Definizione

sm. [sec. XVIII; dall'arabo islām, propr. sottomissione totale alla volontà divina]. La religione fondata da Maometto e il sistema sociale e politico che ne è conseguito; anche il panorama storico, culturale, artistico che prendendo avvio nell'Arabia del profeta si è esteso dai Paesi dell'Asia centro-meridionale, del nord-ovest africano, dell'area balcanica fino alla Penisola Iberica.

Religione: cenni storici

L'Islam si sviluppò in stretta connessione con le vicende e attività personali del suo fondatore, diventando prima espressione culturale di una comunità politica, e poi, dopo aver fomentato la spettacolosa espansione araba, la religione di un'imponente massa di fedeli e una delle tre grandi religioni universalistiche moderne (le altre due sono il cristianesimo e il buddhismo). L'Islam nasce nella prima metà del sec. VII. L'ambiente, l'Higiaz, era religiosamente caratterizzato da culti e credenze che l'Islam stesso, sulla falsariga della polemica antipoliteistica ebraica e cristiana, definisce politeistiche. C'è da dubitare dell'esistenza di un politeismo vero e proprio, anche se vigeva un termine, allāh, che in altre lingue semitiche significava “dio” (el, ilu, ecc.). D'altra parte non si possono neppure attribuire alla fase preislamica della cultura araba condizioni di tipo primitivo: il Paese confinava pur sempre con civiltà superiori, quali l'Impero romano d'Oriente e l'Impero persiano; e comunque si sa di una diffusione sia da parte ebraico-cristiana e sia da parte mazdea di un vago indirizzo monoteistico, al quale si adeguavano coloro che gli Arabi stessi chiamavano ḥanīfin, praticanti, prima dell'Islam, una vita religiosa diversa dalle masse legate alle religioni tribali. In questo ambiente Maometto cominciò a predicare la nuova religione, che egli presentava come una rivelazione fattagli direttamente da Dio. In veste di profeta (rasul) Maometto conseguì successi nella sua città natale, La Mecca, ma trovò anche un'opposizione politica; perciò si trasferì nell'altro importante centro dell'Higiaz, Yatrib, che per gli islamici divenne la Città per antonomasia, ossia Medina. Il 622, l'anno del “distacco” (hijra, egira) dalla Mecca, segnò ufficialmente la nascita della nuova religione, secondo la tradizione islamica che da quell'anno fa decorrere la propria era, rinunciando alla cronologia cristiana. Il messaggio di Maometto è contenuto in un libro sacro, il Corano, dal quale emerge la credenza in un dio unico, onnipotente e personale, Allāh. Le sue caratteristiche, più che da un'elaborazione teologica, emergono dalle istruzioni e dalle rivelazioni che Allāh fornisce al suo Profeta di volta in volta, secondo le diverse contingenze, a volte persino in contraddizione con quanto disposto in precedenza. Allāh si esprime ai livelli più diversi: ora reclama la conversione degli uomini in vista del Giudizio universale, e ora dà disposizioni per la soluzione di una controversia d'ordine legale o amministrativo. Questa mancanza di una teologia sistematica si spiega con l'iniziale adesione teorica al dettato biblico, per cui non si aveva tanto la coscienza né il proposito di fondare una nuova religione, quanto l'idea di rinnovare la prassi religiosa, così come risultava dall'esperienza ebraico-cristiana. Il rinnovamento, pertanto, non era contenuto nei limiti della forma religiosa, ma acquistava i caratteri di una rinascita culturale della nazione araba. Attraverso l'Islam la nazione araba prese coscienza di sé e si confrontò col mondo in un processo espansionistico che nel termine di pochi decenni la portò a conquistare una larga zona dell'ecumene.

Religione: il culto

Per quanto riguarda il culto, l'islamismo non è caratterizzato tanto dai riti, quanto dall'adesione totale alla volontà di Dio. Non che abbia eliminato il ritualismo proprio a ogni forma di religione, ma non lo ha codificato in termini eccessivamente ristretti, o meglio non ha esercitato un reale sforzo di codificazione delle pratiche rituali più diverse che gli son venute sia dalla tradizione araba, sia da certi dettati coranici e sia dalle tradizioni dei popoli conquistati. La precettistica cultuale si riduce ai cosiddetti “cinque pilastri” della fede: la professione di fede, il versamento della “decima” alla comunità, l'esecuzione delle cinque preghiere giornaliere, il digiuno del mese di ramadan e il pellegrinaggio alla Mecca. La preghiera è un'espressione della dedizione a Dio; è un'affermazione dell'Islam di portata cosmica: cinque volte al giorno, alla stessa ora, con gli stessi gesti, e rivolti nella stessa direzione (La Mecca), tutti “coloro che praticano l'Islam” (muslim, musulmano) confermano l'esistenza di Dio e la loro propria esistenza come corpo mistico indivisibile. Il venerdì, il giorno sacro scelto da Maometto per distinguersi dagli ebrei celebranti il sabato e dai cristiani celebranti la domenica, si prega collettivamente nella moschea: la funzione, introdotta da una predica, per essere valida deve essere celebrata alla presenza di almeno 40 uomini. Il digiuno, accompagnato dall'astinenza sessuale, distingue il mese “sacro” di ramadan, come il mese che fonda l'anno (e il mondo). Il ramadan è il mese in cui Dio ha inviato la rivelazione al Profeta, e pertanto va distinto con un comportamento ritualizzato. Al riguardo si ricorda che digiuno e astinenza sessuale non vanno intesi tanto come “rinunce” in onore di Dio, quanto come rovesciamento dell'ordine usuale; infatti il divieto di mangiare e di avere rapporti sessuali vale soltanto per le ore diurne, mentre di notte tutto è permesso, come a significare che l'attività mondana, normalmente svolta di giorno, in questo periodo eccezionale si svolge di notte. Il pellegrinaggio alla Mecca, che ogni musulmano deve compiere almeno una volta nella vita, è la continuazione, in chiave islamica, di un antico culto pagano che si prestava a una pietra nera racchiusa in una costruzione cubica (Ka'ba) della città. Proprio a questo culto La Mecca doveva la sua importanza religiosa nel mondo arabo preislamico e, d'altra parte, proprio questa importanza fu decisiva per la nascita e il primo sviluppo dell'islamismo.

Religione: la dogmatica

Si richiama a tre fonti: il Corano (rivelazione esplicita), la Sūnnah o la tradizione sul comportamento di Maometto (rivelazione implicita) e il consenso della comunità. La formula più nota che sintetizza la credenza islamica è la shahadah: “Non vi è altro Dio al di fuori di Dio e Maometto è il suo Profeta”. Tra Dio e gli uomini agiscono come esseri intermedi gli angeli che Dio ha formato di luce; non hanno sesso e trascorrono il tempo nella lode di Dio in Cielo. È un angelo, e precisamente Gabriele, che ha avuto il compito di trasmettere a Maometto la rivelazione divina. Il diavolo (Iblis) è un angelo decaduto per non aver voluto adorare Adamo. Di derivazione pagana è la credenza in certi spiriti, detti ginn. Nel campo d'azione profetica, si distingue tra profeti e inviati: i primi hanno avuto il compito di conservare il vero culto e i secondi quello di trasmettere la rivelazione. Maometto è l'ultimo Profeta-Inviato di una serie che nel Corano è di 25 ma che, secondo la tradizione, raggiunge la cifra di 124.000. Maometto, quale ultimo e definitivo Profeta-Inviato, viene detto nel Corano stesso Khatam (Suggello). Gesù Cristo viene interpretato come un Inviato. La credenza nell'immortalità dell'anima è fondamentale; a essa consegue una rappresentazione dell'aldilà come Paradiso (Giannah o Firdaus) e come Inferno o Geenna, a cui si è destinati secondo i meriti conseguiti in vita. L'escatologia si completa con l'idea di una fine del mondo e di un Giudizio universale. Credenze, a volte soltanto collaterali, ma comunque diverse, distinguono le varie sette eterodosse. Di particolare sviluppo sono le credenze nell'imām e nel mahdī.

Religione: l'eresia sciita e il sufismo

Dato che con l'Islam nasce non soltanto una religione, ma una completa unità culturale, con dimensioni, pertanto, anche socio-politiche (oltre che artistiche, letterarie, ecc.), non fa meraviglia che il suo sviluppo sia condizionato da rivalità e lotte politiche, nelle quali il problema del potere temporale coincideva con quello del potere spirituale. La carica di califfo, ossia di capo dell'Islam, fu contesa tra due grandi famiglie, quella degli Omayyadi e quella degli Alidi, finché si giunse a una scissione del corpo islamico in due grandi parti con conseguenze di grandissima portata anche per la definizione della fede. Il partito degli Alidi diede forma all'eresia sciita (Shiʽ a) la quale col tempo assimilò ed elaborò ideologie di varia provenienza, estranee all'Islam originario. L'unità culturale islamica si espresse anche come un sistema di leggi, fomentando l'azione di giureconsulti che si svolse parallelamente all'azione teologica vera e propria, talvolta addirittura intralciandone il passo. Le questioni teologiche più dibattute furono: il libero arbitrio, che nell'ortodossia fu parzialmente negato in favore della predestinazione; la validità delle leggi naturali e delle spiegazioni razionali riguardo ai principi islamici. Più per contrasto alle elaborazioni giuridiche e teologiche, che non contro i principi generali dell'Islam, che di per sé è già completa dedizione a Dio, sorgono le formazioni mistiche islamiche. I mistici islamici – detti sufi, donde sufismo, il misticismo islamico – si ritiravano dal mondo per dedicarsi alla contemplazione di Dio, mediante ascesi e mortificazioni. Attorno a essi in qualche modo si polarizzava la religiosità del popolo, in un alone di stima e venerazione. Considerati come “santi”, se ne venerarono le tombe; e, come maestri, si formarono attorno a loro gruppi di discepoli che, a partire dal sec. XIII, diedero luogo a veri e propri ordini monastici. Nel fenomeno generale del misticismo va compresa l'azione di quei santoni, noti col nome di dervisci, che raggiungevano l'estasi mediante danze estenuanti, musiche, autoferimenti, e ripetizione meccanica di formule sacre. Al misticismo pratico si deve aggiungere il misticismo filosofico o teologico, e soprattutto quello poetico, che ha dato vita a una letteratura i cui influssi, come espressione assoluta di religiosità, sono rinvenibili a tutti i livelli e in ogni particolare indirizzo della religione.

Il sistema politico

È strettamente connesso al sistema religioso. L'insegnamento del Corano dirige tutto l'orientamento politico del mondo musulmano e gli impone le sue norme. I due concetti più interessanti di questo sistema sono quelli della guerra santa e del califfato. La guerra santa (gihād) è l'elemento dinamico della storia islamica; attraverso di essa si realizzarono l'impero islamico, l'espansione della fede sino a confini lontanissimi, la diffusione della civiltà arabo-islamica in molte parti del mondo. La gihād è considerata dai musulmani come il sesto pilastro della fede da aggiungere ai cinque fondamentali; ma, a differenza di questi, non costituisce un dovere personale per ogni credente, bensì un dovere collettivo: il precetto si può ritenere adempiuto quando tutta la comunità o almeno una parte di essa si impegna valorosamente in una guerra contro gli infedeli. Il dār al-islām (territorio dell'Islam) è il territorio appartenente ai seguaci della vera fede; tutt'attorno si stende il dār al-harb (territorio di guerra) che, dove fosse possibile, sarebbe doveroso trasformare in dār al-islām. I nemici che si convertono alla fede islamica sono accolti nella comunità dei fedeli; sugli altri si esercita o la “conquista per forza” o la “conquista per trattato”. In questo secondo caso, i “popoli del Libro” (ebrei e cristiani) divengono “protetti”, pagando un'imposta fondiaria; più tardi, questa concessione si allargherà anche agli idolatri. I “protetti” conservano il possesso della terra e il diritto di praticare il loro culto. La comunità musulmana, considerata un tutto unico, è retta da un khalīfa o imām, che è il successore o meglio il “vicario” di Maometto, non già nell'insegnamento religioso (che il Corano esaurisce), bensì nell'esercizio di funzioni politiche e giudiziarie, ambito nel quale la sua autorità è illimitata.

Il diritto

Comprende la Shari‘ah (legge religiosa) regolatrice del comportamento esterno del fedele verso Allāh, verso se stesso e verso il prossimo; il fiqh', comprensivo del diritto delle persone, familiare, successorio, patrimoniale, giudiziario e penale, locale con un'appendice riguardante il rituale religioso (giuramenti, voti, animali per il sacrificio, cibi e bevande leciti e illeciti, vesti e costumanze da evitare). Autore di questo diritto fu Maometto, che dopo la sua emigrazione (egira) dalla Mecca a Medina (622), provvide di volta in volta a dare le norme necessarie alla vita sociale del sorgente gruppo dei nuovi credenti: norme di carattere giuridico, ma sempre emanazione della sua missione di “profeta di Allāh”, portanti il segno della “parola di Dio”, di cui egli aveva raccolto la rivelazione. L'osservanza della legge non era solo un dovere civile, ma anche religioso e il potere legislativo non era compito del sovrano ma dei dottori della legge('ulamā). Su questi presupposti si fondava il principio cuius religio eius lex, la confessione religiosa cioè determinava la personalità del diritto. Il diritto musulmano non conosce confini di Stato, ma si applica, unico e identico, ovunque esista una comunità musulmana. In questa dilatazione a confini esclusivamente religiosi cadono i concetti di nazione e di cittadino. Per gli individui di altra religione conviventi con i musulmani, la legge islamica imponeva il rispetto dei diritti dei fedeli musulmani a esso adeguando la libertà di professare la loro fede religiosa e di agire in conformità di questa. Di qui le numerose giurisdizioni confessionali esistenti nel mondo musulmano. Il principio coranico della fratellanza faceva tutti i musulmani uguali davanti alla legge; solo gli schiavi subivano qualche restrizione, ma in misura lieve e frequenti sono le raccomandazioni per la loro liberazione; nei processi sulle formalità, ridotte al minimo indispensabile, prevaleva la benevolenza e si ricercava con insistenza l'intenzione con cui l'individuo aveva agito e su quella ci si basava per giudicare. Anche nei contratti, tutti bonae fidei, prevaleva la preoccupazione morale: era rigorosamente vietata l'usura ed erano favorite le fondazioni pie. Elementi costitutivi di questo diritto erano le consuetudini vigenti prima di Maometto fra le popolazioni cittadine dell'Arabia nordoccidentale e le modifiche e innovazioni da lui apportatevi: si trattava però di un materiale inorganico, per cui se ne fece presto una sistemazione che a cinquant'anni dalla morte del Profeta appare già realizzata per quanto riguarda gli elementi fondamentali. La rapida espansione dell'islamismo lo mise in contatto con concezioni nuove (ideologie greco-romane e persiane) e i dottori musulmani cercarono nell'insegnamento e negli atti di Maometto gli elementi per ridurre nello spirito musulmano norme e consuetudini di questi popoli: per esempio, il trattamento riservato dal Profeta agli ebrei fu preso a base della posizione giuridica fatta ai sudditi non musulmani per la proprietà fondiaria e i tributi. Insegnanti e interpreti del diritto erano i dottori, i quali, senza alcun carattere ufficiale, raccoglievano attorno a sé scolari e diventavano dei veri capiscuola. I più insigni fra loro diedero vita a scuole, molte delle quali scomparvero in breve tempo, lasciando spazio, nell'ambito dell'ortodossia, a quattro principali: ḥanafita, fondata da Abū Ḥanifah (m. 767) e fiorente nell'Asia centrale fra le popolazioni turco-tartare; malikita, fondata da Malik ibn Anas (m. 795), diffusasi nell'Africa settentrionale, nella Mauritania e nel Sudan; schafeita, fondata da Muḥammad ash-Shāfī'i (767-820), la cui zona d'influenza si localizzò in Somalia, Etiopia, Ciad, Kenya, Tanganica e nel delta egiziano; ḥambalita, fondata da Aḥmed Ibn Ḥanbāl (780-855) che fiorì nell'Iraq centrale e meridionale, in Siria, nell'Arabia centrale. Fra gli eterodossi le maggiori scuole furono: gia'fari, probabilmente dovuta a Gia'far aṣ-Ṣadiq (m. 765), riconosciuta dagli sciiti imamiti e ismailiti della Siria, dell'India, dell'Iraq, del Libano e della Persia; zaidita, attribuita a Zayd ibn 'Alì e diffusa nello Yemen centrale; ibadita, risalente ad 'Abd Allāh ibn Ibâd e fiorente in Algeria, Tunisia, Zanzibar. Le differenze fra le varie scuole sunnite (od ortodosse) dipendono dal periodo in cui si formarono e non intaccano la vera sostanza dell'ortodossia, al punto che viene ammesso che il seguace di una scuola possa in una particolare questione seguire l'insegnamento di un'altra. In particolare si può dire che la differenza principale sta nel metodo seguito dalle varie scuole e l'osservazione vale anche per quelle eterodosse. Per tutte il fondamento del diritto è dato: dal Corano; dalla Sūnnah, cioè il complesso delle tradizioni canoniche sui detti (e i silenzi) e i fatti di Maometto; dall'iğmāh, ossia l'accordo che su un tema particolare si stabilisce fra i vari dottori; dal qiyas, ossia le deduzioni tratte dai dottori della legge dalle tre fonti precedenti. Il califfo e i sovrani musulmani minori erano stati estranei a tutto il movimento delle scuole, limitandosi a scegliere una scuola piuttosto che un'altra per i loro territori (scelta d'altronde determinata dalla presenza più o meno cospicua dei seguaci di una scuola fra i propri sudditi) e nel dettare istruzioni ai qādī per la casistica lasciata libera dai dottori. Solo in età moderna questo ambito si è notevolmente esteso nei contatti sempre più complessi con il resto del mondo: sono così decadute le norme per il sistema fiscale, la legge del taglione, le pene stabilite dal Corano per il foro interno. Essendo pertinenza del sovrano tutta l'amministrazione della giustizia, con l'allontanarsi nel tempo dalle fonti originarie, anche nel campo legislativo si creò una doppia giurisdizione, l'una lasciata al sovrano per le questioni che non richiedevano approfondimenti specifici, mentre queste ultime venivano attribuite al qādī. Nell'impero musulmano, alla fine del sec. XIX, il campo di giurisdizione del qādī fu ridotto al diritto di famiglia, successorio e allo stato delle persone. L'esempio fu seguito anche dall'Egitto e, con varianti, in Tunisia, nel Marocco, nella Siria, nel Libano e in Palestina. Con l'istituzione della Repubblica in Turchia, il diritto musulmano fu abolito (1926). La forza della tradizione musulmana invece è ancora molto efficace tra i Beduini, i Somali, i Cabili dell'Algeria e i Berberi del Marocco. L'introduzione della Costituzione in Egitto (1923), nell'Iraq (1924) e in Siria (1930) ha privato del diritto di legiferare i dottori musulmani a vantaggio dei Parlamenti. In Iran, dopo la caduta dello scià (1979) è stata abolita la Costituzione del 1906 e si è costituita una Repubblica che ha ripristinato integralmente il diritto islamico.

Storia: l'espansionismo islamico

La storia politica del mondo islamico si confonde ovviamente con quella degli Arabi in un primo periodo che, per grandi linee, si conclude con il tramonto del califfato omayyade (750) . Ma già in quest'epoca, pur dominata dalla fede e dal valore militare degli Arabi, l'Islam si presentava con un credo orientato in senso universalistico e gli “islamizzati” non erano meno numerosi né meno fedeli a Maometto dei musulmani d'Arabia. Sin dal primo secolo dopo la morte del Profeta, il suo messaggio era arrivato all'Atlantico (Marocco) e alla Spagna da un lato, alla Persia e all'India dall'altro e pertanto non era più unicamente arabo né portato esclusivamente dagli Arabi. Il distacco tra il mondo arabo e quello, ben più vasto, che si può chiamare “islamico”, si fece più evidente con l'avvento della dinastia degli Abbasidi. Arabi, anzi meccani, costoro inaugurarono un nuovo tipo d'impero che si fondava non tanto sulla superiorità degli Arabi quanto sul fermentare inquieto dei popoli sottomessi, non tanto sull'ortodossia sunnita quanto sul ribellismo sciita (almeno in un primo tempo). Baghdad non riuscì però a imitare Damasco e quello che era stato un impero unitario e compatto divenne un tentativo, a volte velleitario, di organizzazione politica estesa a tutti i popoli dell'Islam. Il califfato abbaside (750-1258) fu caratterizzato da un eclettismo culturale molto accentuato, che mise la civiltà islamica a contatto con influenze persiane, siriache, greche, bizantine, e rappresentò d'altro canto il fallimento di un autoritarismo politico-religioso che aveva animato a lungo il mondo islamico. Già nel sec. X si erano affermati due altri califfi: quello d'Egitto (fatimita e quindi sciita) e quello di Cordova (omayyade). Nel sec. XI gli Arabi, frenati da un'ostinata tendenza al particolarismo, videro veramente sgretolarsi la loro supremazia. I Turchi da est, i Berberi da ovest si fecero paladini dell'Islam più ortodosso. I Turchi Selgiuchidi occuparono Siria, Palestina, parte dell'Asia Minore, minacciarono Costantinopoli, si difesero dai Crociati dell'Occidente. Più tardi (sec. XIV) i Turchi Ottomani, sostituendosi ai Selgiuchidi, incalzarono i Bizantini, penetrarono nella Penisola Balcanica e finalmente conquistarono Costantinopoli (1453). L'Impero ottomano si estese poi verso il cuore dell'Europa (sec. XV-XVII), varcò il Danubio, minacciò Venezia e Vienna, avvolse tutto il Mar Nero, si insediò in Mesopotamia, Siria, Palestina, Egitto, occupò le terre migliori dell'Arabia e dell'Africa del nord sino all'Algeria. D'importanza assai più ridotta fu lo sforzo dei Berberi dell'Africa occidentale, che con gli Almoravidi (sec. XI-XII) e gli Almohadi (sec. XII-XIII) cercarono di restaurare l'ortodossia e i valori religiosi in una Spagna dove l'Islam stava ormai perdendo terreno. Non meno importante dell'espansione militare fu, per l'Islam, la penetrazione pacifica, ossia la “diffusione della fede” in senso proprio. Se Turchi e Mongoli islamizzati conquistarono l'India con le armi, l'Indonesia – come del resto parecchie regioni dell'Africa nera – assorbì lentamente ma sicuramente il verbo musulmano. La storia dell'Islam, almeno sino al sec. XIX, è apparentemente la storia di una conquista bellica; ma un esame più attento ci induce a considerare prevalente l'azione d'uomini di fede e di preghiera (pellegrini, mercanti, persino negrieri). Quello ottomano fu comunque il più serio tentativo di rinnovare l'antica unità politico-religiosa dell'Islam, tentativo peraltro destinato a fallire, minato dalla pressione ideologica oltre che politica ed economica dell'Occidente. Le risposte alla sfida europea si collocarono su piani diversi. Alcune élite promossero un rinnovamento dell'ideologia islamica, recependo, con accenti diversi, i nuovi ideali di libertà, nazione, progresso scientifico. Questo movimento ebbe i suoi centri in Egitto, Persia e India. Sul versante opposto si volle invece fare leva sull'affiliazione religiosa per riproporre una politica reazionaria, di assoluta fedeltà al passato. Accanto al sultano ottomano ʽAbd ül-Ḥamīd II che promosse una crociata panislamica allo scopo di cementare le scricchiolanti strutture del proprio Stato, vanno allineati in questo ambito i movimenti politico-religiosi del Mahdī (Sudan) e dei wahhabiti (Arabia). Entrambe le tendenze andarono incontro a pesanti sconfitte: in alcuni Paesi (per esempio Turchia e Iran) il nazionalismo, che poteva radicarsi e trarre alimento da un glorioso passato preislamico, ebbe risvolti ostili all'Islam; in altri (la stessa Turchia e la Tunisia) il riformismo islamico fu costretto a cedere il posto a un'ideologia decisamente laica; raramente le interpretazioni tradizionali dell'Islam acquistarono un rilievo politico. Tutto ciò favorì lo sviluppo di un'apologetica concordista, diretta a dimostrare che i precetti dell'Islam non ostacolano la realizzazione delle aspirazioni dei musulmani contemporanei, propensa più a giustificare a posteriori che a indirizzare le scelte politiche (si veda per esempio il socialismo islamico). Generalmente l'Islam è interpretato come un valore d'identificazione nazionale o culturale e, tranne qualche eccezione (l'Arabia Saudita, il Pakistan e, per un certo verso, la Libia, l'Algeria e il Marocco), rimane un modo di vita soltanto per le masse popolari. Il sentimento d'unità islamica affiora soprattutto al livello della pietà popolare e acquista importanza politica soltanto in circostanze particolari. Abolito il califfato nel 1924, l'Islam ha trovato un punto di raccordo in periodiche conferenze islamiche, la prima delle quali fu tenuta nel 1926. Ma se è vero che le convergenze tra gli Stati musulmani appaiono più come la conseguenza di comuni interessi economico-sociali che non dell'appartenenza alla stessa fede, va tuttavia osservato che con la fine degli anni Settanta si è andata delineando e via via rafforzando una tendenza integralista. Infatti, la netta separazione tra vita religiosa e assetto istituzionale che si era affermata in molti Stati con popolazione a maggioranza islamica ha subito una battuta d'arresto con la rivoluzione iraniana, dove il rovesciamento dello scià di Persia (1979) ha favorito la costituzione di una Repubblica Islamica strettamente controllata dai vertici religiosi di rito sciita. L'esempio offerto dall'Iran, unito alle sempre crescenti difficoltà politiche ed economiche incontrate dai regimi laici al potere negli Stati a prevalenza religiosa musulmana, ha rilanciato il fondamentalismo islamico.

Storia: l'Islam in Italia

I primi centri islamici sono sorti in Italia all'incirca alla fine degli anni Sessanta, attorno ad alcuni rifugiati politici mediorientali e a studenti universitari siriani, palestinesi, giordani e libanesi. A partire dalla metà degli anni Ottanta, questi centri sono diventati punti di riferimento naturali per i musulmani dell'immigrazione di massa che, sempre più numerosi, entravano in Italia dal Marocco, dall'Egitto, dalla Tunisia. L'aumento costante del numero di extracomunitari in Italia ha portato poi, gradualmente, alla ribalta la questione dell'integrazione nella società italiana della comunità islamica. Nel 2000 la presenza musulmana è stata stimata in ca. 600.000 unità, questa presenza iniziatasi a costituire dalla metà degli anni Ottanta ha avuto un aumento progressivo così significativo tanto da rappresentare, alla fine del sec. XX, ca. il 35% della popolazione immigrata residente regolarmente in Italia. Relativamente ai Paesi di immigrazione musulmana, la componente più numerosa proveniente dal Marocco, cui segue quella dall'Albania, Tunisia, Senegal, Egitto, Algeria, Pakistan, Bangladesh, Somalia, Iran, Turchia, Nigeria, Iugoslavia, Bosnia, Iraq, Macedonia, Croazia e India. La grande maggioranza è rappresentata dai sunniti, mentre gli sciiti di provenienza soprattutto libanese e iraniana sono una minoranza. Per fornire a essi accoglienza, aiuto, educazione religiosa e soprattutto rappresentanza ufficiale capace di tutelarne i diritti e gli interessi, sono sorti centri islamici in buona parte del territorio italiano, tra questi vanno ricordati: il Centro Islamico culturale d'Italia, sorto nel 1965 per iniziativa delle ambasciate degli Stati riuniti nella Lega Araba, che ha promosso la costruzione della moschea di Roma, inaugurata nel 1995; il Centro Islamico di Milano e Lombardia, che è nato nel 1977, cura la moschea di Lambrate, pubblica una rivista e dà vita a un'intensa attività culturale, sociale e religiosa; l'Unione delle Comunità e delle Organizzazioni Islamiche in Italia, che è sorta nel 1990 ad Ancona e che ha proposto nel novembre 1992 alla presidenza del Consiglio dei Ministri italiano un'ipotesi d'intesa per la legittimazione giuridica della loro presenza, in base all'art. 8 della Costituzione che regola i rapporti delle confessioni religiose con lo Stato; l'Unione degli Studenti Musulmani in Italia, che sviluppatasi a Perugia nel decennio 1970-80 si è poi estesa in altri centri dotati di università. Si contano inoltre numerosi luoghi di culto islamici, che in qualche caso dispongono anche di personale religioso. I problemi posti da un eventuale riconoscimento giuridico-religioso degli immigrati islamici (in Italia come nelle altre nazioni europee, quali Belgio, Francia, Germania, Gran Bretagna e Spagna, che hanno già stipulato accordi e convenzioni più o meno organiche con i rappresentanti delle comunità islamiche residenti o con i rispettivi Paesi di provenienza) derivano non tanto dal diritto al libero esercizio della professione religiosa quanto dalla difficoltà di conciliare la fede islamica con i principi basilari dell'ordinamento giuridico italiano (ed europeo), specie in materia di matrimonio e diritto familiare e in merito alla netta distinzione tra legge civile e legge religiosa.

Arte

L'osservanza dello stesso credo ha dato una sostanziale identità – da G. Marçais definita la “personalità dell'arte islamica” – alle espressioni estetiche di Paesi spesso assai distanti fra loro, non solo geograficamente, ma anche per motivi etnici, culturali, tradizionali. Questa “personalità”, immediatamente riconoscibile dappertutto, è in realtà la risultanza della nuova concezione metafisica che sta alla base della visione estetica musulmana e che condiziona ogni aspetto della vita, della cultura e delle arti. Queste sono anzi subordinate alla religione e l'artista non ha libertà espressiva. Per l'Islam, inoltre, l'uomo non è più, come per il pensiero classico, la misura di tutte le cose, né l'arte può imitare la natura, perché sarebbe un blasfemo tentativo di copiare l'opera creatrice di Dio. Per questo gli artisti musulmani si esprimono con forme astratte e allusive che trasformano e quasi mimetizzano le cose reali, così che da questa frammentarietà e dissoluzione risulti ancor più l'immutabilità e l'eternità delle opere divine. Per la stessa ragione il costruttore si serve di materiali umili e deperibili come il mattone crudo, il fango pressato e lo stucco, e nasconde le strutture sotto parati decorativi che – magari ripetendo all'infinito lo stesso motivo geometrico o vegetale – tolgono organicità all'insieme. Si spiega perciò la fortuna straordinaria dell'arabesco, nato dall'estrema stilizzazione di un motivo vegetale, e della calligrafia, che con le sue caratteristiche di astrazione e di artificiosità soddisfaceva a tutte le esigenze della religione. Considerata anzi l'arte per eccellenza, in quanto strumento della diffusione della parola di Dio attraverso il Corano, la calligrafia conobbe una straordinaria fortuna in tutto il mondo islamico e gli artisti che vi si dedicavano furono gli unici a godere sempre dell'incondizionata ammirazione dei principi, al contrario di tutti gli altri che, fino a epoca abbastanza tarda, venivano generalmente disprezzati, a causa dei pregiudizi del mondo arabo nei confronti del lavoro manuale. Come diretta conseguenza della stilizzazione delle forme reali, si ebbe nell'Islam il rifiuto delle immagini culturali figurate, le uniche espressamente proibite dal Corano. Tuttavia, nonostante il rigore dei teologi, figure umane e animali comparvero presto sia nella decorazione architettonica, sia in pittura, sia in oggetti d'arte applicata, anche se in ambienti strettamente privati come le corti. Sempre in questa élite conobbe un eccezionale successo la miniatura, in origine poco congeniale all'Islam. La ricchezza e varietà del panorama artistico musulmano, a onta dei condizionamenti e delle direttive comuni, è sorprendente. Esso è infatti il risultato della rielaborazione e dell'adattamento delle esperienze, dei suggerimenti e delle tradizioni culturali delle civiltà più evolute, con le quali l'Islam era venuto in contatto negli innumerevoli Paesi conquistati. L'area culturale islamica comprende infatti gran parte della Penisola Iberica, la Sicilia, l'Africa del Nord – dall'Egitto al Marocco –, l'Africa orientale, la Penisola Arabica, il Vicino Oriente, la Turchia, la Penisola Balcanica, l'attuale Iraq, l'Iran, l'Afghanistan, l'Asia centrale ex sovietica, il subcontinente indiano e l'Indonesia. L'evoluzione storica dell'Islam copre un arco di quattordici secoli: essa ebbe inizio dopo l'epoca delle conquiste arabe, quando nel 661 i primi sovrani omayyadi trasferirono la sede del Califfato da Medina a Damasco, e dura fino ai nostri giorni, anche se a cominciare dal sec. XVI è iniziato un processo di decadenza. Tutte le arti, senza distinzione tra maggiori e minori, raggiunsero nel mondo islamico altissimi livelli tecnici e bellissimi effetti decorativi, grazie sia alla severa disciplina cui erano sottoposte le corporazioni artigianali e le manifatture auliche, sia alla fantasia creativa degli artisti. Notevolissime furono la produzione ceramica (maiolica smaltata e a lustro metallico) e la lavorazione dei metalli (culminata nella tecnica dell'agemina), dell'avorio, del vetro smaltato e dorato (famosa la produzione persiana e soprattutto quella siriana, caratterizzata fra l'altro dalle lampade pensili da moschea, con le pareti in vetro trasparente ricoperte d'iscrizioni), del cristallo di rocca in cui eccelse l'Egitto; grandissimo sviluppo ebbero l'industria serica e l'arte del tappeto, che fiorì specialmente nell'Iran, nel Caucaso e nell'Anatolia. Religione essenzialmente cittadina, l'Islam ebbe però nell'architettura una delle sue espressioni più vitali, in quanto realizzatrice per antonomasia dei suoi programmi.

Architettura: generalità

Priva di specifiche cognizioni scientifiche e artistiche, l'architettura araba andò ispirandosi alle tradizioni ellenistiche e cristiane della Siria e della Mesopotamia, nonché a quelle degli Arabi preislamici (Nabatei, Gassanidi, Lakmidi, Yemeniti) per dar vita alle sue prime creazioni. Fra i capolavori di questo periodo è la splendida Qubbat as-Saḥra (Cupola della Roccia) di Gerusalemme, a pianta circolare. Degli Omayyadi restano ancora la bellissima Grande Moschea di Damasco e i resti di numerose residenze di campagna (Mshattā, Khirbet al Mafjar, Qusayr Amra, ecc.). Con l'avvento degli Abbasidi (750) e lo spostamento della capitale califfale dalla Siria alla Mesopotamia (Baghdad), l'Islam si orientalizzò adottando numerose tradizioni artistiche irano-mesopotamiche, cui si aggiunsero, per le infiltrazioni dei Turchi nella guardia dei sovrani, numerosi apporti centro-asiatici, individuabili soprattutto a Sāmarrā dove, accanto ai superbi palazzi e alle grandiose moschee coi tipici minareti a spirale, sono state scoperte tracce di pittura murale, sculture in legno e la prima ceramica “a lustro metallico”, dalla ricca tipologia. Nella zona nord dell'Africa e nell'Andalusia si elaborò un'architettura caratteristica, dovuta alla forte tradizione classica e al sostrato indigeno, in particolare berbero. Nacque in queste regioni il cosiddetto stile moresco, che caratterizzò nei sec. XIII e XIV la fase classica dell'arte musulmana d'Occidente, culminando poi con le realizzazioni dei Nasridi di Granada. Nell'area siro-egiziana l'indebolimento del potere califfale abbaside permise il formarsi di successive dinastie (Tulunidi, Fatimiti, Ayyubiti, Mamelucchi), che elaborarono un'architettura caratteristica, nella quale venivano messi in evidenza e rielaborati in maniera originale i suggerimenti della tradizione ellenistica della Siria. La vasta area irano-mesopotamica conobbe, a partire dalla fine del sec. X, una vigorosa fioritura artistica autonoma, nella quale si riaffermavano, con opportuni adattamenti alla nuova religione, antiche formule strutturali e planimetriche del patrimonio architettonico iranico – partiche e sassanidi – che si sarebbero mantenute sostanzialmente immutate fino ai nostri giorni. Queste planimetrie, a cupola e a īvān, introdussero nel panorama artistico musulmano, a tendenza orizzontale, una componente verticale, che si mantenne costante nell'Islam d'Oriente. In questo stesso periodo, oltre al grande sviluppo dell'edilizia funeraria monumentale, nei due tipi fondamentali a torre e a cupola, si sviluppò la decorazione col mattone in facciavista, che dal mausoleo di Ismā'īl il Samanide, a Buhara, trovò larga eco intutto il mondo iranico (dal X al XII sec.), dai Buwaihidi ai Gasnavidi, ai Selgiuchidi. Sempre nel sec. X comparvero i primi esempi di muqarnas, i caratteristici raccordi a nicchia ornata di alveoli “a stalattite”. Con i Selgiuchidi d'Iran si precisò la tipica moschea iranica, la cosiddetta mōschēā-māđrāsā (accademia teologica), costituita da quattro īvān disposti a croce, prospicienti una corte. L'īvān qibli, cioè quello contenente il miḥrāb, è più grande ed è seguito, nelle moschee monumentali, da una sala cupolata, secondo lo schema della sala del trono sassanide; le ricerche sulla cupola costituirono il merito più alto dei grandi architetti selgiuchidi. Di altrettanta importanza artistica furono i Selgiuchidi d'Anatolia e gli Ortuqidi in Mesopotamia, mentre in Iran si affermava successivamente l'impero dei mongoli Ilkhānidi e poi dei turcomanni di Tamerlano (vedi Timuridi). Se con gli Ottomani in Turchia e con i Safavidi in Persia si precisarono nuovi indirizzi artistici, spesso di marca occidentale, il corrispondente panorama artistico indo-musulmano si presenta come uno dei capitoli più prestigiosi dell'arte islamica, in quanto in esso si incontrano e si conciliano, nonostante la totale diversità delle loro concezioni metafisiche e sociali, le tradizioni del mondo indù e quelle del mondo musulmano, in una nuova civiltà, originale e composita insieme. Sotto la dinastia dei Moghūl si ebbe l'apogeo di questo stile, che col grande Akbar e con i raffinati Jahāngīr e Shāh Jahān (di cui si ricorda il celeberrimo Tāj Mahal) si diffuse in tutto l'immenso Paese. Un aspetto totalmente originale assunse l'arte islamica in Indonesia.

Architettura: l'edilizia religiosa e civile

Centri focali della città sono la moschea, il bagno, il bazar. La moschea, monumento islamico per eccellenza, dove la comunità, specie nei primi tempi, si riuniva non solo per la preghiera canonica, ma anche per deliberare su tutte le questioni più importanti, si andò precisando in forme diverse. Poiché l'unica esigenza liturgica espressamente richiesta era l'orientamento della preghiera (qibla) in file parallele verso La Mecca, dopo una serie di tentativi e di ricerche si realizzò più diffusamente la cosiddetta moschea di “tipo arabo”, costituita da un ampio cortile (saḥn) circondato su tre lati da portici e sul quarto da una sala di preghiera ipostila, con tetto piatto e con navate parallele al muro della qibla. Al centro del cortile, o in un locale adiacente, era un impianto per le abluzioni rituali. La qibla fu messa in evidenza da una nicchia (miḥrāb) sempre riccamente ornata con stucchi, mattonelle di ceramica, marmi pregiati. In molti casi la navata afferente al miḥrāb si costruì più larga e più alta delle altre, sormontata da una cupola davanti alla qibla. L'esigenza della predica del venerdì nelle moschee principali d'ogni città portò alla creazione del minbar, specie di pulpito, in legno (talvolta anche in pietra o marmo), alla destra del miḥrāb. Un recinto di legno (maqṣura) serviva, in qualche moschea, a isolare il principe dal resto della comunità. Il minareto (minār) fu introdotto dagli Omayyadi (sec. VII) e sembra derivare dalle torri di segnalazione e dai fari (manāra). Il bagno, sconosciuto agli Arabi, per influsso del mondo romano-bizantino divenne in breve uno degli edifici fondamentali d'ogni città musulmana, anche se subì qualche modifica, per esigenze climatiche: manca per esempio della piscina fredda e ha lo spogliatoio, usato come sala di riunioni, di proporzioni monumentali. Il bazar, anch'esso ereditato dal mondo classico e orientale, è una struttura complessa dove si concentrano le attività economiche, commerciali e artigianali, ed è abitato solo da quanti vi esercitano un mestiere, divisi per categorie in diversi settori. La casa d'abitazione musulmana è sempre ispirata a criteri di semplicità, anche se subisce modifiche notevoli nei numerosissimi Paesi dell'Islam. Di solito è a corte interna e presenta le strutture più adatte ad assicurare protezione e intimità agli abitanti. La casa del sovrano, che spesso si identifica con la casa del governo, è disegnata con propositi di monumentalità, per esaltare “la maestà del potere sovrano”. I castelli degli Omayyadi e soprattutto i palazzi degli Abbasidi avevano pianta molto articolata, esemplata rispettivamente sui castra siriaci e sui palazzi sassanidi, e servirono da modello per le residenze della maggioranza dei principi musulmani. Solo i Safavidi di Persia (sec. XVI-XVIII) e gli Ottomani in Turchia (sec. XIV-XX) abbandonarono questa formula compatta a favore di padiglioni sparsi entro giardini. Fra le opere di utilità pubblica, particolare cura fu posta nella costruzione di opere idrauliche (realizzazioni degli Aghlabiti, sec. IX-X, presso Kairouan; il Nilometro dell'isola di Roda; i grandi ponti-diga dei Safavidi e degli Ottomani), di ospedali, di ospizi per i poveri, di caravanserragli (gli splendidi khan selgiuchidi d'Anatolia e d'Iran), di fontane. Per la difesa delle frontiere e le esigenze della guerra santa furono costruiti, specie nell'Islam occidentale, i ribāt, sorta di conventi fortificati, con cellette per i monaci-combattenti, una sala di preghiera e una torre di vedetta, insieme minareto e segnacolo dell'Islam. L'edilizia funeraria, così caratteristica del paesaggio islamico, dall'Egitto all'India, comparve solo verso il sec. X, per la proibizione canonica di costruire sopra le sepolture. Essa si sviluppò in forme sempre più monumentali, che culminarono con le realizzazioni degli Ilkhānidi (sec. XIII-XIV), dei Timuridi in Persia e in Asia centrale (sec. XIV-XV) e con quelle dei Moghūl (sec. XV-XIX) in India. Al di là di queste somiglianze di fondo, dovute ai comuni interessi religioso-sociali, è possibile tuttavia individuare, nella vasta area islamica, differenze di gusto e chiare tendenze di stile, determinate da influenze locali o, in qualche caso, addirittura “dinastiche”. È questo il caso dell'Andalusia e del Maghreb, dell'area siro-egiziana, dei territori iranici, dell'Anatolia, dell'India.

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