Romanìa

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(România). Stato dell'Europa centrorientale (238.391 km²) compreso nella Penisola Balcanica. Capitale: Bucarest. Divisione amministrativa: distretti (41) e un municipio (Bucarest). Popolazione: 19.947.311 ab. (stima 2014). Lingua: romeno. Religione: ortodossi 86,8%, protestanti 6,7%, cattolici 5,6%, musulmani 0,3%, altri 0,6%. Unità monetaria: leu (100 bani). Indice di sviluppo umano: 0,785 (54° posto). Confini: Ucraina e Moldova (N-NE), Ungheria (NW), Serbia e Montenegro (SW), Bulgaria (S), Mar Nero (SE). Membro di: CEFTA, Consiglio d'Europa, EBRD, NATO, ONU, OSCE, UE e WTO.

Generalità

Posta in uno dei grandi crocevia storici d'Europa, la Romania presenta interessanti caratteristiche anche sotto il profilo geografico, collocandosi tra gli Stati carpatici per quanto riguarda la struttura del rilievo, tra quelli danubiani per l'idrografia, attraversata com'è dal corso inferiore del Danubio, che qui ha anzi la sua foce, e infine tra i Paesi pontici per il suo litorale. Tuttavia la Romania, posta a cavaliere della dorsale carpatica che unisce le tre regioni tradizionali (Moldavia, Valacchia, Transilvania), ha conservato forti legami nazionali, dovuti a una civiltà autoctona assai antica, all'eredità storica e alla lingua, che si ricollega al gruppo latino ed è quindi estranea a quella degli altri popoli dell'area balcanica e slava, come il nome stesso “Romania”, usato a partire dal sec. XVI a indicare l'eredità latina, sottolinea esplicitamente. Paese importante per popolazione, tradizione culturale e risorse economiche, la Romania ha dovuto attraversare nell'ultimo decennio del sec. XX una crisi profondissima, generata dalla politica autarchica imposta dal leader comunista N. Ceausescu, oltre che dalla confusione e dalle incertezze seguite alla violenta caduta del suo regime: riforme economiche improvvisate e poi lasciate a metà, una dialettica politica democratica viziata e distorta da decenni di assolutismo e arbitrii, il dilagare di corruzione e violenza hanno portato l'economia nazionale in ginocchio e la popolazione al limite della pura sopravvivenza, mettendo a rischio le stesse regole della convivenza civile. Non è per caso che negli anni Novanta la Romania sia stata uno dei Paesi europei con il più alto tasso di emigrazione (dopo l'Albania). Solo con l'inizio del nuovo secolo, grazie anche agli adeguamenti legislativi e funzionali chiesti dall'Unione Europea per portare avanti il processo di associazione della Romania (previsto per il 1° gennaio 2007) che hanno portato un po' più di ordine e sicurezza, il Paese ha cominciato a riprendere la strada della crescita; purtroppo molti elementi problematici, soprattutto per quanto riguarda la giustizia sociale, la corruzione burocratica e il livello di vita degli strati più poveri, continuano a essere presenti e a minacciare lo sviluppo nazionale.

Lo Stato

Formalmente indipendente dal 1877 e repubblica dal 1947, la Romania, sottoposta a regime comunista dalla fine della seconda guerra mondiale, si liberava della dittatura di Ceausescu con la rivoluzione del dicembre 1989, cui seguivano rapidamente sostanziali modifiche alla Costituzione del 1965 e l'abolizione del ruolo guida di un singolo partito. Una nuova Costituzione, approvata con il referendum del dicembre 1991, istituiva un regime semipresidenziale ispirato alla Costituzione francese; un successivo referendum nell'ottobre 2003 introduceva alcune modifiche alla Carta fondamentale. Il presidente della repubblica è eletto a suffragio universale diretto e dura in carica cinque anni, mentre il Parlamento, che è bicamerale (una Camera dei deputati di 332 membri e un Senato di 137) e dotato di ampi poteri, viene eletto ogni quattro anni con il sistema proporzionale; il presidente nomina il primo ministro, che a sua volta sceglie i ministri e deve ottenere la fiducia del Parlamento. Il sistema giudiziario è indipendente e fa capo a una Suprema corte di giustizia, i cui membri sono nominati dal Presidente della Repubblica su indicazione del Consiglio superiore della magistratura, composto da 11 giudici e sei procuratori, eletti dal Parlamento. Non è prevista la pena di morte. La difesa nazionale contempla la prestazione del servizio militare obbligatorio della durata di 12 mesi (18 per il servizio volontario). Quanto al sistema scolastico, la sanzione del diritto allo studio per tutti i cittadini risale alla Costituzione della repubblica socialista; la struttura del sistema, profondamente riformata nel 1995, ha mantenuto l'obbligatorietà scolastica per tutti i ragazzi dai 6 ai 16 anni e una sostanziale centralizzazione nelle mani dello Stato, dividendo poi il percorso scolastico in tre cicli, elementare (i primi otto anni), superiore (i successivi quattro) e universitario, con il passaggio ai livelli più alti regolato da esami di stato. L'analfabetismo colpisce il 2,4% della popolazione (2007).

Territorio: morfologia

Di forma pressoché circolare, in gran parte delimitata a S dal Danubio e a E da un suo importante tributario, il Prut, la Romania occupa la sezione orientale della regione carpatico-danubiana. Le grandi aree naturali romene sono armonicamente distribuite in un anfiteatro concentrico; al centro si trova l'altopiano della Transilvania circondato dalla catena dei Carpazi, mentre all'esterno la zona delle colline e dei pianori trapassa in una fascia di basse pianure che si estendono sino alle frontiere del Paese: la Valacchia a S, verso il Danubio, la Moldavia a E, verso il Prut. È infine compresa nella Romania quasi tutta la Dobrugia, area di modesta elevazione tra il corso terminale del Danubio e il Mar Nero. Il territorio romeno si delineò nel Cenozoico, quando si sollevò la catena dei Carpazi, che oggi sovrasta distese sedimentarie per lo più appartenenti all'ultimo periodo dell'era cenozoica (Pliocene) e al Neozoico; non mancano affioramenti di terreni più antichi, paleozoici e mesozoici, ben rappresentati in Dobrugia: anzi proprio tale imbasamento roccioso costringe il Danubio a piegare a N, prima di sfociare nel Mar Nero. L'elemento morfologico essenziale è costituito dai Carpazi; sollevatisi nel corso della poderosa orogenesi alpino-himalayana, si possono considerare come una continuazione delle stesse Alpi, mentre alle cosiddette Porte di Ferro si raccordano con i Balcani. La loro struttura è però molto meno compatta di quella alpina, essendosi la catena formata in più fasi orogenetiche alternate a periodi di peneplanazione, cui si deve quell'arrotondamento delle cime che rappresenta, insieme alla minore elevazione, uno dei principali elementi di differenziazione con i rilievi alpini. Benché i Carpazi interessino buona parte dell'Europa centrorientale (Slovacchia, Polonia, Ucraina), è la Romania il Paese carpatico per eccellenza, includendo, delle tre sezioni in cui la catena è comunemente ripartita, l'intero tratto meridionale (o Alpi Transilvaniche) e quasi tutto quello orientale. È consuetudine considerare la valle del fiume Prahova e il passo di Predeal come elementi divisori tra i Carpazi Orientali e i Meridionali; in effetti le due sezioni presentano sensibili differenze. I Carpazi Orientali sono costituiti da tre catene grossomodo parallele, orientate in prevalenza da N a S, di cui la centrale è formata da rocce antiche di compatti scisti cristallini e le laterali da formazioni sedimentarie mesozoiche a flysch (con arenarie, marne ecc.) poco resistenti. A esse si appoggia sul lato occidentale una catena vulcanica, la maggiore d'Europa, formatasi nel corso del sollevamento dell'arco carpatico (monti Călimani, Hărghita ecc.), con una fitta concentrazione di edifici vulcanici, alcuni dei quali ben conservati. L'altitudine media è di 1200-1350 m, con massima vetta nel monte Pietrosu (2305 m) nel gruppo dei Rodnei all'estremità settentrionale della catena; assai evidente è ovunque il frazionamento dovuto ad attività sia tettonica sia erosiva, che ha creato molteplici depressioni e un paesaggio assai vario. Le regioni più pittoresche sono però quelle dei calcari, dove si hanno frequenti fenomeni carsici e manifestazioni erosive. Le Alpi Transilvaniche, il cui andamento, da E a W, è perpendicolare a quello dei Carpazi Orientali, ben giustificano, con la vigorosa morfologia, il nome loro attribuito. Costituite infatti essenzialmente da rocce cristalline, hanno un aspetto più massiccio, rivelano un più intenso modellamento glaciale e presentano vette più elevate, superando in più punti i 2500 metri; il monte Moldoveanu, nell'impervio massiccio dei Făgăras (Făgărasului), tocca i 2543 m. Molti sono i valichi, data la forte azione erosiva dei fiumi che scendono da entrambi i versanti della catena; l'Olt (Oltul), un affluente del Danubio, si è aperto un solco attraverso le Alpi Transilvaniche congiungendo così le opposte pianure pedemontane. La sezione romena del sistema carpatico comprende un altro insieme montuoso, gli Apuseni, o Monti Occidentali (per questo a volte tali monti sono anche chiamati Carpazi Occidentali, il che può ingenerare confusione con i veri e propri Carpazi Occidentali, orlatura confinaria tra Slovacchia e Polonia). Antico blocco che il fiume Mures (Muresul), a S, ben divide dalle Alpi Transilvaniche, fratturato e profondamente inciso dai corsi d'acqua, il massiccio degli Apuseni è oggi considerato un frammento isolato del sistema carpatico; è costituito da rocce cristalline cui si affiancano però recenti rilievi vulcanici, in corrispondenza dei quali si hanno numerosi giacimenti minerari, sfruttati già nell'antichità. Carpazi Orientali, Alpi Transilvaniche e Apuseni circoscrivono quasi perfettamente la Transilvania, che, come dice il nome, forma una sorta di spazio aperto “al di là delle foreste”, le quali, soprattutto un tempo, ricoprivano fittamente i monti circostanti. Zona di sprofondamento tettonico in cui si sono accumulati depositi marini e fluviali, in prevalenza cenozoici, la Transilvania è un altopiano, o più esattamente un insieme di colline alternate ad ampie vallate, elevato in media sui 500 m e dolcemente inclinato verso la pianura ungherese cui tende abbassandosi sino a 200 m, ma dalla quale è in gran parte separato dagli Apuseni. Delle pianure, che concorrono appena per un terzo alla formazione del territorio romeno, la più estesa e importante è quella della Valacchia, che dal versante meridionale delle Alpi Transilvaniche giunge sino al Danubio e che il grande fiume ha costruito con i suoi recenti apporti alluvionali. Altra regione esterna all'arco carpatico – però ai Carpazi Orientali – è la Moldavia, che il corso del Prut separa dall'omonima repubblica; in parte pianeggiante, in parte anch'essa collinare, la Moldavia è costituita da sabbie e argille cenozoiche alternate a più recenti strati alluvionali del Neozoico. Infine alle opposte estremità del Paese si trovano a W il Banato, monotona pianura che si diparte dagli ultimi contrafforti nordoccidentali delle Alpi Transilvaniche e morfologicamente si inserisce nel grande bassopiano pannonico, a E la Dobrugia (di cui è bulgaro il tratto meridionale), territorio in gran parte basso e piatto, ma mosso da rialzi collinari nella sezione centro-settentrionale. È con il litorale della Dobrugia che la Romania si affaccia, per 234 km, al Mar Nero: la costa è caratterizzata a N dall'intrico deltizio del Danubio, al centro da lagune (limani) formatesi allo sbocco dei fiumi per sprofondamento dei suoli avvenuto in epoche geologiche recenti, mentre a S la presenza di una scarpata rocciosa strapiombante nel mare dà origine a un litorale alto e rettilineo.

Territorio: idrografia

Asse dell'idrografia romena è naturalmente il Danubio, che per 3/4 del suo corso in territorio romeno (complessivamente di ben 1075 km) segna il confine della Romania con la Bulgaria e con la Serbia: è lungo quest'ultima linea confinaria che il fiume percorre la spettacolare gola delle Porte di Ferro, dove le estreme propaggini occidentali delle Alpi Transilvaniche si congiungono con quelle settentrionali dei Balcani. Dopo le Porte di Ferro il Danubio è nuovamente un fiume maestoso (la sua portata media è di 6000 m3/s) e scorre talora in aree inondabili. Tra i numerosi corsi d'acqua che gli tributano, e il cui regime rispecchia l'andamento stagionale delle precipitazioni, con massimi tra maggio e giugno, sono il Cris (Crisul) e il Mures tramite il Tibisco, l'Olt e l'Arges (Argesul) direttamente, attingendo quest'ultimo le acque dal versante carpatico esterno. Dopo l'ansa della Dobrugia, il Danubio riceve il Siret (Siretul) e il Prut, le cui sorgenti sono però in territorio ucraino, e si getta nel Mar Nero con un vastissimo delta in continuo accrescimento data l'immensa mole di detriti convogliata dal fiume.

Territorio: clima

Il clima è sostanzialmente condizionato dalle masse d'aria continentali; l'arco carpatico chiude infatti il Paese per tre lati e l'apertura sul Mar Nero esercita modestissimi influssi climatici. Si ha perciò un aspro regime termico, con inverni freddi (che sui Carpazi l'altitudine rende particolarmente rigidi) ed estati calde; assai brevi sono le stagioni intermedie. Sovente persino a Costanza, sul Mar Nero, il termometro scende sotto zero e la media di gennaio a Bucarest può essere inferiore ai –5 ºC; le medie estive si aggirano, per la capitale, sui 21-22 ºC. Le precipitazioni sono irregolari, pur con massimi, come si è detto, nel periodo maggio-giugno e in autunno, e nel complesso scarse; cadono in media 600 mm annui di precipitazioni spesso sotto forma nevosa (la neve permane a lungo al suolo anche in pianura) con massimi di 1400-1500 mm sui rilievi e minimi nei bassopiani: la Dobrugia, particolarmente emarginata, riceve in media solo 300 mm di piogge all'anno.

Territorio: geografia umana

Alla posizione geografica, tra l'Europa centrale e il Mar Nero, la Romania deve il fatto di aver ospitato sin dall'antichità importanti vie di comunicazione, orientate secondo direttrici volte alla foce del Danubio, che attraversavano il territorio romeno collegandolo ai Paesi vicini. La Romania fu abitata sin dal Paleolitico superiore, e ci sono numerose testimonianze di fiorenti culture di derivazione neolitica; dalla fusione di queste popolazioni autoctone con genti indoeuropee provenienti dalle vaste steppe a NE si sarebbero originati i Daci, progenitori degli attuali romeni ed edificatori della prima struttura statale nella regione, comprendente tutte e tre le regioni tradizionali (Moldavia, Valacchia e Transilvania). L'assoggettamento all'Impero Romano comportò poi, nel sec. II-III, un'opera di colonizzazione e di popolamento del territorio forse senza precedenti nella storia dell'Impero Romano, di cui la Dacia divenne una delle più fiorenti province ereditandone una lingua, il latino, che non sarebbe stata più dimenticata dalla popolazione, trasformandosi gradualmente nel romeno moderno e assurgendo a elemento essenziale nella genesi del sentimento nazionale del Paese. Scarsi influssi linguistici e culturali lasciarono invece le invasioni di Goti, Unni, Avari ecc.; mentre le popolazioni slave, giunte successivamente, avrebbero contribuito a consolidare l'eredità religiosa comune, il cristianesimo ortodosso legato alla Chiesa di Bisanzio. Il territorio romeno vide anche l'afflusso di gruppi ungheresi (tuttora numerosi nella Transilvania centrale dove formano la maggioranza della popolazione nella Regione autonoma magiara, appositamente istituita) e tedeschi, stanziati sia nel Banato, ai confini occidentali, sia anch'essi nella Transilvania: in particolare la città di Sibiu conserva straordinarie testimonianze artistiche lasciate da genti sassone ivi insediatesi e oggi, dopo gli sconvolgimenti bellici e postbellici, rimaste solo in poche decine di migliaia di persone. Anche altre minoranze (ebrei, ucraini, russi ecc.) sono in via di diminuzione mentre resta molto consistente il gruppo etnico costituito dagli Zingari (Rom). Se si tiene conto delle complesse vicende storiche subite dal Paese, appare notevole l'attuale omogeneità nella struttura etnica: la proporzione di popolazione di nazionalità romena sfiora il 90%. Le molteplici variazioni territoriali subite dal Paese rendono pressoché impossibile una stima sulla consistenza della popolazione romena in epoche lontane. Nel 1914, prima dell'acquisizione di Transilvania, Bessarabia, Bucovina e parte del Banato, la Romania si estendeva per poco più di 131.000 km² e, secondo una stima, la sua popolazione non raggiungeva gli 8 milioni di ab.; nel 1920 la România Mare (Grande Romania) contava oltre 295.000 km² di superficie e 17 milioni di ab.; il censimento del 1948, dopo le perdite territoriali seguite alla seconda guerra mondiale, dette un totale di 15.872.624 abitanti per uno Stato ridotto alla superficie attuale. Si ebbe in seguito un aumento sensibile degli abitanti, che al censimento del 1956 sfioravano i 17,5 milioni; oggi, dopo anni di grave crisi economica e regresso sociale, il coefficiente di accrescimento annuo è stabilmente negativo (–0,3% annuo in media fra il 2002 e il 2007), con il tasso di mortalità superiore a quello di natalità e un basso indice di fecondità (1,3 nel 2007); è piuttosto elevata anche la mortalità infantile (12 per mille nel 2007). La densità media è di 90 ab./km², con una distribuzione piuttosto omogenea; le sole ovvie eccezioni riguardano alcuni distretti che ospitano città la cui espansione economica rappresenta un forte elemento di attrazione umana, come quelli di Iasi, Ilfov o Prahova, con l'importante centro minerario e industriale di Ploiesti, e naturalmente quello di Bucarest. La popolazione urbana è in rapido aumento, superiore alla metà del totale (54% nel 2008), tuttavia l'aspetto tipico del popolamento romeno è quello rurale. I villaggi sono prevalentemente allineati lungo le strade; le case spesso mostrano eleganti decorazioni lignee, perpetuando un artigianato di antiche tradizioni (l'uso del legno è soprattutto diffuso nell'ambiente forestale dei Carpazi). Nelle zone transilvaniche abitate in prevalenza da Magiari e Sassoni, dove spesso il villaggio si concentra attorno alla chiesa fortificata, si nota sovente una fedeltà ai modelli dei Paesi d'origine, mentre in certe aree più depresse, marginali, della pianura valacca si possono ancora trovare modeste abitazioni di terra e argilla, accanto alle moderne costruzioni delle fattorie statali. L'urbanesimo si identifica in pratica con Bucarest, l'unica metropoli: sopra i 300.000 ab. ci sono solo quattro città (Cluj, Timisoara, Costanza e Craiova), mentre gli altri centri urbani svolgono in genere funzioni commerciali, cui si sono sovrapposte in un secondo tempo attività industriali o di sfruttamento minerario; le più antiche città sono di origine dacia, romana o greca (come Costanza e Alba Iulia), altre risalgono al Medioevo e sono di fondazione tedesca (Sibiu, Brasov), altre infine sono di data recente come Onesti (già Gheorghe Gheorghiu-Dej), fondata nel 1953. Vasti spazi lasciati a parco, larghi viali, una struttura di ampio respiro anche se contraddistinta da una certa uniformità sono le caratteristiche precipue dell'urbanistica romena, che ha naturalmente il suo modello più significativo e grandioso nella capitale, città d'aspetto moderno situata nel cuore della pianura valacca, una cinquantina di km a N del Danubio, massimo centro industriale e commerciale del Paese, principale nodo delle comunicazioni e dei trasporti, fulcro della vita politica e culturale della Romania. Le altre principali città della Valacchia sono Ploiesti, antico centro di commerci allo sbocco in pianura della valle del fiume Prahova, la cui fortuna è legata alla scoperta dei vicini giacimenti petroliferi e alla nascita delle relative industrie, e Brăila, affacciata alla sponda sinistra del Danubio, da più secoli attivo porto fluviale, specie per i prodotti cerealicoli. Massimo centro della Moldavia romena e sua antica capitale è Iasi, situata in prossimità del confine con la Repubblica della Moldavia sulle rive del Bahlui (Bahluiul), un tributario del Prut, e nota per l'intensa vita artistica e culturale; è tra le città romene più ricche di insigni monumenti storici ed è comunemente ritenuta il centro artistico più brillante del Paese. Presso la confluenza del Siret nel Danubio è invece posta Galati, secondo principale centro moldavo; tradizionale sbocco di un vastissimo retroterra agricolo che andava dalla Bessarabia ai Carpazi, basa le sue fortune sull'attività portuale (cereali e legnami), cui si è aggiunta una vivace industria legata soprattutto alla siderurgia e alla cantieristica. Massima città romena dopo la capitale è Cluj-Napoca, nel cuore della Transilvania, centro di fiorenti traffici sin dal Medioevo grazie alla posizione geografica, alla convergenza di importanti vie di comunicazione con la Valacchia a S, la Moldavia a E, l'Ungheria a W. Deve il suo sviluppo ai commerci anche Brasov, fondata nel sec. XIII dai Cavalieri Teutonici e divenuta uno dei maggiori centri industriali romeni; altra rilevante città della Transilvania è Sibiu, cui una ricca borghesia mercantile formata soprattutto da immigrati tedeschi dette prosperità e un'impronta architettonica tipicamente germanica. Le altre maggiori città sono: sul Mar Nero Costanza, il capoluogo della Dobrugia, ricca di insigni vestigia romane (fu la colonia greca, poi romana, di Tomis nota per l'esilio del poeta Ovidio) e oggi maggior porto romeno, sia petrolifero sia cerealicolo; all'estremo W, nel bassopiano pannonico al confine con l'Ungheria e con la Serbia e Montenegro, i centri di Oradea, Arad e soprattutto Timisoara, importanti nodi di comunicazione e commercio.

Territorio: ambiente

Ampie distese steppiche occupano, dato il clima poco piovoso, le aree pianeggianti della Romania, benché oggi in larga misura sostituite dalle colture e comunque interrotte dalla vegetazione riparia addensata lungo i corsi d'acqua; bei boschi di conifere, con predominanza dell'abete rosso, di faggi e, a quote più basse, di querce ricoprono ancora i versanti montani: non per nulla la sezione settentrionale dei Carpazi Orientali è chiamata Carpazi Selvosi. Tra le specie animali presenti vanno segnalati l'orso bruno e la lince, il camoscio, il cinghiale, più moltissime specie di uccelli presenti soprattutto nella regione del Delta danubiano, che è inclusa in uno dei parchi nazionali più vasti d'Europa. La Romania vanta anche altri parchi nazionali, per un totale dell'11,3% del suo territorio, più numerose aree protette minori. I parchi più rilevanti, oltre a quello del Delta che è inserito dall'UNESCO nell'elenco dei siti patrimonio dell'umanità, sono il Parco delle Porte di Ferro, sul Danubio al confine con la Serbia, e il Parco dei Monti Apuseni. Il paese presenta peraltro diversi gravi problemi ambientali, ed è passato attraverso alcune vere e proprie catastrofi. L'inquinamento atmosferico nelle città, sebbene monitorato regolarmente da molti anni, continua a essere molto più elevato dei limiti considerati accettabili; le falde acquifere di numerose province (14 su 41) presentano pericolosi livelli di inquinamento da nitrati; lo smaltimento dei rifiuti solidi avviene per la maggior parte in discariche spontanee e comunque prive di ogni controllo. Nel 2000 per ben due volte si sono verificate rotture delle dighe di contenimento di impianti minerari nei Carpazi, che hanno prodotto il versamento nel Tibisco e quindi nel Danubio di 100.000 m3 di acque inquinate da cianuro e poi di altre 20.000 t di scarichi tossici, il che ha provocato un'ecatombe di pesci e uccelli lungo tutto il corso romeno del Danubio fino al Delta.

Economia: generalità

Come e più di altri Paesi che facevano parte del cosiddetto “campo socialista”, la Romania ha vissuto negli ultimi anni del sec. XX una trasformazione radicale e drammatica della propria economia e solo con gli inizi del secolo successivo ha ripreso un ritmo di crescita significativo, anche se viziato da molte diseguaglianze e storture. Fino al momento dello scoppio della rivoluzione (1989) che abbatteva la dittatura di Ceausescu, la Romania, in netto contrasto con la politica estera di decisa autonomia dall'URSS, era stata forse lo Stato dell'Est europeo nel quale si era conservato più integro il sistema economico tradizionale di tipo sovietico. Imboccata infatti sin dal lontano 1945 la strada di un'accelerata industrializzazione del Paese e in modo specifico dello sviluppo prioritario dell'industria di base, la Romania aveva fatto proprie, senza mai metterle in discussione, le istituzioni centralizzate di modello sovietico, in quanto erano ritenute le più idonee a consentire il rapido successo di una radicale riconversione produttiva: non si dimentichi infatti che sino al secondo dopoguerra il Paese – tipicamente balcanico – era rimasto molto arretrato e con un'economia in assoluta prevalenza agricola, dominata da un latifondo ampiamente parassitario. L'industria, pur non del tutto assente, era in pratica rappresentata dall'attività estrattiva grazie alle buone risorse minerarie, petrolifere soprattutto, di cui il Paese è dotato; ma lo sfruttamento di tali ricchezze era esercitato da società straniere che, con un regime pressoché coloniale, si limitavano in genere a esportare i minerali grezzi. Con la fondazione della Repubblica popolare veniva varata la riforma fondiaria eliminando i latifondi, impostisi in maggior parte tra il sec. XVI e il XVIII; negli anni Cinquanta del Novecento, pur non abolendo completamente la proprietà privata, l'assoluta maggioranza delle aziende agricole era organizzata in cooperative, in aggiunta alle quali erano fondate grandi imprese agricole statali (nel 1980 assommavano rispettivamente a ca. 5000 e a ca. 400), queste ultime destinate in prevalenza alle colture industriali e con una dotazione elevata di macchine agricole. Ma i maggiori sforzi governativi venivano dedicati alla creazione di una sicura base industriale (le industrie, così come le miniere, i trasporti, le comunicazioni, il commercio estero, le telecomunicazioni, le banche erano naturalmente nazionalizzate); la politica economica veniva impostata su una serie di piani di sviluppo, dapprima annuali e a partire dal 1951 quinquennali, essi pure di chiara ispirazione sovietica. Favorito dalle risorse naturali, specie da quelle energetiche (sino alla scoperta dei colossali giacimenti del Mare del Nord, ripartiti fra Gran Bretagna e Norvegia, la Romania era l'unico rilevante produttore europeo di petrolio, URSS esclusa), il Paese poteva dotarsi di un considerevole apparato industriale con netta prevalenza dell'industria pesante, ritenuta l'indiscusso punto di partenza per ulteriori sviluppi produttivi (da tempo, tuttavia, il Paese aveva compreso la necessità di incentivare anche un'adeguata industria fornitrice di beni di consumo). Furono inizialmente potenziati quei settori che potevano avvalersi delle risorse nazionali (chimico e petrolchimico, energetico, delle costruzioni, alimentare ecc.), nonché quelli, come il metallurgico e il metalmeccanico, basati su materie prime d'importazione, ma parimenti fondamentali per il progresso economico del Paese. E invero tale scelta dava ottimi risultati: il “miracolo” economico romeno consentiva negli anni Sessanta del sec. XX un incremento annuo del reddito nazionale di oltre il 9%, con un tasso di aumento per l'industria di oltre il 14%, tra i più alti del mondo. Autosufficiente sotto il profilo energetico sino al 1976, la Romania rimaneva praticamente indenne nella tempesta economica mondiale del 1973-74, che pure determinava crisi gravissime per le strutture economiche di tanti altri Stati altamente industrializzati; conseguiva poi pressoché interamente gli obiettivi del piano di sviluppo 1976-80, che programmava un tasso d'incremento della produzione industriale di ca. il 10% all'anno. Era tuttavia un risultato conseguito a prezzo di avviare crescenti importazioni di combustibili – e un sempre maggiore indebitamento con l'estero, che raggiungeva nel 1981 la cifra record di 10 miliardi di dollari. Gli anni Ottanta si trasformavano dunque in anni di crisi per la Romania: il regime di Ceausescu – entrato nel frattempo in una spirale di isolamento internazionale – decideva quindi un drastico cambiamento di politica, con l'obiettivo di azzerare il debito a qualunque costo. Tutte le importazioni venivano quindi tagliate all'estremo, mentre si destinava all'export qualunque produzione nazionale, agricola, mineraria o industriale, che risultasse vendibile. Questa scelta drastica provocò in un decennio un vero crollo dell'economia e del livello di vita della popolazione: le risorse energetiche interne infatti non erano sufficienti a sostenere la produzione industriale e le necessità degli abitanti (a partire dal riscaldamento invernale); l'agricoltura a sua volta, nonostante un certo spostamento a suo favore di risorse prima destinate all'industria, non era in grado di coprire sia le esportazioni sia il fabbisogno alimentare interno, per cui tutti i consumi, compresi quelli più di base (farina, latte, carne) vennero severamente razionati; i servizi sociali subirono anch'essi colpi durissimi e infine la stessa industria, in mancanza di investimenti, decadeva rapidamente e trovava sempre più difficile competere con i suoi prodotti sui mercati internazionali. Questo strangolamento consentiva in effetti alla Romania, nell'arco di sette anni, di dimezzare il debito estero: ma costituiva anche l'elemento cruciale nel determinare un profondo scontento della più gran parte della popolazione e di larghi settori della classe dirigente comunista, scontento che sarebbe poi sfociato nel rovesciamento di Ceausescu. Nel corso dei primi anni della transizione verso un'economia di mercato, l'economia romena subiva i contraccolpi derivanti dagli insufficienti progressi nelle riforme microeconomiche e dall'inconsistenza della riconversione strutturale, esacerbati dallo sfaldamento della rete di relazioni commerciali (con il COMECON e con la Federazione Iugoslava) che determinavano una drastica riduzione dell'export a partire dal 1991. Nel 1993 il livello delle esportazioni romene era la metà di quello del 1989; nello stesso periodo anche il PIL calava del 25%, soprattutto per il crollo della produzione industriale, mentre l'inflazione si manteneva su livelli altissimi, vicini al 200% annuo. Il primo programma di privatizzazione avviato dal governo, e basato su un sistema misto (le 6000 maggiori aziende statali dovevano essere vendute per un terzo a un azionariato popolare e per i restanti due terzi a società private) non portava miglioramenti immediati e il grosso delle aziende continuava a vivere soprattutto di sussidi statali; anche la riforma agraria, che nel Novanta aveva restituito ai proprietari d'un tempo o ai loro eredi le terre espropriate all'inizio del regime comunista, provocava inizialmente un calo della produzione agricola, dato che moltissimi dei “nuovi” titolari non erano in grado di occuparsi delle terre ricevute. Fra il 1993 e il 1994, tuttavia, emergevano alcuni segnali positivi che indicavano un significativo mutamento nel quadro generale dell'economia: per la prima volta, dal 1988, si registrava un incremento, pur se minimo, del PIL. Alla fine del 1994 la pressione dell'inflazione si riduceva notevolmente (62%) e le esportazioni riprendevano ad aumentare. In virtù di questi risultati, che già si erano delineati nella prima metà dell'anno, il Fondo Monetario Internazionale accordava alla Romania un prestito di 720 milioni di dollari (maggio 1994), nell'ambito di un accordo di più ampio respiro, i cui elementi di maggior rilievo si identificavano nell'imposizione di una politica monetaria restrittiva, di una prudente politica fiscale e di un'accelerazione delle riforme strutturali, incluse le privatizzazioni. Nel 1995 tuttavia solo l'8% del capitale delle 6000 imprese per le quali era prevista la privatizzazione era effettivamente posseduto da privati e, nel complesso, il settore privato incideva sulla produzione industriale soltanto nella misura del 14%. Maggiore era la sua influenza nel terziario (44%) e ancor di più nell'agricoltura (80%); tuttavia le difficoltà di accesso al credito, la scarsa meccanizzazione e soprattutto la perdurante incertezza sui titoli formali di proprietà della terra rendevano ancora molto lento lo sviluppo di questo settore, nonostante alcune buone annate metereologiche. Nel complesso, il PIL del 1995 registrava un incremento del 6,9%, uno dei più rilevanti a livello europeo, con un forte apprezzamento della moneta nazionale e una parallela crescita delle importazioni; su questa base il governo avviava un nuovo programma di riforme liberalizzatrici che avevano tuttavia un risultato negativo: il PIL nel 1996 registrava una crescita del 4%, che l'anno successivo diventava una perdita del 6,6%, nel 1998 del 7,3% e nel 1999 del 4,5%; la completa liberalizzazione dei prezzi portava anche a una risalita dell'inflazione, fino al 50% annuo del 1999. Solo nel corso del 2000 si registrava una nuova stabilizzazione, e i principali indicatori economici tornavano positivi, con una crescita media annua superiore al 5% per tutto il periodo 2000-2005 (variazione annua del PIL nel 2003 4,7%), accompagnata a un progressivo calo dell'inflazione (ridotta al 7% nel 2005, rispetto al 15,1% del 2003) e della disoccupazione (6,6% nel 2003). Nel frattempo, con un'intensa attività diplomatica, la Romania otteneva prima l'adesione all'Accordo di libero scambio dell'Europa centrale (ne facevano già parte la Polonia, la Repubblica Ceca, la Slovacchia, la Slovenia e l'Ungheria) e quindi, dopo un lungo negoziato conclusosi nel 2002, l'accoglimento della richiesta di adesione all'UE, prevista per il gennaio 2007. Anche gli investimenti internazionali, che già con le prime riforme del 1990 il governo di Bucarest aveva cercato di attirare, hanno iniziato a crescere dopo un lungo periodo di incertezza e nel 2005 hanno superato i 10 miliardi di euro: un ruolo fondamentale ha avuto in questo (come in generale nella ripresa economica del Paese) l'essere diventato, per le sue condizioni politico-sociali (bassissimo costo della manodopera, e sua elevata qualificazione; bassissima incidenza fiscale sulle aziende, scarsi vincoli sindacali ecc.) una delle principali mete del decentramento industriale operato negli anni Novanta in molti Paesi dell'Europa occidentale, Italia compresa. Va comunque notato che la forte crescita economica registrata dalla Romania con l'inizio del sec. XXI non si è tradotta in un parallelo miglioramento delle condizioni di vita della popolazione, un quarto della quale viveva nel 2004 al di sotto del livello ufficiale di povertà. Nel 2005 i salari medi erano ancora tra i più bassi del continente (285 euro lordi), con i servizi pubblici e il welfare in pessime condizioni, mentre la corruzione nella pubblica amministrazione continuava a essere indicata come uno dei più gravi handicap alla piena integrazione europea.

Economia: agricoltura, foreste, allevamento e pesca

Il settore agricolo, che interessa una percentuale ancora elevata anche se in calo (oltre il 35% nel 2002, rispetto al 40% raggiunto nel 1999) della popolazione attiva, conserva la sua tradizionale importanza, anche se la sua partecipazione alla formazione del PIL è scesa al 7,2% (2008). Dopo che negli anni Ottanta del sec. XX le aziende agricole romene, sia quelle grandi, collettive o statali, sia le poche piccole a conduzione familiare, avevano goduto di incentivi statali per incrementare al massimo la produzione, la privatizzazione del settore a partire dal 1990 ha provocato inizialmente gravi contraccolpi: in parte per l'incertezza giuridica sui nuovi regimi di proprietà fondiaria, in parte per la mancanza di crediti adeguati e sostegni statali, in parte ancora per il collasso delle reti statali di raccolta e commercializzazione dei prodotti. Per diversi anni, così, la produzione agricola complessiva è andata calando o, nel caso delle piccole aziende familiari, orientandosi verso l'autoconsumo, mentre in parallelo aumentava la percentuale della popolazione attiva impiegata nel settore, per compensare con le braccia – spesso retribuite in natura – la carenza di investimenti e macchinari. Con l'inizio del sec. XXI il processo di privatizzazione del settore agricolo poteva comunque dirsi completato, con l'85% ca. della superficie agricola passato in proprietà di privati (anche se con un limite massimo di 10 ha per famiglia nelle assegnazioni dirette da parte dello Stato) e con i primi segni di ripresa produttiva globale, dopo un calo che per alcune produzioni era arrivato al 50% nel decennio 1989-1999; a migliorare la situazione sono intervenuti anche i sussidi dell'Unione Europea (i secondi per importanza dopo quelli concessi alla Polonia) che hanno consentito un consistente aumento degli investimenti. La base strutturale dell'agricoltura romena è comunque buona: il settore può contare su ampie estensioni di terreni fertili e pianeggianti, su una manopoera abbondante e qualificata e su una ormai consistente dotazione di macchinario agricolo. Molto estese sono in ogni parte del territorio le aree adatte ai cereali, coltivati soprattutto nelle grandi zone pianeggianti (Valacchia, Banato ecc.), ma anche nell'altopiano della Transilvania e sulle colline subcarpatiche. Oltre alle colture cerealicole, alla base del fabbisogno alimentare della popolazione, vaste aree sono destinate alle foraggere, necessarie a un allevamento anch'esso tornato in espansione. Tra i cereali primeggiano il mais, il frumento, che ha le sue terre migliori nella Valacchia e nel Banato, l'orzo e, a notevole distanza, il riso, la segale e l'avena. Accanto ai cereali sono importanti colture alimentari le patate, proprie delle regioni meno calde e più umide, i legumi e vari prodotti ortofrutticoli, come i pomodori, i cavoli, le cipolle, le mele, le pere, le pesche e soprattutto le prugne, prodotto diffuso sulle colline subcarpatiche; dalle prugne per distillazione si ricava il liquore nazionale, la zuica. Le coltivazioni di ortaggi e frutta si sono particolarmente sviluppate attorno a Bucarest, in quanto forniscono il mercato della capitale, e nelle aree che circondano le altre principali città, come Timisoara, Arad ecc. La Romania è inoltre un Paese che vanta antiche tradizioni nel campo della viticoltura: alcune qualità di vini godono ormai di larga fama e sono oggetto di esportazione per i loro prezzi convenienti. La vite, per la quale la Romania si pone tra i grandi produttori europei, ha ampia diffusione, ma i vigneti più ricchi sono situati nella fascia collinare esterna dei Carpazi. Importanza sempre maggiore sono andate assumendo le colture industriali. Lo sviluppo più rilevante è stato quello registrato dalla barbabietola da zucchero, molto diffusa in Moldavia e Transilvania. Consistente anche la produzione del tabacco, che è essenzialmente coltivato nella Valacchia, e ancor più quella del lino, presente nelle vallate dei Carpazi Orientali, e della canapa, che ha le sue aree migliori nella pianura del Banato. Oleaginose di vasta diffusione sono infine il girasole, la soia e il ricino. Un tempo grande parte del territorio era ricoperta da un fitto manto forestale che lo sviluppo delle colture e dei pascoli ha notevolmente ridotto; tuttavia boschi e foreste, in particolare faggete, occupano ancora buona parte (il 28%) della superficie nazionale e forniscono legname destinato sia all'edilizia e alla produzione di mobili sia all'industria cartaria e della cellulosa. Di notevole importanza, nonostante la grave crisi attraversata negli anni Novanta, è l'allevamento del bestiame: centrale, per i fabbisogni di latte e carne della popolazione, resta l'allevamento dei bovini, tanto nelle aziende maggiori di pianura quanto in quelle più piccole nelle valli montane; in crescita risulta il settore dell'allevamento dei suini e soprattutto quello dei volatili, mentre mantiene una grande rilevanza anche il settore ovino (la produzione di ovini è la terza in Europa dopo Gran Bretagna e Spagna), comprendente anche la pastorizia transumante nella regione della Transilvania; sono state introdotte nel Paese razze pregiate per la lana, come le pecore merinos; la Romania è tra i principali produttori d'Europa di lana lavata. Apicoltura e bachicoltura continuano anch'esse a venire praticate diffusamente. Attiva è la pesca; il maggior quantitativo di pescato proviene dal Danubio e dalle numerose lagune che orlano le coste della Dobrugia. A Tulcea, Galati e Costanza sono installati complessi conservieri.

Economia: risorse minerarie e industria

Numerose sono le ricchezze del sottosuolo romeno, ma la più importante è indubbiamente il petrolio, estratto soprattutto nella zona di Ploiesti e Pitesti, lungo cioè i Carpazi Meridionali, poi nell'Oltenia (Ticleni ecc.) e nella Moldavia (Moinesti). Col petrolio si estrae anche gas naturale, di cui ricchi giacimenti si trovano in Transilvania (Delenii, Copsa Mica) e che ha largo impiego nella produzione d'energia elettrica a uso sia domestico sia industriale. Cospicui sono altresì i giacimenti di lignite, situati nella regione di Jiu (Alpi transilvaniche meridionali) e presso il confine con l'Ungheria, e di carbone, anch'esso impiegato soprattutto nella produzione di energia elettrica: tutto il settore carbonifero è però in grave crisi per la sua scarsa redditività; gran parte dei minatori delle valli minerarie ha perso il lavoro negli anni Novanta. I quantitativi di petrolio e gas estratti, fino agli anni Cinquanta i maggiori d'Europa, sono diventati sempre più insufficienti alle necessità dell'industria e della società civile romene; il Paese è quindi costretto a importare poco meno del 50% del suo fabbisogno di combustibile. Non molto abbondanti sono i minerali metalliferi, che includono ferro, proveniente soprattutto dal massiccio di Poiana Ruscăi, dove la vicinanza con grandi bacini carboniferi ha determinato il sorgere degli importanti complessi siderurgici di Hunedoara, e inoltre bauxite, argento, manganese, oro, piombo e rame; ingenti sono i depositi di salgemma. Ha un buon livello il settore dell'energia elettrica, che copre la quasi totalità del fabbisogno con una produzione per i 2/3 di origine termica e per il resto prodotta con impianti idroelettrici (tra le maggiori centrali si annovera quella sulle dighe delle Porte di Ferro, sul Danubio, condivisa con la Serbia-Montenegro) e con centrali nucleari, da cui viene il 15% della produzione elettrica totale. Il settore chiave dell'economia romena resta l'industria, che partecipa in larga misura alla formazione del reddito nazionale (attorno al 37% del PIL nel 2008) e occupa un terzo della popolazione attiva (ca. 29%, 2002); ma l'industria pesante e di base, tradizionalmente settore di punta durante il quarantennio comunista, è in piena crisi dopo gli anni della transizione (in verità lo era anche prima, durante la stretta degli anni Ottanta) per obsolescenza dei macchinari e perdita di competitività internazionale. I grandi impianti siderurgici soprattutto, costruiti negli anni Cinuanta e Sessanta a Galati, Hunedoara, Resita ecc., così come gli stabilimenti metallurgici che trattano minerali non ferrosi, hanno diminuito grandemente la produzione e l'occupazione di manodopera. Miglior sorte ha avuto l'industria meccanica, in particolare quella automobilistica, grazie anche agli investimenti esteri e al rapido sviluppo di un mercato interno dell'auto, prima del 1989 quasi inesistente; meno buone le condizioni, nel periodo 2000-2005, delle costruzioni ferroviarie, di veicoli industriali e macchine agricole (a Craiova). I settori più dinamici dalla metà degli anni Novanta in poi sono invece quello del tessile-abbigliamento e delle calzature (concentrati a Bucarest e soprattutto nella regione di Timisoara), quello della lavorazione del legno (mobilifici, soprattutto in Transilvania e a Bucarest), quello delle macchine utensili e quello alimentare (in testa il settore molitorio, nei principali centri del commercio cerealicolo come Brăila, Galati, Arad; numerosi sono anche gli zuccherifici, i birrifici, gli oleifici, i conservifici, gli stabilimenti lattiero-caseari). Nel tessile, oltre alla tradizionale produzione di filati e tessuti con materie prime di produzione nazionale (lino, cotone e lana) si è verificata una formidabile espansione delle confezioni, grazie soprattutto al decentramento verso la Romania di moltissime grandi e piccole aziende italiane e tedesche. Anche la chimica (fertilizzanti azotati, materie plastiche) e la petrolchimica hanno mantenuto buone posizioni, così come la raffinazione di idrocarburi (grandi raffinerie a Ploiesti e Pitesti) e l'industria della carta e cellulosa (impianti a Bacău, Suceava). Conserva una certa importanza, legata allo sviluppo del mercato interno delle abitazioni, anche l'industria edilizia e quella dei materiali a essa destinati (cementifici a Tirgu Jiu, Turda, Medgidia ecc.); è da ricordare infine il settore delle lavorazioni tradizionali semiartigianali, come le porcellane (Cluj-Napoca), gli oggetti in cuoio ecc. Come ovunque nelle economie dei paesi in transizione dal sistema socialista al sistema di mercato, anche in Romania lo sviluppo più importante dopo il 1989 ha riguardato il settore terziario, commerci e servizi; ma questo sviluppo è stato anche molto disuguale e con serie lacune. Un forte ritardo si registra, per esempio, nell'ammodernamento delle infrastrutture di trasporto, mentre le reti di comunicazione moderne sono rapidamente cresciute; il commercio ha vissuto un vero boom, mentre il turismo non ha seguito gli stessi ritmi. Il sistema ferroviario (ca. 11.400 km) ha mantenuto sostanzialmente immutata la situazione che vedeva nei primi anni Ottanta: in pratica esistono due reti quasi completamente separate, una interna e l'altra esterna ai Carpazi, collegate fra loro da alcune linee transcarpatiche; nonostante la posizione piuttosto eccentrica, la capitale è sempre il principale nodo delle vie di comunicazione ferroviarie, così come di quelle stradali, anche queste non ancora pienamente adeguate alle esigenze del Paese: la rete autostradale nel 2002 era ancora molto modesta (solo 110 km) e le strade normali (ca. 100.000 km quelle asfaltate) troppo lente e trafficate per assicurare collegamenti rapidi a merci e persone. Ampiamente sfruttato è il Danubio, anche se nel 1999 le attività belliche nella vicina Serbia (in particolare i bombardamenti attuati dalla NATO su ponti e località fluviali) hanno bloccato o reso molto difficile negli anni seguenti la navigazione sul fiume. Principali porti danubiani sono Brăila e Galati. Assai maggior importanza presenta il porto di Costanza sul Mar Nero. In continua espansione sono le comunicazioni aeree; il Paese dispone di numerosi aeroporti anche internazionali: i più importanti sono quelli di Bucarest/Otopeni, Bucarest/Băneasa, Costanza, Timisoara, Suceava, Arad, Târgu Mures, Craiova. Tra le reti di comunicazione va segnalata la vasta rete di pipelines per il trasporto di petrolio e gas (ca. 6000 km complessivamente); le linee telefoniche fisse sono in espansione ma ancora del tutto insufficienti (4,3 milioni di apparecchi nel 2004), mentre uno sviluppo assai più rapido ha avuto la rete cellulare, giunta nel 2004 a 6,9 milioni di utenti. In rapida crescita il commercio internazionale della Romania, che resta tuttavia piuttosto sbilanciato con una forte prevalenza dell'import: fra il 2004 e il 2005 le esportazioni sono cresciute del 17%, le importazioni del 22%, grazie all'aumento dei consumi interni indotto dalla diminuzione delle tasse sui redditi maggiori. La quota maggiore nelle esportazioni non è più tenuta, come durante gli anni della Repubblica Socialista, da macchinari e attrezzature industriali bensì da abbigliamento e calzature, cui seguono poi metalli, legno, mobili, combustibili raffinati, materiali da costruzione, prodotti alimentari; nel capitolo importazioni in prima fila sono le macchine utensili e i combustibili grezzi, seguiti da prodotti chimici, automobili, beni durevoli, generi alimentari. L'Italia è nel 2005 il principale partner commerciale della Romania, seguita a distanza dalla Germania, dalla Francia, dalla Russia e dalla Turchia. Il turismo non ha ancora ripreso il ruolo che aveva in epoca socialista, quando le spiagge romene sul Mar Nero erano ”il” mare per i cittadini di tutta l'Europa orientale. Il Paese resta molto ricco di mete turistiche di prim'ordine, sia per bellezze naturali sia per tesori artistici, ma le strutture ricettive appaiono ancora inadeguate, anche se gli investimenti nel settore aumentano di anno in anno. Oltre alle tradizionali località marine i romeni cercano di valorizzare mete turistiche nuove e specializzate, come le località sciistiche dei Carpazi, o le aree della Transilvania rimaste più integre con villaggi medievali e foreste incontaminate; nel 2005 il volume complessivo dell'economia legata al turismo poneva comunque la Romania solo al 57mo posto nel mondo, lontanissima quindi dai Paesi europei turisticamente più importanti e dietro anche a Paesi come la Polonia, l'Ucraina o la Slovacchia.

Storia: Preistoria

Scarse e tuttora incerte, quanto a giacitura, datazione e interpretazione, sono le più antiche testimonianze di presenza umana nel territorio della Romania, come per esempio i materiali fluitati su ciottolo e qualche bifacciale, provenienti dalle alluvioni del torrente Dirjov, o manufatti simili rinvenuti nella valle Valea Muierii e a Fàrcasele, a W del fiume Olt, o, infine, le segnalazioni a Graunceanu (villaggio Bugiulesti) di faune villafranchiane, che secondo alcuni autori presenterebbero tracce di fratture intenzionali e di rare pietre di origine estranea al deposito. Al Musteriano tipico di età würmiana sono riferiti alcuni contesti di tecnica Levallois con presenza di punte foliate, come Ripiceni-Izvor e Baia de Fier. Per quanto riguarda il Paleolitico superiore, complessi aurignaziani sono rappresentati dal gruppo di Ceahlau-Dirtu, nella valle della Bistrita, con datazione 14C a 23.500±2850 a. C., nella regione di Oas e Banato, quest'ultimo con aspetti tardi rappresentati da frequenza di lamelle a ritocco marginale e predominanza di grattatoi. A una fase più recente del Paleolitico superiore appartengono alcuni siti, come per esempio Buda-Dealul Vici e Buda Lespezi (14C=16.070-15.670 a. C.), con industria su lama, bulini e grattatoi e fauna rappresentata soprattutto da renna e cavallo, che rientrano nel cosiddetto Molodoviano, facies compresa tra ca. 23.000 e 10.000 anni da oggi. In talune stazioni è stata accertata la frequentazione di genti preistoriche succedutesi dal Paleolitico all'Età dei Metalli, come a Cluj, Iasi e Pestera Hotilor. Ancora più copiose sono le testimonianze dei tempi neolitici date da resti ceramici e fondi di capanne e necropoli, messe in luce tra l'altro a Boian e Cucuteni da cui prendono nome importanti culture diffusesi nell'ambiente danubiano; notevoli i ritrovamenti anche di Gulmenita e di Habasesti che presentano, fra l'altro, statuette fittili antropomorfe. L'Età dei Metalli ha visto fiorire vari aspetti culturali in molte località tra le quali Cîlnic, Costisa, Cotofeni, Otomano per l'Età del Bronzo e Ferigile, Lapus, Bîrsesti e Băiceni per l'Età del Ferro durante la quale la presenza scitica e scito-tracica è attestata da statue di pietra della Dobrugia (sec. VI-V a. C.) e da tesori d'oro (elmo d'oro da Poiana Prahova al Museo Nazionale di Bucarest) e d'argento del sec. IV a. C. con grifi e altri animali fantastici; segue, dal sec. III a. C., il momento celtico caratterizzato da elmi e statuette bronzee.

Storia: i Romani e il Medioevo

Le prime popolazioni insediate sul territorio dell'attuale Romania di cui si ha notizia storica furono quelle dei Geti, o Daci, che nel sec. II a. C. costituivano un regno citato da autori greci e romani; verso la metà del sec. I a. C. il regno dei Daci era già considerato da Roma, in piena espansione nella Penisola Balcanica, come serio avversario, e lo stesso Giulio Cesare stava progettando una campagna militare contro di esso quando fu ucciso. Negli stessi anni anche il regno dei Daci subì una grave crisi interna con l'uccisione del re Burebista e la successiva partizione in principati più piccoli, che si sarebbero riunificati soltanto un secolo dopo, sotto l'egemonia del re Decebalo – il quale fu anche l'ultimo re dei Daci, venendo sconfitto dalle armate dell'imperatore romano Traiano nel 106 d. C. Da quel momento la Dacia venne incorporata nell'impero di Roma (che raggiunse così la sua massima espansione territoriale in Europa); ma la regione fu anche la prima a essere formalmente abbandonata dai Romani, nel 271, per le sempre più massicce e irresistibili invasioni dei Goti. Iniziò quindi un lunghissimo Medioevo, ca. mille anni di successive invasioni e dominazioni da parte di popoli giunti da N e da E: ai Goti, dominatori dal 271 agli inizi del sec. IV, succedettero gli Unni che rimasero per ca. un secolo; poi arrivarono le tribù dei Gepidi e quelle degli Avari, che tennero il territorio fino agli inizi del sec. VII; fu quindi la volta delle invasioni dei Bulgari, dei Magiari, dei Peceneghi – che più che sostituirsi si sovrapposero e mescolarono via via ai dominatori precedenti – e infine, ormai nel sec. XIII, arrivarono le invasioni dei Mongoli e dei Tartari. Durante tutto questo periodo, comunque, sul territorio continuò a esercitare una forte influenza culturale e religiosa, anche se non un controllo politico-militare, il vicino impero di Bisanzio; la popolazione rimase sempre cristiana, con una chiesa ossequiente al Patriarca di Costantinopoli.

Storia: dal Medioevo alla guerra di Crimea

Il termine Romeni, per indicare le popolazioni di lingua neolatina e di religione greco-ortodossa stanziate nelle pianure danubiane, è tardo: le più antiche fonti non risalgono oltre il sec. XIII. Né è facile stabilire le ragioni per cui esse finirono per prevalere e assorbire la componente barbarica (slava, germanica, mongola, turca) che per ca. un millennio, tra il sec. III e il XIII, sostò o transitò per quelle regioni. Culturalmente isolati, dediti a un'agricoltura di sussistenza, i Romeni della pianura dettero vita, tra i sec. IX e XI, a piccoli principati feudali, mentre in Transilvania subivano, emigrando in gran parte, l'invasione forzata di tribù magiare e sassoni voluta dai re d'Ungheria. Ma proprio la minaccia ungherese costituì nel sec. XIV l'elemento catalizzatore dei popoli romeni; nel 1330 Basarab batté gli ungheresi di Carlo Roberto e creò il principato di Valacchia; poco dopo Bogdan (1359) liberava la Moldavia. La nascita dei due Stati (voivodati o gospodati) di lingua romena ma di tradizione slava (pochi grandi boiari, molti piccoli proprietari, tutto il resto gleba) non significò la fine della lotta di indipendenza. Nel sec. XV alle mire ungheresi si aggiunse l'espansionismo polacco, costringendo Moldavia e Valacchia a bruciare tutte le loro migliori energie in una dura lotta di contenimento degli ambiziosi avversari. Il particolarismo dei due Stati impedì d'altra parte l'elaborazione e l'attuazione di una strategia comune per cui nel Cinquecento, nonostante la splendida resistenza valacca e la vittoria di Stefano III il Grande alla testa delle truppe moldave su Maometto II a Rahova (1475), i due principati caddero tributari di un nuovo formidabile nemico, l'Impero ottomano. Vano si rivelò il generoso tentativo di Michele il Valoroso (Mihai Viteazul, 1593-1601) di riportare all'indipendenza, riunite in un unico Stato, le genti romene: Valacchia e Moldavia divennero province della Porta mentre la Transilvania entrava nell'orbita asburgica. L'avida e corrotta amministrazione turca non fu però, almeno inizialmente, durissima né totalmente negativa. Si stabilì infatti (i turchi erano assai tolleranti in materia religiosa) una singolare forma di collaborazione tra il patriarca di Costantinopoli e il sultano per cui il primo apparve non soltanto come il capo spirituale della popolazione ortodossa ma anche come il portavoce del potere politico. Sotto l'egida del patriarcato e con il nullaosta del sultano calarono sulle province romene i fanarioti (da Fanàr, quartiere di Costantinopoli): funzionari, impiegati (ma anche commercianti, banchieri, avvocati) con il compito di amministrarle. Fu un'epoca di abusi, di rapine, di profonda depressione economica. Dalla miseria si salvarono soltanto i ricchi monasteri, i boiari e le influenti autorità ecclesiastiche. Ma fu anche, culturalmente, un'epoca assai interessante perché l'apporto esterno (sostanzialmente greco, ma anche francese e italiano) favorì il sorgere di una cultura nazionale: il cirillico fu sostituito dall'alfabeto latino; il romeno entrò di diritto nella liturgia; la Bibbia fu tradotta (1688) in romeno. Nacque la prima timida letteratura, non a caso di contenuto storico. Ma questo risveglio dello spirito indipendentistico venne bloccato, per tutto il sec. XVII, dalla decadenza della potenza turca (che portò a un'accentuazione delle misure repressive soprattutto per opera delle autorità locali) e dalle pressioni esterne delle potenze viciniori, segnatamente l'Austria e la Russia nella loro lenta ma inesorabile avanzata nei Balcani. Nel 1699, al termine di un'ennesima guerra austro-turca, la Transilvania veniva definitivamente inglobata nell'impero asburgico; divenute ormai terra di frontiera (“i due occhi della Porta volti verso l'Europa”), per tutto il sec. XVIII Moldavia e Valacchia furono prese, perse, riprese, suddivise tra i tre grandi in un intricato gioco di equilibri e di contrappesi: nel 1775 gli austriaci si annetterono la Bucovina, mentre nel 1812 fu la volta della Bessarabia a venire annessa dall'impero russo. Lo spirito della Rivoluzione francese, diffusa in tutta Europa dalle armate napoleoniche, non risparmiò la Romania dove, nel 1821, si ebbero i primi episodi di rivolta (Tudor Vladimirescu e Alessandro Ypsilantis). Fu allora che la Turchia, già impegnata a soffocare la rivolta greca e per impedire di essere presa fra due fuochi, concesse una limitata autonomia ai due ex principati sotto due diversi gospodari (1822). Ma poco dopo la Russia (potenza occupante dal 1828 al 1834) compì un ulteriore e fondamentale passo avanti emanando i “Regolamenti organici” (1831-32) che, di fronte al feudale e caotico sistema amministrativo turco, rappresentavano non solo una riforma di grande valore, ma anche un elemento profondamente unificatore, per esempio, con l'istituzione delle “assemblee pubbliche” – embrionali organismi rappresentativi – che furono fondamentali per la diffusione dello spirito indipendentistico. Alla nascita di uno Stato unitario romeno sembrava quindi mancare soltanto il riconoscimento formale da parte delle Potenze; ma gli ostacoli furono ancora molti. Nel 1848 Transilvania, Moldavia e Valacchia insorsero chiedendo la libertà, ma la voce dei patrioti fu soffocata nel sangue e le assemblee sospese. Un nuovo spiraglio parve aprirsi nel 1854 quando, per la guerra di Crimea, ai russi si sostituirono gli austriaci. Ma, nuova delusione, il Trattato di Parigi (1856) restituì le due regioni all'Impero ottomano.

Storia: la nascita dello Stato romeno

Tuttavia il cammino verso la libertà non poteva più essere arrestato: i Romeni esigevano ormai l'indipendenza e nel 1857 l'elezione per il dīvān si tradusse in una trionfale vittoria dei nazionalisti. Si deve a M. Kogălniceanu e alla sua determinazione se la Conferenza di Parigi del 1858 riconobbe, pur con molte riserve (e senza intaccare la sovranità formale della Porta), la costituzione dei Principati uniti di Valacchia e di Moldavia. Un anno dopo, giocando sull'indeterminatezza di un articolo del protocollo parigino, le due assemblee votavano lo stesso nome e il colonnello A. Cuza venne eletto principe di entrambi gli Stati con il nome di Alessandro Giovanni I. Liberale progressista, Cuza portò avanti alcune riforme fondamentali, incurante dell'opposizione accanita dei conservatori laici e religiosi. La riforma agraria, un codice “europeo”, l'estensione del suffragio, l'incameramento dei beni ecclesiastici e l'emancipazione dei contadini, rappresentano gli aspetti più appariscenti di un'opera di modernizzazione di vasto respiro. Ma nel 1866 i conservatori attuarono un colpo di stato e Cuza fu sostituito da un principe tedesco, Carlo di Hohenzollern-Sigmaringen. Ormai dal 1862 il nuovo Stato aveva assunto la denominazione di Romania e Bucarest ne era diventata la capitale; rimaneva però la sovranità formale della Turchia. Per abbatterla bisognò attendere lo scoppio della guerra russo-turca del 1877: la Romania si schierò con la Russia e Carlo proclamò ufficialmente la piena indipendenza romena (9 maggio 1877). Abile ministro si dimostrò in quell'occasione Ion Brătianu, che facendo intervenire direttamente il piccolo esercito romeno ottenne di sedere al tavolo della Conferenza di Berlino (1878) e quindi avervi il riconoscimento internazionale. La Romania divenne un regno e Carlo fu incoronato re (1881) col nome di Carol I. Fu un regno lungo (Carol morì nel 1914), sostanzialmente stabile, contrassegnato dall'adesione alla Triplice (1883) e dall'influenza germanica. Venne molto potenziato l'esercito, istruito alla prussiana, per cui dette ottima prova delle sue qualità durante la seconda guerra balcanica (1913) che fruttò la conquista della Dobrugia. Ma l'indirizzo grettamente conservatore, all'interno, provocò lo scoppio di sanguinose insurrezioni contadine (1888-1907) complicate da difficoltà economiche negli anni a cavallo del secolo. Come già Carol I, anche il nipote Ferdinando I (1914-27) poté contare su un ministro avveduto, Ioan I. C. Brătianu, che, allo scoppio della prima guerra mondiale, riuscì a imporre al re, filotedesco, l'adesione all'Intesa (1916): i lunghi, amari anni del conflitto si conclusero infatti con un trionfo. I disastri militari iniziali e l'occupazione di due terzi del territorio (compresa Bucarest) da parte delle truppe austro-tedesche vennero ricompensati dal trattato di pace finale, che raddoppiò il territorio romeno con l'annessione di Transilvania, Bucovina, Bessarabia, Dobrugia e parte del Banato. La nuova “Grande Romania” (România Mare) moltiplicò la popolazione incorporando importanti minoranze russe, ucraine, bulgare, tedesche, ebree, ungheresi, serbe: quasi un terzo degli abitanti complessivi non erano romeni. Inoltre il Paese si trovava nel 1918 a confinare con Stati (e a comprenderne al proprio interno minoranze, spesso irredentiste) come la Russia e l'Ungheria in preda a convulsioni rivoluzionarie drammatiche. Per reazione, la Romania si sentì “marca di frontiera”: la lotta anticomunista investì tutti gli aspetti della vita romena e l'invasione dell'Ungheria di Béla Kun (1919) dove le truppe romene stroncarono quell'esperienza rivoluzionaria, fu emblematica. Nonostante le difficoltà, i primi anni della “Grande Romania” furono ancora improntati a un liberalismo moderato: ma la degenerazione autoritaria, in corso peraltro in molte parti d'Europa, sarebbe stata rapida e violenta. Al di là degli entusiasmi e della retorica ufficiale il Paese era povero, quasi sprovvisto di industria, carente nelle più elementari infrastrutture. L'assalto del capitale straniero (specie francese) alle risorse industriali (in particolare il petrolio) dette esca alla corruzione, agli interventi della corte, agli scandali. Sulle masse indigenti avevano buon gioco la propaganda rivoluzionaria di sinistra ma soprattutto la demagogia di un partito nazionalista, antisemita e ispirato al fascismo italiano, le Guardie di Ferro. Il Paese scivolò verso il caos. A complicare le cose intervenne, alla morte di Ferdinando, una grave crisi dinastica. Il figlio Carol, reo di avere sposato un'ebrea, fu estromesso dalla successione in favore del nipote Michele (1927-30), a sua volta tolto di mezzo, con un colpo di mano, dal padre. Carol II non trovò di meglio che instaurare la maniera forte: si susseguirono arresti, fucilazioni, scioglimenti di partiti, finché, nel 1938, lo stesso Parlamento venne soppresso e il potere affidato a un Fronte della Rinascita Nazionale di estrema destra coadiuvato da una Camera corporativa. Ma i guai non erano finiti: sulla Romania si addensavano le oscure nubi degli irredentismi che trovavano appoggio anche in Italia e in Germania. Nel 1940 in seguito al patto Molotov-Ribbentrop il Paese perse la Bessarabia e la Bucovina (passate all'URSS a formare la Repubblica autonoma di Moldavia), la Transilvania (all'Ungheria) e parte della Dobrugia (alla Bulgaria): complessivamente quasi un terzo del suo territorio. Centinaia di migliaia di profughi in condizioni pietose si riversavano verso la capitale, mentre si moltiplicavano in tutto il Paese atti di violenza e terrorismo politico. Di fronte a questa situazione esplosiva il 5 settembre 1940 il re chiamò al governo Ion Antonescu, già capo di Stato Maggiore, estromesso nel 1939 perché troppo autoritario. Antonescu in meno di ventiquattro ore trasformò la Romania in uno Stato fascista. Carol II fu costretto ad abdicare in favore di Michele (6 settembre) e le famigerate Guardie di Ferro guidate da Horia Sima divennero il partito unico. Seguirono giorni di sangue in cui le Guardie di Ferro compirono autentiche stragi di oppositori e violenze di ogni genere, specie contro la popolazione ebraica. Nel gennaio 1941 tentarono addirittura di abbattere il governo ma furono, a loro volta, ferocemente soppresse. Intanto la Romania fu dichiarata (14 settembre) “Stato legionario” e Antonescu proclamato Conducǎtor (duce). Poi il Paese non ebbe più storia. Satellite dell'Asse (nel novembre 1940 aveva aderito al Tripartito) nel giugno 1941 dichiarò la guerra all'URSS inviando le sue truppe a fianco di quelle tedesche avanzanti: rioccupava la Bessarabia e si annetteva la Transdnestria, con la città di Odessa, fino al Bug. Nel 1943 la vittoria sovietica a Stalingrado e l'armistizio italiano di Cassibile indussero la Romania a prendere contatti diplomatici con gli Alleati nell'intento di salvare il regime, ma fu vana speranza. Lo “Stato legionario” crollò prima ancora dell'arrivo dei sovietici; re Michele fece arrestare Antonescu, il cui regime fu sostituito da un governo popolare che firmò l'armistizio (23 agosto 1944) e inviò truppe romene a combattere contro i tedeschi in Ungheria. Con la firma del trattato di pace a Parigi (10 febbraio 1947) la Romania restituì all'URSS i territori occupati nel 1941, ma contemporaneamente riottenne dall'Ungheria la Transilvania.

Storia: Ceausescu e la "Repubblica socialista"

Nel marzo del 1945 il governo venne messo in mano a P. Groza, esponente del Partito Contadino, alleato dei comunisti, i quali ottennero i ministeri-chiave; nei mesi successivi vennero approvate riforme cruciali come quella agraria e quella elettorale che dava il voto alle donne. Fra il 1946 e il 1947 il Partito Comunista, anche attraverso elezioni manovrate, “fusioni” imposte ad altri partiti, e l'eliminazione (spesso fisica) dei personaggi compromessi con il vecchio regime fascista, finì per restare il detentore unico del potere, lasciando isolato e ai margini il re. Il 30 dicembre 1947 Michele abdicò e fu proclamata la Repubblica popolare, che procedette a una serie di importanti nazionalizzazioni e, dopo pochi mesi, a una nuova riforma di tipo collettivista nelle campagne. Nel 1948, con l'appoggio del governo, il patriarca ortodosso Giustiniano impose l'unificazione sotto le sue insegne della chiesa greco-cattolica uniate, forte soprattutto nel Nord del paese. Dopo un periodo di lotte intestine fra diverse correnti interne al Partito Comunista, culminate nell'approvazione di una nuova Costituzione (settembre 1952), salì al potere G. Gheorghiu-Dej che predispose i piani quinquennali del 1951-60, varò la riforma agraria e aderì al Patto di Varsavia (1955); non volle però seguire il processo di disgelo avviato nell'URSS da N. Khrušcev, mantenendo in Romania un regime rigidamente stalinista e schierandosi in prima linea, nell'autunno del 1956, a sollecitare un intervento militare sovietico che schiacciasse la rivolta democratica nella vicina Ungheria. Proprio con i leader ungheresi, prima e dopo il '56, Gheorghiu-Dej mantenne sempre rapporti piuttosto tesi, per via dell'irrisolta questione della Transilvania e della forte minoranza magiara che vi continuava a vivere. Nel 1965 a Gheorghiu-Dej succedette N. Ceausescu come segretario generale del Partito Comunista. Questi, dopo un periodo in cui spartì il potere con il premier G. Maurer e il presidente del Consiglio di Stato C. Stoica, divenne nel 1967 anche presidente della Repubblica. Da quel momento la Romania – diventata “Repubblica socialista” prima fra gli Stati dell'Est – rafforzò la propria autonomia da Mosca. In politica interna vi fu un'iniziale, moderata spinta liberalizzatrice, che trovò nel 1968 una sanzione anche internazionale con il rifiuto di Bucarest di appoggiare l'invasione della Cecoslovacchia. Durante gli anni Ottanta al contrario il regime di Ceausescu, pur rimanendo il meno allineato dei Paesi dell'Est, si mosse in senso opposto a quello del decennio precedente: per sistemare i conti dell'economia nazionale e ottenere dei prestiti dalle istituzioni internazionali diede vita a una politica di austerità estremamente rigida, che intaccò drammaticamente il livello di vita della popolazione; e a questa si accompagnarono la spietata repressione del dissenso, la sistematica violazione dei diritti dell'uomo (in particolare della minoranza ungherese, costretta alla deportazione) e il rifiuto netto delle tendenze riformiste avviate dalla perestrojka sovietica di M. Gorbacev, posizioni che comportarono a diverse riprese il congelamento dei rapporti diplomatici con l'Occidente. Questa situazione dapprima produsse l'emergere di alcuni dissensi nello stesso apparato dello Stato, espressi nel marzo 1989 da alcuni ex alti dirigenti e in forma anonima durante il Congresso del partito in novembre, poi fece esplodere a metà dicembre una rivolta nella città di Timisoara, dove una grande folla di nazionalità ungherese e romena si era raccolta a difesa di un noto dissidente, pastore della Chiesa protestante, da tempo perseguitato. La brutale repressione seguitane innescò un moto insurrezionale che si estese rapidamente ad altri centri del Paese, arrivando fin nella capitale dove il 21 dicembre una grande manifestazione convocata in appoggio a Ceausescu si trasformò in una violenta contestazione contro il leader, costretto a fuggire. Nelle ore successive il regime si spaccò. L'esercito si rifiutò di intervenire contro la popolazione prendendone anzi le difese contro la Securitate, polizia segreta fedele al presidente distintasi per efferatezza: la lotta si protrasse per alcuni giorni causando la morte di ca. 1000 persone. La resistenza della Securitate cessò solo con l'esecuzione di Ceausescu e della moglie, catturati mentre cercavano di riparare all'estero in incognito e fucilati dopo un sommario processo il 25 dicembre. Il giorno seguente il potere fu assunto da un Comitato espresso dal Fronte di Salvezza Nazionale (FSN), sotto la guida di Ion Iliescu, già alto dirigente caduto in disgrazia; in posizione subordinata si collocò un governo capeggiato da Petre Roman, figlio di un esponente comunista di rilievo e leader nazionale dell'FSN. Sciolto il partito unico, nei primi mesi del 1990 furono smantellati le strutture e i programmi del precedente regime: attriti sorsero però presto fra i partiti di nuova formazione e l'FSN, cui fu addebitata un'eccessiva continuità con il passato (numerosi erano infatti i suoi membri già appartenuti alla nomenclatura comunista).

Storia: il postcomunismo

Il 20 maggio 1990 Iliescu fu eletto presidente in funzione transitoria (trenta mesi di mandato), mentre le contestuali elezioni legislative affidarono al Parlamento il ruolo di Costituente. La grave crisi economica, resa più sensibile dalla liberalizzazione dei prezzi, e il persistere di una certa ambiguità della situazione politica interna segnarono il biennio successivo. Varie e di diverso segno furono le manifestazioni di protesta, da quella violenta dei minatori della valle di Jiu, chiamati da Iliescu contro l'opposizione studentesca che in piazza chiedeva pacificamente riforme più rapide e radicali (giugno 1990) a quella del settembre 1991, in cui gli stessi minatori chiedevano a gran voce le dimissioni di Roman e a seguito della quale egli indicava come suo successore Teodor Stolojan, che veniva nominato primo ministro nell'ottobre 1991. Successivamente, con referendum popolare, veniva approvata la nuova Costituzione democratica (dicembre 1991). Alle elezioni amministrative del febbraio 1992, le prime libere dopo oltre 50 anni, l'FSN era battuto dalla Convenzione democratica (CDR), un raggruppamento di forze di opposizione che si affermava nelle principali città. Il Congresso dell'FSN del marzo 1992, con l'approvazione della politica di liberalizzazione economica prospettata da Roman, segnava una netta sconfitta per Iliescu, che dava vita (aprile 1992) a un nuovo partito, il Fronte Democratico di Salvezza Nazionale (FDSN), mentre dalla parte restante dell'FSN nasceva sotto la guida di Roman il Partito Democratico. Le elezioni politiche del settembre 1992 vedevano la vittoria dell'FDSN e le contemporanee presidenziali il successo di Iliescu sul candidato della Convenzione Democratica, Emil Constantinescu. In novembre si costituiva un governo di coalizione, alla guida del quale era chiamato Nicolae Vacariou, esperto in finanza e macroeconomia proposto dall'FDSN, ma non appartenente ad alcun partito. Nel 1993 la Romania entrava a far parte del Consiglio d'Europa. Nel 1995 il governo Vacariou, di cui erano entrati a far parte due forze politiche di ispirazione nazionalista, il Partito Rumeno per l'Unità Nazionale (PRUN) e il movimento România Mare, doveva affrontare il problema delle rivendicazioni della minoranza ungherese, contraria alla nuova legge sull'istruzione che imponeva l'uso della sola lingua rumena nelle università del Paese; la controversia sulle minoranze metteva in difficoltà lo stesso esecutivo, provocando la rottura dei rapporti tra il partito di Iliescu (che nel frattempo aveva cambiato nome assumendo quello di PSDR, Partito della Social Democrazia romena) e gli ultra-nazionalisti di România Mare. Sul versante economico il governo avviava un piano di privatizzazione delle imprese statali, la cui modesta riuscita non poteva evitare il deprezzamento della moneta nazionale e la sua conseguente svalutazione. La mancanza di aiuti internazionali non consentiva però il dispiegarsi di una politica economica che, per aggredire realmente la drammatica situazione del Paese, doveva contare su un adeguato sistema di ammortizzazione degli inevitabili costi sociali. In queste condizioni il presidente Iliescu si presentava alle elezioni dovendo fronteggiare una composita ma agguerrita opposizione che riusciva a ribaltare il risultato di quattro anni prima. La Convenzione Democratica stringeva un patto con Roman, leader dell'Unione Sociale Democratica (UDS), che permetteva la conquista della maggioranza relativa in Parlamento (ottobre 1996) e la successiva vittoria di Costantinescu al ballottaggio presidenziale, il mese dopo. Il neopresidente poneva Victor Ciorbea (CDR) a capo del nuovo governo di coalizione, formato con l'UDS e l'Unione Democratica Magiara (dicembre 1996). Nel febbraio 1997 Ciorbea presentava un piano di radicale risanamento economico in accordo con il Fondo Monetario Internazionale e approvato nel maggio successivo anche dalla Banca Mondiale, che accordava a Bucarest un credito per le riforme economiche. Ma le pesanti restrizioni economiche aprivano un profondo conflitto interno alla coalizione, che portavano Petre Roman, presidente del Senato, e Ciorbea a rassegnare le dimissioni. Al suo posto veniva nominato il cristiano-democratico Radu Vasile: il nuovo governo si adoperava anche per restituire la cittadinanza all'ex re Michele, accordata nel febbraio 1998. La crescente instabilità economica determinava, nel dicembre 1999, una nuova crisi politica, che portava Constantinescu a revocare il mandato a Vasile e a nominare come premier Mugur Isărescu, già governatore della Banca centrale romena. Le elezioni presidenziali del 2000 decretavano il ritorno di Iliescu che, riportando una schiacciante vittoria su Vadim Tudor, il leader del partito nazionalista România Mare, fermava con l'appoggio della Convenzione Democratica l'avanzata dell'estrema destra razzista e xenofoba, divenuta con le politiche del mese prima la seconda forza politica in Parlamento. Iliescu, accettata quindi la collaborazione con i partiti di centro destra anche nella speranza di ottenere una maggiore fiducia dalle istituzioni internazionali per fronteggiare la difficile situazione economica del Paese, designava come premier il vicepresidente del suo partito (nel frattempo nuovamente rinominatosi PSD, Partito Socialdemocratico) Adrian Nastase, che formava un nuovo governo di minoranza con l'appoggio esterno della CDR. Nell'ottobre 2003, con un referendum, veniva approvata una serie di emendamenti alla Costituzione. Nel marzo 2004 il Paese entrava ufficialmente a far parte della NATO, mentre entravano in una fase finale i negoziati per l'adesione all'Unione Europea, fissata al 2007. Le elezioni politiche di novembre vedevano un'affermazione parziale del PSD, non sufficiente a garantire una maggioranza stabile; veniva quindi varato un governo di coalizione di centrodestra (Partito nazional Liberale, Partito memocratico, Partito umanista romeno e UDMR, il partito etnico magiaro), guidato dal leader del PNL Calin Popescu-Tariceanu, mentre parallelamente il ballottaggio delle presidenziali vedeva affermarsi il candidato di centrodestra, Traian Basescu. Il 1° gennaio 2007 il Paese entrava a far parte dell'Unione Europea. In aprile Tariceanu presentava un nuovo governo in cui entravano il Partito nazionale liberale e l'Udmr, inoltre il Parlamanto approvava la sospensione dalle sue funzioni del presidente Basescu, per aver violato la Costituzione, in quanto si era rifiutato di approvare il nuovo governo. In maggio si svolgeva un referendum contro il presidente, che però riceveva l'approvazione degli elettori ed evitava l'impeachment. In novembre si svolgevano le elezioni europee che registravano un'affluenza molto bassa, circa il 30%; vinceva il Partito democratico. Nel dicembre del 2008 si svolgevano le elezioni legislative con bassa affluenza al voto. Il partito all'opposizione PSD otteneva una debole maggioranza con il 33,6% dei voti, seguito dal Partito democratico liberale con il 33%; il Partito nazional liberale arrivava al 18% dei consensi. Subito dopo il presidente Basescu designava premier l'economista Theodor Stolojan (PDL), il quale rinunciava alla carica. Al suo posto veniva nominato Emil Boc, sempre del PDL. Nel dicembre 2009 si svolgevano le elezioni presidenziali vinte dal presidente uscente Basescu con il 50,33% contro il 49,6% dello sfidante Mircea Geoana. Nel gennaio 2012 Boc si dimetteva, in seguito alle proteste sulle misure economiche varate dal governo. Dopo un governo di transizione guidato da Mihai Răzvan Ungureanu, in maggio diventava premier il socialdemocratico Victor Ponta, mentre in luglio il parlamento sospendeva il presidente Basescu dalle sue funzioni, facendo entrare il Paese in una crisi politica senza precedenti. In dicembre la coalizione guidata dal premier Ponta vinceva le elezioni legislative. Nel novembre del 2014 il liberale Klaus Iohannis vinceva le lelezioni presidenziali contro V. Ponta. Nel novembre del 2015 Dacian Ciolos diventava il nuovo premier, dopo che Ponta aveva rassegnato le dimissioni in seguito a un rogo in un club di Bucarest.

Cultura: generalità

Il patrimonio culturale romeno si è formato sotto la stretta influenza del mondo slavo e ortodosso, al quale nei secoli passati si sono mescolati tuttavia elementi ungheresi, russi, bizantini, ebraici, tzigani e occidentali. La lingua romena è emblematica di questa profonda mescolanza: è una lingua di origine latina, unica lingua romanza dei paesi dell'Est, scritta in alfabeto latino e con un vocabolario per gran parte di origine slava. Il relativo isolamento culturale in cui ha versato la Romania negli anni in cui era uno stato socialista e il carattere rurale della sua economia hanno contribuito a mantenere in questo Paese una certa continuità con le tradizioni popolari che in altri luoghi sono state abbandonate con il secondo dopoguerra. Poco nota al di fuori dei confini nazionali per via della lingua, la letteratura romena è tuttavia estremamente raffinata, anche se alcuni dei suoi interpreti più innovativi, come Eugène Ionesco e il poeta Paul Celan, hanno vissuto in altri Paesi europei; spicca per ricchezza inoltre la produzione cinematografica, sia pure penalizzata dopo il 1989 da una certa difficoltà finanziaria dello Stato. Sedi universitarie, oltre alla capitale Bucarest sono Iasi, Cluj, Craiova, Galati, Tîrgu Mures e Timisoara. Sono stati dichiarati patrimonio mondiale dall'UNESCO, oltre all'ambiente naturale del delta del Danubio, alcune chiese e complessi monastici che testimoniano di un passato artistico e religioso dalle caratteristiche peculiari, come le chiese fortificate della Transilvania (1999), le chiese di legno del Maramures (1999), le chiese della Moldavia con i loro splendidi affreschi bizantini (1993); una testimonianza archeologica di valore eccezionale è infine la fortezza dacia sulle montagne Orastie (1993).

Cultura: tradizioni

A Bucarest esiste uno dei più interessanti musei etnografici del mondo. Lo ha voluto il governo del passato regime per valorizzare usanze e costumi che in Romania, come altrove, vanno scomparendo, ed è stata un'iniziativa particolarmente felice, a differenza di altre iniziative di Ceausescu segnate da una triste e retorica interpretazione di cosa dovrebbero essere le tradizioni “popolari”. Nascita e matrimonio sono ancora oggi, sia pure in misura minore di un tempo, le maggiori occasioni per riprendere in modo vivo i costumi tradizionali. Balli e canti sono sempre di rigore, soprattutto nei villaggi rurali. Basti pensare che l'Istituto del folclore di Bucarest ha raccolto oltre 60.000 composizioni poetiche popolari di tutti i tempi (famosa la doinā, sui temi della vita errante, dell'amore e della morte). Le feste sono le occasioni di incontro per i giovani, ai quali era addirittura dedicata una giornata, quella del 20 luglio, nota come la “fiera delle ragazze da sposare” che si teneva sul monte Găina. Di quell'antica festa oggi resta poco, un giorno d'incontro, di canti, di balli, tra cui il più diffuso è la hora. Nell'ora della tristezza, della scomparsa di una persona cara, è ancora il canto a testimoniare il sentimento di dolore. Le bocete, o canti funebri, lenti, lamentosi, risuonano dall'alba al tramonto, cantate da uno o più gruppi. Tra le feste più sentite è il Natale. È il giorno in cui si cantano le colinde, dialoghi bellissimi di squisita poesia, nei quali vengono celebrati i fatti principali della vita di Cristo. Le colinde sono cantate generalmente da fanciulli dai sette ai dodici anni. In alcuni paesi si organizzano anche rappresentazioni sacre, le Vicleim e le Izozi, i cui nomi derivano da una deformazione di Betlemme e di Erode. Il primo giorno dell'anno vede ancora in qualche villaggio i giovani girare per le strade seguendo un aratro trascinato da buoi e cantare il plugusor o canto dell'aratro. Anche questo giorno, come il Natale o la Pasqua, registra un grande consumo di cozonac e di colac, ciambelle di grano che appaiono sulle tavole dei romeni in tutte le grandi feste. La Pasqua coincide con la festa di primavera o del Verde Giorgio, comune a molta parte del mondo slavo. Il Verde Giorgio è impersonato da un ragazzo letteralmente ricoperto di foglie e di fiori (simbolo vivente dell'albero), il quale ha il compito di propiziare gli spiriti dell'acqua e della vegetazione. Nelle zone rurali del Paese un tempo le abitazioni erano un vero e proprio museo dell'artigianato in miniatura, ravvivate dalle decorazioni in legno, dalle ceramiche a colori forti, dai tappeti dai colori accesi appesi alle pareti. Assai fantasiosi erano anche gli abiti tradizionali, dalle fogge svariate, ovunque trionfanti di ricami, di frange, di decorazioni, con evidenti sovrapposizioni di influssi turchi, bulgari, russi, sassoni. L'artigianato dei tessuti ricamati sta risorgendo un po' ovunque in Romania come conseguenza della maggiore diffusione del turismo europeo e occidentale; sono i turisti, infatti, che hanno sostituito un po' dappertutto nel Paese gli acquirenti di oggetti di artigianato tradizionale che avevano perso il proprio mercato naturale. § Un cenno infine alla cucina, ricca di specialità. Il piatto più diffuso è la mămaligă, specie di polenta, accompagnata a uova, latte, formaggio, o con cipolle dorate in padella. Famosi i mititei, salsicce di carne di bue, le sărmale, polpette di carne avvolte in foglie di vite. Tra le minestre sono preferite quelle acide come i bors e la ciorbă. Tra i numerosi altri piatti tipici vanno segnalati il caviale in insalata (icre negre) e il ghiveci (zuppa di verdura cotta al forno con aggiunta di carne di maiale). Molti i formaggi, specie quelli di latte ovino e caprino. In Romania, infine, si producono almeno 400 tipi di vino di tutte le varietà, secchi, abboccati, dolci e liquorosi, rinomati per la loro qualità, ed esportati in molti Paesi europei tra i quali anche l'Italia. Tra i rossi più famosi vanno citati quelli delle zone Dealu Mare, Murfatlar, Segarcea e tra i bianchi quelli delle zone di Cotnari, Dragasani, Tirnavani e Stefanesti. Ma le bevanda preferita dei rumeni è la zuica, acquavite di prugne, che la gente del posto beve soprattutto come aperitivo.

Cultura: letteratura: la fase arcaica

La prima testimonianza scritta in lingua romena risale al 1521: è la lettera di Neacsu. La stessa ricca produzione popolare orale (canti lirici, canti epici, ballate ispirate ad antichissimi miti, come L'agnellina o Mastro Manole, canti connessi a usi rituali, canti natalizi, colinde o cântece de steauă, canti di stella o come le iertăciuni, i perdoni di nozze e di morte), certamente assai antica, è stata fissata soltanto tardi (V. Alecsandri 1821-1890, Poesie popolari, 1852-53). La fase più arcaica della storia letteraria romena prende il nome di “slavonismo culturale” e si protrae fino al sec. XVII. I rapporti politico-militari con gli slavi del Sud e la creazione di un impero romeno-bulgaro determinano l'adesione dei romeni al cristianesimo ortodosso, attirandoli nell'area della cultura slavo-bizantina. In questa fase la letteratura è prevalentemente religiosa: i testi canonici e apocrifi, tradotti nei monasteri. Non mancano però le cronache universali, i romanzi di fantasia, le storie edificanti (Romanzo di Alessandro, Storia di Troia, Barlaam e Giosafat ecc.), le stesse che da Bisanzio erano passate in Occidente. Sul suolo romeno si scrivono, in slavo, i primi documenti di storiografia nazionale (La cronaca di Stefano il Grande, Annali di Bistrita, le cronache di Macario, Eftimio, Azario); la lingua è lo slavo ecclesiastico, lingua ufficiale della Chiesa e della cancelleria, come il latino in Occidente. Accanto a queste compilazioni si colloca un monumento di eccezionale livello letterario attribuito al principe Neagoe Basarab (1512-21), Gli ammaestramenti del principe Neagoe al figlio Teodosio, vera enciclopedia etico-religiosa, scritta in slavone e più tardi tradotta in romeno e in greco. L'impulso all'introduzione della lingua nazionale nell'uso letterario e nel culto viene dalla Riforma che propugna l'uso della lingua del popolo in sostituzione del latino. Si assiste così a un'intensa attività di traduzione dallo slavone in romeno di libri usati per il culto (Salterio e parti del Nuovo Testamento). All'affermazione del romeno come lingua letteraria ha dato un contributo risolutivo Coresi (sec. XVI) che, ponendo le basi della lingua letteraria, prepara lo strumento per realizzazioni di notevole livello. Fra queste, il Libro romeno di insegnamento (1643) di Varlaam (ca. 1590-1657), la traduzione in versi del Salterio (1673) a opera di D. B. Dosoftei (1624-1694) e le Prediche di I. Antim (1716), vero creatore, quest'ultimo, dello stile omiletico. Rappresenta il coronamento di questa attività la Bibbia di Bucarest (1688). In campo laico è il genere storiografico a servirsi per primo del nuovo strumento espressivo: Grigore Ureche (1590-1647) e Miron Costin (1633-1691) in Moldavia, Constantin Cantacuzino (ca. 1650-1716) e Radu Popescu (m. 1729) in Muntenia, Dimitrie Cantemir (1673-1723) e Ion Neculce (ca. 1672-1745) sono veri creatori di stile. Il periodo di transizione, che segna il distacco dall'età feudale, rappresenta un processo complicato, che si consuma sul piano culturale e letterario tra la fine del sec. XVIII e gli ultimi anni del governo di Alessandro Cuza (1859-66).

Cultura: letteratura: l'influenza dell'Occidente

Sotto l'aspetto culturale, questa fase segna l'allentarsi dei rapporti con l'area del SE danubiano e il progressivo accostarsi alla letteratura e al pensiero occidentali. Determinante in questo senso è l'incontro della cultura romena con l'illuminismo francese (Voltaire, Montesquieu), tedesco (Wolff, Baumeister) e anche italiano (Filangieri, Beccaria). La critica dei privilegi di diritto divino provoca infatti, come reazione interna, in Transilvania, la rivendicazione dei diritti civili e politici conculcati, estendendosi, in nome della comune origine latina attestata dalla lingua, anche alle altre province. L'attività storica e filologica degli scrittori transilvani S. Micu (1745-1806), Gh. Sincai (1754-1816), P. Maior (1761-1821) mira tutta a questo scopo. L'epoca dell'illuminismo in Transilvania ha la sua espressione artistica più matura in I. Budai-Deleanu (ca. 1760-1820). Nei principati sono personalità di transizione i Văcărescu (Alecu, ca. 1769-1800; Iancu, 1792-1863; Ienache, ca. 1740-1797; Nicolae, ca. 1784-1825) e C. Conachi (1778-1849), in cui tracce di mentalità orientale persistono accanto a fermenti di critica rinnovatrice. Il processo di modernizzazione, cui contribuisce indirettamente “l'ellenismo” che caratterizza l'epoca fanariota, continua nell'età del risorgimento e coincide con l'affermarsi del romanticismo. In un crescendo che va da V. Cârlova (1809-1831) a D. Bolintineanu (1819-1872), da G. Alexandrescu (ca. 1810-1885) a C. Bolliac (1813-1881) la poesia romena si arricchisce di nuovi temi e si perfeziona sul piano formale, mentre la prosa realizza con N. Filimon (1819-1865) il primo autentico romanzo sociale in senso moderno (1863). Fra il 1840 e il 1860 si determina sul piano formale una netta differenziazione dei generi; sul piano dei contenuti, la lotta fra tradizione autoctona e imitazione delle letterature straniere culmina in uno sforzo di sintesi originale, rappresentato dall'opera di V. Alecsandri. Sulle soglie del 1860, per merito della critica chiarificatrice di T. L. Maiorescu(1840-1917) la letteratura romena realizza un vero salto qualitativo. Una triade gloriosa, M. Eminescu (1850-1889), I. Creanga (1837-1889), I. L. Caragiale (1852-1912), rappresenta rispettivamente il vertice della lirica, della prosa, del teatro. Il programma di Dacia literară si prolunga tuttavia, adattandosi alla nuova situazione politico-sociale: socialista con C. Dobrogeanu-Gherea (1855-1920) e Sanielevici (1875-ca. 1951), poporanista con G. Th. Ibrăileanu (1871-1936), seminatorista con N. Iorga (1871-1940), questo programma coincide con l'affermazione dei valori autoctoni, opponendosi al cosmopolitismo e quindi all'innovazione. Il realismo del mondo paesano, si rifletta esso nella visione moralista di I. Slavici (1848-1925) o in quella, romantica, di B. Delavrancea (1858-1918), si inquadra in questa corrente non meno del grande affresco dedicato da D. Zamfirescu (1858-1922) all'evoluzione e decadenza di una grande famiglia di proprietari terrieri. Una viva aderenza all'ambiente rurale e ai suoi problemi, alla bellezza delle tradizioni patriarcali ispira la poesia di A. Vlahută (1858-1919), di G. Cosbuc (1866-1918), di S. O. Iosif (1875-1913), mentre quella di O. Goga (1881-1938) vibra di ideali irredentisti. Tuttavia, la sensibilità moderna già s'impone nell'opera di A. Macedonski (1854-1920). Sostenuto sul piano critico sin dal 1905 da O. Densusianu (1873-1938), il modernismo s'impone nel dopoguerra con tale volontà di rottura da assumere le forme anarchiche dell'avanguardia: futurismo, surrealismo, dadaismo hanno in Urmuz (1883-1923), I. Vinea (1895-1964), Tristan Tzara (1896- 1963), Sasa Pana (1902-1981), I. Voronca (1903-1956) dei promotori a livello europeo. Permane tuttavia, pur nell'ambito delle esperienze moderniste, un istinto di difesa dell'autoctono, inteso come “carattere nazionale specifico”. Esso si afferma in Gândirea (Il pensiero) e con accento originale, in quanto la tradizione si arricchisce dell'elemento religioso (ortodossismo). Fra gli interpreti di questa corrente, alla quale aderiscono in misura diversa e con libera originalità, vanno annoverati N. Crainic (1889-1972) e L. Blaga (1895-1961), I. Pillat (1891-1945) e V. Voiculescu (1884-1964). Ma ormai la definizione entro correnti di personalità così diverse si fa sempre più difficile.

Cultura: letteratura: la produzione contemporanea

Padrona di tecniche elaboratissime, autonoma nei temi, la poesia contemporanea romena, simbolista con I. Minulescu (1881-1946) e G. Bacovia (1881-1957), ermetica con I. Barbu (1895-1961), vanta ormai nomi di risonanza internazionale come T. Arghezi (1880-1967) e Lucian Blaga. L'impegno creativo non è venuto meno neppure nel periodo seguito alla rivoluzione socialista. Infatti, mentre la produzione dell'immediato dopoguerra è contraddistinta da una tematica retoricamente politica, a cavallo fra gli anni Cinquanta e Sessanta del Novecento si assiste a un radicale rinnovamento teso al recupero dei valori puramente lirici. La nuova generazione di poeti riconosce il suo antesignano in N. Labis (1935-1956), proponendo un'esperienza poetica rinnovata e densa di contenuti. Alle voci vigorose degli anni Sessanta (St. A. Doinas, 1922-2002; A. Philippide, 1900-1979; I. Caraion, 1923-1986; G. Naum, 1915-2001; Nina Cassian, n. 1924), si aggiungono nel decennio successivo quelle di N. Stănescu (1933-1983), M. Sorescu (1936-1996), C. Baltag (1939-1997), I. Alexandru (n. 1942), M. Dinescu (n. 1950) ecc. Va rilevato il forte apporto della lirica femminile con, tra le altre, I. Mălăncioiu (n. 1940), C. Buzea (n. 1941), A. Blandiana (n. 1942), che nel corso degli anni Ottanta del secolo scorso hanno saputo dare ai loro versi anche i polemici accenti del dissenso politico. Sempre negli anni Ottanta i poeti cosiddetti “optzecisti” si riconoscono in un postmodernismo, proponendo un nuovo tipo di linguaggio lirico. Negli anni successivi alla rivoluzione del 1989 si inizia a pubblicare in Romania anche l'opera di alcuni scrittori dell'esilio, tra i quali spiccano i nomi di Paul Goma (n. 1935) e del narratore, saggista e diplomatico Vintila Horia (1915-1992). Va sottolineato infine che in Romania è nato uno dei più grandi poeti del Novecento, Paul Celan (1920-1970), il quale ha tuttavia vissuto a Parigi (città dove è morto gettandosi nella Senna) a partire dagli anni successivi alla seconda guerra mondiale. Di origine ebraica, Celan è stato drammaticamente segnato dalla deportazione dei genitori; la sua straordinaria lirica, notevole per capacità visionaria vicina al surrealismo, carica simbolica e intensità drammatica, è scritta in tedesco. Anche nella prosa degli scrittori rumeni del Novecento si riscontra un notevole processo di rinnovamento. A Slavici si ricollega L. Rebreanu (1885-1944), che dà col romanzo Ion un capolavoro di misura universale. Sono questi i maestri cui si ispirano, con una tematica nella quale si riflettono le recenti trasformazioni economiche e sociali, insieme con i conflitti di coscienza che ne derivano, due grandi prosatori, affermatisi nel periodo seguito alla seconda guerra mondiale: M. Preda (1922-1980) e Titus Popovici (1930-1994) che rappresentano, accanto a E. Barbu (1924-1993), i “classici” contemporanei. Più lentamente si afferma invece il romanzo d'ambiente cittadino: con Hortensia Papadat-Bengescu (1876-1955) e con Matei Caragiale (1885-1936) il romanzo si fa sottile indagatore di processi psicologici complessi, nel quadro di una società – di ieri o di oggi – raffinata e decadente. Con Camil Petrescu (1894-1957) l'impegno si rivela anche più ambiziosamente cerebrale. Accanto a M. Sădoveanu (1880-1961), ancor oggi riconosciuto nume tutelare della prosa romena, va ricordato G. Călinescu (1899-1965), le cui opere segnano il distacco dal realismo socialista e dal romanzo sociale di Popovici e Preda. Un ruolo a se stante ha indubbiamente l'opera in prosa di alcuni autori precocemente espatriati, come Gregor von Rezzori 1914-1998), Mircea Eliade (1907-1986) ed Emile Cioran (1911-1995). Rezzori, nobile nato ai margini dell'impero austroungarico, nella provincia di confine della Bucovina, è stato sempre legato, nelle sue tematiche letterarie, al paesaggio ideale della propria infanzia (Le nevi di un tempo, Un ermellino a Cernopol); Mircea Eliade, vissuto a lungo a Parigi e negli Stati Uniti, è stato scrittore di raffinati affreschi storici e storico delle religioni; Emile Cioran, infine, prosatore e filosofo che si è sempre espresso nella lingua della sua patria d'adozione, il francese, è autore di aforismi di radicale nichilismo che hanno segnato la filosofia e la letteratura del Novecento (Principi di decomposizione, La tentazione di esistere). Negli anni Sessanta e Settanta del Novecento si arriva anche in Romania alla definitiva affermazione di una prosa differenziata quanto a stili e tematiche, al passo con le innovazioni delle letterature occidentali. Così, accanto alla fantascienza di I. Hobana (n. 1931) e all'onirismo di D. Tepenag (n. 1937), si incontrano l'introspezione di A. Ivasiuc (1933-1977), N. Breban (n. 1934) e A. Buzura (n. 1938). Negli anni Ottanta, come si è visto per la poesia, vi è un profondo rinnovamento della prosa, per opera di una generazione che ritrova una coscienza epica originale e una perfetta padronanza delle tecniche narrative più avanzate. Dopo la rivoluzione del 1989 si assiste, con il ritorno in patria di molti intellettuali fuggiti durante la dittatura, al recupero della letteratura dell'esilio e al pronunciato tentativo critico di ridefinire in modo unitario la storia della letteratura romena postbellica. A fianco della prosa artistica va ricordata la saggistica, nel cui ambito sono annoverati nomi di primissimo piano. Innanzitutto i critici che, affermatisi tra le due guerre, continuano la loro attività nel periodo postbellico. Accomunati da un orientamento prevalentemente idealista, sono T. Vianu (1897-1964), V. Streinu (1902-1970), S. Cioculescu (1902-1988) ecc. A una critica sia di stampo testuale sia comparatista si dedicano D. Caracostea (1879-1964), D. Popovici(1902-1952) e soprattutto Perpessicius (1891-1971), cui si deve in particolare la monumentale edizione critica delle opere di Eminescu, portata a termine nel 1990 grazie all'opera di P. Cretia (1927-1987) e D. Vatamaniuc (n. 1920). Nel periodo successivo alla seconda guerra mondiale, superato obbligatoriamente il momento legato a un'impostazione marxista, la critica ha assimilato gli orientamenti contemporanei, dispiegandosi in un panorama quanto mai vario e vivace, che va dallo strutturalismo e la semiotica al decostruttivismo, alla psico-critica, alla variantistica.

Cultura: archeologia e arte: le prime testimonianze

La civiltà dacogetica, che si sviluppa con la costituzione dello Stato unitario di Burebista (sec. I a. C.), ha lasciato importanti testimonianze nei resti della sua capitale Sarmizegetusa e nelle altre cittadelle daciche della Transilvania (Porolisso, Blidaru, Piatra Rosie, Costesti): alcuni santuari indigeni erano costituiti da allineamenti paralleli di fusti di colonne, mentre le piante complesse di alcuni edifici (per esempio il Palazzo di Popesti presso Bucarest) sono ispirate a modelli ellenistici. Anche i tesori di vasi e oggetti ornamentali di argento mostrano evidenti influenze ellenistiche, provenienti dalle città greche (allora già facenti parte della provincia romana della Mesia) di Histria (vedi Istria), Tomi e Callati sul Mar Nero. I resti archeologici più importanti e più ampiamente estesi sono quelli relativi alla dominazione romana, che va da Traiano ad Aureliano per la Dacia (vedi Daci) e continua anche oltre per la Mesia inferiore, cioè per la Dobrugia. Oltre alle opere militari del limes, al grandioso monumento trionfale di Adamclisi e alla nuova città romana di Ulpia Traiana, che aggiungerà al proprio nome quello di Sarmizegetusa, l'antica capitale di Decebalo, sono numerosi i centri militari e poi civili romani, sorti spesso su precedenti abitati dacici. Tra essi è Apulum, oggiAlba Iulia (castro col suo pretorio), Porolissum presso Zalău (castro e diversi edifici pubblici, tra cui l'anfiteatro), Potaissa, oggi Turda, Micia, oggi Vitel (anfiteatro, terme, tempio a tre celle di tipo romano dedicato dai Mauri Miccenses, cioè dai mori al seguito dell'esercito romano), Cluj-Napoca, Drobeta-Turnu Severin con numerosi monumenti del castro e resti del ponte sul Danubio, Căsei (castro), Romula, oggi Resca (castro, curia), Tibiscum, oggi Jupa presso Caransebes (castro, tempio). Sono note anche alcune ville rustiche e suburbane. Le città divenute poi di confine, come Drobeta e Romula, e quelle della Dobrugia hanno dato anche fortificazioni e monumenti di età tarda del tempo di Giustiniano: oltre a Histria e Tomis si possono ricordare le fortezze di Troesmis (Iglita), il castro più volte rifatto di Capidava, il complesso basilicale di Callatis, le basiliche di marmo di Trophaeum Traiani. Importanti sono le numerose opere di scultura e in particolare le statue votive e funerarie e i rilievi di culto (diversi con la figura del Cavaliere Danubiano); l'arte locale, fortemente espressiva, presenta influssi orientali ed ellenistici ma anche motivi dell'arte romana dell'alta Italia e delle province occidentali dell'impero (vedi anche Roma). Le numerose epigrafi sono preziose per la conoscenza dei culti, delle istituzioni, dei costumi della regione. I materiali archeologici più importanti (anche bronzi, terrecotte, monete, nonché tesori dell'epoca delle migrazioni) sono al Museo Nazionale di Bucarest; altri in musei locali, tra cui Alba Iulia, Deva, Timisoara, Costanza, Cluj-Napoca, Turnu Severin.

Cultura: arte: tra arte "colta" e suggestioni popolari

L'arte romena trova la sua matrice originaria nell'innesto delle culture bizantina e centreuropea su un antichissimo substrato di cultura popolare autoctona, che affonda le sue radici nelle tradizioni artistiche daciche e slave; dalle origini dell'arte feudale (sec. XII) fino al sec. XVIII il territorio romeno fu caratterizzato da una duplice fisionomia artistica; da un lato la Transilvania seguì con qualche sfasamento cronologico e con accenti locali le vicende dell'arte occidentale, dall'altro l'influsso bizantino venne sollecitando soluzioni a volte di notevole originalità, nella Valacchia e nella Moldavia. Caratterizza infine il panorama artistico romeno, lungo l'intero arco del suo svolgimento, oltre alla naturale interferenza tra le due aree culturali, un continuo trapassare nella cosiddetta arte “colta”, feudale, cittadina o aulica, di forme e suggestioni dell'arte popolare. Le prime manifestazioni di rilievo si collocano nei sec. XII e XIII: risalgono a quell'epoca alcune chiese ed edifici civili della Transilvania, regione più esposta storicamente a quegli influssi culturali e politici germanici che caratterizzeranno, affiancandosi a un filone popolare bizantineggiante, l'intera sua storia artistica: tra esse la cattedrale di Alba Iulia e la chiesa di Cisnadioara, in stile romanico, o quella di Cirta, in stile gotico, e l'antichissima rocca di Deva (1269), primo documento di quel processo di incastellamento che, prolungatosi fino al sec. XVIII, avrebbe conferito alla regione una sua peculiare fisionomia. Iniziava infatti così in Transilvania la costruzione di rocche e di chiese fortificate, particolarmente intensa nel sec. XIV, secondo schemi strutturali tipici dell'architettura castellana centreuropea: ca. 200 di questi edifici sono tuttora conservati (Birsa, Bistnita, Avrig, Girbova ecc.). Le sculture della Chiesa Nera di Brasov, vicine allo stile di P. Parler, confermano il prevalente influsso germanico. Alla fine del sec. XIII risalgono inoltre le chiese di Turnu Severin e San Nicoara a pianta rettangolare con abside, e al secolo successivo quella di San Nicola, 1352 (tutte a Curtea de Arges in Valacchia), e i monasteri di Cotmeana e di Cozia (1388) riecheggianti modi architettonici bulgari e serbi come reinterpretazione di un codificato patrimonio formale bizantino sia nelle piante (pianta tricora), sia nella decorazione, che impiega il mattone e la terracotta invetriata, sia negli affreschi che ornano l'interno degli edifici, in stile bizantino-balcanico. Durante il regno di Stefano III il Grande (1457-1504) la Moldavia conobbe un periodo di notevole prosperità, che favorì lo sviluppo dell'attività artistica e di uno stile originale. Fra le molte chiese dell'epoca degne di menzione, quelle di Dolhestii Mari, Voronet, Hirlau, Borzesti, Razboieni, Popauti, Piatra, nelle quali viene sviluppandosi uno stile architettonico locale, derivato dall'armonica fusione di modi bizantini, prevalenti nelle piante, e di motivi decorativi tratti dal gotico occidentale, e caratterizzato da originali soluzioni strutturali (volta moldava). Anche la pittura moldava conobbe un notevole sviluppo con le decorazioni ad affresco delle chiese (in particolare quella di Balinesti, 1493), felice ripresa di iconografie bizantine ravvivate da una nuova sensibilità pittorica che si esprime nella ricerca di ardite sfumature di colore, nel mutare delle proporzioni e nella tendenza a composizioni più dinamiche. Di notevole interesse anche l'artigianato liturgico con suppellettili e ricami di gran pregio (sec. XV-XVI) in gran parte conservati al Museo d'Arte di Bucarest. In Transilvania importante, nel sec. XV, la decorazione pittorica di gustosa intonazione popolaresca di un gruppo di chiese della regione di Hateg, dovuta a maestranze romene poco legate alla prevalente tradizione culturale germanica, nelle quali gli influssi bizantini si fondono con motivi di derivazione cattolica. Al principio del sec. XVI appartengono due importanti monumenti della Valacchia, la chiesa del monastero di Dealu (1498-1508) e quella episcopale di Curtea de Arges (1517), con decorazione plastica di influsso musulmano; nel corso del secolo vengono innalzate numerose chiese e cappelle, a pianta tricora, ispirate alla chiesa di Cozia (si possono ricordare la Curtea Veche, 1559, e la Mihai Vodă, 1591, entrambe a Bucarest) che individuano una tipologia architettonico-decorativa più legata al gusto romeno, tipica della regione. Molte delle chiese valacche dell'epoca erano affrescate all'interno, ma solo la decorazione della chiesa dell'Ospedale di Cozia (1543) ci è pervenuta in buono stato. In Moldavia, numerose le chiese cinquecentesche, precedute in genere da un largo portico e talora di notevole importanza (chiese di Humor, 1530; Vatra Moldovitii, 1532; Sucevita, 1582-84 ). Caratteristici gli affreschi sulle facciate, di notevole vivacità e freschezza cromatica, che costituiscono un episodio di grande interesse, per varietà di temi e coerenza compositiva, nel panorama della pittura medievale europea di derivazione bizantina. Nel sec. XVII si sviluppa uno stile autonomo valacco caratterizzato dall'abbondanza della decorazione plastica, soprattutto su impulso del principe Matteo Basarab (1632-54), cui si deve la fondazione di varie chiese. In Moldavia invece l'architettura assimila motivi occidentali, soprattutto nella decorazione (chiesa di Dragomirna, 1609); nel corso del Settecento l'influsso russo introdusse nella regione un gusto accentuatamente classicistico, mentre motivi barocchi di importazione occidentale prevalsero, innestandosi nelle tradizioni decorative tipiche della zona, nell'architettura e nelle arti applicate della Valacchia (chiese di Antim, 1715, e Vacaresti, 1716-22). Lo stile Brâncoveanu (dal nome del principe Constantin Brâncoveanu, 1688-1714) si diffuse anche in Transilvania, dove acquistò accentuato carattere popolare. Nel sec. XIX predominò nell'architettura un severo gusto neoclassico, tipico soprattutto degli edifici pubblici di Bucarest: palazzi Stirbey e Colentina-Tei (1820-22), Teatro Nazionale (1851), Università (1857-64), di A. Orascu. Il gusto classicista prevalse per tutto l'Ottocento, nonostante l'architetto I. Mincu tentasse di rilanciare l'architettura popolare nazionale. Mentre il livello della scultura restò mediocre, nacque una valida pittura di influsso occidentale, i cui primi rappresentanti furono E. Altini, C. Lecca, G. Asachi e altri. Di ben maggiore rilievo furono T. Aman (1831-1891), ritrattista, autore di quadri storici e di genere, N. Grigorescu (1838-1907), influenzato dalla pittura della scuola di Barbizon e degli impressionisti, e I. Andreescu (1850-1882). La pittura popolare, diffusa nel campo della decorazione religiosa, si affiancò alla pittura “colta” come interpretazione folcloristica di temi tradizionali svolti con vigore espressivo sostenuto dalla spontaneità del disegno e dal gusto per il colore puro e squillante. Nel sec. XX l'architettura e la pittura non hanno rappresentanti di particolare rilievo e tendono a subire, con qualche ritardo, gli influssi delle correnti prevalenti nella cultura europea. Figura molto significativa è invece quella dello scultore C. Brâncusi, attivo anche all'estero, e di cui si possono ricordare sia la Colonna infinita (1937) a Tîrgu Jiu, che a motivi cubisti accompagna la ripresa di elementi della cultura popolare, sia la Maistra, rielaborazione elegante e lineare di un uccello leggendario della tradizione romena. Nel dopoguerra, la fondazione dell'Unione degli Artisti (1949) e le scelte politiche del Paese inquadrano l'attività artistica nell'ambito generale del “realismo socialista”. Solo con la rivoluzione del 1989 cominciano a emergere nomi di artisti non più legati a una figurazione ormai obsoleta, ma attratti dalle correnti dell'arte contemporanea, come Alexandru Antik (n. 1950), performer e videoartista e Kiril Prashkov (n. 1959). Imponenti, e purtroppo segnate dal gigantismo standardizzato tipico dell'architettura civile dei paesi del “socialismo reale”, le sistemazioni urbanistiche del dopoguerra nei nuovi quartieri delle grandi città (specie Bucarest), dei centri industriali e di quelli turistici sul Mar Nero. Dopo il periodo di transizione alla democrazia, anche la Romania sta cercando, pur con le difficoltà insite in un simile progetto in un paese travagliato da una grave crisi economica e da forti sperequazioni sociali, di sviluppare una moderna cultura urbanistica e architettonica.

Cultura: musica

Anche se non sono pervenute composizioni, è certo che la musica fu presente in Romania sin da epoche anteriori ai Greci e ai Romani, come è provato da un gran numero di testimonianze documentarie. Un recupero della tradizione musicale romena fu effettuato nel sec. XVII dal monaco benedettino J. Căjoni (1634-1671), che trascrisse per virginale e arricchì del basso continuo canti e danze popolari, riunendoli nel Codex Cajoni. Nel sec. XVIII Dimitrie Cantemir, principe di Moldavia, riunì documenti nella Descriptio Moldaviae (1716), e apparvero i Valachische Täntze und Lieder (1781) dell'austriaco J. Sulzer. Queste opere testimoniano di generali analogie della musica romena con la teoria greca, pur in strutture melodiche e ritmiche originali. Benché l'affermarsi di un linguaggio a carattere autonomo fosse ostacolato in primo luogo dalla dominazione turca, nel Medioevo si vennero delineando forme e generi nazionali (canzoni epiche e liriche, danze e canti rituali, lamenti). In campo religioso, sotto l'influsso della musica bizantina, furono operate una riunione e una codificazione dei canti liturgici, a partire dal sec. XIX, da Macario il Geromonaco, Anton Pann e Ion D. Petrescu, che contribuirono anche a creare vere e proprie scuole, confluite poi nei conservatori di musica e d'arte drammatica, sostenuti dallo Stato, promotore, inoltre, di numerose società filarmoniche, associazioni corali, compagnie di balletto, scuole e centri di musica popolare. L'opera dei compositori romeni contemporanei (di cui il più insigne è stato George Enescu, 1881-1955) ha teso a valorizzare ampiamente il materiale popolare, traducendolo nelle forme della musica colta europea. Come ovunque nell'Europa dell'Est, gli ultimi anni del Novecento hanno segnato una riscoperta del patrimonio musicale tradizionale, in parte rielaborato secondo ritmi e sonorità del pop occidentale. La tradizione musicale rumena è particolarmente ricca, in quanto nutrita dalla musicalità del popolo Rom: un tempo, ogni villaggio o quasi aveva il suo gruppo di musicisti, i lautari, riuniti in un taraf, che suonava ai matrimoni, ai funerali e in qualsiasi occasione di festa. I taraf sono ancora richiesti per i matrimoni, ma il repertorio tradizionale, la cosiddetta musica lautareasca in cui eccelleva un interprete come il violinista Rom Florea Cioaca, è stato progressivamente espulso dal mercato. A partire dagli anni Novanta, anche in Romania si è diffuso un tipo di musica estremamente popolare negli strati più poveri della popolazione e guardato con sospetto dalla cultura ufficiale, che mescola musica tradizionale, pop turco (il cosiddetto arabesk), hip-hop e dance, il cosiddetto manele. Il più noto cantante di musica leggera della Romania è stato Dan Spataru (1939-2004).

Cultura: teatro

Per lungo tempo soggetta al dominio turco e relativamente isolata dai Paesi europei teatralmente più avanzati, la Romania arrivò con molto ritardo a evolvere un proprio teatro originale. Le forme indigene più antiche erano rappresentazioni religiose, soprattutto sul tema del Natale, e spettacoli più o meno satirici per burattini, influenzati dal modello turco del Karagöz. Occasionali erano le recite di compagnie straniere, ospiti delle varie corti durante le loro tournée in Polonia o in Russia. La prima rappresentazione in romeno (una traduzione dell'Achille in Sciro di Metastasio) avvenne in Transilvania nel 1782, mentre negli stessi anni Bucarest disponeva solo di compagnie stabili in tedesco, in francese e in russo. In Transilvania, a Oravita, si aprì nel 1815 il primo teatro permanente destinato a recite in romeno; a Iasi sorsero nel 1836 una Società Drammatico-Filarmonica e nel 1840 un primo Teatro Nazionale diretto, tra gli altri, dal commediografo V. Alecsandri. Analogamente, a Bucarest, dove tra il 1780 e il 1821 aveva agito una Società degli Eteristi con intenti non solo culturali, ma soprattutto sociali e politici, I. Eliade-Rădulescu (1802-1872) creava nel 1833 una Società Filarmonica dedicata all'insegnamento della recitazione e alla creazione di un repertorio nazionale, la cui attività sarebbe sfociata nel 1854 nella creazione di un Teatro Nazionale anche nella futura capitale. Questa istituzione acquistò particolare importanza dopo la conquista dell'indipendenza, quando tutte le forze teatrali della nazione si unirono in una Società Drammatica e degli Attori Romeni (1877), e, grazie ad alcuni notevoli direttori (come A. Davila, 1862-1929 e P. Eliade), poté realizzare agli inizi del nuovo secolo spettacoli di buon livello. Gli anni tra le due guerre furono caratterizzati dalla nascita di un certo numero di teatri privati, i più con intenti meramente commerciali, ma alcuni sensibili alle più avanzate correnti della nuova scena europea. Inoltre vi erano teatri nazionali anche a Craiova e Cluj-Napoca. Nel secondo dopoguerra del Novecento e fino alla fine della dittatura di Ceausescu, lo Stato finanziava numerosi teatri stabili dedicati al repertorio drammatico, che lavoravano con una certa efficienza; nella città di Bucarest, al Nazionale si erano affiancati il Municipale, il Teatro dei Lavoratori, quello dell'Esercito, quello della Gioventù e altri ancora dove si recitava anche in ebraico, in yiddish, in tedesco e in magiaro. Molte istituzioni dispongono di più sale e alcune hanno acquisito un notevole prestigio internazionale, grazie agli spettacoli diretti da registi come L. Ciulei e R. Padulescu. Negli anni successivi alla transizione verso la democrazia, la Romania ha risentito di una grave crisi economica che ha in parte intaccato questa rete statale, facendole mancare finanziamenti. Tuttavia, nella capitale sono presenti ancora ben 15 teatri stabili, e la produzione di spettacoli sta riacquisendo caratteri di ricerca e di sperimentalismo. § Nato nei primi decenni dell'Ottocento, il teatro originale in lingua romena trova in V. Alecsandri il suo più appassionato animatore. Egli ha creato da solo un vero repertorio, delineando due fondamentali direttive di sviluppo: la commedia satirica e il dramma storico. L'arte insuperata di Caragiale (1852-1912) porta a perfezione la satira di costume, mentre B. P. Hasdeu (1838-1907) promuove l'evoluzione del dramma storico con un capolavoro: Răzvan e Vidra (1867). Al filone epico-drammatico, realizzando una sintesi originale di passionalità romantica e di lucidità naturalistica, appartengono sia i drammi di Barbu Delavrancea (1858-1918) ispirati al Medioevo romeno (Tramonto, 1909; La tormenta, 1910; Espero, 1911), e ancor oggi rappresentati con successo, sia quelli di A. Davila (1862-1929) di ispirazione shakespeariana (Il principe Vlaicu). Il periodo fra le due guerre rappresenta il momento di maturazione del teatro romeno in senso moderno. M. Sorbul (1885-1966) approfondisce il conflitto ragione-senso e crea con Passione rossa (1916) un capolavoro; L. Rebreanu (1885-1944) riprende la satira della vita politica (Gli apostoli, 1926); M. Sebastian (1907-1945) rappresenta gli sforzi degli inadattabili per eludere in evasioni illusorie la realtà quotidiana: Si gioca alle vacanze, La stella senza nome e, soprattutto, Ultima ora, che è ancora oggi un successo. Ingegnosamente sfruttata, la tradizione Alecsandri-Caragiale rivive nel teatro di T. Mutsătescu (1903-1970), Valzer titanico (1932), e in quello di A. Kiritescu (1888-1961), che porta sulla scena in Le pettegole il cicaleccio di Chirite moderne, ben più pericolose del lontano modello proposto da Alecsandri. La periferia cittadina con le sue passioni violente è al centro del teatro di G. M. Zamfirescu (1898-1939), autore anche di una trilogia drammatica d'ispirazione classica (I Borgia, Le nozze di Perugia, Michelangelo), mentre conflitti razzisti, già drammaticamente espressi nel potente lavoro di Ronetti Roman (1853-1908) (Manasse, 1900), trovano soluzioni da commedia sentimentale in Take, Ianke e Cadîr di V. I. Popa (1895-1946). Chi solleva nella sfera delle idee pure anche il teatro è Camil Petrescu (La danza degli elfi, Anime forti ecc.) il quale, quando si ispira al filone storico (Danton, Bălcescu), converte il dramma epico in conflitti di scelte esistenziali. Questo teatro di idee, influenzato dall'espressionismo tedesco, continua con L. Blaga, che eleva a significati metafisici e a simboli i miti del folclore, presenti anche nel teatro di V. Eftimiu (1889-1973), il cui Mastro Manole è del 1925. Nella fase di affermazione del socialismo il teatro ha assunto una funzione propagandistica che l'ha impoverito, riducendo il conflitto all'opposizione schematica di eroe positivo (il comunista integrale) e negativo. Esemplare in questo senso la trilogia di A. Voitin, riunita col titolo Uomini in lotta (1960). Su questa linea si collocano, ma con risultati più accettabili, T. Soimaru (1898-1957) con Gli affaristi (1953); P. Everac, che in Finestre aperte (1959) affronta il tema della proprietà privata e dei suoi riflessi frustranti; M. Davidoglu, che porta sulla scena conflitti di scelte tecnologiche sullo sfondo dei nuovi complessi industriali (La cittadella di fuoco, 1949-50) e Aurel Baranga (1913-1979), che ha realizzato con L'agnello infuriato una feroce satira della burocrazia. Anche il filone drammatico d'ispirazione storica reca l'impronta della nuova prospettiva marxista: P. Anghel (n. 1931) ha riportato sulla scena Michele il Bravo (1959) e Stefano il Grande (1968). A più intimi conflitti si volge il teatro di H. Lovinescu (1917-1983): La cittadella in pezzi (1954) presenta la dissoluzione di una famiglia borghese nella fase di ascesa del socialismo. Va sottolineato che il più grande drammaturgo rumeno del Novecento, e uno dei più grandi del secolo, è indubbiamente E. Ionesco(1912-1994), il quale tuttavia, nonostante un forte legame con le proprie radici nazionali, ha sempre vissuto a Parigi e scritto in francese. Su una linea di rinnovamento, alla conquista della verità attraverso lo studio della realtà sociale, si pone M. Sorescu (1936-1996) che rappresenta nelle sue opere la condizione storica e l'esistenza umana in chiave sostanzialmente metaforica, con un linguaggio contesto di parabole, allegorie, simboli (Teatro, 1980). Gli anni Ottanta non portano nella drammaturgia innovazioni degne di nota. Da sottolineare, tuttavia, che dopo i rivolgimenti del 1989, il teatro romeno si dedica freneticamente alla riscoperta dei grandi autori occidentali, dimenticati o sconosciuti durante gli anni di forzato isolamento intellettuale.

Cultura: cinema

Le attualità Lumière giunsero a Bucarest il 27 maggio 1896, i primi filmati nazionali apparvero l'anno successivo, ma il primo lungometraggio, La guerra d'indipendenza, venne girato da G. Brezeanu solo nel 1912. Per decenni il cinema romeno fu assai povero e i suoi registi (Lupu-Pick, 1886-1931, I. Negulescu) e le sue attrici (Lya De Putti, 1900-1931, Elvira Popescu) espatriarono e divennero celebri altrove. Negli anni Venti del Novecento, caratterizzati da melodrammi e riduzioni teatrali e letterarie, si misero in evidenza I. Mihail con Manasse di ambientazione ebraica, E. Vasilescu con La sfortuna da Caragiale, I. Sahighian con Le furberie di Cleopatra interpretato in stile burlesco da I. Georgescu, il quale realizzò nel 1942, dalla commedia di Caragiale Una notte di tempesta, l'unico film degno di nota prima della nazionalizzazione (1948), ripreso sugli schermi anche molti anni dopo. Le nuove condizioni tecnico-produttive e morali non portarono tuttavia a una strada stilistica originale, salvo che nel disegno animato grazie alla personalità di I. Popescu-Gopo (1923-1989). Il primo film della Repubblica democratico-popolare, non privo di schematismi come in genere i successivi, fu La valle risonante (1950) di P. Călinescu, che nel 1955 realizzò il più maturo Lo sviluppo. Il maggior regista del decennio, V. Iliu (1912-1968), firmò Nel nostro villaggio (1951) con il decano Georgescu, l'ammirevole Mitrea Cocor (1952) dal romanzo di Sadoveănu con Marietta Sadova, da solo Il mulino della fortuna (1956) e, più tardi, Il tesoro della valle antica (1963). Un altro regista importante, L. Ciulei si aggiudicò il gran premio al Festival di Karlovy Vary (1960) per Le onde del Danubio e vinse poi a Cannes, nel 1965, il premio della regia con il classico antibellicista La foresta degli impiccati, entrambi distribuiti anche in Italia. Dotata a Buftea (30 km dalla capitale) di una cinecittà tra le più moderne e imponenti d'Europa, dello studio Animafilm per Popescu-Gopo e seguaci, di una fornita cineteca e di una scuola di cinema, la Romania produce annualmente una trentina di film (compresi quelli per la televisione e in coproduzione con l'estero), altrettanti film d'animazione e moltissimi documentari. Una ragguardevole “svolta” di linguaggio era stata impressa dai due film di L. Pintilie (n. 1933) Domenica alle sei (1965) sulla Resistenza e La ricostruzione (1968, edizione 1970) sulla contemporaneità; ma poi il regista si dedicò esclusivamente al teatro, a Bucarest e all'estero. Intanto il cinema romeno si dedicava a fastose ricostruzioni storiche, talvolta non superficiali (Dacii, 1966, di San Nicolaescu; Columna, 1968, di M. Drăgan), mentre nella tematica contemporanea si affermava A. Blaier con Le mattine di un bravo ragazzo (1967). Nel 1971 un esemplare film di dibattito politico, Il potere e la verità di M. Marcus, innalzò il livello di maturità dell'intera produzione. Per i loro valori plastico-figurativi furono particolarmente apprezzati anche all'estero Nozze di pietra (1972) e Il maleficio dell'oro (1974) di M. Veroiu e D. Pita, coppia che poi si sciolse, ciascuno dei due proseguendo da solo la carriera (il primo iniziando con Di là dal ponte, 1975, il secondo con Tănase Scatiu, 1976, entrambi sull'Ottocento). Per la sua sobrietà quasi bressoniana si fece notare Il muro (1974) di C. Vaeni. In genere subentrò una stagione più dubbiosa e problematica, anche perché un terzo dei registi era esordiente. Da citare ancora Mele rosse (1976) di A. Tatos, Settembre (1977) di T. Ursu, Tra specchi paralleli (1978) di Veroiu, Di nuovo insieme (1978) di G. Cornea e, tutti del 1979, Mediano d'apertura di D. Tănase, La sposa del treno di L. Bratu. Tra i nomi nuovi degli anni Ottanta vanno segnalati Ada Pistiner (Fotogramma fermo a tavola), T. Mărăscu (Buonasera Irina), I. Demian (Una lacrima di ragazza), M. Daneliuc (Prova di microfono). Le estreme difficoltà in cui ha versato la produzione nazionale, travolta dal crollo del regime di Ceausescu, non ha impedito la realizzazione di alcuni lungometraggi di valore, come Hotel de Luxe di Pita, vincitore del Leone d'argento alla Mostra del Cinema di Venezia del 1992, e La quercia, una farsa nerissima e fortemente metaforica sulle avventure di una ragazza che porta in treno le ceneri del padre, diretta da Pintilie dopo 10 anni di esilio in Francia. Pintilie nel 1996 dirige anche lo splendido Too late. Alla fine degli anni Novanta il giovane regista di origine ebraica Radu Mihaileanu (n. 1958) raggiunge una certa notorietà con il suo secondo lavoro Train de vie, film presentato nel 1998 al Festival di Venezia che affronta con humour il tema dell'Olocausto. Un regista che ha debuttato dopo la rivoluzione del 1989 è infine Nae Caranfil (n. 1960), di cui si ricorda soprattutto la commedia grottesca Asphalt tango (1993), con Charlotte Rampling e Filantropica (2002).

Bibliografia

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