Generalità

Una delle parti del mondo in cui è tradizionalmente divisa la Terra e che, a differenza di tutte le altre, non forma un insieme unitario di aree emerse ed è priva di quei confini che, se pur talvolta convenzionali, assegnano limiti effettivi, concreti, ai continenti. A fianco dell'Australia, che può configurarsi – essa sì – come un autonomo continente (il Continente Nuovissimo, perché ultimo esplorato dagli europei), l'Oceania comprende le isole e gli arcipelaghi dell'oceano Pacifico, terre disseminate su spazi vastissimi e la cui superficie territoriale è invece estremamente esigua. Originariamente il termine di Oceania indicava solo le terre insulari dell'oceano Pacifico, ma poi esso si è esteso a includere l'Australia , che nei confronti del Pacifico costituisce una sorta di avampaese. A essa fanno capo i maggiori arcipelaghi del Pacifico e la Nuova Guinea, che appare invece come un “ponte” tra Australia e Asia sudorientale (Australasia). Nell'insieme l'oceano costituisce il più vasto spazio terrestre: uno spazio che, per i suoi “vuoti”, per le enormi distanze che separano tra loro le terre emerse, è entrato per ultimo nella maglia della moderna organizzazione mondiale, nei confronti della quale ha ancora un ruolo piuttosto marginale, benché il trasporto aereo abbia notevolmente “ridimensionato” lo spazio del Pacifico. Dal punto di vista politico l'Oceania appare ancora dominata dagli Stati Uniti: questi ne hanno fatto uno scacchiere importante dopo la seconda guerra mondiale che ha visto la riduzione del ruolo che vi avevano Gran Bretagna, Francia, Giappone, a loro volta subentrate già nell'Ottocento alla Spagna. Tuttavia un posto via via più importante stanno assumendo, nel controllo dell'Oceania, l'Australia, il maggior Stato indipendente dell'area e, nuovamente, il Giappone, oltre al recente peso che via via sta assumendo la nuova grande potenza asiatica, la Cina. Gli altri Stati dell'Oceania, Nuova Zelanda esclusa, hanno un peso piuttosto trascurabile e, spesso, notevoli difficoltà di sopravvivenza per la generale scarsezza delle risorse e per le difficoltà di superare la condizione di sottosviluppo. A parte vanno considerate le Hawaii, arcipelago che fa parte integrante degli Stati Uniti come 50º Stato dell'Unione.

Geomorfologia

L'oceano Pacifico è il più vasto oceano della Terra: è anzi l'“oceano” per eccellenza, in quanto rappresenta quell'oceano primordiale che esisteva prima del processo di frammentazione del continente unico Pangea. All'evoluzione del Pacifico si connette perciò la configurazione dell'Oceania, la quale comprende la massa continentale australiana come elemento base intorno a cui si svolge la successione delle terre insulari. Queste formano dei grandi archi o degli allineamenti, il primo dei quali è costituito dalle isole maggiori, mentre gli altri si ampliano e si frammentano in isole minori. L'arco interno ha i suoi principali elementi nella Nuova Guinea (che a sua volta si riallaccia al mondo insulare del Sud-Est asiatico), negli arcipelaghi della Melanesiasettentrionale (Bismarck, Salomone) e meridionale (Vanuatu, Nuova Caledonia). L'allineamento volge verso SE, lievemente arcuato, tanto che sembra poi continuare nella Nuova Zelanda . A esso succede un altro arco, nella fascia centrale dello spazio oceanico, che fa capo alla cosiddetta Micronesia (comprendente le Marianne, le Caroline, le Marshall, Kiribati, Nauru), alle Figi e alle Tonga. A un allineamento da NW a SE sembrano obbedire anche gli arcipelaghi più orientali della Polinesia, dalle Hawaii alle Line Islands (o Sporadi Equatoriali) e alle Tuamotu. Le ragioni di questi allineamenti, per la verità non sempre precisi, si collegano all'evoluzione del Pacifico, dei suoi fondali, secondo la teoria della tettonica a zolle, per la quale la roccia del basamento del fondale oceanico si rigenera continuamente. Le terre del Pacifico sono perciò terre giovani, vulcaniche. Esse si differenziano in ogni caso dall'Australia, zolla continentale di rocce precambriane che affiorano in larghi tratti della superficie. La sua struttura archeozoica di base, appena movimentata da alcuni bacini sedimentari, è stata interessata marginalmente da una marcata geosinclinale (tasmaniana) secondo l'evoluzione propria delle masse continentali ai loro bordi oceanici. Da essa hanno preso origine i rilievi paleozoici che orlano il continente verso il Pacifico e che costituiscono una sezione strutturale ben diversificata rispetto al resto dell'Australia, soprattutto nei confronti della sezione estesa a W dei bacini sedimentari che vanno dal golfo di Carpentaria alla depressione del fiume Murray. I rilievi della Nuova Guinea, i più elevati dell'Oceania, fanno invece parte dell'orogenesi cenozoica e sono sorti ai margini di un basamento che sembra connettersi con quello australiano. Di origine cenozoica sono anche le catene che danno forma alla Nuova Zelanda. Al di fuori di queste terre di dimensioni e di struttura continentale sorte per effetto di corrugamenti crostali stanno gli arcipelaghi vulcanici del Pacifico. Di questo mondo malconosciuto si sa tuttavia che esiste una linea, detta “linea andesitica”, che parte dal Giappone, passando per le Marianne, le Salomone, le Kermadec, e starebbe a delimitare le vaste superfici sottomarine direttamente legate alla struttura interna della Terra da quelle legate a un'origine continentale. I fondi oceanici non sono uniformi: presentano rilievi, dorsali e ammassi vulcanici talora emergenti a formare isole e arcipelaghi. La morfologia è diversa al di qua e al di là della linea andesitica: più regolare, attraversata in senso meridiano da una bassa e ampia dorsale e interessata da una serie di fratture (di Clipperton, di Clarion, di Murray, di Mendocino ecc.) normali alla costa dell'America Settentrionale, la sezione orientale; varia, complessa, costituita da un succedersi di dorsali e rialzi (che emergono con le grandi isole e i vicini arcipelaghi), di fosse profonde, abissali, e bacini, quella occidentale. Le grandi dorsali su cui “poggiano” la Nuova Zelanda e gli arcipelaghi della Melanesia meridionale sono delimitati dal Pacifico orientale dalle profonde fosse delle Kermadec e delle Tonga (-10.882 m); le altre principali fosse, che seguono all'incirca la linea andesitica, sono quelle delle Marianne (che nell'abisso Vitjaz raggiunge gli 11.022 m di profondità) e del Giappone, che fanno parte della lunga “trincea” che, lungo tutto il Pacifico, separa i continenti dai fondi oceanici e a cui corrisponde la ben nota “cintura di fuoco”, cioè tutto un allineamento di vulcani. L'instabilità della regione oceanica è indicata dalla stessa morfologia delle sue terre emerse (così in contrasto con la piatta, solida Australia), dal vulcanesimo che è alla loro origine: vulcanesimo che si presenta con caratteri esplosivi a W della linea andesitica, effusivi a E. Anche le costruzioni coralline, che tanta parte hanno nella morfologia oceanica, sono indice di instabilità: le sommità insulari affioranti sono notoriamente il risultato, ben esemplificato dagli atolli, di moti di subsidenza, di sprofondamento dei rilievi vulcanici.

Clima

Rispetto ad altre parti della Terra, risulta limitata sulle vaste superfici del Pacifico l'incidenza dei fattori climatici legati alla presenza delle masse continentali, se si esclude l'Australia, le cui ampie superfici determinano una continentalità accentuata (sia detto per inciso che anche per quanto riguarda l'idrografia uno sviluppo di una certa consistenza esiste solo in Australia, data appunto l'estensione di questa isola-continente, e nella Nuova Guinea; la frammentazione insulare del resto dell'Oceania impedisce perciò una trattazione globale dei corsi d'acqua di questo continente). L'oceano è attraversato, lungo la linea dell'Equatore, dalla fascia delle convergenze intertropicali, verso la quale confluiscono i venti alisei nelle direzioni determinate dalla rotazione terrestre: cioè da NE nell'emisfero boreale, da SE in quello australe. Oltre la fascia equatoriale si entra nel dominio tropicale, caratterizzato dalla formazione di vaste e mobili aree anticicloniche che nel loro moto rotatorio seguono la linea degli alisei da un lato, dall'altro dirigendosi verso le aree polari di basse pressioni (sul fronte delle basse pressioni antartiche si crea un “salto” barometrico che dà origine a venti violenti, i Roaring Forties). Le condizioni generali dell'atmosfera hanno mutazioni stagionali in relazione agli spostamenti zenitali del Sole: così la fascia delle convergenze equatoriali si sposta a S o a N dell'Equatore e conseguentemente anche le aree anticicloniche si spingono più a S o a N, respingendo o allargando ritmicamente gli influssi delle masse d'aria d'origine polare. A questi spostamenti atmosferici si connette il regime delle precipitazioni, che ha andamenti ritmici anche nella fascia equatoriale, seppure in minor misura che in quelle tropicali. Nella fascia equatoriale piove in realtà quasi tutto l'anno, con accentuazione della piovosità nei mesi estivi: nelle Salomone si raggiungono i valori quantitativamente più elevati, pari anche a 6000 mm annui. In generale, però, si registrano intorno ai 3000 mm di piogge, che si riducono verso i margini della fascia, dove anche il regime delle precipitazioni ha un ritmo stagionale più netto, con valori compresi tra i 1500 e i 1000 mm annui , e con massimi di piovosità d'estate o d'inverno secondo che si passi dall'uno all'altro emisfero. Le precipitazioni annue si riducono notevolmente nell'Australia settentrionale, dove tuttavia il clima è regolato da diversi meccanismi: dall'anticiclone che vi staziona nei mesi dell'inverno australe e dagli scambi di tipo monsonico con i mari equatoriali dell'Indonesia, i quali però si fanno sentire in maniera assai ridotta nell'interno del continente. A S, come nella Nuova Zelanda, si entra in una fascia a clima temperato, investita, nei mesi dell'inverno australe, da venti umidi provenienti da E. Negli arcipelaghi del Pacifico la presenza dei rilievi emergenti dal mare, cioè da una superficie aperta al naturale moto delle correnti atmosferiche, fa sì che si abbiano condizioni di piovosità diversissime dall'uno all'altro versante: si possono registrare differenze anche molto marcate, fino a 1000-1500 mm (come a Tahiti e nelle Hawaii), passando dal versante sottovento a quello sopravvento. In senso altitudinale le differenze sono notevoli soprattutto nella Nuova Guinea, sulle cui cime si verificano anche precipitazioni nevose (a ca. 4500 m si ha il limite delle nevi permanenti), e nella Nuova Zelanda. Le temperature di tutta la fascia compresa tra i tropici sono relativamente costanti e ciò per l'azione esercitata dalle vaste masse acquee: tra i 10º S e i 10º N si hanno variazioni di appena un grado, con medie intorno ai 27 ºC; nella fascia dei tropici le escursioni termiche annue aumentano, arrivando fino a 4 ºC nelle Figi (da 22-25 ºC a 26-28 ºC). Nell'Australia, specie all'interno, le variazioni termiche sono invece di tipo nettamente continentale, da 12 ºC a 32 ºC (Alice Springs). Esercitano un rilevante influsso sul clima anche le correnti marine, legate alla circolazione dei venti: le correnti equatoriali del S e del N, divise dalla controcorrente equatoriale, si muovono all'altezza dell'Equatore, formando poi due grandi circuiti (in senso orario a N, antiorario a S) che lambiscono le coste australiane, est-asiatiche (allacciandosi alla Curoscivo) e americane (corrente della California a N, corrente del Perú o di Humboldt a S).

Flora

L'Oceania forma un'area floristica e faunistica distinta dagli altri continenti. La cosiddetta linea di Wallace (dal nome del naturalista che, esplorando l'Insulindia negli anni 1854-62, studiò accuratamente il fenomeno), che passa tra le Filippine e gli arcipelaghi orientali dell'Indonesia, corrisponde al limite di separazione delle specie vegetali e animali oceaniche e asiatiche. Naturalmente gli spazi oceanici, pur così vasti, non hanno mai impedito il diffondersi di specie vegetali (per esempio attraverso le correnti o gli uccelli ecc.). Esse presentano infatti specie comuni in tutta l'area oceanica e molte di esse sono originarie dell'Asia sudorientale (che anticamente un “ponte” terrestre, poi sommerso per l'innalzamento delle acque oceaniche, collegava alla Melanesia), ritrovandosi oggi specialmente nell'ambiente pluviale della Nuova Guinea. Tra le piante utili che si coltivano nell'Oceania molte sono originarie (si ritiene che il principale centro della loro diffusione sia stato la Nuova Guinea, più volte collegata, nel Pleistocene, con l'Australia, in corrispondenza dell'attuale stretto di Torres): tale è il caso della canna da zucchero, di alcune varietà di igname ecc. Pianta caratteristica dell'Oceania è il taro, che è sempre stato un importante alimento per le popolazioni isolane; tra le altre piante tipiche vi sono l'albero del pane, il pandano (Pandanus tectorius), di antica domesticazione, alcune varietà di banani tra cui il banano “Fehi” (Musa troglodytarum), anch'esso coltivato prima dell'arrivo degli europei. Questo per quanto riguarda l'ambiente equatoriale-tropicale, che nelle isole presenta lussureggianti foreste sui versanti meglio irrorati. Nell'Australia, dove il clima ha caratteri di aridità, prevalgono formazioni di tipo savanico, arbustivo (scrub), e le forme arboree presentano adattamenti particolari, com'è il caso dell'eucalipto, una pianta resistente, rappresentata da varietà diverse, che si è poi diffusa in tutto il mondo. Negli ambienti temperati compaiono le conifere, presenti anche in Nuova Caledonia con specie di araucarie (tra cui il pino di Norfolk).

Fauna

Presenta sviluppi ancor più caratteristici della flora. In tutte le isole del Pacifico mancano i grandi mammiferi e in Australia sono presenti solo i Marsupiali e i Monotremi, la cui irradiazione adattativa è stata precedente a quella dei Mammiferi Placentati ed è avvenuta in un'epoca in cui l'Australia si trovava ancora unita al continente americano, attraverso il quale è stata colonizzata; quando i Mammiferi Placentati, a loro volta irradiatisi, hanno sostituito i primi in quasi tutto il mondo, l'Australia era ormai separata dalle altre terre e non è stata da essi colonizzata. Le specie più rappresentative dei Mammiferi australiani sono l'ornitorinco, l'echidna (Monotremi), il koala (orso marsupiale) e il canguro (Marsupiali), quest'ultimo svolgente il ruolo del grande erbivoro di savana; esiste tuttavia una grande varietà di Marsupiali che presentano le stesse specializzazioni dei Mammiferi Placentati (riccio marsupiale, talpa marsupiale ecc.). Gli Uccelli, che annoverano, tra gli altri, il gigantesco moa, un corridore della Nuova Zelanda ora estinto, sono presenti con forme autoctone quali i casuari, gli emù e i kiwi. La fauna marina è straordinariamente ricca ma il suo aspetto più caratteristico è quello legato alle costruzioni insulari madreporiche. Le colonie di coralli trovano nelle acque calde (con temperature superiori ai 18-20 ºC si situano tra i paralleli di 32º S e 30º N) con buone condizioni di salinità e limpidezza, lontane dalle foci fluviali, il loro ambiente ideale. Esse non superano certe profondità (38 m) e quindi la loro presenza è nelle acque basse, cioè intorno alle sommità insulari dove, in associazione con alghe calcaree (Lithothamnion), danno origine agli atolli, numerosissimi nelle Tuamotu, o, lungo le coste, alle barriere. Unica nel suo genere è la Grande Barriera Corallina australiana (Great Barrier Reef), che si stende ininterrottamente per 2000 km, ospitando anche uno dei più straordinari ambienti ittici della Terra.

Ambiente

I vasti spazi non antropizzati dell'Oceania, di per sé, dovrebbero rappresentare un'isola felice in un mondo prepotentemente sfruttato da esigenze spesso di natura economica. Al contrario, anche in quest'area si evidenzia in maniera sempre più forte il segno tangibile della presenza umana. L'inquinamento globale sta colpendo in particolare uno dei più straordinari ambienti naturali conosciuti: la Grande Barriera Corallina australiana, soprattutto quella che per oltre 2200 km si estende lungo le coste del Queensland. Questo particolarissimo ecosistema, habitat naturale di ca. 1500 specie ittiche, è minacciato dalla pesca a strascico e dal transito delle imbarcazioni, ma secondo l'opinione di molti studiosi è soprattutto l'aumento della temperatura delle acque oceaniche (che si prevede possa arrivare nei prossimi decenni anche a 3-5 °C oltre i livelli attuali) a costituire il pericolo maggiore. Date le condizioni particolari dell'area, le foreste si trovano soprattutto nei tre grandi territori dell'Australia, della Nuova Zelanda e di Papua Nuova Guinea. In valore assoluto queste foreste subiscono da anni gli effetti di incendi devastanti, come quelli che nel febbraio del 2009, durante l'estate australe, hanno colpito la regione di Melbourne. Anche in questa area, con il mutare della sensibilità dell'opinione pubblica in merito alle tematiche ambientali, sono sorti diversi parchi naturali: oltre venti in Australia, 14 in Nuova Zelanda, una quindicina anche in Papua Nuova Guinea, senza contare i diversi parchi marini (uno dei quali protegge, benché con risultati insoddisfacenti, la Grande Barriera Corallina). Nelle isole dell'oceano Pacifico, soprattutto nei territori controllati dalle potenze europee e dagli Stati Uniti, per circa un cinquantennio si è dovuto assistere alle profonde ferite inferte all'ambiente dai numerosi esperimenti nucleari eseguiti nell'area, a partire dai test condotti dagli Stati Uniti nell'atollo di Bikini nel 1946 fino alle esplosioni a Mururoa effettuate dalla Francia nel 1996. Gli effetti sui suoli e sui fondali (molti di questi esperimenti sono infatti stati condotti negli abissi oceanici), oltreché, ovviamente, sulla vita dei residenti, sono notevoli e, in parte, ancora da analizzare. Altro fattore incidente per le politiche di salvaguardia dell'ambiente è dato dal ruolo del turismo, e dall'importanza assunta in anni recenti dai flussi registrati nei vari Paesi, sia per quanto riguarda le piccole isole, sia per quelle maggiori. Malgrado la presenza di ampi spazi e di “vuoti” antropici, questa intensa diffusione del turismo di massa, poco rispettoso dell'ambiente e delle culture locali, ha infatti compromesso la salvaguardia dell'habitat di specie marine e terrestri; i governi e le popolazioni locali hanno tuttavia iniziato a reagire, dimostrandosi maggiormente sensibili al tema della tutela ambientale. Proprio su questo versante, in questi ultimi anni sono state varate varie politiche a protezione e salvaguardia delle culture e dell'ambiente dei nativi. Significativa, soprattutto per via della storia pregressa caratterizzata da sfruttamento e discriminazione, è l'esperienza dell'Australia, che, con l'Indigenous Protected Areas Program, ha creato uno strumento per consentire alle popolazioni aborigene di curare e proteggere il proprio territorio garantendo nel contempo la possibilità di trasmettere la propria visione culturale riguardo il rapporto con la terra alle generazioni future. Nella cultura di questo popolo, la terra ricopre infatti un ruolo centrale: base per il sostentamento, essa è anche il fondamento della storia comune ed elemento intimamente legato alla spiritualità del popolo.

Geografia umana: le origini del popolamento

La vasta area che costituisce l'Oceania, comprendente regioni dalle caratteristiche molto diverse fra loro, venne popolata a più riprese a cominciare da tempi assai remoti: l'uomo moderno fu infatti favorito dall'instaurarsi di numerosi “ponti intercontinentali” di terre emerse di sicuro nell'ultima fase glaciale del Würm. I più antichi insediamenti finora riportati alla luce risalgono a oltre 36.000 anni fa, mentre quelli preistorici più recenti, attribuibili a micronesiani e polinesiani, non sembrano anteriori al IV millennio a. C. Oggi l'Oceania è popolata in prevalenza da tipi umani metamorfici sia del gruppo europoide (polinesiani , micronesiani), sia del gruppo australomelanesoide (papua, melanesiani, neocaledoni); i tipi umani principali, tutti appartenenti al gruppo australomelanesoide, sono ormai estinti (tasmaniani) o in via d'estinzione (australiani); nella Nuova Guinea esistono ancora piccoli gruppi di pigmoidi in parte meticciati con il tipo papuano, forse residuo di un popolamento assai antico di questa isola. Il lungo e relativo isolamento geografico ha favorito fino a tempi recenti il mantenimento non solo delle culture ancestrali ma anche dei caratteri somatici dei vari gruppi umani, il cui processo di metamorfismo risale certamente a data assai remota. I primi a colonizzare le terre emerse furono, con ogni probabilità, cacciatori nomadi pigmoidi provenienti dalle Filippine (forse 50.000-40.000 anni fa) che trovarono nelle lussureggianti regioni della Nuova Guinea delle sedi ideali. Contemporaneamente a questi, o di poco posteriori, seguirono genti australomelanesoidi, originarie probabilmente dell'Insulindia; cacciatori e raccoglitori, nonché abili pescatori, colonizzarono la Nuova Guinea, l'Australia, la Tasmania e forse la Nuova Zelanda. Essi si spinsero fin nelle grandi isole vicine all'Australia (melanesiani e neocaledoni), mentre alcuni gruppi toccarono anche isole più a est meticciandosi con i polinesiani, dei quali acquisirono alcuni elementi culturali e la lingua: furono questi che di certo casualmente, giunsero all'isola di Pasqua. Le numerose isole sparse nell'oceano Pacifico furono invece, in gran parte, popolate a partire dal IV millennio a. C., da genti con caratteri europoidi e leggere tracce mongoloidi, la cui origine non è stata ancora ben definita ma che alcuni studiosi ritengono debba essere collegata al grande flusso migratorio verso est (Americhe, Pacifico) di popoli paleoeuropei durante la fase finale della glaciazione Würm. Tipiche di queste ultime genti, dedite alla pesca e alla coltivazione, nonché abili marinai, erano le periodiche diaspore che frammentavano i clan originari spingendo i nuovi gruppi a cercare isole disabitate; il fenomeno era ancora in atto quando vennero a contatto con gli europei. Tra i papua costieri e i melanesiani sono ormai largamente diffusi le colture agricole e i costumi occidentali che hanno avuto molta influenza sul loro modo di vivere; costumi ancestrali sono in buona parte conservati dalle tribù papua dell'interno; polinesiani e micronesiani hanno invece adottato largamente costumi e modi di vita occidentali, e delle ancestrali usanze resta traccia solo nel folclore locale.

Geografia umana: il popolamento europeo dell’Oceania

Gli europei scoprirono relativamente tardi l'Australia. La straordinaria avventura di Magellano che per primo, in modo quasi incredibile per quei tempi e con quei mezzi a disposizione, raggiunse le Marianne (1521) provenendo dallo stretto che da lui ha preso il nome nell'apice meridionale dell'America, fu solo una riprova della sfericità della Terra, ma non ebbe alcuna conseguenza immediata sul piano delle scoperte, dato che il navigatore non segnalò nessuna isola nella grande attraversata, se non le Marianne. Le successive traversate del Pacifico, tutte compiute dall'America all'Asia, cioè da E a W (la direzione dei venti alisei contribuì molto, naturalmente), portarono via via alla scoperta dei vari arcipelaghi. All'esplorazione delle Indie si connette la scoperta dell'Australia, a lungo scambiata per l'ignoto continente australe e che solo con le successive esplorazioni, tra cui quelle di A. J. Tasman, fu riconosciuta e individuata nei suoi contorni. All'inglese James Cook, che compì ben tre spedizioni, si deve la definitiva conoscenza del Pacifico: tra il 1768 e il 1779 il grande navigatore inglese toccò le principali isole, approfondendo la conoscenza, anche scientifica, di questa parte del mondo. Ma il popolamento da parte degli europei delle terre oceaniche cominciò molto più tardi. Difatti le potenze marinare trascurarono a lungo queste isole, ritenute povere di risorse e troppo lontane. Gli spagnoli che per primi, con Magellano, penetrarono nel Pacifico, esercitarono il loro dominio sulle Marianne, non spingendosi oltre; essi furono seguiti poi dai portoghesi. Anche qui, come nell'Atlantico, la rivalità tra le due grandi potenze marinare portò alla designazione di una raya, cioè di una linea che separava le terre d'influenza spagnola (a 297 leghe dalle Molucche) da quelle d'influenza portoghese, ma questo limite non ebbe certo l'importanza assunta invece sull'opposto emisfero. Limitata fu anche l'azione espansionistica degli olandesi, che preferirono succedere ai portoghesi nel dominio della ricca Indonesia. La penetrazione europea, in sostanza, iniziò soltanto nel sec. XVIII per opera soprattutto degli inglesi e dei francesi, che proseguirono l'esplorazione delle terre oceaniche e dell'Australia, via via prendendo di esse possesso formale. Gli insediamenti che vi furono creati non ubbidivano però a programmi di colonizzazione ma erano basi commerciali e, soprattutto, colonie penali. Le prime colonie penali inglesi furono stabilite nel 1788 nell'isola di Norfolk e in Australia con la fondazione di Sydney, cui seguirono quelle di Perth (Australia), della Nuova Zelanda ecc. Nel frattempo il contatto tra europei e indigeni ebbe conseguenze disastrose per questi ultimi: si verificarono vere e proprie decimazioni, soprattutto a causa delle malattie importate, dell'alcol ecc. Vi contribuirono gli avventurieri, gli uomini fuggiti dalle colonie penali che dettavano legge spietata nelle isole, dove molti avevano anche avviato piantagioni di canna da zucchero. Si ebbero conseguenze demografiche allarmanti in numerose isole e soltanto l'intervento missionario servì a salvaguardare la stirpe di certi isolani (non di tutti, come nel caso della Tasmania). L'opera missionaria fu importante in tutta l'Oceania anche perché aprì la strada alla colonizzazione; essa fu soprattutto promossa da anglicani, nelle isole di dominio inglese, da cattolici, in quelle di dominio francese, da metodisti e altre chiese, nei territori statunitensi. L'avvio di attività commerciali e di piantagioni innescò le prime immigrazioni, che però interessarono in maniera consistente soltanto l'Australia e la Nuova Zelanda. La conquista europea fu scontata, facile, e poco o nulla tenne conto della presenza delle popolazioni locali, che solo in pochi casi (come nelle Figi, nella Nuova Zelanda ecc.) trovarono il coraggio di opporsi ai colonizzatori.

Geografia umana: lo sviluppo demografico

Secondo una stima del 2008, la popolazione dell'Oceania supera i 36 milioni di ab., di cui oltre 21 milioni stanziati in Australia. I Paesi a popolamento bianco dominante, l'Australia e la Nuova Zelanda, hanno tassi di accrescimento intorno all'1,2% annuo, che possono essere considerati elevati solo se confrontati con quelli tipici delle regioni europee; gli altri Paesi, sia la relativamente popolosa Papua Nuova Guinea (2,3%) sia gli arcipelaghi oceaniani di ben più minute proporzioni, presentano quasi tutti tassi di crescita più elevati, e spesso più che doppi, fino al 2,5% delle isole Salomone. I tassi di natalità, che per Australia e Nuova Zelanda sono compresi tra il 13,5‰ e il 15,1‰ (2007), superano viceversa il 20‰ in gran parte delle isole minori e il 28,8-29,2‰ a Papua e nelle Salomone, dove peraltro la mortalità infantile è piuttosto elevata, in particolare rispetto ai valori dell'Australia (il cui dato è 4,7‰). La densità media sull'intera Oceania si aggira attorno ai 4-5 ab./km², valore molto basso che si spiega soprattutto con il grande vuoto umano dell'interno dell'Australia: la popolazione è infatti concentrata sui bordi dell'immensa isola, e particolarmente nella frangia sudorientale, e la la densità media del grande Paese è pari a 3 ab./km². L'organizzazione dello spazio australiano è in effetti molto elementare e risente della relativamente recente colonizzazione del Paese. Essa poggia su centri costieri, all'inizio semplici passaggi obbligati del popolamento, divenuti poi città con funzioni portuali al servizio delle fasce agricole costiere e dei centri minerari interni, sviluppatisi infine anche industrialmente. Le città che hanno svolto in posizione egemonica tali funzioni hanno assunto aspetti e dimensioni di moderne metropoli, come Sydney, che ha ormai quasi 4,5 milioni di ab., Melbourne, Brisbane, Adelaide e Perth. L'accentuato sviluppo dell'urbanesimo dell'Australia, forzatamente assente negli arcipelaghi del Pacifico, è indice dell'avanzata organizzazione economica e territoriale di questo Paese, che non ha certo esaurito le sue capacità di contenimento umano. Basse densità (non superiori ai 15 ab./km²) si ritrovano nella Nuova Guinea e nelle altre isole della Melanesia, dove l'inserimento dei bianchi non riesce molto facile (anche per le condizioni climatiche), mentre la popolazione locale non è ancora uscita, o solo da poco, dalle sue tradizionali forme di vita e di economia. Una situazione diversa si ha nella Nuova Zelanda, con un popolamento bianco, britannico soprattutto, che ha occupato tutte le zone più favorevoli e ha creato un'organizzazione fondata anche qui su un urbanesimo moderno e funzionale, che interessa ormai ben l'85% della popolazione: la città di Auckland (438.100 ab.) aveva visto negli anni Settanta del Novecento una tumultuosa crescita pari al 135%, per giungere al 12% negli anni Novanta e mantenersi stabile negli anni Duemila. Nelle rimanenti isole del Pacifico si hanno condizioni di popolamento estremamente varie. Vi sono arcipelaghi dove la popolazione è costretta a migrare per mancanza di risorse (come Wallis e Futuna) o perché attratta da condizioni di vita e di lavoro migliori. Così una delle isole che è meta di un moto migratorio dai Paesi più poveri è la Nuova Caledonia, economicamente attiva grazie alle sue risorse minerarie: è uno dei massimi produttori mondiali di nichel. Ci sono poi isole popolatissime come Nauru, che ha la più elevata densità dell'intera Oceania (479 ab./km²), grazie alle sue riserve di fosfati, destinate però in breve a esaurirsi. Notevoli densità hanno anche le isole economicamente favorite in virtù della loro dipendenza dagli Stati Uniti, come le Samoa Americane (per distinguerle dalle Samoa Occidentali, indipendenti dal 1962) e Guam, mentre la Polinesia francese ha il suo fulcro nelle Isole della Società e in particolare Tahiti, dove Papeete (circa 200.000 ab.) è da considerarsi una tipica espressione dell'urbanesimo in Oceania, con le sue funzioni di scalo aereo e di centro turistico e con le sue modeste attività produttive. Un discorso quasi analogo vale per le Hawaii, che ospitano ca. 1.300.000 ab. e la cui organizzazione territoriale è legata da un lato alle moderne piantagioni tropicali, dall'altro all'urbanesimo di Honolulu (ca. 400.000 ab.), città anch'essa con funzioni turistiche e di grande scalo aereo: a dimostrazione stessa dei limiti che la moderna organizzazione economica e territoriale trova negli arcipelaghi del Pacifico. Per quanto concerne i movimenti migratori provenienti dall'esterno, l'Australia ha scelto di limitarne l'entità e di regolarne la composizione (soprattutto dei flussi provenienti dai Paesi asiatici, come Indonesia e Cina, oltremodo popolosi), così da restare Paese “bianco”, tuttora dotato di notevoli capacità di popolamento – nonostante la presenza della grande area desertica interna – non saturate. Più complessa la situazione della Nuova Zelanda: fino ai primi anni Novanta, la crisi economica e la conseguente forte crescita della disoccupazione ha indotto a limitare drasticamente gli ingressi, anche in considerazione dell'accentuato dinamismo naturale delle comunità immigrate, con piramide dell'età a base assai larga (netta prevalenza delle classi infantili e giovani), in contrasto con l'invecchiamento della popolazione bianca (piramide “a fuso”, con prevalenza delle classi intermedie, tipica dei Paesi a demografia “matura”), cui comincia a tendere anche la componente maori (piramide “a salvadanaio”, con un primo restringimento alla base). Rimane depresso il livello dei servizi sociali, un po' in tutti i microstati: l'istruzione spesso non va oltre il grado elementare e talora non lo raggiunge neppure; la sanità è precaria e la speranza di vita non supera in genere i 60-65 anni.

Economia

Gli immensi spazi vuoti che caratterizzano la singolarissima geografia dell'Oceania sono elementi di fondamentale importanza per quanto concerne l'economia del continente. Questa è nata, in termini moderni, nell'epoca coloniale, in funzione quindi dello sfruttamento più rapido e più facile delle risorse naturali dell'Oceania; le attività economiche si sono ovviamente concentrate nelle zone più favorevoli, in particolare nell'Australia meridionale e nella Nuova Zelanda, aree entrambe dotate di molteplici disponibilità sia di contenimento umano, sia di potenzialità produttive agricole, zootecniche e minerarie. Australia e Nuova Zelanda hanno così conosciuto un'evoluzione economica rilevante e a grandi linee analoga, che dalla fase pionieristica, basata sullo sfruttamento zootecnico e per l'Australia anche minerario, si è poi potenziata in funzione dell'agricoltura e infine è passata, in rapporto altresì al crescente urbanesimo, a un sempre più preponderante ruolo dell'industria. Ciò vale particolarmente per l'Australia, che ha da tempo raggiunto un dinamismo produttivo d'impronta statunitense, tanto da situarsi oggi ai primissimi posti fra le potenze mondiali (il PIL pro capite era pari a 47.400 dollari nel 2008), così come si colloca fra i Paesi più avanzati del mondo quanto a livello di vita (la classifica dell'ISU, Indice di Sviluppo Umano, colloca l'Australia al quarto posto al mondo); anche la Nuova Zelanda comunque può vantare una posizione economica e sociale di tutto rispetto (nella classifica ISU è ventesima), benché a partire dalla seconda metà degli anni Settanta del Novecento non siano mancate le ripercussioni di una crisi economica mondiale che, in quest'area, è stata negativamente influenzata anche dai meccanismi di funzionamento della politica economica (in particolare quella agricola) della CEE, fortemente limitanti le importazioni da Paesi terzi. Nel resto dell'Oceania gli sviluppi sono stati in genere esigui, soprattutto per la limitatezza delle superfici e delle ricchezze naturali; nella Nuova Guinea, isola di ragguardevole estensione e dotata di molteplici risorse, è stato invece l'ambiente equatoriale a costituire un grave ostacolo alla colonizzazione europea, ritardando sensibilmente l'introduzione di moderne strutture produttive: la stessa indipendenza, che per di più riguarda unicamente la sezione orientale dell'isola, è stata conseguita solo nel 1975. Le condizioni economiche dell'Oceania rivelano quindi nel loro interno una frattura profondissima, che non ha eguali in nessun'altra parte del mondo: da un lato si hanno due Stati ricchi, prosperi, efficienti, di stampo prettamente occidentale; dall'altro una miriade di arcipelaghi e di isole disseminati nel Pacifico, il cui livello di sviluppo economico è veramente basso. Eppure prima della colonizzazione europea l'economia dell'Oceania presentava caratteri di grande uniformità. La popolazione si dedicava essenzialmente all'agricoltura per uso locale (si coltivavano soprattutto piante da tubero, come il taro, l'igname e la batata, oltre al banano, all'albero del pane e alla palma da cocco) e alla pesca, che forniva la maggior parte delle proteine di origine animale, mentre molto stentato era in genere l'allevamento del bestiame. L'azione coloniale si è esplicata eminentemente nel potenziamento delle attività primarie, ma non è stata omogenea, anzi si è attuata molto spesso con modalità assai differenti da Stato a Stato: di conseguenza, ha influito più o meno incisivamente sullo sviluppo delle isole. Per quanto riguarda l'introduzione di una più moderna agricoltura, l'azione francese, per esempio, è stata generalmente meno solerte di quella britannica. Nei possedimenti inglesi, d'altronde ben più estesi, si è avuta un'evoluzione economica non molto diversa da quella di altre isole tropicali dell'Oceano Indiano o delle Antille, caratterizzata dall'avvio delle piantagioni di canna da zucchero. Anche sul piano politico, la presenza britannica si è dimostrata più incisiva, in quanto tutte le colonie, a eccezione della piccola isola di Pitcairn, sono oggi degli Stati indipendenti. Vi sono però territori ancora soggetti ad amministrazione statunitense o europea, che, per la loro rilevanza strategica, beneficiano di consistenti sostegni economici, ma hanno dovuto sottostare in cambio a decisioni traumatiche come l'attuazione degli esperimenti nucleari francesi in Polinesia (è il caso di quanto avvenuto nei pressi dell'atollo di Mururoa fino al 1996). Il processo di decolonizzazione, in Oceania, non è stato accompagnato da adeguate forme di assistenza allo sviluppo dei nuovi Stati indipendenti: così, alcuni di essi si sono avventurati in operazioni improbabili, come nel caso emblematico di Nauru, che ha tentato di impiegare i proventi delle vendite di fosfati con investimenti immobiliari in Australia, finanziari in Giappone e persino culturali (opere teatrali) in Gran Bretagna, dall'esito scontatamente negativo. Altri squilibri derivano dall'eccessiva incidenza mantenuta, sulle esportazioni, da talune produzioni minerarie (rame a Papua Nuova Guinea e nichel nella Nuova Caledonia, oltre agli stessi fosfati di Nauru) e dalla mancanza di strategie unitarie, per cui, per esempio, Tonga ha accettato di ospitare, dietro forte compenso, un deposito di scorie tossiche statunitensi, mentre il Giappone preme per localizzare un grande centro di stoccaggio e raffinazione del petrolio a Palau e un centro industriale polifunzionale nelle Christmas. Emergono così – ricordando anche le numerose sperimentazioni nucleari compiute, in passato, dagli statunitensi nelle Marshall e la comunque massiccia presenza di basi militari, a cominciare dalle Hawaii – problemi di salvaguardia ambientale tutt'altro che irrilevanti, nonostante gli ampi spazi e i grandi “vuoti” antropici che caratterizzano il continente. A tali problemi i governi e le popolazioni locali si dimostrano sempre più attenti e sensibili (fatte salve le eccezioni di cui sopra), pur se il mosaico politico ed etnico, tanto variegato quanto frammentario, non favorisce – in questo come in altri campi – l'assunzione di determinazioni comuni. Le reazioni internazionali agli esperimenti francesi della metà degli anni Novanta hanno fatto escludere per il futuro l'utilizzazione dell'area pacifica come poligono atomico e permane, per la maggior parte dei Paesi, il rifiuto di ospitare scorie nucleari in superficie o sul fondo del mare, anche a fronte di offerte economiche assai interessanti. La salvaguardia dell'ambiente è essenziale anche per lo sviluppo delle potenzialità turistiche, di grande rilevanza economica e sociale. Nonostante le lunghe distanze dai principali bacini di utenza, il fenomeno va assumendo caratteri non più esclusivamente di élite, riguardando centinaia di migliaia di presenze annue, organizzate da tour operator europei, americani e giapponesi. Come in altre regioni in via di sviluppo, è attraverso il turismo che le comunità autoctone sono entrate direttamente a contatto con le espressioni di società avanzate e profondamente differenti; finora, tuttavia, ciò è avvenuto nella classica forma di strutture ricettive prevalentemente estranee al contesto locale e di rapporti economici lontani da una reale integrazione. È evidente che il globale sviluppo delle terre oceaniche poggia in modo decisivo sull'incremento delle comunicazioni, in particolare di quelle aeree; nuovamente è l'Australia a trovarsi nelle condizioni più favorevoli. Già nel corso degli anni Ottanta, essendosi sensibilmente accresciuta anche l'integrazione dell'Oceania nell'economia mondiale, con l'effetto di fornire motivi di abbandono delle società locali minori ai soggetti più giovani e intraprendenti, proprio l'Australia (e, sia pur in minor misura, la Nuova Zelanda) ha attratto quantità crescenti di immigrati dal resto del continente, a dimostrazione del consolidamento del ruolo trainante che essa ha assunto nel quadro del Pacifico meridionale nonostante la penetrazione economica esercitata dal Giappone (presente come acquirente di materie prime e licenziatario di diritti di pesca). L'economia dell'Oceania trova le sue migliori prospettive nella nuova centralità dell'area pacifica: ne sono interessate la fascia costiera occidentale dell'America Settentrionale e quella orientale dell'Asia, con particolare riferimento alla Cina e ai cosiddetti NIC (Newly Industrializing Countries), oltre al Giappone. Il ruolo dominante, anche in questi rapporti, è detenuto dall'Australia, dove la ripresa economica – dopo la crisi intercorsa tra gli anni Ottanta e Novanta – è stata consistente (tasso di crescita del PNL pari al 4,4% nel 1999; che si è mantenuto costante per i primi anni del Duemila, segnando ancora nel 2008 un più 2,1%) e, tutto sommato, il Paese ha retto meglio di altri il contraccolpo della crisi economica internazionale deflagrata a partire dal 2008, addirittura sventando il pericolo della recessione. Inoltre questo Paese ha assunto la leadership nei rapporti con l'Asia orientale, operando investimenti nel Sud-Est (Thailandia, Laos, Viet Nam) ed esprimendo solidarietà commerciale al Giappone nei confronti degli Stati Uniti. Il trattato con la Nuova Zelanda (CER, Closer Economic Relation), poi, dà maggiore peso alle trattative con l'ASEAN, anche se i contatti con i Paesi membri di questa associazione rimangono ancora alquanto limitati. In particolare il settore agricolo, penalizzato dagli accordi interni all'Unione Europea e al WTO (World Trade Organization), vede l'Australia impegnata a capeggiare un gruppo di Paesi asiatici e sudamericani, comprendente, fra gli altri, Indonesia, Argentina e Brasile. Il significato degli indicatori economici, nell'intero ambito dell'Oceania, è reso del tutto relativo, ancora una volta, dalle enormi disparità territoriali, demografiche e socio-culturali. Alla fine degli anni Novanta, tuttavia, si è delineata una situazione strutturale riassumibile su quattro livelli. Il primo include gli Stati che, per estensione territoriale, risorse naturali e infrastrutture, appaiono dotati di qualche capacità autopropulsiva: così Papua Nuova Guinea, Figi, Salomone, Nuova Caledonia e Vanuatu; ciascuno di essi ha un'agricoltura sviluppata, risorse ittiche di rilievo, risorse minerarie e altre risorse naturali e infrastrutture turistiche di buon livello. Il secondo livello comprende, invece, territori di superficie media (come gli Stati federati di Micronesia, le Samoa Occidentali e Tonga), con terre adatte all'agricoltura, mercati interni di una certa consistenza, ma strutture turistiche limitate. Per alcuni aspetti la Polinesia Francese potrebbe essere classificata in questo livello, ma si differenzia per la sua dispersione geografica e per il PIL più elevato, dovuto in larga parte alle sovvenzioni elargite dalla Francia in seguito all'utilizzazione del suo territorio per le sue sperimentazioni nucleari. Nel terzo livello rientrano numerose isole remote, con un'agricoltura povera e con scarse risorse naturali, come le isole Cook, Kiribati, Niue, Tokelau, Tuvalu, Wallis e Futuna, dipendenti pressoché totalmente dagli aiuti stranieri e dalla rimesse degli emigrati. Nel quarto livello, infine, si possono classificare microstati che compensano la loro minuscola dimensione con qualche altra risorsa: è questo il caso di Nauru, mentre le Samoa Americane fondano la propria ricchezza sulle industrie legate alla pesca. Le isole micronesiane in amministrazione fiduciaria o associate agli Stati Uniti (Guam, Marianne Settentrionali) sfruttano, invece, la loro importanza strategica e godono di consistenti sostegni economici. Nell'ambito delle attività produttive va sviluppandosi sempre più il turismo internazionale, reso possibile dal ribasso delle tariffe aeree e dall'organizzazione di tour operator europei, americani e giapponesi. Honolulu, Suva (Figi), Papeete (Polinesia Francese) sono divenute importanti scali delle linee aeree, che fanno capo agli aeroporti del Sud-Est asiatico, in particolare del Giappone, a quelli dell'Australia, della Nuova Zelanda, degli Stati Uniti. Da queste isole si dirama una fitta rete di collegamenti aerei a breve e medio raggio che copre tutto il Pacifico. In crescita anche i collegamenti marittimi, basati soprattutto sulla navigazione crocieristica e sulla pesca sportiva.

Storia

Rapida fu l'acquisizione dell'Australia alla corona britannica. Iniziata la colonizzazione della vasta area continentale nel 1788, nel 1826 l'intero Paese venne considerato sottoposto alla sovranità della Gran Bretagna. La Nuova Zelanda sembrò in breve avviarsi allo stesso destino, ma qui la resistenza dei Maori apparve più tenace, tanto che intorno al 1830 il colonizzatore inglese E. G. Wakefield riuscì a convincere il governo di Londra a trattare con gli indigeni. Si giunse così al Trattato di Waitang (1840) che faceva della Nuova Zelanda un dominio della corona, garantendo ai Maori il rispetto delle proprietà tribali. La colonizzazione avvenne tuttavia molto al di fuori dello spirito del trattato e comportò la sistematica spoliazione degli indigeni e il massacro di un gran numero di essi. Intanto, nelle isole dell'immenso bacino oceanico, si diffondevano le missioni cattoliche e protestanti, francesi, americane e inglesi. Ma contrariamente a quelle protestanti britanniche, le missioni francesi si appoggiavano fortemente al governo di Parigi, animate da un autentico spirito di crociata contro il protestantesimo. Queste si insediarono a Gambier (1834), Tahiti (1836), Marchesi e Nuova Zelanda (1838), Samoa e Nuova Caledonia (1843), Figi (1844); ben presto la loro intransigenza portò a serie complicazioni internazionali, come a Tahiti dove finirono per essere espulse a opera dei protestanti. La Francia (1838) reagì energicamente minacciando un intervento armato e le conseguenze dell'incidente si trascinarono per anni, fino all'estensione del protettorato francese sull'isola (1843). Pochi anni dopo (1853) la Francia occupava anche la Nuova Caledonia, mentre gli Stati Uniti si insediavano progressivamente nelle Hawaii. Dopo il 1850 entrò in lizza anche la Germania, che occupò le Samoa e si insediò nella Nuova Guinea provocando un serio attrito con la Gran Bretagna, composto soltanto nel 1885. A parte le Figi, dichiarate colonia inglese nel 1874, il resto dell'Oceania fu spartito (non senza qualche altro contrasto) tra Gran Bretagna, Francia, Germania e Stati Uniti tra il 1885 e il 1900. Le Nuove Ebridi venivano dichiarate un condominio nel 1887. Dopo la I guerra mondiale, i possessi germanici furono divisi tra Giappone da una parte e Gran Bretagna, Australia e Nuova Zelanda dall'altra. Dopo la seconda guerra mondiale, i territori già tedesco-giapponesi (Marianne, Caroline, Marshall) sono stati trasferiti in amministrazione fiduciaria agli Stati Uniti e dichiarati “zona strategica” sottoposta al controllo del Consiglio di Sicurezza. In effetti, essi completano e rafforzano il sistema strategico degli USA imperniato su Guam, le Samoa orientali, le isole Midway e l'atollo di Wake. Il movimento di indipendenza dagli Stati europei, iniziato in Asia e Africa, si era esteso anche all'Oceania. Tra il 1962 e il 1980 diventavano indipendenti le Samoa Occidentali (1962), Nauru (1968), Tonga e Figi (1970), Papua Nuova Guinea (1975), isole Salomone (1978), isole Ellice (ora Tuvalu, 1978), Gilbert (ora Kiribati, 1979), Nuove Ebridi (ora Vanuatu, 1980), mentre le Hawaii diventavano il 50º Stato degli Stati Uniti (1959) e la parte occidentale della Nuova Guinea, già olandese, divenivano, con il nome di Irian Occidentale (Irian Jaya), provincia dell'Indonesia (1969); solo dal 1986 gli Stati Federati di Micronesia divenivano un'entità autonoma e sovrana, pur legata agli Stati Uniti da un accordo di libera associazione fino al 1990 quando l'ONU dichiarava conclusa l'amministrazione fiduciaria degli Stati Uniti. A tale sistema collaboravano fino alla metà degli anni Ottanta la Nuova Zelanda e l'Australia, che vedevano per quasi quattro decenni le loro sorti legate a quelle degli Stati Uniti; i tre Stati si univano infatti nell'immediato dopoguerra nel patto del cosiddetto ANZUS, provandone quindi la virtuale dissoluzione nel corso degli anni Ottanta proprio in concomitanza di una incipiente presa di coscienza di talune problematiche comuni del continente, e segnatamente della sua componente microinsulare: firmato nel 1951, questo accordo aveva avuto la funzione di rafforzare sul piano militare, in un periodo di confronto a distanza fra le superpotenze oggi superato, i vincoli politico-economico-sociali, che avevano portato alla creazione nel 1947 della “Commissione per il Pacifico meridionale”, di cui erano entrate a far parte anche la Francia e i Paesi Bassi (ritiratisi questi nel 1962, subentravano nel 1964 le Samoa Occidentali). Con la metà degli anni Ottanta, dopo che la Nuova Zelanda, facendosi portatrice delle istanze pacifiste e dell'orientamento antinucleare dell'opinione pubblica, rompeva di fatto i propri legami in campo militare con gli Stati Uniti (vietando l'attracco di navi statunitensi con armamento nucleare), tale Paese e l'Australia tendevano a proporsi come poli d'aggregazione per gli Stati minori della regione partendo da temi d'interesse ambientale, la cui rilevanza risultava peraltro connessa in parte alla condizione geopolitica locale, in parte alla fragilità dell'ambiente insulare tipico dell'Oceania (Trattato di Rarotonga per la denuclearizzazione, proposte sulla salvaguardia dell'Antartide ecc.). Nell'ultimo decennio del sec. XX rimaneva invece sostanzialmente immutato il quadro delle dipendenze ereditato alla fine degli anni Settanta, se si esclude la sovranità acquisita nel 1986 degli Stati Federati di Micronesia. Una conferma di questa situazione era fornita dall'esistenza, ancora nell'imminenza del terzo millennio, di varie Oceanie: britannica, francese, statunitense, indonesiana e cilena. Delicata si presentava la condizione della Nuova Caledonia, Territorio Francese d'Oltremare dove la dipendenza dalla madre patria, pur confermata da un referendum nel 1987, era fortemente contestata da un Fronte Kanak, particolarmente attivo nel perseguire la piena sovranità del Territorio. Nel 1998 il governo francese concludeva un accordo con il Kanak in base al quale si prevedeva un periodo di transizione (di almeno 15 anni) in vista di un referendum sull'indipendenza dell'arcipelago. Altrove, il progressivo disimpegno nell'area del Pacifico meridionale delle potenze occidentali determinava l'emergere di una diffusa conflittualità. Paradossalmente, infatti, la fine del confronto fra Occidente e Paesi comunisti, riducendo il ruolo strategico delle isole del Pacifico, ne aveva anche ridotto il margine di manovra politica, riaccendendo antichi e recenti squilibri. Una nuova instabilità che solo in parte poteva essere affrontata con gli strumenti offerti dagli organismi di cooperazione regionale esistenti: la Comunità del Pacifico, istituita nel 1947 (come Commissione per il Pacifico del Sud), che riuniva i territori allora non del tutto indipendenti e gli Stati che li amministravano, e il Forum del Pacifico meridionale, nato nel 1971 come associazione dei Paesi indipendenti dell'area. Ciò consentiva all'Australia e alla Nuova Zelanda di assumere appieno il ruolo di potenze regionali. Cresceva giocoforza, all'interno dei due più grandi Stati oceanici, una maggiore consapevolezza dei diritti delle popolazioni originarie conculcati nel periodo di colonizzazione. Un'accresciuta sensibilità che portava l'Australia a legiferare (1993) sul diritto di proprietà degli aborigeni sulle terre demaniali. Anche in Nuova Zelanda, il lungo contenzioso avviato dai Maori sull'indennizzo per le terre confiscate dai colonizzatori, trovava uno sbocco nel 1995 con l'emanazione di una legge con la quale, oltre al risarcimento economico, si provvedeva alla restituzione degli oltre 18.000 ettari di proprietà demaniale. Nel contempo i due Paesi erano costretti a gestire crisi locali sovente dalle dimensioni minuscole, ma non per questo meno pericolose per il loro potenziale destabilizzante e per la loro sempre maggiore frequenza. Pressoché ovunque, allo scadere del secondo millennio, la frammentata nebulosa delle piccole isole-nazione dell'Oceania era agitata da golpe militari, rivolte, guerre civili, movimenti armati separatisti, tensioni etniche e religiose che avevano già scandito la storia dei vicini arcipelaghi indonesiano e filippino. Un'eccezione in tal senso rappresentavano ancora, per la loro persistente rilevanza strategica e i conseguenti afflussi finanziari, le isole micronesiane in amministrazione fiduciaria o associate agli Stati Uniti (Guam, le Marianne settentrionali e le Samoa americane) e quelle sotto sovranità australiana (Norfolk, Lord Howe e isole del Mar del Corallo), neozelandese (le Cook, Niue e Tokelau), britannica (Pitcairn) e cilena (isola di Pasqua). Ma il resto del continente oceanico appariva all'inizio del 2000 afflitto dai mali dell'instabilità governativa, come accadeva a Nauru, a Tuvalu e a Vanuatu, o da quello ben più grave dei conflitti etnici. Tale il caso delle Figi, dove si sviluppava un'opposizione armata contro il predominio politico ed economico della minoranza d'origine indiana, della Papua Nuova Guinea, alle prese con i separatisti dell'isola di Bougainville, e delle isole Salomone, teatro di gravi disordini tra gli autoctoni e gli immigrati provenienti dalla vicina isola di Malaita.

Religione

L'Oceania è per la storia delle religioni un importante orizzonte dell'etnologia religiosa classica e fornisce nel contempo utilissimi elementi per studiare la formazione di miti al momento del suo impatto culturale con l'Occidente. A essi contribuirono i diversi popoli del continente e delle isole, ognuno con caratteristiche proprie: i Melanesiani introdussero il concetto di mana, che servì agli studiosi di storia delle religioni del sec. XIX a capire gli aspetti positivi del soprannaturale. Da questo sostanzioso sostrato emergono i miti cosmogonici e l'unione del Cielo e della Terra. Nella Polinesia si trova una classe sacerdotale organizzata, che manca invece fra i Melanesiani e i Micronesiani. In Melanesia fioriscono le società segrete; in tutta l'Oceania sono numerosi gli stregoni e i riti, dove la religione è ancora in stretto connubio con la magia. Il culto dei morti è fondamentale in zone ristrette della Melanesia, mentre trova maggiore spazio in quelle della Polinesia; in tutta l'Oceania però le onoranze funebri si svolgono con riti elaboratissimi e dappertutto è diffusa la credenza della forte influenza dei morti sui vivi; in Melanesia questa credenza è in stretta relazione con i lavori agricoli (per esempio la festa dell'anno nuovo vede uniti assieme i riti della fertilità con la commemorazione dei defunti). Vittime umane erano sacrificate in Polinesia, mentre in Melanesia numerosi erano i cacciatori di teste ed era praticato il cannibalismo rituale. All'inizio del sec. XIX gli abitanti dell'Oceania videro i primi manufatti dell'industria occidentale: nell'impossibilità di addentrarsi nei segreti della manifattura, perché immersi ancora totalmente in una concezione agricola, gli indigeni attribuirono a queste merci poteri occulti e sorsero, per esempio in Melanesia, i cargo-cults (culti delle merci), commistione di temi tradizionali (fecondità della terra, culto dei morti e riti dell'anno nuovo) e di concetti importati (messianesimo e profetismo d'impronta giudaico-cristiana). I nativi elaborarono i nuovi dati radicandoli nell'humus dei loro antichi riti per trarne movimenti religioso-politici a carattere antieuropeo (o meglio anticolonialistico). Sorsero profeti che imposero la cessazione di ogni lavoro nell'attesa che dall'Occidente (il Paese dei morti) arrivasse un bastimento carico di merci, guidato dai morti o da un Messia, che avrebbe distribuito a tutti il necessario, schiudendo a essi un periodo di splendore. In Melanesia il nuovo culto si caratterizzò come una pacifica attesa messianica; in Polinesia operò una fusione degli antichi dei indigeni con quelli cristiano-giudaici e questa diede coesione alla ribellione armata contro i colonialisti europei; nella Nuova Guinea sorsero il culto del toro e quelli del Mambu e del Kozeri; nelle isole Salomone fiorì il culto Masinga; le Nuove Ebridi conobbero il culto John Frum; nelle isole Figi il tema dei “morti salvatori” si tramutò nell'aspettativa di un Cristo millenarista. Ancora nelle isole Figi il culto tuka unificò elementi melanesiani con altri polinesiani in un coacervo di messianismo degli antenati, ribellione armata e avvento di un dio salvatore (il Geova dell'Antico Testamento). A Tahiti e nelle Isole della Società trionfò il culto Mamaia, in cui Cristo rinasce nella persona del dio Oro. In Polinesia primeggiò il culto Hau-Hau, fin dal lontano 1826, portando a sanguinose guerre contro i colonialisti: i tradizionali Tane e Yo furono rivestiti delle caratteristiche del Geova dell'Antico Testamento; i riti erano pregni d'impeto mistico e sollecitavano al combattimento per la liberazione del “nuovo Israele”. Ultima versione del culto Hau-Hau fu il culto Rigo Tu, con alla base il monoteismo yahwistico, un'elevata moralità e un approssimativo messianismo cristiano.

Linguistica

Il vasto dominio linguistico dell'Oceania comprende: le lingue indonesiane, melanesiane e micronesiane, polinesiane che formano la grande famiglia linguistica maleopolinesiana o austronesiana; le lingue papua; le lingue indigene dell'Australia; le lingue tasmaniane. Secondo il linguista e antropologo francese P. Rivet tutte le lingue dell'Oceania formerebbero un gruppo coerente da cui sarebbero derivate anche alcune lingue amerindiane dell'America Meridionale. I vari tentativi fatti per accostare le lingue oceaniche, o alcune di esse, ad altri gruppi linguistici non hanno finora raggiunto risultati sufficientemente validi e sicuri.

Letteratura

L'Oceania, considerata per una breve analisi letteraria nei tre grandi gruppi principali (Australiani, Melanesiani e Polinesiani), offre un panorama letterario differenziato e più interessante soprattutto per quanto attiene al gruppo polinesiano. Miti e leggende sono all'origine delle tradizioni orali pervenute fino a noi. Come in tutte le civiltà anche la mitologia oceanica tenta una vasta spiegazione del mondo. Si può anzi parlare di cicli e di generi raggruppanti diversi racconti. Si tratta di un'arte semplice: i generi si rifanno esclusivamente al “meraviglioso” con riferimento alle opere degli “esseri dell'invisibile” e alla potenza del sovrannaturale. I cicli sono invece più liberi. Essi hanno come protagonisti rappresentanti dei clan familiari, come quello di Tuban, la figlia primogenita di un capo, simbolo della perennità del gruppo nella potenza del matriarcato. Su questo stesso schema esistono anche cicli del figlio minore, di colui che avendo pochissimi o nessun diritto è, giocoforza, astuto e sottile. Altri cicli sono legati agli spiriti della natura, come quello del totopiok, il mitico, peloso spirito dei boschi, o agli animali presi a simbolo e a mediazione, come il serpente, simbolo di iniziazione, o il pescecane, mediatore tra i vivi e i defunti, o a concezioni cultuali, come il ciclo del cannibalismo. Patrimonio specifico dei Melanesiani, oltre a canti rituali, sovente patrimonio di clan, sono innumeri sentenze e proverbi. Ma le più ricche tradizioni letterarie appartengono ai Polinesiani. Essi, giungendo negli arcipelaghi con ogni probabilità dall'Asia sudorientale, conservarono molto della lingua originale, ma persero buona parte delle originarie tradizioni e cognizioni, creando però un genere letterario tutt'altro che primitivo. La letteratura orale religiosa era tramandata dalla classe degli Areoi, casta ereditaria di nobili-artisti che viaggiavano di isola in isola per mantenere e diffondere la fede, il cui centro di irradiazione era l'isola di Raiatea. La stessa casta non disdegnava rappresentazioni erotiche di un verismo sconcertante. Splendidi esempi di poesia rimangono ancora a testimonianza della profonda vena dei Polinesiani, accentuata dalla lingua piana e dolce, dalle parole semplici le cui sillabe sono formate con l'addizione di una sola consonante o vocale. Nelle poesie circostanziali (kapa) esistono alcuni brani veramente lirici, mentre la poesia d'amore è ricca di immagini dolcissime. I miti polinesiani sono di un'incomparabile ricchezza e complessità. Le avventure di dei come Tangaroz (il dio supremo), Atea, Papa, Tu, Oro, Rongo fanno parte di narrazioni interminabili. Ogni dio fornisce materia per un ciclo narrativo che trova varianti e anche contraddizioni di isola in isola. I cicli venivano abitualmente declamati al ritmo di un accompagnamento musicale cui facevano da contrappunto invocazioni simili a preghiere. Nei racconti e nelle leggende, popolati di eroi, spiriti, avi, il fantastico si mescola al reale secondo una tradizione squisitamente orientale e non di rado queste storie hanno intenti didattici e moralistici. Poemi e canzoni erano strettamente uniti. Famoso fra tutti il ciclo dell'eroe Maui e di sua sorella Hiua, la dea bianca. Spesso, allo scopo di tramandare le loro credenze e i loro canti, i Polinesiani si affidavano a un'organizzazione collettiva, i cui membri venivano alloggiati in case speciali (per esempio le Oho au delle isole Marchesi) dove vivevano segregati per un mese ed erano sorvegliati dal tuhuna o’ono, l'esperto di leggende. A contatto con la civiltà dei colonizzatori, la cultura polinesiana, che alcuni studiosi vogliono in un certo senso addirittura superiore alle letterature europee del Medioevo, è andata perdendosi. Si va tuttavia affermando una letteratura indigena, che si ispira alle antiche tradizioni e che ha trovato con Ou-Tomo il suo più alto cantore, mentre sono fiorite, in tutte le terre colonizzate, le letterature di lingua inglese. Ovunque esse si sono sviluppate sugli ideali e le tradizioni letterarie della madrepatria, creando tuttavia anche filoni autoctoni, come in Australia, dove si è affermata, con radici profonde, la letteratura popolare e rurale del bush, alla quale si ricollega il premio Nobel Patrick White che, nato in Gran Bretagna da genitori australiani, ha scelto l'Australia come sua patria, la terra dei grandi spazi, degli smarrimenti psicologici, del confronto fra la natura e l'uomo. Per questa letteratura, eco ingigantita di un'antica cultura europea, si rimanda il lettore, come per le altre manifestazioni d'arte (teatro, musica, cinema) alle voci dei singoli Paesi.

Arte

La grande varietà e complessità delle manifestazioni artistico-culturali dell'Oceania si devono essenzialmente a due importanti fattori di diversificazione: il primo di tipo razziale, poiché il popolamento del continente fu determinato in momenti successivi da diverse ondate migratorie; il secondo di tipo fisico, dovuto alla differente morfologia delle isole dell'Oceania. Infatti la Nuova Guinea, la Nuova Zelanda e le altre isole maggiori formano a ovest la cosiddetta “fascia insulare interna”, dove la presenza di catene montuose e di foreste rende l'ambiente vario e ricco di legname, materia prima per eccellenza di queste isole. La “fascia insulare esterna” conta invece isole piccole e sempre più distanziate (la più orientale è l'isola di Pasqua), di origine vulcanica, povere di legno, dove vengono usati materiali quali la pietra, l'osso, la conchiglia. La diversa disponibilità di materiale costituisce quindi il primo elemento di differenziazione degli oggetti d'arte. Per uno studio delle forme artistiche l'Oceania viene suddivisa in tre grandi aree – Melanesia, Polinesia, Micronesia – all'interno delle quali vengono distinte province stilistiche, la varietà e il numero delle quali testimoniano della scarsa omogeneità artistica all'interno di ciascuna area. Tuttavia per ciascuna delle tre grandi aree sono individuabili particolarità che caratterizzano l'ambito culturale e, di conseguenza, l'insieme delle manifestazioni artistiche. Nella Melanesia, che per le più complesse vicende del suo popolamento presenta una diversificazione di stili maggiore, tutte le forme d'arte sono rappresentate, ma prevale la plastica lignea iconografica. La figura umana, che del resto è una costante di tutta l'arte dell'Oceania, è strettamente connessa al culto dei morti: si rappresenta l'antenato, reale o mitico, per controllarne il potenziale magico-sacrale. E tali rappresentazioni vanno dagli stereotipati korwar del NW della Nuova Guinea, alle figure “a becco” del bacino del Sepik, alla massiccia policroma plastica dell'isola di Tami fino ai fantasiosi, decoratissimi malanggan della Nuova Irlanda e alle gigantesche figure-palo delle Vanuatu. Al culto dei morti sono legate altresì le maschere, che non di rado hanno impiego nei rituali delle società segrete. L'arte bidimensionale ha le sue manifestazioni più rilevanti in Nuova Guinea, nelle pitture su tapa della baia di Humboldt e del lago Sentani, nella raffinata decorazione a intaglio della provincia di Massim. Il prevalere della bidimensionalità è tipico altresì dell'arte papua. All'emotività dell'arte melanesiana si contrappone la compiutezza formale polinesiana e micronesiana. In Polinesia primeggia la decorazione, con prevalenza di motivi geometrici iterati, che non di rado stilizzano i tratti della figura umana. Tale decorazione interessa prevalentemente clave e bastoni di comando (isole Figi, Tubuai, Samoa, Tonga, Marchesi) ed è eseguita a intaglio e in rilievo. La decorazione pittorica è principalmente applicata alla tapa. La plastica lignea assume le forme più significative in Nuova Zelanda. Sviluppata è l'arte plumaria (Hawaii). La Micronesia è, delle tre, l'area artisticamente meno ricca, anche perché la natura corallina delle sue isole limita il materiale disponibile. Prevale la decorazione a intaglio e l'intreccio di stuoie. Gli esempi di arte tridimensionale sono limitati a Palau e raggiungono le forme più significative con le sculture “a testa d'uovo” di Nukuoro. Le uniche maschere della Micronesia sono quelle, dipinte e raffinatissime, di Mortlock. Caratteristiche della Micronesia, di cui rappresentano un unicum, le armature vegetali complete, intrecciate tenendo conto anche di effetti decorativi. A parte sono trattate le forme d'arte dell'Australia.

Bibliografia

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Per l’arte

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