Velino, l'Aterno-Pescara, il Liri-Garigliano, il Volturno, il Sele – che scendendo da zone calcaree possono disporre di un'alimentazione più continua grazie alle presenza di copiose sorgenti derivate dalla circolazione carsica sotterranea. La scarsa estensione del glacialismo quaternario (ridotto ormai al piccolo ghiacciaio del Calderone, esteso per 6 ha sul versante settentrionale del Corno Grande, nel massiccio del Gran Sasso) fa sì che i laghi glaciali siano sull'Appennino pochi e piccoli; i laghi appenninici sono perlopiù laghi relitti presenti nelle conche intermontane come residui di più ampi bacini prosciugati naturalmente o artificialmente (è il caso per esempio dei laghi di Piediluco, Lungo e di Ripa Sottile, nella conca di Rieti) o, ed è il caso più diffuso, bacini artificiali realizzati per scopi irrigui o per la produzione di energia idroelettrica. Il più grande lago interappenninico, quello del Fucino, che era il terzo d'Italia per estensione, è stato prosciugato nel 1875.

Flora

La vegetazione dell'Appennino risente, nella porzione settentrionale, dell'invasione di specie alpine a seguito delle glaciazioni; all'Appennino Tosco-Emiliano s'arrestano specie quali l'abete rosso e il rododendro. La vegetazione della parte centromeridionale dell'Appennino possiede numerose specie illiriche, a distribuzione transadriatica, testimoni di un antico collegamento della penisola italiana con i Balcani (per esempio Pinus heldreichii). Parecchie sono le specie endemiche appenniniche, con differenziazione di entità affini a quelle alpine (per esempio Leontopodium nivale, la stella alpina propria dell'Abruzzo) oppure di origine mediterraneo-montana. Dalle coste risale le valli la vegetazione mediterranea, con stazioni interne di leccio in Umbria e nell'Abruzzo. Sovrapposta è una fascia più o meno continua formata dalla roverella, alla quale si può accompagnare il castagno, cui segue il cerro, assai diffuso in Abruzzo, Irpinia e Lucania; al di sopra vegeta il faggio, quasi sempre a fustaia, che forma normalmente il limite superiore della vegetazione arborea (fattore limitante è spesso il vento). A esso si accompagnano o si alternano in vari nuclei disgiunti l'abete bianco e, solo sulla Sila e sull'Aspromonte, una specie endemica, il pino laricio. Su alcune vette dell'Abruzzo vive il pino mugo. La zona cacuminale è generalmente occupata da pascoli, il cui limite inferiore è spesso notevolmente abbassato per effetto dell'azione antropica, avendo l'uomo favorito l'estendersi dei pascoli a spese del bosco.

Fauna

La fauna appenninica, che fino gli anni Settanta del sec. XX si era progressivamente impoverita a causa della caccia e della distruzione degli habitat, tanto che il numero dei lupi – per citare la specie forse più nota e rappresentativa – si era ridotto a un centinaio, dopo di allora si è notevolmente ripresa, a causa della diminuita pressione antropica, che ha portato al rinselvatichimento di molte aree, e dell'istituzione di numerosi parchi naturali. Il lupo, prima confinato nell'Appennino Meridionale fino all'Abruzzo, ha così potuto risalire la catena fino alla Liguria, e di lì ritornare sulle Alpi piemontesi. Anche la lince, che si riteneva estinta, è stata nuovamente segnalata nel Parco Nazionale di Abruzzo, Lazio e Molise dove sono presenti anche popolazioni di orso bruno marsicano (Ursus arctos marsicanus) e di camoscio d'Abruzzo (Rupicapra rupicapra ornata). Diffuso ovunque – in misura anzi eccessiva, tanto da provocare danni alle colture – è il cinghiale. Le acque ospitano numerosi pesci tra cui il luccio, il magnarone e il barbo canino. Altri animali tipici sono il geotritone italiano e la vipera dell'Orsini, quest'ultima limitata al versante orientale del Gran Sasso d'Italia.

Popolamento

L'intero sistema appenninico costituisce un'area repulsiva per l'insediamento umano; nonostante le elevazioni, spesso modeste, l'Appennino ha sovente forme aspre, presenta ampi tratti difficilmente transitabili, è povero di terreni coltivabili, di risorse idriche, di giacimenti minerari. E tuttavia l'uomo vi è presente fin dai tempi remoti: lo stesso nome “Appennino” (latino Appenninus) ci rimanda a un'antichissima radice mediterranea Penn, testimoniata da residui toponomastici riscontrabili dall'Appennino Ligure fino al Sannio e indicanti vette isolate e località sommitali (monte Penna nell'Appennino Ligure, Pennadomo, Pennapiedimonte nell'Abruzzo). Numerosi massicci fra i più impervi e inospitali ricordano ancor oggi nel nome le più antiche popolazioni italiche (Ernici, Sabelli, Simbruini, Marsicani, Sanniti), che qui si arroccarono e resistettero fieramente alla conquista dei Romani. I grandi tratti geomorfologici che consentono di distinguere le tre sezioni del sistema appenninico si riflettono con una certa evidenza anche nelle forme di insediamento. Nell'Appennino Settentrionale si nota una prevalenza della popolazione sparsa su quella accentrata, date la maggiore morbidezza e fertilità delle pendici, che favoriscono le attività agricole; sul versante interno si verifica una concentrazione nelle ampie valli longitudinali (Lunigiana, Garfagnana, Mugello, Valdarno e Val Tiberina), mentre sui versanti padano e adriatico la popolazione è distribuita più uniformemente, pur con una densità maggiore nelle alte valli di alcuni fiumi (Scrivia, Reno, Santerno ecc.). Nell'Appennino Centrale prevale invece l'accentramento della popolazione in concomitanza della necessaria limitazione delle colture a poche aree più favorite pedologicamente. Le densità sono quasi costantemente inferiori ai 100 ab./km², con vaste zone praticamente deserte in corrispondenza dei massicci più estesi ed elevati. Anche qui però il versante adriatico presenta aspetti particolari: la popolazione è più densa (con indici spesso superiori ai 100-150 ab./km²), con una percentuale relativamente alta di insediamenti sparsi, distribuiti con tanta maggior regolarità quanto meno aspre si fanno le forme del rilievo. Nell'Appennino Meridionale una discreta densità (superiore a 100 ab./km²) e una certa diffusione della popolazione sparsa si hanno ancora nelle alte valli del Trigno, del Biferno e del Volturno e soprattutto nell'alto bacino del Calore (conche di Benevento e di Avellino). Ma nel resto dell'Appennino Campano e specialmente nell'Appennino Lucano la presenza di alti massicci calcarei produce un sensibile assottigliamento del velo demografico: la popolazione si riduce nei solchi e nei bacini intermontani, come il Vallo di Diano e le valli dell'Agri, del Basento, del Sinni, rifuggendo però i fondi vallivi minori (un tempo malarici) e preferendo i modesti rilievi arenaceo-argillosi che si affiancano nella Basilicata ai massicci calcarei. Anche nell'Appennino Calabro le aree montuose sono repulsive per l'insediamento umano, che trova però le condizioni favorevoli lungo certi tratti costieri, nei solchi che separano i singoli gruppi montuosi (specie la valle del Crati) e sui pendii più acclivi dei rilievi stessi. Se si eccettuano la fascia costiera di Paola e Amantea, la media valle del Crati e alcune terrazze costiere a ridosso delle Serre e dell'Aspromonte, prevale di gran lunga la popolazione accentrata in agglomerati, spesso di notevole entità demografica e situati in posizione dominante a difesa dalle incursioni, dalle piene delle fiumare e dalla malaria, che costituirono veri flagelli in epoche passate ma non remote. Fenomeno comune a tutto il sistema appenninico è lo spopolamento, particolarmente intenso nelle zone più elevate e impervie, ma rilevante anche nelle fasce collinari e perfino nei fondivalle e nei bacini interni, là dove non siano sorte attività industriali o turistiche a sostegno di un'agricoltura sempre più povera. Tuttavia questo fenomeno di spopolamento e di dipendenza dalle fasce costiere ha subito una battuta d'arresto, sia per la saturazione di quest'ultime, sia per il rientro di molti emigrati in seguito al rallentamento del ritmo di sviluppo dell'economia delle aree urbane settentrionali ed europee. Il movimento naturale della popolazione è comunque attestato su valori assai bassi, mentre per quanto riguarda la struttura demografica, c'è una netta tendenza all'invecchiamento.

Economia e comunicazione

L'economia tradizionale dell'Appennino si basava su due poli fondamentali: la cerealicoltura e l'allevamento ovino. La cerealicoltura era praticata in modo estensivo su vaste superfici, ma le rese unitarie erano basse, data la scarsa fertilità dei suoli. L'allevamento ovino era caratterizzato dalla transumanza, cioè dallo spostamento delle greggi in tarda primavera sugli alti pascoli di montagna e dal loro ritorno in pianura in autunno. Queste grandi migrazioni animali avevano un'importanza notevolissima nel Mezzogiorno, in particolare in Abruzzo e in Molise, coinvolgendo migliaia di persone e vincolando a pascolo enormi estensioni, non solo sui monti ma anche lungo i percorsi di transito, i tratturi, vere e proprie “strade d'erba” larghe anche centinaia di metri. Oggi la pastorizia è in netto declino, anche se in alcune regioni – come in Toscana – immigrati sardi sono giunti a sostituire la manodopera locale, e la transumanza praticamente abbandonata; la cerealicoltura, dedicata soprattutto al grano duro, si è ridotta come superficie ma, concentrandosi nelle terre più fertili, ha aumentato le sue rese. Si è sviluppata invece l'agricoltura specializzata (viticoltura, frutticoltura, ortaggi) specie dove sono presenti prodotti di nicchia tutelati dal marchio della denominazione di origine protetta. Gli Appennini sono poveri di risorse minerarie e, contrariamente alle Alpi, energetiche. Là dove esse sono presenti, tuttavia, hanno permesso lo sviluppo di industrie, come quelle siderurgiche e meccaniche nel Valdarno, alimentate da giacimenti di lignite, e quella siderurgica di Terni, favorita dalla dovizia di energia idroelettrica.Inoltre si sono andati affermando distretti industriali specializzati nella produzione di beni di consumo (abbigliamento, calzature, arredamenti) e polifunzionali (industrie meccaniche, alimentari e dei materiali da costruzione). Sono sorti anche nuclei di industrializzazione nei rami automobilistico e aeronautico. L'Appennino Centrale è il più ricco di risorse idriche; le acque del Velino, della Nera, del Vomano e dell'alto Tevere alimentano alcune fra le maggiori centrali idroelettriche della penisola. Seguono per importanza le centrali dell'Appennino Tosco-Emiliano e quelle della Sila, che forniscono energia a centri industriali periferici rispetto alla catena. Un notevole impulso alla regolazione delle acque dei bacini è stato dato dalla realizzazione di laghi serbatoi. Questi non hanno fini esclusivamente idroelettrici, ma anche irrigui, industriali e civili. Anche le difficoltà delle comunicazioni sono responsabili della generale arretratezza economica delle regioni appenniniche. Alle antiche e disagevoli vie consolari che valicano la catena si sono affiancate nel sec. XIX le linee ferroviarie "Per le principali gallerie ferroviarie degli Appennini vedi tabella al lemma del 2° volume." , anch'esse in buona parte ormai superate per la tortuosità dei percorsi e per l'inadeguatezza alle moderne esigenze. La soluzione dei problemi del traffico transappenninico, importante per le comunicazioni fra la Padania e le regioni centrali e fra il versante tirrenico e quello adriatico della penisola, è sempre più affidata alle autostrade: prima fra tutte la A1 Milano-Napoli (Autostrada del Sole), spina dorsale delle comunicazioni fra N e S, quindi la A7 Milano-Genova con la parallela Voltri-Alessandria, le autostrade A15 Parma-La Spezia, A24 Roma-L'Aquila-Teramo, A25 Torano-Pescara e la A16 Napoli-Canosa, collegante, quest'ultima, l'Autostrada del Sole a quella costiera adriatica (A14 Bologna-Taranto). Importanti anche le strade veloci di penetrazione, soprattutto nei versanti basso-adriatico e ionico. Al potenziamento delle vie di comunicazione (tra cui il traforo del Gran Sasso, ultimato nel 1980) è legato lo sviluppo del turismo, con il sorgere di numerosi centri di sport invernali che si affiancano alle stazioni sciistiche, ormai tradizionali, dell'Abetone (Appennino Tosco-Emiliano), del Terminillo (monti Reatini), di Campo Imperatore (Gran Sasso), della Sila ecc.

G. Merla, Geologia dell'Appennino Settentrionale, Pisa, 1952; R. B. Behrmann, Die geotektonische Entwicklung des Apennin-Systems, Stoccarda, 1958; M. Ortolani, Il Subappennino abruzzese, in “Rivista Geografica Italiana”, Firenze, 1960; F. Sabatini, La regione degli Altipia ni maggiori d'Abruzzo, Roccaraso, 1960; T.C.I., Gran Sasso d'Italia, Milano, 1962; F. Rodolico, L'esplorazione naturalistica dell'Appennino, Firenze, 1963; J. Demangeot, Géomorphologie des Abruzzes adriatiques, Parigi, 1965; L. Ogniben, Schema introduttivo alla geologia del confine calabro-lucano, in “Memorie della Società Geologica Italiana”, vol. VIII, 1969; L. Trevisan, G. Giglia, Geologia generale, Pisa, 1970; A. Carton, Il paesaggio fisico dell'alto Appennino, Casalecchio di Reno, 1988; S. Venturi, A. Emiliani, P. L. Cervellati, La fabbrica dell'Appennino, Bologna, 1988.

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