Lessico

Sf. [sec. XVI; dal latino architectūra].

1) Arte e tecnica di ideare, progettare e realizzare edifici e opere consimili di destinazione pratica o estetica (giardini, arredamenti, ecc.): facoltà di architettura; architettura civile, architettura militare; architettura navale, scienza e tecnica delle costruzioni navali.

2) Opera architettonica: questa città ha splendide architetture. Anche stile, struttura architettonica: architettura di un edificio. § In diritto, la tutela delle opere architettoniche, propugnata nei congressi internazionali e nelle associazioni professionali, è stata ufficialmente riconosciuta sia dalla dottrina sia dalle varie legislazioni. La costruzione architettonica è infatti il risultato di un'attività mentale creatrice e come tale è naturalmente oggetto di tutela del diritto d'autore.

3) Il complesso delle opere architettoniche di un determinato luogo, periodo, stile: architettura persiana ,architettura del sec. XX, architettura barocca.

4) Per estensione, la particolare disposizione degli elementi che costituiscono un insieme organico; schema, struttura: l'architettura dell'universo, di un poema.

5) Nella tecnica della stampa e dell'editoria, architettura grafica, lo stesso che progettazione grafica.

6) In informatica, struttura di un sistema di elaborazione vista a livello di sintesi.

Il concetto di architettura: generalità

Per architettura si intende l'attività volta alla modificazione dell'ambiente fisico in relazione alle esigenze esistenziali dell'uomo. Tale aspetto del “processo di antropizzazione dell'ambiente naturale” presenta difficoltà di definizione, essendo molteplici e disomogenei gli elementi che concorrono alla sua essenza. Come tutte le altre arti, l'architettura ha subito le più disparate e originali definizioni, per cui, al di là dei vari modi di accostarsi al fenomeno architettonico, considerato di volta in volta nei suoi aspetti spaziali, costruttivi, magico-mitici, simbolici o puramente funzionali, sarà bene desumere dalla storia della cultura estetica le definizioni del concetto di architettura più importanti e significative.

Il concetto di architettura: antichità e Medioevo

Lo spazio dedicato all'architettura dal pensiero estetico in generale e dalla trattatistica specialistica è notevolmente variato nelle diverse epoche. Si può dire che in tutta l'antichità, e per quasi tutto il Medioevo, l'idea centrale dell'estetica sia stata la ricerca dell'“a priori”, del canone che tende a tipizzare leggi di ritmo e di armonia ritenute valide e riscontrabili in tutte le arti. In Platone, se numerosi sono i richiami e le definizioni riguardanti pittura e scultura, scarso è l'interesse diretto per l'architettura. Egli postula nel Politico una concezione di architettura teorica, il cui seguito si noterà solo molto più tardi. Con l'aristotelica “fondazione delle categorie”, si fa strada una distinzione logica nella triade “bello, piacevole e sublime” alla quale si rifarà poi Vitruvio (ante 27 a. C.). Aristotele stesso però, pur escludendo dalle arti la manifestazione architettonica, le riconosce grande utilità e la dice “genere illuminato dalla ragione”. Vitruvio è il primo autore che nella sua opera tratti esclusivamente di architettura, definendola attraverso la triade firmitas, utilitas, venustas (solidità, utilità e bellezza), qualità, queste, necessarie a ogni costruzione (De Architectura). Nei secoli successivi si è continuato a riformulare la genesi dell'architettura evidenziando l'apporto dei singoli maestri, esaltando o criticando i concetti vitruviani, esaminando le varie applicazioni della statica e della tettonica, confrontando tra loro monumenti di ogni epoca e stile alla ricerca delle caratteristiche comuni, sottolineando infine ora gli sviluppi della tecnologia ora i valori globali dell'edificio. L'architettura, come argomento di speculazione estetica, non suggerisce molto al pensiero medievale, tanto da esser posta fra le artes mechanicae, accanto all'agricoltura e alla nautica. Nel sec. IV, attraverso l'opera di Sant'Agostino, si va configurando il mito di un'“architettura teorica” che viene definito legando la prassi “a canoni superiori e a concezioni aprioristiche dei principi compositivi” (Schlosser). Non si troveranno richiami diretti all'architettura in San Tommaso o nei filosofi della scuola di Chartres, ma un grande storico dell'arte, E. Panofsky (Gothic Architecture and Scolasticism, 1956), ha dimostrato che i maestri delle cattedrali gotiche, pur non avendo letto i testi degli scolastici, partono tuttavia da comuni “meccanismi di pensiero”. Molto diffusa sarà, inoltre, nel Medioevo la pratica dell'inventario dei monumenti e degli edifici diparticolare valore storico.

Il concetto di architettura: dall'Umanesimo all'Illuminismo

Le teorie e la storiografia architettoniche trovano nella trattatistica dei sec. XV e XVI uno dei momenti più fervidi e fecondi. Leon Battista Alberti (De re aedificatoria) antepone a qualsiasi definizione dell'architettura il suo valore sociale, dando particolare importanza alla figura dell'architetto, non più l'operarius medievale, bensì colui che “saprà con l'opera recare a fine tutte quelle cose, le quali si possono con grande dignità accomodare benissimo all'uso degli huomini”. Francesco di Giogio Martini riporta tutta la sua conoscenza e il suo impegno morale nell'esperienza dell'architettura, anche se nel redigere il suo trattato (1482) asserisce non esservi autorità più valida di Vitruvio. È nel Cinquecento, e soprattutto nella seconda metà del secolo, che la diffusione universale della trattatistica e i canoni da essa fissati creano un nuovo modo di intendere e fare architettura. Basterà qui ricordare le due vie intraprese dalla cultura: da un lato l'istituzionalizzazione del lessico architettonico (Vignola), dall'altro l'esplorazione curiosa e inquieta dei margini di eresia permessi da tale lessico (Serlio). Un posto a parte occupa Palladio, che chiude la schiera dei grandi teorici italiani e invita a una lettura della sua produzione e dell'antichità “nell'unico modo possibile per un atto soggettivo che voglia porsi come modello di comportamento: in un manifesto fondato sull'esperienza personale di progettazione” (Tafuri). Durante il Seicento, nel clima aulico-celebrativo del barocco, assistiamo, particolarmente in Francia, con le grandi sistematizzazioni linguistiche di Blondel e Perrault, alla definizione di una “grammatica generale” e quindi di un “sistema di significati connessi con l'architettura in relazione a coloro che li fondano. La psicologia, la società, l'uomo, entrano a far parte dei ragionamenti sull'architettura” (Tafuri). Le accademie sosterranno, a cavallo dei sec. XVII e XVIII, che le qualità dell'architettura dovranno essere “nobile semplicità e convenienza”. È solo inoltrandosi nel Settecento che si va delineando, con la ricerca della “verità” e della naturalezza in architettura, un atteggiamento tipicamente illuminista (cfr. l'affermazione di C. Lodoli, che dice essere l'architettura “scienza pratica e diretta a stabilire con raziocinio il buon uso delle proporzioni e degli artefatti”). Molte le voci che in Europa si pronunciano sull'architettura reagendo allo stile barocco e a quello rococò. E mentre il Lodoli e il Lomazzo sono i massimi sostenitori della derivazione del bello dalla utilitas vitruviana, con le opere del Piranesi (dal 1745), del Mengs, del Winckelmann (Pensieri sull’imitazione dell’arte greca, 1755) si configura un rigoroso stile interpretativo dei modelli desunti dalle forme classiche dell'arte greca e romana, giustificandone la superiorità nell'applicazione della ragione (Milizia, Principi di architettura civile, 1781). È dai monumenti più famosi dell'antichità greca e romana e più ancora dagli esempi rinascimentali di Palladio, Scamozzi, Vignola ecc. che gli architetti neoclassici attingono per le loro costruzioni senza per questo rinunciare all'originalità come quella dei progetti dei francesi Boullée e Ledoux.

Il concetto di architettura: XIX, XX e XXI secolo

Nella cultura ottocentesca, prima romantica e poi positivistica, l'architettura sarà intesa come manifestazione atta a rappresentare le istanze etico-religiose della civiltà cristiana o la nascita delle nazionalità. La più vistosa conseguenza del Romanticismo fu, inizialmente in Inghilterra e poi nel resto d'Europa, il neogotico. Pugin afferma nei Contrasts (1836) e nei True Principles of Christian Architecture (1841) una più forte validità del gotico rispetto al “greco”, per il valore etico-religioso della matrice cristiana, teoria questa condivisa anche da Ruskin. Più approfonditi studi e interpretazioni della “strutturalità” gotica compiono il francese Viollet-le-Duc, che tenta di rendere operante la sua lettura del passato, con un processo di “attualizzazione della storia, per renderla duttile strumento di azione” (Tafuri), e il tedesco G. Semper con il suo dare, in pieno clima positivista, “valore generale e pretesa estetica all'interpretazione tecnica” (Zevi). Ma la svolta determinante che si ha nel sec. XIX è con l'affermarsi, in Germania, della filosofia dell'Einfühlung (empatia) ben presto arricchitasi con la critica della “Pura visibilità”. Tali concezioni, attraverso l'indagine della nuova situazione psicologica dell'uomo entro lo spazio e il suo conseguente giudizio visivo-formale delle strutture architettoniche, hanno rappresentato infatti una condizione favorevole per l'approfondimento delle teorie e della critica d'arte intorno alle problematiche dell'architettura. È alla fine dell'Ottocento che la speculazione estetica sull'architettura, ricollegandosi all'estetica dell'Einfühlung, individua con Schmarsow e poi Sörgel la teoria della Raumgestaltung intesa come “raffigurazione spaziale dinamica dell'uomo nel rapporto con lo spazio reale e con quello ‘costruito' in cui rientrano ritmo e tempo”. Uno dei compiti più gravosi della storiografia contemporanea è stato quello di “riportare l'interpretazione spaziale dal limbo della categoria superpersonale alla concretezza storica, agli architetti e alle loro specifiche opere” (Zevi). Diamo ora alcuni cenni sui temi attualmente affrontati dal pensiero sull'architettura. Le scuole semantiche americane e i contributi di Plebe, Anceschi, Pagliaro e Garroni denunciano la crisi dell'estetica tradizionalmente intesa e propongono di fronte all'architettura un atteggiamento storicistico che vuol determinare volta per volta un ambito variabile per lo studio dei problemi. Da molte parti viene sollevata l'esigenza di un recupero di rigore nella teorizzazione dell'architettura. La critica anglosassone, con Collins, Alexander, Asimow, e alcuni teorici italiani, quali A. Rossi e G. Grassi, pongono come istanza la ricerca di una nuova istituzionalità del linguaggio architettonico e il problema del controllo dell'immagine nel contesto sociale. Alcune correnti strutturaliste hanno auspicato la scissione fra storia e critica dell'architettura (cfr. C. H. Norberg-Schulz). Anche nell'ambito dello storicismo si nota l'accoglimento di alcuni particolari temi dello strutturalismo negli studi di G. C. Argan, C. Brandi, R. De Fusco. Alla sempre più grave e avvertita crisi dell'architettura come disciplina progettuale ha corrisposto negli ultimi decenni del sec. XX un sempre maggior approfondimento dell'analisi storica, con nuovi illuminanti recuperi dei fenomeni del passato. “Il libro di storia dell'architettura accanto al tecnigrafo sul tavolo da disegno non è soltanto una brillante immagine inventata dalla critica per raffigurare la condizione presente, ma è un preciso riferimento ad una nuova dimensione della cultura, intervenuta con maggior convinzione in questi anni ad illuminare il campo della ricerca progettuale” (Dardi). Il XXI secolo si apre sotto il segno dell'ibridazione, con progetti che si pongono come un'alternativa alla tendenza omogeneizzante della globalizzazione: l'architetto olandese Rem Koolhaas affronta bene nei suoi scritti Delirious New York (1978) e S, M, L, XL (1995) il tema della modernità nella sua antitetica estraneità alle regole dell'architettura tradizionale. La modernità contrappone all'integrità la frammentazione, alla contemplazione la fruizione dinamica, alla sincerità strutturale la scissione tra interno e esterno. “La modernità dà vita a una sommatoria di credenze non più legate a un ideale unificante” (Rem Koolhaas). Lo stesso architetto olandese conia nel 2006 il termine Junkspace riferendosi allo spazio-spazzatura che domina nelle nostre città citando come esempio i grandi supermercati diventati i luoghi di ritrovo, le piazze della società contemporanea.

Storia: antichità e Medioevo

Limitando la nostra attenzione all'Europa, è nell'architettura greca che si trovano le radici delle forme classiche, espresse canonicamente negli ordini. Il Partenone (sec. V a. C.) o i templi della Magna Grecia dimostrano un'altissima coscienza della plasticità della forma o, per dirla con Pevsner, “un'intensità dell'elemento corporeo che non è stata mai raggiunta nella sua presenza viva e immediata da nessun monumento architettonico dei tempi successivi”. La carica di intellettualismo che i Greci hanno immesso nella loro architettura è visibile nell'applicazione di alcune regole fisse, alle quali ogni singola esperienza costruttiva fa riferimento e tenta di adeguarsi: i tre ordini architettonici dorico, ionico e corinzio, sebbene essi “non siano modelli completamente determinati, ma regole ideali che possono tradursi concretamente in molti modi diversi” (Benevolo). In epoca successiva, con il progressivo espandersi dell'Impero Romano e il conseguente intensificarsi delle attività edilizie, la struttura liberamente plastica dell'architettura greca viene contaminata e nella ininterrotta costruzione di edifici, monumenti, templi, archi di trionfo, colonne, terme, mercati, basiliche, vengono messe a punto e inventate soluzioni compositive e nuove tecniche costruttive talmente eterogenee e duttili da adattarsi perfettamente alle varie condizioni ambientali e sociali. Dal Tabularium al Pantheon, dal Colosseo al Palazzo di Spalato l'architettura romana si propone come un'autentica “enciclopedia” morfologica. Nel sec. IV anche l'architettura risente dei drammatici rivolgimenti politico-sociali esplosi nel basso impero; il modo di concepire lo spazio e gli impianti architettonici in auge nei sec. II e III va mutando attraverso deformazioni stilistiche che portano a concezioni più leggere, “di impronta niente affatto romana” (Pevsner). Il diffondersi nell'impero del pensiero orientale con il suo portato di sincretismo religioso, culti mitraici, giudaismo, manicheismo e infine con il trionfo del cristianesimo relega l'edificio pagano a testimonianza del passato, dando vite a soluzioni tipologiche originali in cui il nuovo impianto architettonico si lega in ogni sua singola parte a motivi simbolici e allo svolgimento della liturgia. Il risultato è quello di avviare la costruzione di nuovi luoghi di culto come le basiliche o ecclesiae tra le quali si segnalano per importanza le basiliche costantiniane del S. Sepolcro a Gerusalemme, della Natività a Betlemme e le quattro basiliche romane. La semplicità planimetrica delle prime chiese, edifici longitudinali, suddivisi in navate da filari di colonne con un'unica apertura su di un lato corto cui corrisponde frontalmente l'abside, va complicandosi nel sec. VI quando, in piena età giustinianea, a Bisanzio compare una seconda tipologia costruttiva, sicuramente in relazione con gli edifici romani a pianta centrale voltati a cupola (Pantheon, Tempio di Minerva Medica) che verrà copiosamente sperimentata tanto in Oriente che in Occidente. L'apice di tali ricerche è raggiunto a Bisanzio con S. Sofia e la chiesa dedicata ai SS. Sergio e Bacco, e a Ravenna con S. Vitale. In questi edifici “la superficie muraria sfugge dal centro, si lancia elasticamente verso l'esterno in un moto centrifugo che apre, rarefà e dilata lo spazio interno” (Zevi). La preziosità dell'involucro interno trattato a tessere di mosaico rimanda alla percezione di uno spazio dilatato e irreale. Mentre in Grecia le formule giustinianee, perdendo forza, si vanno congelando in espressioni architettoniche che rimarranno praticamente immutate fino alla conquista turca, e in Russia continueranno ad alimentare una tradizione nazionale fino alla soglia dell'epoca barocca, tra i sec. VIII e X si assiste in Occidente a un mutamento della concezione dei fenomeni artistici al quale sicuramente concorre, in modo significativo, il contatto con le popolazioni barbariche sempre più presenti entro i confini della latinità. In architettura ciò significa un ritorno alla solidità costruttiva della tradizione latina, sottolineata dall'abbandono del cromatismo orientale, e a una netta preferenza accordata a materiali bruti “usati con un'immediatezza primordiale di grande efficacia espressiva” (Zevi). Tutta l'Europa occidentale, esclusa la Spagna araba, abbraccerà lungo i sec. X, XI e XII il nuovo stile che si esprimerà sempre più anche nell'architettura civile. Dalle grandi cattedrali saliche di Germania, come il Duomo di Spira e quello di Treviri, a quelle dell'Inghilterra normanna (Durham, Winchester ed Ely), ai numerosi complessi monastici su terra francese (Borgogna, Aquitania, Île-de-France) e spagnola. In Italia le variazioni regionali si manifestano con costruzioni in cui, accanto a soluzioni di volta in volta originali, sono rintracciabili le caratteristiche costitutive dello stile romanico: dimensioni molto ampie, piante elaborate con aumento del numero di cappelle e grandi cori, uso di pietre correttamente sbozzate (conci), archi a tutto sesto, presenza di torri e campanili ecc. S. Ambrogio a Milano, le cattedrali lombardo-emiliane, il Duomo di Pisa, la Toscana comunale ne sono solo alcuni esempi mentre più complessi da interpretare, perché sintesi di diverse culture e tradizioni, sono le realtà di S. Marco a Venezia che guarda all'Oriente greco e armeno, delle costruzioni federiciane in Puglia o lo splendore dell'architettura normanna in Sicilia. È dall'Île-de-France che nel sec. XII si propaga nelle regioni circostanti una nuova lezione stilistica: il gotico, fatto di volte a costoloni, pilastri compositi, rosoni e ampie vetrate policrome, archi rampanti, altezze vertiginose sospese su muri sottilissimi: “L'organismo romanico si snellisce e si tende e, nei tre secoli successivi, fino in pieno Cinquecento, in Francia, in Inghilterra e in Germania raggiunge il parossismo della tensione, un fascio di ossa, fibre e muscoli. Il sogno di scarnificare, di negare le parti e di stabilire una continuità spaziale tra esterno e interno parve realizzato” (Zevi). Molto meno significative e numerose sono le testimonianze dell'architettura gotica in Italia, dove la presenza della tradizione classica condiziona e limita il lessico d'oltralpe che rimane solo una delle componenti della nostra architettura, come si vede nei maestosi esempi del Duomo di Orvieto e della chiesa di S. Francesco di Assisi. "Per approfondire Vedi Gedea Arte vol. 4 pp 46-107" "Per approfondire Vedi Gedea Arte vol. 4 pp 46-107"

Storia: dall'Umanesimo all'Illuminismo

Il Rinascimento si afferma in Firenze all'inizio del Quattrocento, uscendo da una situazione preparatoria durata almeno due secoli. Brunelleschi è la prima grande personalità che con la sua opera inaugura un atteggiamento e una produzione di importanza estrema nella storia architettonica europea. Autori come L. B. Alberti, Francesco di Giorgio Martini, Filarete, estendono, consolidano e rendono scientifiche le intuizioni e le interpretazioni della classicità operate nei primi del Quattrocento, divulgando la cultura toscana in Italia. Lo Zevi (Saper vedere l'architettura) individua tutto lo sforzo della Rinascenza nell'accentuare il controllo intellettuale dell'uomo sullo spazio architettonico. Col mutamento che si va producendo nella cultura architettonica in cui, già nelle ultime formulazioni della corrente albertiana, si trovano “motivi culturalistici e archeologici”, si passa dal primo al pieno Rinascimento. Da questo momento, nell'ambiente della Roma di Leone X “ha inizio l'archeologia in senso accademico, atteggiamento mentale estremamente diverso da quello degli ammiratori dell'architettura romana nel Quattrocento”. Bramante, Raffaello, Peruzzi, i Sangallo, sono solo alcuni dei nomi più brillanti del primo Cinquecento romano. Già a Roma, dove accorrevano numerosi anche gli stranieri, fra cui primi gli spagnoli Berruguete, Siloé e Machuca, autentici comprimari del Rinascimento italiano e primi realizzatori di pure formule classiciste in Spagna, si nota che le tendenze a sovvertire la norma e il prevalere di drammatiche o talvolta ironiche deformazioni personali vanno delineando il clima proprio del manierismo. Poco dopo la morte di Raffaello e le contemporanee, drammatiche svolte politiche di Roma, Giulio Romano col suo arrivo a Mantova, oltre a raggiungere la definizione di alcuni dei più importanti temi del manierismo (deformazione sistematica delle regole già elaborate dal lessico classicista, immissione di contenuti ironici nell'architettura), influenza l'opera di Sanmicheli e Serlio. Quest'ultimo, con la divulgazione trattatistica e il suo trasferimento in Francia alla corte di Francesco I nel 1540, è l'iniziatore al classicismo di buona parte della cultura d'oltralpe. La scuola di Fontainebleau, con Serlio, Primaticcio e Rosso Fiorentino, fa subire un notevolissimo balzo in avanti in senso qualitativo ai temi rinascimentali già penetrati nei Paesi settentrionali. Philibert Delorme, Pierre Lescot e Jean Bullant gettano le basi per la completa assimilazione del classicismo. In Germania, Boemia, Polonia, ugualmente si diffondono i temi manieristici, deformandosi ulteriormente al contatto con le persistenti tendenze di survival gotico, dando luogo a monumenti come la loggia di Landschut, il padiglione del Belvedere a Praga, le architetture fantastiche di un Dietterlin e quelle di fastosa monumentalità di un Cornelis Floris ad Anversa. Il manierismo salirà ancora più a nord, sulle rive del Baltico, e già a Seicento iniziato si diffonderà nella società mercantile anseatica. La Spagna elabora, subito dopo la scomparsa delle “Águilas del Renacimiento” (i cui lasciti architettonici più interessanti sono il palazzo di Carlo V a Granada, opera di Machuca, e la cattedrale della stessa città dovuta a Siloé), una severa versione controriformista delle ricerche della prima metà del secolo, con la personalità di Herrera. Palladio, Michelangelo, Vasari, Vignola, Ammannati, Buontalenti sviluppano problematiche di estrema pregnanza. Basta ricordare realizzazioni come le michelangiolesche Biblioteca Laurenziana e cupola di S. Pietro, le ville palladiane, il modello gesuitico del Vignola, le creazioni neomedievalistiche del Buontalenti per avere idea della complessità dei fenomeni affrontati da questi architetti. Alla fine del Cinquecento l'Europa è matura per dividersi nelle due strade nelle quali si scinderà la cultura secentesca. “Michelangelo... non poté abbandonare lo spazio cinquecentesco in nome di un nuovo tema, ma lo alterò, ne sovvertì, nel dramma più grande della storia architettonica, i volumi e le mura. Posta in crisi la scatola muraria, si fermò, ma aveva spalancato la strada allo spazio barocco. Il barocco è liberazione spaziale, e liberazione mentale dalla regola e dall'antitesi fra spazio interno ed esterno” (Zevi). Ai primi del Seicento ancora da Roma partirà un movimento universale, che si diffonderà dalla Russia all'America Latina: il barocco. Maderno e i suoi seguaci G. Bernini, F. Borromini e Pietro da Cortona sono gli insuperabili maestri della nuova sensibilità. “Il Bernini ha esercitato una forte influenza sull'architettura del tardo barocco tedesco, benché più come scultore che come architetto. Ancora più importante fu Borromini. Però più significativo fu l'esempio di Guarini” (Pevsner). Complicate configurazioni, sotto le quali si individuano considerazioni matematiche e filosofiche, pareti ondulate concave-convesse e sorprendenti innovazioni nella tecnica costruttiva delle coperture sono solo alcuni salienti motivi della problematica guariniana. La Germania meridionale cattolica e le terre dell'Impero, nella rinsaldata situazione politica dopo le catastrofiche conseguenze della guerra dei Trent'anni, vedono dall'ultimo ventennio del Seicento fino alle soglie del neoclassicismo, con l'attività di Fischer von Erlach, von Hildebrandt e i loro continuatori nel rococò (B. Neumann, i fratelli Asam, i Dientzenhofer e Jan Aichel in Boemia), una delle loro più portentose stagioni d'arte. Nella Russia del Settecento il barocco e il rococò assumono con l'opera di D. Trezzini, N. Michetti, B. Rastrelli un interessante aspetto, innestandosi sulle tradizioni russo-bizantine. La Spagna, elaborando una versione particolare fatta di decorativismo sfrenato ed effetti luministici di alta drammaticità, diffonde il barocco in tutta l'area coloniale latino-americana. Quanto alla Francia e all'Inghilterra, l'una concreta il classicismo barocco di F. Mansart, Le Vau, Perrault e poi di Jules Hardouin Mansart in aulici sistemi (Versailles, gli Invalidi, Vaux-le-Vicomte), e l'altra con C. Wren, N. Hawksmoor, Vanbrugh si allinea nell'aderenza allo scientismo e alle sue interpretazioni. In Wren “la commistione del codice principale accettato (quello del classicismo palladiano filtrato attraverso l'opera di Jones) si unisce alle più svariate fonti linguistiche, in uno scontro rivolto a saggiare la validità delle pretese universalistiche del classicismo” (Tafuri). La stessa cultura britannica, continuando la tradizione empirica nel corso del Settecento e dell'Ottocento, inaugura atteggiamenti revivalistici in cui si alternano classicismo e romanticismo goticheggiante. Gli stessi Wren e Hawksmoor nei loro interventi dimostrano che volta per volta si possono adottare soluzioni linguistiche differenti a seconda delle situazioni. Il Settecento inglese propone mode stilistiche dal gotico alla classicità ellenica, nelle opere di Chambers, degli Adam, di Campbell, nelle realizzazioni palladiane di Lord Burlington. La Francia illuminista, e ancor prima J. A. Gabriel, si volge a un linguaggio figurativo più classico rispetto all'epoca precedente. La fondazione intorno al 1770 della Scuola di ponti e strade dà luogo alla fioritura sette-ottocentesca della grande ingegneria legata alla nascita della civiltà industriale. C.-N. Ledoux, E.-L. Boullée e Thomas de Thomon sono i maggiori architetti dell'Illuminismo. In Inghilterra Soane e Nash sono gli interpreti di nuove concezioni spaziali applicate all'urbanistica. "Per approfondire Vedi Gedea Arte vol. 5 pp 36-95" "Per approfondire Vedi Gedea Arte vol. 5 pp 36-95" "Per approfondire Vedi Gedea Arte vol. 6 pp 12-75" "Per approfondire Vedi Gedea Arte vol. 6 pp 12-75"

Storia: la rivoluzione industriale

L'era napoleonica vede il trionfo del neoclassicismo dalla Russia alla Spagna. Le grandi capitali europee come Londra, Parigi, Berlino e Pietroburgo, subiscono in questi anni interventi riqualificanti di alto livello. Il Romanticismo diffonde durante la Restaurazione il culto del gotico come la più diretta espressione di spiritualità cristiana, che viene sostenuta nell'Inghilterra vittoriana dalla dottrina di Pugin e Ruskin, e in Francia dalla passione del restauro dei monumenti di Viollet-le-Duc. L'ingegneria dei ponti ferroviari in ferro e dei grandi palazzi per esposizione entra di pieno diritto nella cultura figurativa ottocentesca. Il Secondo Impero definisce lo spazio a scala di grande intervento urbanistico: la Parigi di Haussmann, la Vienna trasformata dall'apertura della Ringstrasse e la Barcellona del piano Cerdá (1859) sono il retaggio di questa concezione della metropoli. Le teorie di Ruskin hanno con W. Morris un loro sbocco nella pratica: la sua volontà di realizzare un nuovo stile, in opposizione agli sviluppi tecnici industriali, si risolse poi, col movimento delle Arts and Crafts, in un fattore fondamentale per la nascita del movimento moderno. È quasi nello stesso periodo che la cultura americana con H. H. Richardson e il neoromanico di Chicago si affaccia con autorevolezza nel mondo architettonico. “Il più importante contributo americano alla nascita del movimento Moderno è il grattacielo e precisamente nella forma assunta a Chicago fra il 1884 e il 1894, dove W. Le Baron Jenney e L. Sullivan forniscono espressioni audaci e artisticamente sensibili. Alla fine del secolo “lo stile liberty fece la sua apparizione a Bruxelles in piena maturità e naturalezza con la casa di V. Horta in Rue P. E. Jeansan” (Pevsner), diffondendosi poi ampiamente con diversificazioni nazionali nel Modern Style inglese, nello Jugendstil in Germania, dalla Svezia ai Balcani. Le variazioni di Mackintosh e il modernismo catalano di A. Gaudí e di Doménech y Montaner occupano un posto a parte, così anche la Secessione viennese, per le loro particolari caratteristiche. In Francia i pionieri del Movimento Moderno si identificano facilmente in A. Perret e T. Garnier. Ma solo la Germania e l'Austria in questi primi anni del sec. XX acquistarono maggiore importanza della Francia e dell'America. Gli architetti viennesi O. Wagner e J. Olbrich diventano famosi in ambito internazionale, mentre i più importanti per le loro premesse decisamente moderne sono J. Hoffmann e A. Loos.

Storia: l'utopia del moderno

È all'inizio del sec. XX che P. Behrens dimostra con la costruzione della fabbrica di turbine della AEG a Berlino (1909) “la dignità architettonica della costruzione industriale”. A Behrens si affianca W. Gropius, che con la costruzione delle officine Fagus (1910-11) e i fabbricati dell'esposizione del Werkbund a Colonia nel 1914 crea due fra i più significativi apporti all'architettura contemporanea. Terminata la I guerra mondiale si moltiplicano in Europa le ricerche e le sperimentazioni in campo architettonico e nelle arti applicate. E se isolate al proprio ambito nazionale rimangono le mirabili invenzioni dell'espressionismo di F. Höger, H. Poelzig, E. Mendelsohn (torre osservatorio Einstein, Potsdam 1920) e del costruttivismo sovietico di Tatlin (progetto per il Monumento alla Terza Internazionale, 1919), altre tendenze si tradurranno in vere e proprie scuole. Spicca tra tutte il mitico Bauhaus di Gropius (fondato a Weimar nel 1919, trasferitosi a Dessau in una sede emblematica disegnata da Gropius nel 1926 e chiuso dai nazisti nel 1932 a Berlino), vero e proprio laboratorio che ha visto molti dei protagonisti dell'architettura e dell'arte moderna come docenti e allievi tesi a riqualificare il rapporto fra artigianato, architettura e industria. Nella vicina Olanda, nel secondo decennio del sec. XX, gli architetti G. T. Rietveld (Casa Schröder a Utrecht, 1924) e J. J. Oud davano vita insieme con i pittori Van Doesburg e P. Mondrian a un nuovo modo di intendere l'organismo architettonico sottoponendolo a una scomposizione di ascendenza cubista, privilegiando l'angolo retto e i tre colori primari, etichettato con il termine di Neoplasticismo. Sono questi gli anni in cui comincia a farsi strada il problema delle abitazioni popolari spingendo gli architetti verso nuovi impegni. “L'istanza sociale che pone all'architettura non più temi aulici e monumentali, ma il problema della casa per la famiglia media, dell'abitazione operaia e contadina..., e la nuova tecnica costruttiva del cemento armato e dell'acciaio rendono possibili alcune condizioni che si materiano nella pianta libera, una delle più notevoli conquiste dell'architettura moderna. I due grandi e universalmente riconosciuti maestri dell'architettura contemporanea sono Le Corbusier e F. L. Wright. Il primo, capo della corrente funzionalistica, che, attraverso una formula geometrico-razionale, racchiude lo spazio, come per esempio in uno dei suoi capolavori qual è la villa Savoye, in quattro pareti a finestre continue” (Zevi); il secondo, esponente massimo del movimento organico, aspira “alla continuità spaziale con una vitalità assai più espansiva”: aderenza alla natura e negazione di formule volumetriche elementari sono i due assunti ai quali egli rimarrà sempre fedele. Contributi importanti sono stati dati da personalità di primo piano quali L. Mies van der Rohe in Germania e in America, A. Aalto in Finlandia, G. Asplund in Svezia, G. Terragni in Italia.

Storia: la ricostruzione del secondo dopoguerra

In seguito alla massiccia emigrazione di intellettuali europei verso gli Stati Uniti, causata dalle leggi razziali, e al rapido sviluppo economico che caratterizza fra tutti l'America e il Giappone, è in questi Paesi che si assiste, dopo la II guerra mondiale, alle creazioni architettoniche più interessanti e originali costringendo il nostro sguardo a spaziare anche al di fuori dei confini europei. Ingente sarà, alla fine degli anni Quaranta, l'opera di ricostruzione delle città devastate dai bombardamenti, così come il veloce sviluppo dei Paesi del Terzo Mondo, affaticati da un esponenziale incremento demografico, si troverà ad affrontare i problemi di un forte urbanesimo e della conseguente speculazione edilizia. Mentre alcuni dei maestri del razionalismo continuano a progettare in modo significativo (Le Corbusier con la chiesa di Ronchamp e il monastero della Torrette in Francia, Wright con la torre Johnson e il Museo Guggenheim a New York, ecc.), nel mondo degli architetti si avvia una irreversibile rimeditazione della storia e delle avanguardie la cui spinta può dirsi ormai esaurita. Ecco affermarsi nuovi modi di pensare al progetto, come il Nuovo empirismo in Svezia (Backström, Markelius), la “irregolarità pittoresca con tendenze palladiane” del New Brutalism in Inghilterra (A. e P. Smithson), del Neorealismo in Italia (Ridolfi, Quaroni, Gardella), del Neoespressionismo in Germania (Scharoun) fino allo storicismo di L. Kahn negli Stati Uniti. Da sottolineare gli studi di quest'ultimo sulle condizioni abitative e sul traffico delle città americane e il suo recupero di un lessico simbolico universale in risposta alla freddezza del razionalismo. Dagli anni Sessanta, con l'esplosione economica del mondo occidentale dilaga la nuova utopia della “grande dimensione”. A partire dal 1961 il gruppo inglese Archigram, che iniziò a progettare immagini neofuturiste di città mobili, e i Metabolist giapponesi con le loro megastrutture in crescita, per i problemi di sovrappopolazione, caratterizzeranno l'utopia della grande dimensione che si spegnerà solo alla fine degli anni Settanta (l'esasperata tecnologia di Buckminster Fuller, il piano per Tōkyō di K. Tange). A questi progetti estremi si contrappone, dalla fine degli anni Sessanta, il variegato movimento internazionale del Neorazionalismo portatore della volontà di tornare in architettura a un linguaggio classico e razionale che ristabilisca un rapporto organico fra edificio e città. In Italia ne sono principali interpreti Aldo Rossi con L’architettura della città (1966), Giorgio Grassi con La costruzione logica dell’architettura (1967) e Manfredo Tafuri, teorici di un ritorno dell'architettura a espressione di tradizioni culturali proprie delle diverse aree geografiche, libera da un consumismo “decontestualizzante”. Insieme con loro, raccolti nel movimento Tendenza, C. Aymonino, V. Gregotti, A. Natalini, F. Purini. Proseguendo con una sintetica elencazione dei principali protagonisti del Neorazionalismo, sono da ricordare, perché autori di gran parte della architettura degli ultimi trent'anni del sec. XX: in Svizzera la Scuola di Lugano con M. Botta; in Germania O. M. Ungers e J. P. Kleihues; in Lussemburgo i fratelli Krier; in Francia B. Huet e C. de Portzamparc; in Belgio M. Culot; negli Stati Uniti i Five Architects (P. Eisenman, M. Graves, R. Meier, J. Hejduk e Ch. Gwathmey); a Londra il gruppo OMA (R. Koolhaas, E. e Z. Zenghelis); in Olanda H. Hertzemberger; in Giappone A. Isozaki, T. Andō e T. Itō. La chiusura di questo periodo viene anticipata dai decisivi contributi critici di due architetti americani: Complexity and Contradiction (1966) di Robert Venturi e il successivo The Language of the Post-Modern Architecture (1977) di Charles Jencks che decretano la caduta definitiva delle utopie sociali, politiche associate all'urbanistica e all'architettura per lasciare al linguaggio architettonico la prerogativa di una missione di comunicazione, eclettica, simbolica, ludica e di massa: il postmoderno che toccherà in Italia il suo culmine, nel 1980, nella “Strada Novissima”, nella quale troveremo gran parte dei nomi sopra citati, alla I Mostra Internazionale di Architettura, diretta da Paolo Portoghesi, creazione ufficiale del Settore Architettura della Biennale di Venezia.

Storia: tra decostruttivismo e bioarchitettura

La seduzione e la relativizzazione del linguaggio architettonico che era stato aperto dal postmoderno trovano nella teoria della decostruzione del filosofo francese J. Derrida che già nel 1967 aveva pubblicato il saggio De la grammatologie e, l'anno successivo, L’Ecriture et la Difference, un nuovo filone sperimentale che “supera” il postmoderno e le cui realizzazioni in campo architettonico vengono presentate nel 1988 alla mostra Deconstructivism tenutasi al Museum of Modern Art di New York. Gli architetti decostruttivisti sono in quel momento impegnati ad affrontare senza pregiudizi né formule risolutorie i numerosi interrogativi e problemi che inevitabilmente coinvolgono i più vasti ambiti dell'architettura in tutta la loro complessità. Abbandonate tutte le regole l'architetto ridiventa l'unico soggetto in grado di controllare le autonome prerogative della costruzione, del linguaggio simbolico, dei materiali anche i più innovativi come potenti generatori di sperimentazioni formali e concettuali. Stabilità, utilità, proporzione non sono più imperativi della composizione. Sul piano formale, le fonti dei decostruttivisti sono il costruttivismo russo, la scultura contemporanea e la pittura. Il risultato di questa concezione dell'architettura sono opere in cui i mezzi formali cercano di abbracciare le nozioni di frammentazione, dispersione e discontinuità: il Museo Guggenheim di F. O. Gehry a Bilbao e il Museo della Cultura ebraica di Libeskind a Berlino così come i progetti di Z. Hadid per il Nuovo Centro di Arte Contemporanea, a Roma, e di M. Fuksas per il Palazzo dei Congressi, sempre a Roma. Il lascito più importante del decostruttivismo, in particolare nei contesti urbani costruiti, è la capacità di dar vita ad architetture così flessibili e duttili da adattarsi a luoghi e contesti estremi fino a ieri ritenuti non degni di essere abitati e costruiti. L'abbattimento di ogni limite e preclusione nella scelta dei siti da dedicare all'architettura è diventato oggetto di studio dell'“antropologia del quotidiano”, scuola alla quale appartiene Marc Augé, che nel saggio Nonluoghi del 1992 ha coinvolto nuovamente gli architetti con le sue riflessioni sull'anonimato e solitudine parlanti dei luoghi di transito tipici della civiltà contemporanea, come autostrade, stazioni, aeroporti, supermercati, catene alberghiere, campi profughi, dove l'individuo tende a diventare uomo massa e a perdere parte della sua identità. Tale atteggiamento disincantato e poco seduttivo nei confronti dell'esistente paradossalmente obbliga l'architetto a potenziare la sua vocazione di produttore di speranza anche nell'esistente più degradato. Mentre il decostruttivismo ha riportato l'architetto a un ruolo di artista e di firma creatrice di edifici originali, fantasiosi, destinati a ospitare musei, aeroporti, stazioni, spazi polivalenti, altri sono i problemi di chi si sta dedicando all'edilizia abitativa. Anche in questo campo numerosi sono i passi avanti compiuti dalla comunità dei progettisti per quanto riguarda la comprensione della necessità di uno sviluppo sostenibile, ecocompatibile, partecipato, dell'architettura e della città. È in seguito alla crisi energetica mondiale della fine degli anni Settanta che i Paesi più industrializzati e quelli del Terzo Mondo sono stati costretti ad affrontare la realtà dell'emergenza ambientale. Si sono susseguiti da allora, in varie parti del pianeta, summit internazionali (Rio de Janeiro, Agenda XXI) per elaborare possibili soluzioni a problemi cone l'inquinamento, il traffico, l'incremento demografico, la riconversione industriale, il risparmio energetico. È nato così un filone di ricerca compositiva detto bioarchitettura o architettura biocompatibile, regolato da precise normative atte a incentivare nell'architettura l'utilizzo di materiali ecologici e di energie alternative. Al polo opposto si collocano dagli anni Settanta del Novecento le ricerche basate su una rinnovata passione per la tecnica costruttiva e condotte dalla corrente strutturista (high tech) che ha tra i suoi maggiori esponenti R. Piano, E. N. Rogers, N. Foster, S. Calatrava. "Per approfondire Vedi Gedea Arte vol. 9 pp 358-369" "Per approfondire vedi Gedea Arte vol. 9 pp 358-369."

Per i temi generali di estetica e la storia delle teorie architettoniche

A. Vaillant, Théorie de l'architecture, Parigi, 1919; S. Vitali, L'estetica dell'architettura, Bari, 1928; S. Carania Roberti, L'espressività dell'architettura, Palermo, 1947; V. K. Hammer, A Theory of Architecture, New York, 1949; G. Nicco Fasola, Ragionamenti sull'architettura, Città di Castello, 1949; C. Bairati, La simmetria dinamica, scienze ed arte nell'architettura classica, Milano, 1952; L. Galmozzi, Proposta per una classificazione e definizione razionale dei tre principi costruttivi dell'architettura, Firenze, 1956; B. Zevi, Architectura in nuce, Venezia, 1960; M. Tafuri, Teorie e storia dell'architettura, Bari, 1968; A. Aalto, Idee di architettura (1921-1968), Bologna, 1987.

Per la consultazione di buoni lineamenti di storia

B. Zevi, Storia dell'architettura moderna, Torino, 1950; L. Benevolo, Introduzione all'architettura, Bari, 1960; idem, Storia dell'architettura moderna, Bari, 1961; N. Pevsner, Storia dell'architettura europea, Milano, 1966.

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