Cina, Repùbblica Popolare della-

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(Zhonghua Renmin Gongheguo). Stato dell'Asia centrorientale, (9.572.900 km²). Capitale: Pechino. Divisione amministrativa: province (23), regioni autonome (4), municipalità (4). Popolazione: 1.354.040.000 ab. (stima 2012). Lingua: cinese (ufficiale), coreano, dialetti tibetani, kazaco, mongolo, uiguro. Religione: non religiosi/atei 47%, religioni popolari cinesi 28,7%, buddhisti 8,4%, cristiani 10%, musulmani 1,5%, animisti/credenze tradizionali 4,4%. Unità monetaria: yuan renminbi (10 jiao =110 fen). Indice di sviluppo umano: 0,719 (91° posto). Confini: Mongolia e Russia (N), Corea del Nord (NE), Mar Giallo e Mar Cinese Orientale (E), Mar Cinese Meridionale (SE), Viet Nam, Laos, Myanmar e India (S), Bhutan, Nepal e India (SW), Pakistan, Afghanistan e Tagikistan (W), Kirghizistan e Kazakistan (NW). Membro di: APEC, OCS, ONU e WTO.

Generalità

Stato dell'Asia prima unità politica nel mondo per numero di abitanti e la terza dopo Russia e Canada, per superficie, la Cina si estende dalle coste dell'Oceano Pacifico, a E, sino al massiccio del Pamir, ed è compresa approssimativamente tra il corso dell'Amur (N) e la penisola indocinese (S) . A differenza di altri grandi Stati costituitisi dopo il XVII secolo in seguito a spinte espansionistiche, la Cina deve il suo assetto territoriale a un lungo processo continuato ininterrottamente dal I millennio a. C. e praticamente consolidato già dal VII sec. Forte di un'unità geografica e culturale antica, la Cina ha dovuto tuttavia affrontare nel corso della storia diverse questioni relative ai suoi confini, più volte contestati dai Paesi confinanti (l'ex URSS per le zone dell'Ussuri e del Xinjiang, l'India per l'Assam e l'Himalaya occidentale, il Pakistan e nuovamente l'India per il Kashmir), in quanto tracciati spesso in modo convenzionale, così come discussa è stata la sua giurisdizione su alcuni territori (per esempio Macao, Hong Kong, Taiwan e alcune isole del Mar Cinese, rivendicate anche da Viet Nam, Brunei, Filippine, Malaysia). L'immenso territorio cinese, ripartito in due ambiti distinti da un'immaginaria linea di separazione diagonale in direzione NE-SW, individua zone morfologiche e climatiche differenti, caratterizzate da presenze antropiche e attività economiche peculiari. La parte più esterna, aperta sul fronte oceanico e allungata fino a comprendere la continentale Manciuria, (incuneata in territorio siberiano e da sempre sfruttata per le notevoli risorse minerarie) è occupata da pianure e colline, e percorsa dai fiumi più lunghi del continente. Essa costituisce, da millenni, il terreno per eccellenza per lo sviluppo dell'agricoltura, fondamentale base della vita del Paese e fattore determinante della straordinaria concentrazione demografica stratificatasi nel corso dei secoli. L'altra parte, la Cina interna, mostra invece l'aspetto più aspro del Paese e nasconde al suo interno gli altopiani più elevati del mondo; landa scarsamente popolata, spesso desertica, è la terra tradizionale dei pastori, in parte ancora nomadi, che si è riscoperta in tempi recenti custode di notevoli risorse energetiche divenendo protagonista di uno straordinario sviluppo industriale e insediativo. Paese dei primati (qui si trovano i ponti e le dighe più maestosi del mondo, qui i principali bacini lacustri e i porti mercantili con il maggior traffico di merci del continente), la Cina ha impresso un segno distintivo agli ultimi decenni del XX secolo, connotando i primi anni del millennio successivo con una sua presenza sempre più marcata. Principale produttore di quasi ogni tipo di merce (dai prodotti agricoli, ai minerali, ai manufatti tecnologici), il colosso cinese ha letteralmente invaso i mercati di tutto il mondo, imponendosi non solo per il basso costo del lavoro, la disponibilità di manodopera e di materie prime, ma anche per la capacità di rovesciare meccanismi di mercato adattandoli alla particolarità della propria economia e conquistandosi un posto di primaria importanza anche nei comparti operativi e decisionali dei settori più innovativi della modernità, come l'information technology. Così, se da un lato l'Occidente guarda al gigante cinese come un temibile concorrente per la competitività della sua economia sui mercati globali, dall'altro sembra assistere in modo impotente al rovesciamento di tendenze finora in atto, come i processi di delocalizzazione, invertiti al punto tale che sono le multinazionali cinesi a rilevare le industrie americane e a impiantare i loro headquarters nei Paesi occidentali, a eccellere nel settore aerospaziale, nella ricerca scientifica, nelle biotecnologie. Se quello che l'Occidente, almeno in parte, pare aver sottovalutato, è l'enorme potenzialità rappresentata dalla comunità cinese, che da sola costituisce, in nuce, il gruppo di utenti e consumatori maggiore del pianeta (gli utenti Internet, sono nel 2015 circa 668 milioni), dall'altro lato, il resto del mondo si interroga sul prezzo e sulle conseguenze a livello globale (ambientale ma anche sociale e culturale) che questo sviluppo che sembra senza freni potrebbe comportare, nel timore che l'immensa crescita possa rivelarsi una pericolosa bolla a termine. Nell'attesa di comprendere come evolverà questa tendenza - sebbene dal 2011 si sia già percepito un rallentamento della crescita economica (che si mantiene comunque elevata) - e di vedere come il Paese saprà affrontare le questioni sospese che continuano a fare da sottofondo allo sviluppo economico (inquinamento crescente, censura politica, sovrappopolazione e diseguale ripartizione di ricchezze, inadeguatezza delle strutture democratiche, per citare le principali) la Cina ha deciso di rinnovarsi anche nel modo in cui rilevare e monitorare progresso ed evoluzione nazionale, nell'attesa forse che anche le altre potenze si allineino. Non più il PIL, dunque, come indicatore fondamentale per indirizzare le decisioni del governo e definire le linee della politica, compresa quella economica, ma “l'indice di felicità”: almeno secondo il mandato ricevuto nel 2006 dai funzionari del centro nazionale di statistica, che hanno il compito di individuare tra diversi parametri di soddisfazione, a partire da quelli psicologici, lo stato di benessere della popolazione.

Lo Stato

Dal 1949 la Cina è divisa in due Stati: la Repubblica Popolare della Cina (comunemente detta Repubblica Popolare Cinese) e la Repubblica della Cina Nazionale (Taiwan). La Repubblica popolare cinese è stata proclamata il 1° ottobre del 1949 dopo la guerra civile fra i comunisti di Mao Tse-tung e i nazionalisti di Chiang Kai-Shek, conclusasi con la sconfitta di questi ultimi e con la loro fuga a Taiwan. Secondo la Costituzione del 1982, la quarta della sua storia (emendata nel 1993 con l'introduzione del principio dell'“economia socialista di mercato” e successivamente, nel 1999, 2003 e 2004 con l'introduzione del diritto alla proprietà privata, del principio dello stato di diritto, dello svolgimento pubblico dei processi, del rispetto e della difesa dei diritti umani, del superamento del principio della pianificazione socialista), la Repubblica Popolare della Cina è uno Stato socialista basato sulla dittatura del proletariato, in cui il Partito Comunista Cinese (PCC) ha un'assoluta preminenza. Organo supremo del potere statale è l'Assemblea Nazionale del Popolo (ANP) i cui 2979 membri sono eletti per 5 anni dalle assemblee popolari provinciali municipali, dalle regioni autonome direttamente subordinate all'autorità del governo centrale e dalle forze armate. L'Assemblea, che si riunisce di regola una volta all'anno, elegge nel suo interno un Comitato permanente di 155 membri che ne esercita funzioni negli intervalli tra le sessioni; essa esercita il potere legislativo, approva i piani e i bilanci dello Stato, elegge il presidente della Repubblica, nomina e revoca il primo ministro e i membri del consiglio di Stato, che ha funzioni esecutive e risponde all'assemblea del proprio operato. Gli organi politico-amministrativi decentrati sono le Assemblee popolari locali e i Comitati da esse eletti. Hanno funzioni analoghe a quelle dell'Assemblea Nazionale ma limitate alla propria unità amministrativa; eleggono un governo popolare che esercita tutte le funzioni e che risponde del suo operato all'Assemblea. In Cina esistono anche diverse altre strutture amministrative locali quali le assemblee popolari di distretto, di contea e di città (elette ogni tre anni) e le assemblee popolari dei villaggi (elette ogni due anni). Il sistema giudiziario in uso in Cina si fonda su una commistione di norme consuetudinarie e leggi scritte. L'autorità giudiziaria è impersonata da Corti del Popolo elettive, istituite a differenti livelli e culminanti nella Suprema Corte del Popolo, che risponde del suo operato all'Assemblea Nazionale. Questo organo elegge ogni 5 anni il Procuratore supremo. Nel Paese è in vigore la pena di morte, ampiamente applicata anche se, dal 2007, le condanne capitali inflitte dai tribunali locali necessitano di una conferma da parte della Suprema Corte. La difesa dello Stato concentra ogni funzione militare nell'Esercito popolare di liberazione. A questa forza armata si aggiunge un corpo di pubblica sicurezza e una milizia civile. Per ragioni organizzative, il servizio militare è selettivo e solo il 10% delle reclute viene effettivamente arruolato; la durata della leva dipende dall'arma in cui viene effettuata (tre anni nell'esercito, quattro nella marina e nell'aviazione). Il sistema dell'educazione, per due millenni organizzato secondo i principi confuciani, venne modificato dopo la costituzione della Repubblica (1912), in coincidenza della rottura dell'isolamento culturale del Paese che riorganizzò la propria vita e il proprio sistema educativo sui modelli occidentali. Tappe fondamentali di questo processo sono state la sostituzione della lingua letteraria classica con quella parlata (al fine di partecipare più diffusamente la cultura alle immense masse del Paese), l'estensione dell'alfabetizzazione al totale della popolazione (a partire dal 1949), la nuova impostazione data (anni Sessanta del XX sec.) ai programmi educativi dalla linea politica inaugurata con la Rivoluzione culturale, con la preminenza accordata alla formazione politica degli studenti, il diffuso intervento del partito nella direzione degli organismi scolastici e dei metodi d'insegnamento, la rivalutazione del lavoro manuale. Dopo la morte di Mao Tse-tung, artefice della Rivoluzione culturale, il sistema scolastico ha subito una sorta di inversione di tendenza, volta a privilegiare i contenuti professionali della preparazione nonché a riconoscere la fondamentale importanza del lavoro intellettuale. Sotto il profilo formale, il sistema educativo cinese si struttura in asili nido e giardini d'infanzia, in scuole primarie della durata di 6 anni, in scuole secondarie divise in due microcicli di 3 e 2 anni. L'istruzione è obbligatoria. Esistono poi numerosi istituti di formazione superiori (soprattutto a indirizzo tecnico-scientifico e linguistico) e circa mille università che in alcuni casi garantiscono standard di qualità allineati con quelli occidentali. Tra queste ultime sono particolarmente importanti l'Università di Xiamen, nella città omonima (Fujia, 1921), l'Università di Pechino, nella capitale (1898), l'Università Sun Yat-sen a Canton (Guangdong, 1924), l'Università Futan di Shanghai (Jiangsu, 1922), l'Università Nankai di Tianjin (Hebei, 1919), l'Università di Nanjing (Jiangsu, 1902), quelle dello Sichuan a Chengdu (Sichuan, 1927) e dello Shanxi a Xi'an (Shanxi, 1937). È in forte espansione anche il settore dell'istruzione privata, riservata alle élite. La scolarizzazione elementare dei bambini ha ormai raggiunto, secondo i dati ufficiali, il 100%, mentre il tasso di analfabetismo nel Paese riguarda ancora circa un decimo della popolazione (nel 2007 era attestato al 6,7%).

Territorio: morfologia. Generalità

Il vasto territorio fu interessato da una serie di corrugamenti di epoca diversa, formatisi ai margini dell'elemento rigido archeozoico dell'Asia orientale, il cosiddetto Scudo sinico, esteso a N dello Chang Jiang (Fiume Azzurro) sino alla Mongolia. Costituito da rocce eruttive e metamorfiche che ancora affiorano su vasti tratti, lo scudo non forma un tutto continuo; sino dal Cambriano alcune estese geosinclinali lo fratturarono, dando origine a tre masse distinte denominate Cathaysia, Gobia e Tibetia, che in gran parte rimasero poi estranee sia alle sommersioni marine sia ai movimenti orogenetici delle ere successive. Fu invece in corrispondenza delle geosinclinali – aree più deboli e instabili – che, a partire dal Paleozoico, emersero le catene montuose che attraversano il territorio cinese. I principali sollevamenti si collegano alle orogenesi caledoniana ed ercinica: alla prima risalgono gli allineamenti montuosi della Cina meridionale, orientati prevalentemente da SW a NE, alla seconda la formazione delle assai più imponenti masse montuose del Tian Shan, dell'Altun Shan, del Qilian Shan e del Qinling Shan, orientate da E a W. Il Mesozoico registrò, accanto a un'intensa attività di sedimentazione che interessò molte regioni interne della Cina (per esempio lo Sichuan), fenomeni orogenetici dai quali ebbe origine la fascia di rilievi che dal Kunlun Shan si distendono a gomito verso lo Yunnan e la penisola indocinese, con un orientamento determinato dalla resistenza opposta dallo Scudo sinico alle pressioni esercitate da SW. All'orogenesi alpina si devono invece alcuni corrugamenti periferici alla regione cinese, tra cui soprattutto quello himalayano. Anche il Quaternario non mancò di lasciare tracce imponenti, da una parte con l'attività di modellamento glaciale, dall'altra con la formazione per sedimentazione alluvionale o eolica della maggior parte delle pianure cinesi, da quella della Manciuria alla grande pianura del Huang He e al basso corso di vari fiumi della Cina orientale sino ai bacini desertici del Tarim Pendi, della Junggar Pendi ecc. Un aspetto particolare del processo di sedimentazione eolica è stato quello che ha portato alla formazione del Löss, depositi di fine terra gialla proveniente dalle zone aride della Mongolia e che si estendono per ca. 300.000 km², raggiungendo spessori anche di alcune centinaia di metri; essi caratterizzano soprattutto l'altopiano attraversato dalla grande ansa del medio corso del Huang He (Fiume Giallo).

Territorio: morfologia. La Cina propria

Di moderata elevazione, la Cina propria appare formata da una serie di ampie terrazze che gradatamente discendono da W a E, cioè dal Tibet al litorale del Pacifico; la sua struttura risulta però estremamente complessa per l'azione di dislocazioni più o meno parallele, che interrompono la citata morfologia a gradoni. La Cina propria viene a sua volta, a seconda degli autori, variamente suddivisa; qui, tenuto conto della loro prevalente morfologia, sono state distinte due principali aree: una centrosettentrionale, essenzialmente pianeggiante, e una meridionale, in prevalenza collinosa. La sezione centrosettentrionale, con le estese pianure formate dalle alluvioni del Huang He e dello Chang Jiang, corrisponde strutturalmente a una subsidenza del blocco archeozoico. Essa è orlata a N dai rilievi che formano le scarpate meridionali degli altopiani della Mongolia Interna (particolarmente vigoroso il rilievo dello Shanxi: Heng Shan, 2376 m; Lüliang Shan, 2771 m), a S dai più bassi allineamenti (Mufu Shan, 1596 m) che si ricollegano a quelli della Cina meridionale. All'interno questa grande area depressionaria si solleva gradatamente verso gli altopiani tibetani, con una regione di transizione formata da allineamenti longitudinali (Qinling Shan, 4113 m) con interposte depressioni, tra cui quella ampia e ben marcata, dello Sichuan. Pur nella prevalenza delle distese pianeggianti, la vasta depressione della Cina centrorientale non corrisponde perciò a un tutto unitario: è piuttosto costituita da una serie di subsidenze tra loro divise da blocchi sollevati, come quello che forma l'ossatura della penisola dello Shandong (1532 m) e quello rappresentato dai rilievi che orlano a N la depressione del Hubei (Dabie Shan), dove si espande in terreni lagosi e paludosi lo Chang Jiang. A S di questo fiume inizia la Cina meridionale, strutturalmente più complessa, nella quale i lineamenti orografici portano a riconoscere due distinte sezioni, che corrispondono a diverse fasi orogenetiche. Nella parte più occidentale (Yunnan), assai aspra, si innalza, specie in prossimità della Birmania, una serie di imponenti catene montuose (Yun Ling Shan, 4602 m), dall'andamento in genere meridiano, che si connettono al grande arco di piegamenti mesozoici dal Kunlun alla penisola indocinese; nell'area centrale e orientale dello Yunnan, come nel vicino Guizhou, il rilievo si distende invece in vaste formazioni tabulari. Meno aspra e più discontinua è la morfologia in tutta la restante sezione della Cina meridionale, che presenta un irregolare succedersi di dorsali montuose elevate in media 1000 m (eccezionalmente raggiungono i 1922 m i Nanling Shan e i 2120 m i più vigorosi Wuyi Shan), separate da più o meno ampi bacini; il ringiovanimento nell'era cenozoica degli antichi rilievi ha infatti dato origine a blocchi sollevati e depressioni vallive, spesso in difficile comunicazione tra di loro.

Territorio: morfologia. La Manciuria

La Manciuria, in parte costituita da massicci archeozoici, è contraddistinta come la Cina centrorientale da una vasta depressione, compresa tra la barriera montuosa del Da Hinggan Ling, orlatura orientale dei tavolati mongoli, il Xiao Hinggan Ling sovrastante la vallata dell'Amur (in cinese Heilong Jiang) e le catene che chiudono a N la penisola coreana (Changbai Shan, 2744 m). Queste ultime si collegano a tutta una serie di colline e di bassi massicci montuosi, separati da vaste depressioni vallive, che interessano gran parte della Manciuria centrale e orientale; ampie pianure ricoperte da formazioni neozoiche si hanno invece a W.

Territorio: morfologia. La Mongolia Interna e il Xinjiang Uygur

A W del Da Hinggan Ling ha inizio una vastissima e pressoché ininterrotta fascia arida, che si spinge sino al cuore dell'Asia centrale e comprende l'altopiano della Mongolia Interna e le due ampie depressioni endoreiche del Xinjiang Uygur: la Zungaria e il bacino del Tarim. La Mongolia Interna corrisponde a una porzione del basamento archeozoico (Gobia), con sovrapposizioni sedimentarie diverse, cenozoiche e soprattutto neozoiche; si presenta come un immenso penepiano, alto in media 1000 m: tra le rare catene delle zone interne sono i Lang Shan e i Daqin Yin Shan, mentre i più imponenti Helan Shan (3600 m) si innalzano lungo il bordo meridionale. Steppica nella porzione orientale, la regione si fa decisamente desertica a W, comprendendo il deserto dell'Mao Wusu Shamo, chiuso nella grande ansa del Huang He, quello contiguo di Ala Shan, e più a N la porzione meridionale del deserto di Gobi. La Mongolia Interna si spinge a W sino ai monti Pei Shan, al di là dei quali la regione trapassa quasi insensibilmente nel territorio del Xinjiang Uygur, dove un'imponente orlatura montuosa cinge le due grandi depressioni della Zungaria e del Tarim, occupata quest'ultima dal più esteso deserto sabbioso della Cina, il Taklimakan Shamo, di ca. 400.000 km². Entrambi i bacini risalgono all'era neozoica e sono subsidenze tettoniche formatesi in seguito ai contraccolpi che hanno fatto nascere l'Himalaya. La Zungaria, di forma triangolare, è dominata a NE dalla poderosa catena dell'Altaj Mongolo, che tocca i 4362 m, a NW da una serie di massicci (Tarbagataj, Džungarskij Alatau) separati da ampie vallate, e lungo il lato meridionale dal Tian Shan, formidabile bastione divisorio tra le due depressioni (il picco Pobeda, al confine con il Kirghizistan, raggiunge i 7439 m), ma discontinuo, frammentato in blocchi che evidenziano le gigantesche fratturazioni subite da questa tormentata regione, in cui una delle più marcate singolarità consiste nella criptodepressione di Turpan: situata a 154 m al di sotto del livello del mare, è la più profonda della Cina e la seconda del mondo dopo quella del Mar Morto. Particolarmente poderosa è però l'orlatura del bacino del Tarim, cui fanno corona, oltre al Tian Shan, il massiccio del Pamir circondato da possenti elevazioni (monte Kungur, 7719 m) e le catene del Karakoram (8611 m nel K2), del Kunlun (7282 m nel monte Muztag) e dell'Altun Shan (6303 m).

Territorio: morfologia. Il Tibet

L'ultima e periferica area strutturale della Cina è il Tibet, una zolla antica, in parte rimasta rigida. Si tratta di un insieme abbastanza complesso di altopiani e di catene montuose, che occupa, oltre alla vera e propria regione amministrativa del Tibet, anche la provincia dello Qinghai e che può essere morfologicamente ripartito in tre principali subregioni: il Chang Tang, o altopiano del Tibet per eccellenza, il Chaidamu Pendi (bacino di Qaidam), a E, e le catene del Transhimalaya e dell'Himalaya, a S. Cuore delle alteterre, il Chang Tang è un penepiano, il più vasto ed elevato (in media 4000-5000 m) della Terra, chiuso a N dal bastione del Kunlun Shan, sovrastato da catene montuose (monti Tanggula Shan) di oltre 6000 m che si alternano a depressioni endoreiche, occupate da acquitrini o laghi, formando un paesaggio dalla morfologia assai varia. Il Chang Tang termina a S con un gigantesco solco tettonico, su cui incombono a N la catena del Transhimalaya (monti Nyainqêntanglha e Gangdisê), con alcune vette superiori ai 7000 m, e a S il più possente Himalaya, dominato dal monte Everest, il tibetano Chomolungma (8848 m). L'altopiano è orlato a N dalla barriera del Kunlun Shan con la diramazione del Bayan Kara Shan e dal più esterno arco montuoso formato dall'Altun Shan e dal Qilian Shan: tra i due allineamenti è lo Chaidamu Pendi, distesa piatta e uniforme ricoperta da un deserto sabbioso e pietroso a W e da un immenso acquitrino salmastro a E. Nella porzione sudorientale del Tibet infine, a S del Bayan Kara Shan, le catene (Ning Ting Shan, monti Dalai Lama) si restringono e gradualmente si abbassano formando una serie di corrugamenti, solcati dalle vallate dei fiumi Salween (Nu), Mekong (Lancang), Chang Jiang, che, con un'ampia curva verso S, conducono allo Yunnan e all'Indocina.

Territorio: morfologia. Le coste e le isole

La Cina si affaccia a E e a SE per ca. 8000 km sull'Oceano Pacifico, che qui si articola nel Mar Giallo, nel Mar Cinese Orientale e nel Mar Cinese Meridionale. Si hanno, in linea generale, coste basse e sabbiose a N, sino alla baia di Hangzhou Wan (fanno eccezione le montuose penisole del Liaotung e dello Shandong, un tempo unite, e oggi racchiudenti il golfo di Bo Hai), dove i fiumi continuano ad accumulare enormi masse di sedimenti alluvionali; sono invece alte e rocciose le coste della Cina sudorientale, fittamente intagliate da golfi e baie e orlate da miriadi di isolotti, per effetto di recenti ingressioni marine. Tra le isole, oltre Taiwan e Hainan, fanno parte della regione cinese le Zhoushan Dao, Donghai e, tutte politicamente dipendenti da Taiwan, Dongsha, Mazu Dao, Jinmen Dao e Penghu Qundao.

Territorio: idrografia

La regione cinese possiede ca. 5000 corsi d'acqua, largamente sfruttati per l'agricoltura: la maggior parte dei bacini è però inclusa in una grande area esoreica che tributa all'Oceano Pacifico, mentre le regioni depressionarie interne formano bacini endoreici pari a 1/3 della complessiva superficie (specie nel Xinjiang Uygur e nel Tibet), e vastissime zone sono del tutto areiche. A eccezione di alcuni grandi fiumi, come il Brahmaputra, il Salween e il Mekong, di cui è cinese solo il tratto superiore, quasi tutti i corsi di acqua della Cina si sviluppano da W a E, in rapporto al generale andamento del rilievo: è il caso appunto dei due massimi fiumi cinesi, lo Huang He (Fiume Giallo) e lo Chang Jiang (Fiume Azzurro). Nella vita del Paese il Huang He (4845 km di lunghezza, 752.443 km² di bacino) ha avuto, sin dalle origini, un ruolo fondamentale. È un grande fiume dal ritmo capriccioso (si calcola che la portata vari da 1100 a 20.000 m3/s): imponente la continua attività erosiva e di trasporto che esso esercita soprattutto nel suo bacino intermedio compreso nella regione del Löss, resa spoglia di vegetazione dal secolare sfruttamento agricolo; il nome Fiume Giallo si riferisce infatti al colore delle acque cariche di limo. Le sue piene, motivate dal regime monsonico delle precipitazioni, hanno avuto conseguenze sovente disastrose nelle pianure che attraversa. Nel giro di 3000 anni ha dato luogo a 1500 inondazioni e ha cambiato corso sette-otto volte, spostando ripetutamente la sua foce, anche di 600 km. Oggi però, con una serie di canali di derivazione e di irrigazione, con estese opere di rimboschimento e con la realizzazione (in parte ancora in corso) di gigantesche dighe, il Huang He è stato posto sotto controllo. L'opera più colossale resta il Canale Imperiale (Gran Canale o Da Yunhe) lungo 1782 km; attuato fin dal sec. XIII e oggi rimodernato, collega Pechino e Suzhou, mettendo in comunicazione il Huang He con i fiumi Hai He, Huai He e Chang Jiang. Più lungo (5800 km) è lo Chang Jiang, che stende il suo bacino, vasto ben 1.807.199 km², in regioni più boscose: il trasporto detritico è perciò inferiore a quello del Huang He (rispettivamente di 1500 e di 500 milioni di t annue), benché egualmente cospicuo data l'assai più rilevante portata (sino a 90.000 m3/s), resa elevata dalle abbondanti precipitazioni di gran parte del suo bacino, causa anche di piene spesso disastrose come quella del 1998, che ha provocato ca. 2000 morti sommergendo ettari ed ettari di terra coltivata e costringendo alla fuga 14 milioni di persone. Nel suo medio corso il fiume attraversa, per 200 km, la celebre regione delle Tre Gole, prima di sfociare nella pianura orientale: le gole hanno pareti scoscese che, precedentemente alla realizzazione (2006) della Diga delle Tre Gole, si alzavano per 400-600 metri, mentre con la creazione del bacino artificiale la loro altezza rispetto al corso del fiume è significativamente diminuita. Terzo importante fiume della Cina orientale, benché assai inferiore ai precedenti, è il Huai He, che attraversa l'Anhui e lo Jangsu, portando al mare un'enorme quantità di sedimenti. Più frammentata idrograficamente è la Cina meridionale, che in larga misura rientra però nel bacino del Chang Jiang. Tra i numerosi fiumi che sfociano direttamente al mare (Min Jiang, Wu Jiang, ecc.) il principale è il Zhujiang o Fiume delle Perle, che raccoglie le acque di vari fiumi tra cui l'assai più lungo Xi Jiang, e sbocca presso Macao con un apparato deltizio molto ampio in continuo avanzamento (Canton, un tempo sul mare, oggi ne dista 12 km). La Manciuria è divisa in due principali bacini: quello meridionale è drenato dal Liao, un fiume dal regime fortemente torrentizio e, similmente al Huang He, soggetto a piene e magre disastrose; quello settentrionale gravita sul Songhua Jiang, un importante tributario dell'Amur (Heilong Jiang) che, dato il carattere nivale del suo alto corso, ha un regime delle acque tra i più regolari dell'intera Cina. La Mongolia Interna è marginalmente drenata da alcuni affluenti del Huang He o da corsi d'acqua, per esempio il Xiliao He, che si originano dal Da Hing'an Ling e scendono verso le pianure della Manciuria; ma in vaste aree interne è del tutto assente l'idrografia superficiale. Situazione pressoché analoga si ritrova nella Zungaria, dove dall'Altaj Mongolo e dal Tian Shan nascono fiumi, come l'Ulungur (Wulungu He) e il Manass, che terminano in laghi al centro delle depressioni o si perdono in estese superfici saline. Notevole è invece la quantità delle acque trasportate nel bacino del Tarim in quanto i fiumi sono alimentati dai ghiacciai e dai nevai delle imponenti catene montuose periferiche, in particolare dal Karakoram. I corsi d'acqua (Yarkand, Hetian He ecc.), tumultuosi in primavera per la fusione delle nevi, confluiscono nel Tarim, che rappresenta l'unico collettore della regione. Sull'altopiano tibetano le acque si raccolgono in laghi, dolci o salmastri, posti sul fondo delle numerose depressioni; nel Qamdo invece l'idrografia è esoreica e dà origine a possenti fiumi dell'Asia orientale, dal Chang Jiang al Mekong e al Salween. A ridosso dell'Himalaya infine scorrono in direzioni opposte l'Indo e il Brahmaputra. In genere i laghi che costituiscono lo sbocco dei fiumi nei bacini interni – per esempio il Buluntuo Hai (meglio noto come Lago Ulungur) nella Zungaria, il Lop Nur e il Bositeng Hu nel bacino del Tarim, il Nam Co (Namucuo) nel Tibet – sono spesso salati, a causa della grande evaporazione: è questo il caso del Qinghai Hu, il più ampio (4427 km²) lago salato della Cina, situato nella provincia di Qinghai. I laghi connessi agli altri fiumi hanno invece acque dolci; tra questi sono il Hongze Hu (basso corso del Huai He), il Weishan Hu, collegato con il Huang He, e, tutti appartenenti al bacino dello Chang Jiang, il Dongting Hu, il Tai Hu e il Poyang Hu (2780 km²).

Territorio: clima

Nonostante la vastità e la varietà morfologica del Paese, il clima della Cina è essenzialmente soggetto all'influsso dei monsoni. D'inverno interessano una larga parte del territorio le masse d'aria continentale, fredde e secche; d'estate gli anticicloni continentali si allentano, il fronte polare si ritira e contestualmente subentrano masse d'aria marittime tropicali che portano copiose precipitazioni, secondo l'alternanza tipica del clima monsonico. A questo meccanismo generale della circolazione atmosferica si aggiungono naturalmente gli effetti della latitudine, dell'altitudine, dell'esposizione del rilievo, della vicinanza al mare: gli influssi marittimi infatti penetrano solo marginalmente nelle regioni interne, lontane e chiuse dalle barriere montuose (caratteristica è l'azione deviante esercitata soprattutto dall'Himalaya sui monsoni meridionali, che investono così tutta la Cina meridionale e orientale) e che perciò presentano un clima estremamente arido. Quanto alle precipitazioni, in genere prevalentemente estive, esse tendono a decrescere, oltre che dalla costa verso l'interno, dal S verso il NW, dove si hanno le zone più aride; però, anche nelle più umide regioni sudorientali, le piogge non raggiungono mai gli altissimi valori di altre aree monsoniche, per esempio di quelle affacciate al golfo del Bengala. Infine, assai frequenti, da maggio a settembre, sono i tifoni. § La Manciuria, aperta agli influssi continentali, ha in generale un clima temperato freddo, con inverni molto rigidi (ad Harbin le medie di gennaio sono di -20 ºC); le estati sono invece calde (sempre ad Harbin la media di luglio è di 23 ºC), ma brevi. La piovosità non è molto elevata (media sui 600-1000 mm annui), con massimi sui rilievi esposti agli influssi del Mar del Giappone; le precipitazioni invernali hanno carattere nevoso e verso N la persistenza del gelo e del manto nevoso introduce il tipico clima siberiano. Anche la Cina centrorientale, che rientra climaticamente nelle aree temperate, ha inverni rigidi – assai meno però che in Manciuria – e secchi: a Pechino la media di gennaio è di -5 ºC, valore che si innalza progressivamente verso S (5 ºC ca. sulla linea del Chang Jiang). Per contro le temperature estive sono piuttosto uniformi: tutta la regione è sotto l'influsso delle masse d'aria marittime e le medie di luglio quasi ovunque si aggirano sui 25 ºC. È ancora nei mesi estivi che si ha la quasi totale concentrazione delle precipitazioni; complessivamente a Pechino cadono 600 mm annui, valore che aumenta gradatamente verso S dove il corso del Chang Jiang corrisponde all'isoieta dei 1500 mm. A S del fiume si entra nel dominio del clima subtropicale, che nell'estremo Sud, specie nell'isola di Hainan e nello Yunnan, assume caratteristiche marcatamente tropicali; si può anzi dire genericamente che in tutta la Cina a S del Tropico vi sia estate perenne. Le escursioni termiche stagionali sono piuttosto deboli; le medie invernali di gennaio si aggirano sui 10 ºC, quelle estive di luglio sui 25 ºC, valori che aumentano nelle aree tropicali (a Canton si hanno rispettivamente 14 ºC e 28 ºC, a Haikou, nell'isola di Hainan, 18 ºC e 29 ºC). Ovunque le precipitazioni superano i 1500 mm annui, con valori anche di oltre 2000 mm nelle zone più meridionali e nello Yunnan. Le coste che fronteggiano il Mar Cinese Meridionale sono sovente investite dai tifoni. La Cina interna è soggetta per gran parte dell'inverno all'anticiclone continentale e per mesi e mesi non si registrano precipitazioni (si hanno fino a 3000 ore annue di insolazione); soffiano venti fortissimi e le temperature invernali si abbassano notevolmente sotto lo zero, senza però raggiungere i rigori della Manciuria (in gennaio media di -15 ºC nella Zungaria; di -10 ºC nel Taklimakan Shamo). D'estate le temperature sono assai elevate, specie nelle aree più depresse (nel Turfan media di 33 ºC in luglio); tutta la regione è dominata allora da basse pressioni che attraggono le masse d'aria d'origine marittima, però ormai quasi del tutto prive di umidità. Nelle depressioni zungarica e del Tarim cadono annualmente meno di 100 mm di piogge che aumentano alquanto sui rilievi (600 mm sul Tian Shan), dove si hanno anche precipitazioni nevose, però relativamente scarse. Nell'altopiano del Mao Wusu cadono fino a 250 mm (ma meno di 100 mm nel deserto di Gobi): la Grande Muraglia corre all'incirca sull'isoieta dei 380 mm, e veramente essa segna qui il limite tra terre interne aride e Cina agricola. Il Tibet ha un clima continentale estremamente rigido: a partire dai 4000 m, quota media dell'altopiano, il gelo è quasi permanente. Vi sono tuttavia delle aree più miti, specie la valle del Brahmaputra: Lhasa, a 3630 m, ha medie di gennaio di -1 ºC e di luglio di 16 ºC. La barriera montuosa himalayana ostacola gli influssi del monsone meridionale estivo, mentre sul lato settentrionale la regione è aperta alle invasioni d'aria continentale. Le precipitazioni sono perciò ridotte; non superano, nella sezione centrosettentrionale, i 100 mm, ma sono di 500 mm a Lhasa e in genere nei fondivalle, elevandosi in prossimità della catena dell'Himalaya, dove, sul versante orientale, possono raggiungere anche i 1000 mm. Al di sopra dei 4800 m le precipitazioni sono solo nevose.

Territorio: geografia umana. Il popolamento

La Cina è lo Stato più popoloso della Terra: con 1 miliardo e 339 milioni di abitanti censiti nel 2010, il Paese raccoglie circa il 35% della popolazione dell'Asia e un po' meno del 20% di quella di tutta la Terra: un abitante su tre dellʼAsia e uno su cinque del mondo vive in Cina. Il popolamento della Cina risale a tempi assai remoti: i reperti fossili finora portati alla luce appartengono tutti al genere Homo. Datati a 800.000-600.000 anni fa sono i resti fossili più antichi di Homo erectus trovati a Lantian e a Yuanmou (per due incisivi rinvenuti in quest'ultima località è stata addirittura proposta la datazione, oggi messa in discussione, di 1,7 milioni di anni), più recenti sono i noti reperti (Sinantropo) di Zhoukoudian risalenti a un periodo databile fra 460.000 e 230.000 anni fa. Forme umane più evolute di Homo erectus, datate fra 250.000 e 150.000 anni fa, sono state rinvenute nello Shanxi e nello Hexian: tali ominidi sarebbero quindi stati in parte contemporanei dei Neandertaloidi presenti nella Cina nordoccidentale e, sembra, sudoccidentale (Guandong). L'Homo sapiens sapiens moderno appare già diffuso a partire da 40.000 anni fa sia nel Nord (Zhoukoudian) sia in altre regioni, con forti insediamenti di tipi umani premongoloidi a Liucheng e Ziyang (Sichuan), a Shiyu (Shaanxi), a Xujiayao (Shanxi). Le colture materiali di queste genti erano quelle tipiche dei cacciatori-raccoglitori del Paleolitico. Non sono ancora ben noti i rapporti filetici fra queste e le popolazioni neolitiche, che appaiono già in pieno sviluppo dall'VIII millennio a. C. e alle quali si devono la diffusione della coltivazione del riso “umido” nelle grandi pianure fluviali, la domesticazione di varie specie vegetali locali e l'introduzione dell'allevamento di volatili, bovini e suini, che resero possibile un continuo e rapido accrescimento della popolazione. Già nel III millennio a. C. i cinesi in senso stretto, gli han della Cina centrorientale, costituivano l'etnia più importante e numerosa, la cui costante espansione portò all'emarginazione di altre diverse etnie esistenti nel territorio, o alla loro assimilazione soprattutto nell'area centrale e meridionale della Cina. Le fonti ufficiali riconoscono 56 gruppi etnico-linguistici, fra cui è prevalente quello sinico, definito han, assolutamente dominante nell'E e a cui apparterrebbe il 91,5% della popolazione del Paese. Gli han appartengono al gruppo linguistico sino-tibetano, nettamente prevalente nel Paese; tale gruppo presenta due varianti linguistiche principali: la lingua cinese e quella tibetana, assai diseguali sul piano del numero dei parlanti. Esistono tuttavia profonde differenze tra gli han del N e quelli del S, sia sul piano antropologico, sia soprattutto su quello linguistico, tanto che in pratica, i cinesi sono “unificati” linguisticamente solo dalla scrittura. Tutti gli han sono invece accomunati dal tradizionale genere di vita agricolo-sedentario che li ha a lungo distinti dalle minoranze dell'W e dell'estremo N, prevalentemente pastorali e nomadi. Alla famiglia linguistica sino-tibetana appartengono poi anche gruppi classificati a sé come gli zhuang (la minoranza più cospicua, comprendente l'1,3% della popolazione totale), gli hui (0,8%), i miao (0,7%) e gli stessi tibetani. Questi ultimi, pur diffusi su un territorio vastissimo, rappresentano solo lo 0,5% della popolazione della Cina, ma stanno diventando una minoranza nella loro stessa regione in seguito alle violente repressioni, perpetrate a loro carico sin dagli anni Cinquanta, che hanno causato la fuga di decine di migliaia di profughi, e alla successiva pianificata sinizzazione del Tibet mediante immigrazioni di coloni han. Altro gruppo linguistico presente in Cina, ma nettamente minoritario come numero di parlanti, è quello altaico, diffuso nello Xinjiang e nella Zungaria, a contatto con la grande area altaica dell'Asia centrale e, nelle varianti mongola e coreana, lungo un'ampia fascia di confine con la Mongolia e una più stretta fascia presso la Corea del Nord. Minoranze linguistiche vere e proprie, in gran parte ancor oggi collocate alla periferia del Paese e integratesi nella Cina solo a partire dall'Ottocento, risultano i gruppi manciù (0,8%, peraltro uno dei più sinizzati fra i gruppi minoritari), gli uiguri (0,8%), i mongoli (0,4%) e gli hui. Le più compatte di tali minoranze vivono in quattro regioni di grandi dimensioni (insieme costituiscono il 45% dell'intero territorio) formalmente autonome ma scarsamente popolate e soggette a una lenta infiltrazione da parte degli han, che rientra in una politica di lungo periodo volta all'assimilazione. Anche le altre minoranze godono di una certa autonomia e ciascun idioma è teoricamente tutelato dallo Stato. § Sull'andamento demografico il fattore naturale ha sempre avuto incidenze fortissime, e in particolare gli elementi climatici sono responsabili, oltre che delle inondazioni (e quindi delle carestie e dei cali, anche assai ingenti, di popolazione), delle progressive migrazioni verso S, durante i periodi di accentuata aridità. Nel corso dei secoli si sono avuti sviluppi demografici assai alterni, con crescite improvvise nelle fasi di benessere e cali altrettanto spaventosi in quelle di crisi, tanto che guerre dinastiche, inondazioni e pestilenze sembrano essersi imposte periodicamente come fattori di autoregolazione, di riequilibrio del rapporto uomo-ambiente, mentre la grave situazione della Cina alla fine del sec. XIX e agli inizi del XX può ritenersi determinata anche dall'eccezionale crescita demografica, dovuta all'abbassamento del quoziente di mortalità. Alla metà del sec. XVIII sembra vi fossero nel Paese 165 milioni di ab., divenuti 300 milioni alla fine dello stesso secolo; si attribuisce la causa dei primi forti aumenti in buona parte all'introduzione nella Cina meridionale delle colture del mais e della patata, che risolsero gravi problemi alimentari. Successivamente però l'incremento demografico, data l'elevata mortalità, probabilmente non superò mai lo 0,75‰. Ma la natalità era fortissima e così all'inizio del Novecento, con il miglioramento delle condizioni sanitarie, l'incremento subì spinte eccezionali e se ne ebbe la riprova al primo censimento, fatto nel 1953: contrariamente alle valutazioni, che nel 1950 davano una popolazione di 488 milioni, i risultati furono di 580,6 milioni (esclusa Taiwan). La crescita della popolazione cinese ha subito un sensibile rallentamento fra la seconda metà degli anni Settanta e la prima degli anni Ottanta (quando il tasso di incremento medio annuo era sceso all'1,3%, rispetto al 2,4% del decennio precedente), una nuova accelerazione (+1,9%, in media) nel periodo 1986-89 e successivamente una certa stabilizzazione, attestandosi, nel periodo 1994-98, intorno all'1%. Il tasso di natalità dei primi anni del Duemila (1,34% secondo stime riferite al 2007) è largamente inferiore a quello medio asiatico e mondiale, in conseguenza anche delle campagne di pianificazione familiare condotte dal regime comunista, che hanno portato anche a conseguenze drammatiche in tema di aborto e persino di infanticidio (per lo più a spese dei neonati di sesso femminile). La prima massiccia campagna per la limitazione delle nascite fu lanciata nel 1957, quando la positiva e relativamente rapida diminuzione della mortalità allora, insieme a una decrescita della natalità molto più lenta, cominciarono a destare allarmi notevoli. Tendenze opposte emersero già dal 1958, ma la nuova crescita demografica degli anni Settanta indusse a riattivare le misure di pianificazione familiare (legislazione sull'aborto obbligatorio, sanzioni economiche a carico delle famiglie con più di un figlio). Negli anni Ottanta queste furono poi nuovamente attenuate in ragione del sostanziale raggiungimento dei presupposti utili ai fini di una stabilizzazione della popolazione. Il tasso di mortalità, data la struttura giovanile della popolazione, resta basso (7,1‰ secondo stime riferite al 2012), praticamente invariato dagli anni Ottanta. La speranza di vita ha raggiunto in media i 76,5 anni per le donne e i 73,9 per gli uomini. La composizione per sesso della popolazione cinese vede ancora una leggera preponderanza numerica dei maschi, conseguenza della tradizionale predilezione delle famiglie per i figli maschi (per ragioni economico-lavorative), che si è spesso sommata con la politica antidemografica del regime. La struttura per età denota una composizione della popolazione ancora notevolmente giovane: sebbene il Paese vada approssimandosi alla maturità demografica e la piramide delle età, ancora a base larga negli anni Ottanta, sia ormai più vicina alla forma “a fuso” che a quella di una piramide vera e propria, tuttavia la dominanza numerica delle classi di età produttive continua a rappresentare un'importante risorsa per l'economia del Paese. I tassi di crescita presentano comunquee forti differenziazioni da regione a regione. Nelle regioni urbanizzate e industrializzate costiere l'accrescimento della popolazione si sarebbe arrestato da tempo, se non fosse per l'immigrazione, che è ripresa massiccia negli anni Ottanta e che è causa di un forte aumento della popolazione urbana. Le regioni di confine e quelle più interne, pur caratterizzate da basse densità, registrano incrementi più alti della media, dovuti sia al saldo naturale positivo sia all'immigrazione a supporto dello sviluppo economico e della difesa militare. Anche la densità demografica presenta variazioni rilevanti e, rispetto alla media di 141,45 ab./km² dell'intero Paese, si hanno 3 ab./km² nel Tibet e oltre 772 ab. km² nello Jiangsu. Complessivamente le province occidentali di Tibet, Mongolia Interna, Jiangsu, Qinghai, Xinjiang Uygur, che rappresentano il 55% del territorio nazionale, assommano una popolazione di poco inferiore al 6% del totale, mentre quasi il 50% dei cinesi è concentrato in un'area che costituisce solo il 10% dell'intero Paese, in particolare nelle pianure del Nord-Est e nella bassa valle del Chang Jiang. Sotto il profilo etnico gli han restano largamente dominanti, ma hanno un ritmo di crescita meno sostenuto di quello dei 55 gruppi di minoranza. Nel corso dei secoli, in seguito all'eccessiva pressione demografica di certe zone, vi furono spostamenti delle popolazioni verso le terre di nuova conquista (negli anni 1920-50 si ebbe una migrazione di entità impressionante, che portò almeno una ventina di milioni di cinesi dalle province centrale e meridionale nella Manciuria, in seguito alla valorizzazione mineraria di quella regione che si prestava anche alla colonizzazione agricola). Oltre alle migrazioni interne si ebbero gli esodi dei cinesi all'estero: dagli inizi del sec. XIX forti sono le migrazioni di cinesi verso i Paesi limitrofi, l'Europa, il continente americano e il Giappone: sebbene i movimenti migratori sfuggano a ogni possibile stima quantitativa, si calcola che i huaqiao, cinesi residenti all'estero, siano circa 50 milioni. I cinesi rappresentano oggi il 74,2% della popolazione a Singapore, il 24% nella Malaysia, il 10,3% nel Brunei.

Territorio: geografia umana. Forme di insediamento e urbanesimo

Lʼurbanesimo ha conosciuto un notevole sviluppo: il 51,9% vive nelle città, ma quasi la metà vive villaggi. Il villaggio varia alquanto da regione a regione. Dove si pratica l'agricoltura intensiva – come nel Sud – si hanno fitti nuclei di case sparse nelle risaie; altrove però domina il villaggio compatto. Nel Nord i villaggi conservano spesso le antiche strutture fortificate, derivate dalla necessità di difendersi dalle passate incursioni dei nomadi; nella regione del Löss vi sono villaggi scavati negli strati sedimentari, che offrono condizioni di abitabilità ideali. Ormai i villaggi sono in gran parte organizzati in più ampie strutture socio-economiche. La migrazione verso le città è stata verso la fine del sec. XX massiccia, sebbene pianificata sulla base delle occasioni di lavoro create dalle nuove imprese industriali e commerciali. Si è anche avuta la nascita di città nuove, specie nelle regioni di più recente conquista agricola e mineraria, mentre nelle zone rurali molti centri hanno assunto funzioni che, nel passato, la struttura economica e sociale basata sul villaggio più o meno autosufficiente rendeva superflue. L'urbanizzazione in senso moderno è nata in Cina con la penetrazione commerciale occidentale: la città cinese era, invece, all'origine, centro amministrativo o guarnigione militare o sede del sovrano. Quest'ultima è stata anzi la prima città; era a pianta quadrata, recinta da mura, e ospitava al centro il palazzo del sovrano, il tempio degli antenati, i giardini. Intorno a questa struttura essenziale si svilupparono poi i quartieri mercantili. L'espansione urbanistica del sec. XIX ha distrutto l'armonica struttura antica, che in parte si conserva solo a Pechino e in poche altre città, mentre i grandi centri portuali, come Shanghai, Tianjin e Canton, assumevano gli aspetti delle città occidentali, con i grandi edifici centrali sedi delle compagnie commerciali, circondandosi di numerosi e poveri sobborghi. Le vecchie città cinesi sono state in gran parte risanate e dotate di adeguati servizi, di mezzi moderni di trasporto, ampliandosi in nuovi quartieri di abitazione. Gli sviluppi dell'urbanizzazione sono indicati da alcune cifre: nel 1953 vi era una popolazione urbana di 89 milioni di ab., balzati a 234 milioni nel 1989. Tale crescita non è stata costante: molto forte fino al 1959, ha subito un rallentamento negli anni successivi in seguito al controllo esercitato dal governo sui movimenti verso le città. Nel solo decennio 1950-60 sono state rimodernate oltre 2000 città e ne sono state create ex novo ca. 200. La popolazione urbana cinese si distribuisce in un'ampia serie di città, molte delle quali hanno di recente superato il milione di abitanti, e alcune delle quali superano i 5 milioni. Le città milionarie sono circa 100 (erano solo una decina a metà del Novecento) e gli agglomerati urbani con oltre 10 milioni di persone possiamo annoverare Shanghai, Pechino e Tianjin. A Shanghai, capitale regionale del basso Chang Jiang, si sono concentrate le prime filiali di banche estere (americane, francesi, giapponesi) tornate a operare in Cina e che accrescono vertiginosamente sia gli investimenti esteri sia le attività terziarie. Queste ultime si rivolgono, oltre che ai rami finanziari, anche all'innovazione tecnologica, per cui si prevede che, entro il 2010, almeno 1/5 delle produzioni industriali localizzate nell'area riguardino fibre ottiche, robotica, biotecnologie, ecc. Meno dinamica l'evoluzione di Pechino, antica splendida capitale dei Mongoli, punto d'arrivo della Via della Seta, da secoli celebre centro storico, culturale, artistico e industriale, centro politico-amministrativo della Cina, e Tianjin, porto attivo soprattutto a partire dal sec. XIX e oggi città commerciale e industriale di primo rango. Lo sviluppo economico, in ogni caso, alimenta notevoli flussi di manodopera rurale verso le città, in particolare, della fascia costiera, mentre si ridimensionano le prospettive del fronte pioniero aperto, verso ovest, fin dall'epoca della Rivoluzione culturale, con lo scopo non soltanto di valorizzare i territori interni, allentando la pressione demografica a E, ma anche di rafforzare il controllo han sulle minoranze etniche di quelle regioni. Minoranze che, a lungo ignorate o sottovalutate dalle statistiche ufficiali, costituiscono viceversa la maggior parte della popolazione della Cina centro-occidentale, a bassa densità e debole grado di industrializzazione, dalla Manciuria interna alla Mongolia, dallo Shanxi al Xinjiang Uygur, dallo Yunnan all'immensa area tibetana. Il pur lento e contraddittorio processo di democratizzazione lascia riemergere tali diversità etniche, con possibili conseguenze sugli equilibri regionali, già fortemente sbilanciati dalla concentrazione dello sviluppo economico. L'area più urbanizzata è la Manciuria, dove esistono diverse metropoli, la cui crescita è avvenuta quasi interamente nel corso del Novecento. Shenyang (in mancese Mukden) è la maggiore, sviluppatasi come centro commerciale e poi industriale, con colossali impianti che sfruttano i ricchi giacimenti locali di ferro e carbone; non lontano da Shenyang sorgono, sempre con funzioni soprattutto siderurgiche e metallurgiche, Fushun, Benxi, Anshan, che nell'insieme formano una conurbazione paragonabile in certo senso alla Ruhr. Sbocco portuale della regione è Dailan, fiancheggiata dalla vicina Lüshun, la vecchia Port Arthur. Altre importanti città della Manciuria, poste sulla linea ferroviaria collegata alla Transiberiana, sono Changchun e soprattutto Harbin, valorizzata dai Russi nell'epoca zarista e oggi sede di molteplici industrie. Nella pianura del Huang He, oltre a Pechino, hanno assunto un rilevante ruolo economico varie città, molte delle quali ricche di vestigia dell'antica civiltà cinese, oggi centri commerciali con industrie di trasformazione prevalentemente legate all'economia agricola della regione; qualcuna però, come Jinan, ha potenziato altri settori, in particolare quello siderurgico grazie allo sfruttamento delle miniere dello Shandong, regione che ha in Qingdao uno dei maggiori porti cinesi. Anche nella media valle del Huang He si sono sviluppate alcune città in funzione mineraria, come Xi'an e Taiyuan (siderurgia, meccanica pesante). Il bacino del Chang Jiang ospita, oltre a Shanghai, numerose grandi città, talune di origine antica, come Nanjing (Nanchino), valorizzata in epoca moderna, centro industriale che opera soprattutto in funzione della regione agricola del basso Chang Jiang. Nella sezione media del grande bacino sorge Wuhan, una delle maggiori città cinesi, porto fluviale e attivo nodo di comunicazioni, sede di un complesso siderurgico che sfrutta i minerali ferrosi dei vicini giacimenti e il carbone dello Sichuan. Tali risorse minerarie hanno determinato lo sviluppo di varie altre città a cominciare da Chongqing e dalla storica Chengdu. Sulla costa meridionale della Cina si succede una fitta serie di porti; i maggiori sono Fuzhou, assai suggestiva, con le sue vie d'acqua, i suoi ponti, le sue eleganti architetture (è detta la “Venezia d'Oriente”), e Canton, le cui fortune sono legate alla funzione di grande emporio commerciale, sede tra l'altro di una fiera merceologica internazionale di larghissima rinomanza, ma oggi altresì dotato di industrie poderose. Sulla via per la Mongolia una grande città che di recente ha ricevuto impulso è Lanzhou, posta presso la Grande Muraglia, antico centro sulla via della Seta e oggi sede di industrie che sfruttano le risorse minerarie, petrolifere in particolare, delle regioni interne; altra importante città del Nord è Yinchuan, capoluogo della Regione autonoma del Ningxia Hui. Sulla ferrovia che, attraverso la Zungaria, porta al confine con il Kazakistan, ha registrato un rilevante sviluppo Ürümqi, fulcro di tutto il Nord-Ovest. Infine nel Tibet il centro principale resta il capoluogo Lhasa, che ebbe in passato funzioni quasi esclusivamente religiose in quanto sede del Dalai-lama.

Territorio: ambiente

Alle diverse aree climatiche corrispondono differenti domini pedologici e vegetali. In Manciuria prevalgono nelle pianure le associazioni steppiche su suoli scuri, a černozëm, mentre sui rilievi cresce la foresta temperata di latifoglie su suoli bruni; in essa però compaiono le conifere, dominanti nelle sezioni più settentrionali, dove si ha un'appendice della foresta subartica (abeti, pini, betulle, aceri e tutte le caratteristiche specie dell'area boreale fredda). Sui suoli alluvionali delle pianure del Huang He si hanno formazioni di latifoglie temperate; ma qui il paesaggio originario è stato totalmente trasformato dal millenario sfruttamento agricolo; si hanno solo macchie arboree intorno ai villaggi. A S del Chang Jiang si entra in un vasto dominio subtropicale che ha un manto vegetale ricco e peculiare di specie sempreverdi: è l'area sinica del bambù, che si spinge sino a 1000 m, e al quale si associano le lauracee, l'albero della canfora, la cannella; nei piani più elevati compaiono le conifere. Il manto vegetale originario in questa regione è ancora relativamente esteso, specie sui rilievi, non occupati dall'agricoltura; le foreste più rigogliose, ricche di specie tropicali e subtropicali, si trovano nello Yunnan; anche qui però non mancano le aree degradate dall'agricoltura. Nelle regioni aride interne si entra nel vasto dominio delle steppe, che iniziano con caratteri peculiari nelle terre del Löss, che ricopre, con spessori fino a 600 m, vaste aree del bacino del Huang He, dove alle graminacee si associano piante arbustive. Negli altopiani della Mongolia Interna le formazioni steppiche sono estremamente impoverite, costituite da specie arbustive xerofile e ancora da graminacee; su vaste aree si hanno suoli sabbiosi del tutto privi di vegetazione (Gobi). Nei grandi bacini del Tarim e della Zungaria il manto steppico è rotto, nelle zone pedemontane, dalla vegetazione riparia delle oasi (pioppi ecc.), mentre sui versanti montuosi sovrastanti si stendono, nelle aree più umide, foreste di conifere. Una vegetazione particolare, tipica di un ambiente freddo d'alta montagna, si ha infine sugli altopiani tibetani, con associazioni steppiche di graminacee che nei luoghi più umidi, sotto i 4500 m, si arricchiscono di rododendri, di arbusti montani e di specie proprie delle praterie alpine. Nella maggior parte della Cina orientale la vegetazione naturale, e specialmente la foresta, è stata distrutta nel corso dei secoli dall'intervento umano, che ha completamente mutato lo sviluppo vegetale, con la progressiva sostituzione delle colture alla foresta, specie nella zone subtropicale e tropicale. Nelle steppe dell'Ovest è stata invece la pratica pastorale, che in quei luoghi è l'occupazione prevalente, a trasformare la copertura vegetale. Interventi di riforestazione sono in corso già da oltre un trentennio con lo scopo di restituire progressivamente la fertilità ai terreni divenuti sterili, fermando il processo erosivo. La fauna cinese è quanto mai ricca e varia, soprattutto di vertebrati fra i quali abbondano le specie endemiche. Fra le scimmie un particolare cercopitecide, Rhinopithecus roxellanae, è proprio delle alte montagne della Cina centrale e sudoccidentale (nel Gansu, Sichuan, Yunnan e Guizhou), mentre alcune sue sottospecie si spingono fino al Tibet. Nello Yunnan si trova pure il langur dal berretto e in quasi tutte le regioni meridionali sono presenti la scimmia dagli occhiali e numerose specie di macachi. Sempre tra i Mammiferi è esclusivo il cervo acquatico, mentre hanno ampia diffusione l'elafodo e il cervulo muntjak. Tra i Carnivori il panda gigante vive sui monti del Sichuan, il panda minore nelle regioni della Cina meridionale; numerosi sono pure i cani-procioni, i gatti del deserto, le tigri e i leopardi delle nevi. Gli uccelli annoverano moltissimi esemplari, soprattutto fagiani (azzurro, dorato, di Lady Amherst, argentato, ecc.), alcuni tragopani, l'anatra mandarina, il pellicano riccio, il cormorano e il marangone. Dei Rettili la specie più caratteristica è l'alligatore della Cina, che vive esclusivamente nel bacino dello Chang Jiang; degli Anfibi, la salamandra davidiana, che abita nei torrenti montani della parte occidentale del Paese, e il batracupero di Karl Schmidt. Nelle acque interne infine numerosissimi sono i pesci fra cui un pesce spatola (Psephurus gladius) e il pesce rosso allevato a scopo ornamentale da tempi assai remoti ed esportato dapprima in Giappone e quindi in tutto il mondo fra i sec. XVI e XVIII. Tra i principali problemi ambientali del Paese vi sono l'inquinamento dell'aria, le piogge acide, la siccità (soprattutto nel N), l'inquinamento delle acque, l'erosione dei suoli, la desertificazione, che produce la perdita di suoli agricoli, e il commercio di specie animali minacciate di estinzione. Lo Huang He risulta essere uno dei corsi d'acqua più inquinati del mondo e costituisce un rischio per decine di milioni di persone che vivono lungo le sue rive. Le aree protette ricoprono il 16,12% del territorio; le riserve naturali sono oltre 2000 in tutto il Paese, tra cui un grandissimo numero di parchi nazionali. Tra i parchi più estesi vi sono quelli di Qiangtang (298.000 km²) e Sanjiangyuan (152.300 km²). LʼUNESCO ha dichiarato patrimonio dellʼumanità 10 siti naturali della Cina: la regione di Huanglong (1992), la regione della valle di Jiuzhaigou (1992), la regione di Wuling Yuan (1992), le aree protette dei tre fiumi paralleli della provincia dello Yunnan (2003), i santuari Sichuan del panda gigante (2006), i Carsi della Cina meridionale (2007), il parco nazionale del monte Sanqing (2008), i rilievi in arenaria della Danxia cinese (2010), il sito dei fossili di Chengjiang (2012) e la catena montuosa di Tian (Tianshan) in Xinjiang (2013). Quattro sono invece i siti naturali e culturali scelti dallʼUNESCO: il monte Tai (Taishan, 1987), i monti Huangshan (1990), il monte Emei, che comprende il Grande Buddha di Leshan (1996), e i monti Wuyi (1999).

Economia: generalità

La Repubblica Popolare Cinese rappresenta un modello economico assolutamente originale e peculiare, riassumibile nella definizione “socialismo di mercato”, che già copre, e sempre più appare destinato a sviluppare, un ruolo di straordinaria importanza nel panorama mondiale: ciò, non tanto per la caratterizzazione geopolitica, da molti considerata “ibrida” e scarsamente stabile, quanto per la massa colossale di risorse, naturali e umane, che la Cina mette in campo, aprendosi sempre più alle relazioni esterne. Il grande Paese dell'Asia orientale si presenta dunque, all'inizio del terzo millennio, come un formidabile serbatoio di materie prime, manodopera, produzione e consumi, cui l'intero sistema planetario guarda con interesse come a uno dei “motori” fondamentali per sostenere il trend di crescita dell'economia globale. La dissoluzione dell'URSS e le ripetute crisi dei Paesi petroliferi del Golfo Persico hanno, infatti, decisamente spostato il baricentro strategico del continente asiatico verso l'Oceano Pacifico, che già lo sviluppo del Giappone, dei Paesi di nuova industrializzazione (NIC), della costa occidentale nordamericana e del subcontinente australiano ponevano, dagli anni Settanta, come l'area più dinamica per il settore manifatturiero e il terziario avanzato. In tale contesto, pur se turbato dalla crisi finanziaria della fine degli anni Novanta, si inserisce il formidabile potenziale di popolazione concentrato soprattutto nella Cina orientale; la popolazione attiva è pari a 785 milioni di persone (quasi il 60% del totale), un dato che si spiega con la struttura giovanile della popolazione, ma anche con lo straordinario impegno produttivo messo in atto dal Paese, oltre che con il fenomeno della diffusione del lavoro minorile. L'ammontare del PIL, nel 2008, è stato stimato in 4.401.614 ml di dollari USA; l'ipotesi sul PIL pro capite è di 3.315 dollari USA, contro i 945 del 2000, con una rapida crescita del mercato del lusso (al terzo posto al mondo dopo USA e Giappone). Alcuni limiti dello sviluppo si possono cogliere nella tendenza a una distribuzione ineguale della ricchezza, sia dal punto di vista territoriale, per la fortissima polarizzazione delle attività maggiormente produttive nelle grandi aree urbane, in particolare costiere, sia dal punto di vista sociale, per l'emergere di una classe imprenditoriale spregiudicata, legata ai movimenti del capitale estero. Negli ultimi anni l'economia cinese ha continuato a registrare tassi di crescita elevati (superiori al 10% dal 2003), grazie soprattutto al buon andamento delle esportazioni. Tra i fattori del miracolo economico vi sono: la presenza, nelle regioni costiere e meridionali, di numerose zone franche e zone economiche speciali (dove vengono incoraggiate le costituzioni di joint ventures e di filiali di società straniere); la politica di privatizzazione; il basso costo del lavoro; il rilevante risparmio delle famiglie cinesi e il supporto economico dei Cinesi d'oltremare. Un aspetto negativo è dato dal fatto che la liberalizzazione dell'economia e la seguente ristrutturazione del gigantesco apparato industriale pubblico ha comportato un forte aumento della disoccupazione nelle città. § Lo sviluppo dell'economia cinese risulta ancor più straordinario ove si pensi che solo nel 1949, all'atto della proclamazione della Repubblica popolare, il Paese appariva in completo sfacelo, dopo quasi cinquant'anni di guerre e rivoluzioni. Erano scarsamente funzionanti sia le poche industrie sia le vie di comunicazione, entrambe dovute, come l'avvio dello sfruttamento minerario e le aperture commerciali del Paese, alle iniziative colonialiste occidentali e giapponesi. L'agricoltura, tradizionalmente basata sul latifondo, era pressoché totalmente dipendente dalle condizioni climatiche e dalle avversità naturali, prime fra tutte le inondazioni dei grandi corsi d'acqua. In non meno totale dissesto erano le finanze, con una moneta ormai del tutto screditata e un'inflazione che aveva raggiunto valori elevatissimi. Nella generale sorpresa degli osservatori politici di tutto il mondo, in tempi brevissimi furono operati cambiamenti radicali e decisivi per il futuro del Paese. Fu istituito il controllo da parte dello Stato sulle finanze e sugli scambi con l'estero; fu fondata la Banca del Popolo della Cina, al tempo stesso la banca di Stato e il principale istituto commerciale; fu emessa la nuova moneta, lo yuan renminbi (=moneta del popolo), rivelatasi poi come una delle più stabili del mondo, anche dopo l'apertura ai confronti esterni, e in particolare durante la crisi del 1997-98. Già dallo stesso 1949 fu varato un piano decennale per il settore dei trasporti (nel cui ambito fu creata, tra l'altro, la compagnia aerea nazionale); inoltre, furono avviate sistematiche prospezioni geologiche, che consentirono un primo inventario delle considerevolissime risorse minerarie e soprattutto fu realizzata la riforma agraria. Liquidata la struttura improduttiva del latifondo, le terre espropriate furono assegnate a ca. 50 milioni di famiglie contadine, ma a partire dal 1954 i microfondi furono raggruppati in cooperative, che divennero ca. 700.000 nel 1957 e rappresentarono la prima forma di organizzazione contadina nel Paese. Non meno grandi furono gli sforzi compiuti in campo industriale: la Cina agli inizi rigidamente ancorata ai modelli sovietici (l'URSS fu d'altronde l'unico Paese a fornire aiuti, soprattutto di tecnici e di apparecchiature industriali), con il primo piano quinquennale (1953-57) diede assoluta priorità agli investimenti nel settore dell'industria, dedicando a questa ca. i 3/5 delle risorse stanziate. Fu nettamente privilegiata l'industria pesante che, nazionalizzata, registrò progressi tecnici e un'espansione produttiva notevolissimi. Ciò creò un divario sempre maggiore fra le città in rapida crescita industriale e le campagne ancora legate a metodi produttivi tradizionali. In seguito ai gravi ritardi registrati in vari settori, soprattutto agricoli, il secondo piano quinquennale, elaborato nel 1958 sulla falsariga del precedente, fu poi abbandonato a livello pratico, in quanto non compatibile con la realtà nazionale, caratterizzata da enormi masse arretrate di contadini. Per colmare le carenze del Paese, si preferì ricorrere, piuttosto che alle importazioni, all'unica ricchezza immediatamente sfruttabile, il potenziale umano: fu così lanciata nel 1958 la campagna ideologica detta del “grande balzo in avanti”, intesa come appello a tutte le forze operanti per accelerare il progresso nel Paese. Si cercò di inserire l'industria nella realtà contadina e, messi da parte i colossali programmi nei settori di base e il rigido dirigismo centrale, fu promossa la creazione di numerose piccole aziende artigianali, in grado di meglio integrarsi con l'economia locale. Fondamentale fu, sempre nel 1958, la soppressione delle cooperative, troppo frammentate e quindi non sufficientemente fornite di forza-lavoro e capitali per poter modernizzare realmente le proprie strutture economiche e realizzare quelle gigantesche opere di sistemazione idrica e territoriale dalle quali sarebbe dipeso, con il successo dell'agricoltura, gran parte del futuro del Paese. Vennero studiate e istituite nuove unità economico-territoriali integrate, le “comuni popolari” che associavano agricoltura, industria manifatturiera e commercio: da una quantità originaria di ca. 26.000 (ciascuna raggruppante in media alcune migliaia di famiglie), ben presto i risultati positivi ne fecero elevare il numero a ca. 54.000. Una volta imboccata questa via autonoma di sviluppo, la Cina si pose in grave contrasto con l'URSS sia sul piano ideologico sia come Stato; nel 1960 i tecnici sovietici furono richiamati improvvisamente in patria e tutte le forniture in corso di macchinari e materiale vario alle industrie vennero bloccate, provocando l'arresto di gran parte dell'attività produttiva. Gli anni 1960-62 furono disastrosi anche per le durissime avversità climatiche e quindi per i pessimi raccolti; ma nel 1963 il Paese poteva già dirsi in grado di garantire la propria autosufficienza alimentare. Nel 1966 fu varato il terzo piano quinquennale, con cui veniva data priorità allo sviluppo dell'agricoltura ; l'industrializzazione veniva diretta anch'essa a soddisfare le necessità più urgenti del Paese, dando preminenza al settore meccanico per la produzione di macchinario agricolo, a quello chimico, per la produzione di fertilizzanti e a quello energetico. Questo notevole sviluppo produttivo non poteva essere mantenuto senza un'adeguata tensione ideologica delle masse che si tradusse nella cosiddetta “rivoluzione culturale” (1966-76). Con la morte di Zhou Enlai e di Mao Tse-tung il Paese ha dato una nuova svolta ai propri orientamenti economici attraverso l'ambizioso programma delle “quattro modernizzazioni”: nell'agricoltura, nell'industria, nella difesa e nella tecnologia. È stato soprattutto nel corso del sesto piano quinquennale (1981-85) che in Cina presero avvio radicali cambiamenti strutturali: in una economia rigidamente centralizzata si ponevano così le basi per la transizione verso un primo regime che contemplava elementi tipici delle economie di mercato. Nel corso del XII Congresso del Partito Comunista Cinese (1982) si discusse del ripristino del sistema delle responsabilità nella produzione (per cui il compenso è commisurato al prodotto) e del ritorno alla proprietà privata della terra; il Comitato Centrale, nel 1984, pose le basi della liberalizzazione del sistema industriale e della riforma della determinazione dei prezzi, non più stabiliti dal piano ma dal mercato. Analogo orientamento verso uno sviluppo stimolato da meccanismi capitalistici e fondato sulla modernizzazione delle attività produttive espresse il successivo piano 1986-90: facilitazioni alla costituzione di joint-ventures e più in generale al capitale estero, creazione di “zone franche” e potenziamento del settore cooperativo privato furono gli elementi caratterizzanti una strategia di valorizzazione delle risorse differenziata e diversamente integrata nel commercio internazionale per grandi aree geografiche (regioni costiera, centrale, occidentale). Dopo l'apparente, momentaneo ritorno a orientamenti di politica economica dirigista, conseguente alla crisi del 1989 e alla repressione dei moti studenteschi e popolari, la liberalizzazione del sistema produttivo cinese assunse ritmi accelerati e, per taluni aspetti, “selvaggi”: come per l'impennata dei tassi di incremento del PIL che nel 1993 toccava un picco del 13%, di gran lunga il dato più elevato a livello mondiale. Una forza di lavoro tanto largamente disponibile quanto scarsamente specializzata, e dunque a bassissimo costo, per di più formata sotto la ferrea disciplina del regime comunista, rappresentò il fattore vincente della produttività industriale, cresciuta fino al 20% all'anno, specie nei comparti di modesto profilo tecnologico. Tale massa umana costituì, peraltro, anche un formidabile mercato di consumo, pronto ad aprirsi a beni di importazione. I primi sintomi di ciò si avvertirono nella crescita dell'inflazione (13% nel 1994), problema sconosciuto all'economia cinese fino a poco prima e prontamente affrontato dai vertici governativi che, grazie agli interventi decisi da Zhu Rongji, abile economista e, dal marzo 1998, primo ministro, la riportarono a un livello accettabile. Il deciso cammino verso un'economia liberista ha rischiato però, come detto, di acuire gli squilibri regionali a lungo latenti, o prima controllati dallo statalismo, fra diverse parti del Paese: fra aree costiere e interne, con una pericolosa esasperazione dei problemi etnici; fra campagna e città, con un sensibile accrescimento dei divari di reddito e un'altrettanto forte concentrazione di quest'ultimo nelle aree urbano-industriali. Va sottolineato, infatti, come, anche nei primi anni del Duemila, la struttura della popolazione attiva rimanga decisamente sbilanciata verso il settore primario (il 49%), sebbene questo contribuisca solo per l'11,8% al PIL (2006) e stenti a mantenere il Paese in condizioni di autosufficienza alimentare, sia per il venir meno della rigida organizzazione delle comuni popolari sia per l'aumento e la diversificazione dei consumi. Il settore secondario, viceversa, con il 21% degli attivi, ha un'incidenza sul PIL del 48,7%. Rispetto alla situazione dei primi anni Ottanta si è quindi verificata un'ulteriore diminuzione del peso dell'agricoltura (la cui bassa produttività è in parte compensata dall'autoconsumo e da altri impieghi non monetizzabili della produzione rurale) e un aumento di quello del terziario, con una sostanziale stabilità del settore industriale. Inoltre, mentre si sviluppano i servizi alla produzione e finanziari, entrano in crisi – ancora per la dismissione delle vecchie strutture collettivistiche di stampo maoista – alcuni servizi sociali, con particolare riferimento all'istruzione e alla formazione. Si profila un altro fenomeno sconosciuto al passato regime statalista: la disoccupazione. Essa deriva da due ordini di situazioni: da un lato, la già ricordata eccedenza di manodopera agricola a bassa produttività, stimata in non meno di 100 milioni di unità. Il processo di privatizzazione delle imprese pubbliche e la relativa autonomia finanziaria raggiunta dall'industria statale hanno ridimensionato l'entità dei trasferimenti e dei contributi pubblici a favore delle imprese pubbliche, mentre il progressivo cambiamento del tradizionale meccanismo di finanziamento dello Stato, basato sul trasferimento dei profitti delle imprese statali, ha reso necessaria l'adozione graduale di un sistema fiscale. La gradualità del passaggio ai meccanismi di mercato è dovuta sia al fatto che la liberalizzazione è circoscritta a determinate attività sia alla creazione di aree privilegiate (con incentivi fiscali, doganali, ecc.), autonome dal potere centrale: zone economiche speciali, zone di sviluppo delle alte tecnologie, zone franche o di libero commercio, zone di turismo di Stato. Per le grandi imprese statali in crisi, più che di privatizzazione, si è parlato di “ristrutturazione”, anche mediante l'intervento di capitale estero, in modo da mantenere comunque il controllo dei settori strategici (energia, infrastrutture, high tech). Gli investimenti stranieri, dopo la forte crescita durata fino a metà degli anni Novanta, hanno fatto segnare un incremento meno spinto, con un importo che si aggira attorno ai 50 miliardi di $ USA all'anno. Filtrati soprattutto tramite la piazza finanziaria di Hong Kong, tali investimenti provengono principalmente dagli Stati Uniti, dal Giappone e dai Paesi emergenti dell'Asia sudorientale. Dal punto di vista della dimensione aziendale, invece, si è decisamente affermato il modello della piccola impresa. I rami produttivi in espansione sono orientati tanto alla domanda interna (siderurgia, chimica di base, cementificio, produzione di macchine agricole e autocarri) quanto all'esportazione (produzioni tessili, elettromeccaniche ed elettroniche e di materie plastiche). La tendenza verso lo sviluppo di un'economia di mercato ha finito con l'imporsi, trovando formale riconoscimento nelle modifiche apportate alla Costituzione nel 1993, che hanno eliminato ogni riferimento alla pianificazione in nome di un'economia di mercato socialista. Simbolo degli indirizzi di politica economica inaugurati negli anni Ottanta rimangono comunque le cosiddette “zone economiche speciali” (nel Guangdong e nell'isola di Hainan) e le “zone di sviluppo economico e tecnologico” create all'interno di quattordici città costiere aperte (tra le quali Canton, Shanghai, Tianjin), istituite nel 1984 quali motori dell'integrazione dell'economia cinese in quella internazionale, al fine di incentivare l'interscambio con l'estero e di fare da tramite nel processo di importazione di tecnologia straniera. Esse, godendo di privilegi in materia commerciale, finanziaria e fiscale, hanno attratto notevoli capitali esteri e quindi conosciuto un intenso sviluppo industriale e urbanistico che ne ha fatto anche poli di rilevanti migrazioni interne e capisaldi del commercio internazionale cinese. Il piano quinquennale approvato nel 2001 ha previsto un ulteriore aumento della disoccupazione industriale, in parte compensato dalla messa in cantiere di alcune grandi infrastrutture (metanodotti, elettrodotti, nuovi canali). La rapida crescita economica ha reso insufficiente la produzione energetica della Cina: più del 50% dell'energia elettrica deriva da centrali termiche alimentate a carbone, ma con conseguenze di inquinamento tali che le autorità hanno intrapreso la modernizzazione o la conversione di molti impianti. Un altro aspetto del processo di trasformazione è stato, inoltre, l'apertura nei confronti dell'economia mondiale: le esportazioni e le importazioni sono aumentate notevolmente. Le cause del loro sorprendente sviluppo vanno ricondotte all'insieme di misure volte a decentralizzare le esportazioni con la creazione di società di commercio estero indipendenti dal governo centrale, a creare le già ricordate zone economiche speciali e a favorire l'afflusso di capitali stranieri sotto forma di investimenti diretti. Sempre per quanto riguarda il commercio estero, nel novembre 1999, dopo tredici anni di trattative, è stata siglata un'intesa per l'ingresso della Cina nel WTO (World Trade Organization), con la quale il colosso asiatico si è impegnato a ridurre le tariffe e i dazi sulle importazioni, a eliminare i sussidi alle esportazioni, a offrire partecipazioni al 49% agli investitori nelle società cinesi di Internet e al 50% in quelle dei telefoni, ad autorizzare banche e assicurazioni straniere a svolgere una vasta gamma di attività sul suo territorio, a favorire reti di distribuzione autonome. L'effettivo ingresso nel WTO è avvenuto nel 2001 mentre, sin dal 1991 la Cina aderisce all'APEC (Asia-Pacific Economic Cooperation), malgrado la presenza della “nemica” Taiwan.

Economia: agricoltura, foreste, allevamento e pesca

Data la varietà climatica e pedologica del vasto territorio, in Cina è presente una gamma pressoché completa di colture, molte delle quali in quantitativi elevatissimi. Dagli anni Cinquanta del Novecento dissodamenti e bonifiche hanno guadagnato all'agricoltura oltre 10 milioni di ha, sottratti all'intensa urbanizzazione; contemporaneamente si è verificata l'estensione della meccanizzazione e dell'uso di fertilizzanti chimici: in entrambi i campi disincentivante è risultata la grande disponibilità di manodopera. Le opere irrigue sono state potenziate sia dalle autorità centrali sia da quelle locali, tanto da interessare oggi il 45% delle terre coltivate; progressi sono stati ottenuti anche nell'immagazzinamento dell'acqua. La ricerca per lungo tempo si è interessata soprattutto alla selezione di varietà con produttività superiore, perseguita anche tramite il ricorso all'importazione, a scapito dell'impegno nella valorizzazione di altri fattori agronomici. I limiti rimangono nelle difficili condizioni climatiche (siccità, erosione e desertificazione, alluvioni) e nell'applicazione delle tecnologie, oltre che nelle strutture complementari per lo stoccaggio e la commercializzazione. L'agricoltura è stata del resto il settore in cui la liberalizzazione dell'economia ha ottenuto gli esiti più controversi, dopo il positivo avvio delle riforme. La decollettivizzazione ha prodotto innanzitutto una forte disoccupazione rurale che la diffusione di piccole industrie nelle campagne non è stata in grado di assorbire: l'esuberanza di manodopera espulsa almeno in parte dal precedente stato di sottoccupazione sarebbe addirittura di 200 milioni di unità. § L'arativo, che si estende sul 14,1% della superficie territoriale, corrisponde quasi interamente alla Cina orientale, vale a dire alle tradizionali regioni agricole comprese nei bacini del Huang He e dello Chang Jiang. Nel primo si coltiva soprattutto il frumento, seguito dal mais, dal sorgo, dall'orzo e dalle patate; nel secondo domina sovrana la risicoltura, (che consente in certe zone due raccolti annui), ma vi si coltivano intensamente anche varie piante oleaginose (sesamo, soia, arachidi), oltre a frutta, tè, tabacco, cotone, iuta, ecc. Anche la Cina meridionale si presta ottimamente alla risicoltura (persino tre raccolti annui), seguita da molte colture tropicali, quali canna da zucchero, ananas, agrumi ecc. Regione agricola importantissima, di più recente sviluppo è infine la Manciuria: oltre al frumento e al sorgo sono qui particolarmente coltivate la soia e la barbabietola da zucchero. La Cina detiene nettamente il primato mondiale per la produzione di riso (184,2 milioni di t, un terzo del totale mondiale), che è tradizionalmente alla base dell'alimentazione cinese, con un rendimento anche superiore ai 35 q/ha, e per quelle di frumento (96,1 milioni di t) e di patate (73,7 milioni di t); inoltre è il secondo produttore mondiale (dopo gli Stati Uniti) di mais, produce discrete quantità di diversi cereali minori (miglio, sorgo, segale), è il quarto produttore mondiale di soia (16,9 ml di t) e il primo di arachidi; consistenti anche le produzioni di sesamo, colza, girasole, ricino. L'incremento della domanda di cereali è stato sostenuto, oltre che dalle esigenze dell'alimentazione umana, anche dall'espansione degli allevamenti animali, favorita dalla privatizzazione del settore. Ciò ha determinato anche l'estensione territoriale delle colture: quella dell'orzo, in particolare, grazie allo sviluppo dell'irrigazione, si è notevolmente estesa verso nord. Notevoli contributi all'alimentazione danno le patate e ancor più le patate dolci e i pomodori. Dalla canna e soprattutto dalla barbabietola si ottiene un quantitativo di zucchero più che sufficiente per il fabbisogno nazionale. La Cina è il primo produttore mondiale di tabacco e di tè, la bevanda nazionale più diffusa. In costante espansione sono la frutticoltura (banane, mele, pere, agrumi, ecc.) e le produzioni di legumi e ortaggi d'ogni genere, soprattutto nei pressi dei grandi centri urbani. Fra le piante tessili, esse pure molteplici e di grande rilievo, notevole è la produzione di cotone, (primo produttore mondiale), grazie anche alle nuove piantagioni della Cina centrorientale e delle aree occidentali di recente colonizzazione. Si coltivano anche il lino, di cui la Cina assicura oltre la metà della produzione mondiale, la iuta, il ramiè e la canapa. § Quanto al patrimonio forestale, il millenario sfruttamento agricolo ha praticamente esaurito le risorse boschive nelle regioni centrorientali, mentre nel Nord e nell'Ovest del Paese il clima arido non consente la formazione di un vero e proprio manto forestale. Le maggiori estensioni boschive si trovano nella Manciuria e nelle vallate del Tibet sud-orientale, dove prevalgono le conifere e le foreste di latifoglie, mentre nello Yunnan esistono ricche foreste subtropicali. I vasti rimboschimenti effettuati dal governo agli inizi degli anni Novanta hanno consentito di elevare la superficie forestale al 13,6% del territorio nazionale (era dell'8% un decennio addietro), anche se in seguito alle copiose inondazioni del 1998 lo sfruttamento delle foreste nazionali è stato fortemente limitato; nel 2005 sono stati prodotti oltre 286 milioni di m3 di legname, che alimentano una sviluppata industria di lavorazione del legno e di produzione della carta e pasta di legno. La Cina produce anche caucciù ed è il primo produttore mondiale di birra, mentre la vite è presente in misura modesta. § L'allevamento dei suini è da sempre diffuso nelle campagne cinesi; un tempo nelle regioni settentrionali e occidentali, ricche di pascoli e scarsamente abitate, venivano allevati yak e cammelli in modo estensivo e brado. Tale forma di allevamento continua a essere importante in Manciuria, in Mongolia, nello Xinjiang e nel Tibet, ma a esso si è affiancato un allevamento stanziale, integrato con l'agricoltura, di bovini, bufali da lavoro (specialmente nelle risaie meridionali), ovini e caprini, tanto che, anche per l'attività zootecnica il Paese si pone ormai ai primi posti nella graduatoria mondiale. In Cina è presente addirittura la metà (4 milioni capi) dell'intero patrimonio mondiale di suini. Nelle regioni aride è diffuso l'allevamento estensivo di ovini e di caprini (primato mondiale con, rispettivamente, 170 milioni e 195 milioni di capi censiti nel 2005), mentre per quanto riguarda l'allevamento bovino, nonostante il forte incremento recente, la posizione della Cina (con 115 milioni di capi nel 2005) a livello mondiale è relativamente più debole. Nelle aree ad agricoltura intensiva la gelsicoltura alimenta l'allevamento del baco da seta, antichissima e pregiata attività cinese. Molto diffusi sono infine i volatili da cortile, la cui produzione di uova viene ampiamente esportata. § La pesca riveste un ruolo determinante nell'alimentazione locale e la Cina, anche se solo relativamente di recente si è posta in testa alla classifica mondiale del pescato, con oltre un terzo del prodotto mondiale. Le flotte pescherecce si sono straordinariamente sviluppate e, accanto alla pesca tradizionale, non mancano battelli modernamente attrezzati, impianti frigoriferi e conservifici in vari porti sia della costa orientale sia di quella meridionale (Tianjin, Qingdao, Canton, Xiamen ecc.). Le forti richieste di pesce da parte di una fascia costiera popolatissima trovano rispondenza nella ricchezza ittica del Mar Cinese Meridionale; pescoso è anche il golfo del Bo Hai.

Economia: industrie e risorse minerarie

La Cina, come si è visto, ha compiuto una vera “rivoluzione industriale” a partire dagli anni Ottanta. Fino ad allora, il settore manifatturiero, con la parziale esclusione dell'industria pesante, era risultato fortemente sottodimensionato, dal punto di vista sia quantitativo sia qualitativo, dalle strategie di politica economica mirate a privilegiare l'integrazione con l'agricoltura nel sistema delle “comuni popolari”, mentre la chiusura del mercato e lo stesso regime rigorosamente statalista impedivano l'espansione della domanda. Faceva eccezione il solo settore militare, in cui, soprattutto nei comparti dell'elettronica e della tecnologia aerospaziale, la situazione è stata per molto tempo più avanzata: la parziale riconversione dell'industria bellica successivamente intrapresa, associata alla riduzione delle spese militari, si presenta quindi come un potenziale fattore di sviluppo, prevedendosi inoltre, a differenza di quanto avvenuto in passato, lo scambio fra due aree della produzione e della ricerca ed essendo già oggi destinata al settore civile buona parte della produzione di quello militare. Già nel 1965 la Cina produceva, con materiali e progetti interamente locali, il primo elaboratore; nel 1968, i primi missili balistici; nel 1970, un proprio veicolo spaziale, cui seguivano i reattori nucleari e le armi atomiche, le cui sperimentazioni erano iniziate già dagli anni Sessanta. Da allora, la Cina ha accresciuto notevolmente la propria capacità tecnologica, con progressi particolarmente notevoli nei rami dei mezzi di trasporto, delle macchine agricole, dell'automazione industriale, dell'elettromeccanica e dell'ottica. La conferma dello sviluppo e del trasferimento tecnologico viene dalla crescita del numero dei brevetti di cui è stata approvata l'applicazione. Ma la peculiarità del modello cinese sta soprattutto nella stretta interazione fra la componente istituzionale e quella tecnica, attraverso una gestione della ricerca scientifica basata su criteri di efficienza e redditività, con l'obiettivo di portare il settore industriale ai massimi livelli internazionali. In stretta relazione con il governo centrale, che individua le strategie a lungo termine per la ricerca di base, operano sul territorio, alle diverse scale amministrative, circa 18.000 organismi che ne coordinano le attività e ne sperimentano i risultati direttamente in fabbrica. Considerando l'arretratezza della base di partenza, anche per gli effetti della “rivoluzione culturale” maoista che lo aveva di fatto arrestato, il processo di sviluppo tecnologico dell'industria è stato necessariamente graduale, dovendo coinvolgere diversi tipi di produzioni: dalle più semplici, con largo impiego di lavoro manuale, alle più sofisticate e automatizzate. Il settore delle industrie di trasformazione è da diversi anni in fase di notevole evoluzione, sia dal punto di vista della struttura merceologica, sia per quanto riguarda la distribuzione territoriale. Se infatti cinquant'anni fa le industrie si localizzavano pressoché esclusivamente entro una o due centinaia di chilometri dal mare, oggi sono diffuse praticamente in tutta la Cina popolata. Soprattutto a partire dall'ultimo quarto del Novecento, un poderoso processo di riforma e ristrutturazione dell'industria ha prodotto sensibili incrementi nella produzione (nel 2006 il tasso di crescita della produzione industriale era stimato al 22,9%) con i maggiori progressi nei settori di punta scelti dal regime (energia, trasporti aerei, telecomunicazioni ecc.), ma anche con un graduale spostamento delle produzioni dai grandi complessi statali (il cui apporto al prodotto industriale cinese è passato dall'80% degli anni Ottanta del Novecento, a meno della metà del totale nei primi anni del Duemila) alle sempre più numerose imprese individuali e alle joint venture con aziende straniere. Il rilancio della domanda interna ha inoltre stimolato le produzioni leggere con crescente impiego di tecnologia: dai settori alimentare e dell'abbigliamento, ai beni di consumo durevole, quali orologi, biciclette, radio, macchine da cucire negli anni Ottanta; elettrodomestici, televisori, macchine fotografiche negli anni Novanta e, piùdi recente, anche automobili. § La siderurgia rappresenta la base dell'apparato industriale cinese e ha registrato sviluppi notevolissimi, andando a occupare il primo posto nella graduatoria mondiale, davanti al Giappone: si tratta di un settore moderno e altamente produttivo, i cui centri principali, prossimi ai giacimenti di ferro e carbone, sono ubicati in Manciuria (Anshan e altri centri, dove la siderurgia fu avviata dai Giapponesi), sul medio Chang Jiang, soprattutto a Wuhan e a Bautou, nonché presso i maggiori agglomerati urbani. Alla siderurgia si affianca sovente la metallurgia (rame, alluminio, zinco, molibdeno ecc.) che ha i suoi centri più importanti ad Harbin e Fushun ma, rispetto alla siderurgia, presenta localizzazioni più diffuse sul territorio. Entrambi i settori alimentano un'industria meccanica ormai molto diversificata, ma volta soprattutto a fornire attrezzature di base (macchine industriali, agricole e minerarie, motori, apparecchiature elettriche ed elettroniche) e mezzi di trasporto (materiale ferroviario, costruzioni navali, biciclette ecc.). Nel 2004 la Lenovo, primo produttore cinese di personal computer, ha acquistato la divisione PC della statunitense IBM, diventando così il terzo gruppo mondiale del settore, mentre nel 2005, benché la Cina non sia mai stata fra i grandi protagonisti della produzione di autovetture, le vendite complessive di auto hanno superato quelle del Giappone con 5,92 milioni di unità e l'export (172.000 vetture) ha superato per la prima volta l'import. Stabilimenti meccanici sono ormai presenti un po' in tutto il Paese, ma i complessi più importanti sono localizzati a Shanghai, Harbin, Dalian, Tianjin, Nanjing, Changzhou, Taiyuan, Fushan, Wuchang, Chengdu. In rapidissima espansione è l'industria chimica (tradizionalmente posta al servizio dell'agricoltura), in particolare quella delle materie plastiche; i centri più importanti sono Shanghai, Canton, Nanjing, Tianjin, Fuzhou, Chongqing, Ürümqi. Essa è in grado di fornire una vasta gamma di prodotti di base, dalla gomma sintetica all'acido solforico, alla soda caustica, ecc., e qualche prodotto di chimica fine (quali i farmaci) che però costituiscono ancora una delle principali voci d'importazione. Gli enormi sforzi volti al potenziamento dei settori di base sono anche espressi dai dati relativi al cemento: la Cina è di gran lunga il primo produttore mondiale. Fra le attività propriamente manifatturiere prevale quella tessile, fiorente già dalla fine del sec. XI: la Cina detiene il primato mondiale sia per la produzione di filati e di tessuti di cotone, sia per i filati e tessuti di lana. Si lavora inoltre la seta ed è in fortissima crescita la produzione di fibre sintetiche. Anche in questo settore la dislocazione delle industrie è ormai molto varia, con una prevalenza per il settore della seta nei tradizionali centri del bacino dello Chang Jiang e per le fibre artificiali a Shanghai, Canton e Harbin. Tra le industrie alimentari, infine, prevalgono quelle relative alla brillatura del riso e alla molitura del frumento; ben sviluppati sono però anche il settore oleifero (in Manciuria soprattutto), quello saccarifero, la manifattura dei tabacchi, la conservazione del pesce, l'industria della carta e dei pannelli di legno. Ha inevitabilmente pagato lo scotto dell'industrializzazione del Paese l'artigianato, che creava oggetti di squisita fattura; anche se in parte trasformati in prodotti di serie per l'esportazione, vengono ancora realizzati porcellane, vetri, lacche, sete, ricami, tappeti, ecc., divenuti oggetto di scambi commerciali anche all'interno del Paese. Anche per la produzione di beni di consumo, inoltre, va affermandosi il modello della piccola industria diffusa, localizzata nelle aree urbane minori e, sempre più, in quelle rurali. § Notevole è la produzione mineraria , essenzialmente sviluppata solo a partire dagli anni Cinquanta, nel grande sforzo di industrializzazione sostenuto. La Cina domina i mercati internazionali ed è particolarmente ricca di minerali energetici: per il carbone è il primo produttore del mondo (giacimenti soprattutto estesi in Manciuria, nello Hebei, nello Shandong, nello Shanxi e nel Xinjiang settentrionale), con oltre 1,85 milioni di t prodotte nel 2005. Possiede il 10% delle riserve mondiali di petrolio con 180 milioni di t estratte e vi sono prospettive di ulteriore crescita; le principali aree petrolifere sono localizzate nella provincia mancese di Heilongjiang (dove si trova il ricchissimo giacimento di Daqing), nel Xinjiang, nello Sichuan e nel Gansu. Nei tardi anni Settanta sono stati scoperti giacimenti di particolare importanza nei pressi dell'estuario del Chu Ching e nel bacino di Qaidam: sono quindi stati stabiliti rapporti con società occidentali per l'ulteriore prospezione nel Mar Cinese, nel Mar Giallo e nel Golfo del Tonchino. Discrete sono le riserve di gas naturale, stimate per ca. la metà nello Sichuan. A Ürümqi, nel Xinjiang, vengono estratti minerali di uranio, utilizzati nel locale impianto atomico. Per il ferro la Cina è in testa alla classifica mondiale con una produzione annua che nel 2006 si è attestata sui 520 mil di tonnellate (va segnalato che negli ultimi 15-20 anni la produzione si è triplicata). Dei minerali metalliferi il ferro è presente soprattutto nell'area di Anshan (Liaoning) oltre che a Tayeh (Hubei), presso Bautou (Mongolia Interna) e in varie altre zone, spesso vicino a giacimenti di carbone. La Cina è il primo produttore mondiale anche di tungsteno e di zinco; si estraggono inoltre notevoli quantitativi di piombo (secondo produttore mondiale), nichel,antimonio, manganese, tungsteno, molibdeno, mercurio, rame, bauxite, stagno. Tra i minerali non metalliferi sono ben rappresentati i fosfati, lo zolfo, il sale, il caolino, il gesso e il talco. È comunque indubbio che buona parte delle risorse minerarie della Cina sia tuttora suscettibile di più intenso sfruttamento. La produzione di energia elettrica, triplicata negli ultimi vent'anni, supera i 2000 miliardi di kWh ed è divenuta la seconda al mondo dopo quella degli Stati Uniti, con installazioni che ormai raggiungono anche le regioni periferiche, come il Tibet; è sempre tuttavia una produzione inferiore al fabbisogno di una nazione in grande espansione industriale. Data la disponibilità di petrolio e soprattutto di carbone, gran parte dell'energia prodotta nel Paese (i 4/5) è di origine termica; centrali nucleari si trovano a Dayawan (Guangdong) e a Quinshan (Zhejiang) e una terza è in via di ultimazione a Dapeng (Guangdong), ma entro il 2020 è stato programmato il completamento di altri 30 nuovi impianti. Gli impianti idroelettrici sono invece già parecchi e di recente ne sono stati costruiti due nuovi, di grandi dimensioni sullo Huang He.

Economia: commercio, comunicazioni e turismo

Il commercio interno ha tratto stimolo dal progresso economico degli ultimi decenni del Novecento e quindi dalle riforme degli anni Ottanta: l'interscambio fra città e campagna si è intensificato parallelamente alla riduzione dell'economia di villaggio, volta in gran parte all'autoconsumo. Ancor più drastici cambiamenti hanno interessato il commercio estero cinese nel volgere di mezzo secolo. Sino agli anni Quaranta del Novecentogli scambi si svolgevano eminentemente con gli Stati Uniti e i Paesi occidentali d'Europa; con la nascita della Repubblica Popolare l'interscambio con l'estero passò per ca. il 75% all'URSS e agli altri Stati socialisti. Dopo il 1960 la crisi politica fra Cina e URSS comportò la quasi totale chiusura di questa fondamentale corrente di scambi; ne derivò una radicale inversione di tendenza che portò, per un decennio, a limitare l'interscambio con i Paesi del Terzo Mondo. Con gli anni Settanta, dopo l'ammissione della Cina all'ONU, si è verificata una nuova svolta in base alla quale l'assoluta maggioranza del commercio estero si svolge con Paesi non socialisti. I dati statistici sull'incremento delle attività commerciali con l'estero contribuiscono a definire il profilo di un Paese che pare indirizzato a dominare la scena mondiale anche in questo ambito. Dal 1980 al 1996 il valore in dollari dell'export è aumentato di otto volte e nei successivi otto anni le esportazioni si sono ulteriormente triplicate, portando la Cina fra i 10 maggiori esportatori mondiali. Il volume del commercio estero cinese è notevolmente aumentato con l'annessione di Hong Kong, soprattutto per quanto riguarda le esportazioni, e la bilancia commerciale è in attivo, mentre il ventaglio delle relazioni è in costante crescita sia in termini sia merceologici sia spaziali. Le esportazioni principali sono costituite da macchinari ed elettronica, vestiario e tessuti, prodotti alimentari e prodotti chimici che, insieme, rappresentano il 65%, in valore monetario, dell'export e che, giova sottolinearlo, sono prodotti industriali e non materie prime minerarie o agricole (la Cina è, tuttavia, anche il sesto esportatore mondiale di carbone). I principali Paesi partner della Cina sono Stati Uniti (21%) e Giappone (9,5%), seguiti a una certa distanza dalla Corea del Sud (4,6%); Hong Kong ha un ruolo fondamentale come punto di transito, da cui passa il 16% dell'export. Tra i fornitori i più significativi vi sono Giappone (14,6%), Corea del Sud (11,3%), Taiwan (11%) e Stati Uniti (7,5%). L'Italia si colloca al decimo posto nella graduatoria dei fornitori della Cina. Le importazioni cinesi riguardano essenzialmente impianti industriali e apparecchiature ad alta tecnologia, come quelle aeree, mediche e ottiche, alcune materie prime (petrolio, ferro, acciaio) e prodotti semilavorati destinati alle industrie nazionali, prodotti di chimica fine. Le “porte” del commercio internazionale sono rappresentate dalle “zone economiche speciali” (ZES) il cui successo ha fatto crescere rapidamente il numero delle filiali e degli uffici commerciali stranieri (a cominciare dalle banche giapponesi) nelle città aperte e anche in alcune di quelle “non aperte”, come la capitale Pechino, e dalle infrastrutture portuali (circa 450 scali marittimi). In particolare, il porto di Shanghai ha ormai raggiunto una dimensione di rilievo mondiale. Le radicali riforme del settore finanziario introdotte nel 1994, che hanno unificato i tassi di cambio, hanno favorito la nascita di banche commerciali e l'istituzione di centinaia di filiali di banche estere. Nel 2003 è stata creata la Commissione di vigilanza sulle banche, con il compito di gestire, tra l'altro, l'enorme massa di sofferenze bancarie creatasi nel decennio precedente, mentre nel 2005 il governo decideva di abbandonare la parità dello yuan con il dollaro, e di rivalutarla, lasciando che fluttuasse rispetto a un paniere di monete internazionali. Notevolissima negli anni recenti è stata la crescita delle borse valori. § Sempre maggiore importanza riveste anche il turismo, favorito da grandi investimenti, che si stima rappresenti circa il 5% del PIL. Il Paese nel 2006 ha accolto 49,6 milioni di visitatori collocandosi al quarto posto tra i Paesi più visitati del mondo; questo dato deve moltissimo all'attrazione e alla ricettività offerte da Hong Kong e in minor misura da Macao, ma innegabilmente forte è il richiamo di siti e opere storico-artistiche disseminate nel Paese (tra le più visitate la Città Proibita di Pechino, la Grande Muraglia, le tombe degli imperatori Ming e i guerrieri di terracotta di Xi'an). L'avvento dell'economia socialista di mercato ha consentito la trasformazione del turismo da fenomeno eversivo (fino alla fine degli anni Settanta gli unici visitatori erano quelli invitati ufficialmente dal governo) in potenziale risorsa: è stato allargato il numero delle città visitabili da parte degli stranieri e sono state costruite nuove infrastrutture e approntati nuovi servizi turistici. I visitatori più numerosi sono i giapponesi, seguiti da statunitensi ed europei. Limiti allo sviluppo turistico sono rappresentati dalle comunicazioni e dai trasporti, ancora carenti, e dalla scarsa tutela di parte del patrimonio naturale e artistico. § In passato le principali arterie di comunicazione della Cina classica avevano in Pechino il fulcro pressoché unico dell'intero sistema territoriale ed erano volte soprattutto a collegare il Nord e il Sud dell'immenso Paese. Dopo lo sviluppo economico dei grandi centri portuali (Shanghai, Canton, Tianjiin, Fuzhou, Dalian ecc.) le direttrici primarie del traffico presero a raccordare eminentemente la costa alle regioni interne. Particolare importanza riveste la rete ferroviaria in quanto meglio atta al trasporto di elevati quantitativi di merce sulle grandi distanze (40% dei trasporti merci e 45% dei passeggeri). Sebbene poco sviluppata a confronto della vastità del Paese, collega tutte le regioni cinesi; supera (2005) i 75.000 km (di cui 19.400 elettrificati), valore più che raddoppiato rispetto a quello del 1949. Tra le maggiori linee sono: la Pechino-Canton, di oltre 2350 km; la cosiddetta ferrovia della Manciuria, di 2370 km, alla quale si innesta anche la Transmongolica; la Pechino-Lanzhou e la Lanzhou-Ürümqi (estesa fino a collegarsi con l'Asia centrale ex sovietica), entrambe di ca. 1800 km; la Paochi-Chongqing (1170 km), con due diramazioni che uniscono la Cina alle linee ferroviarie del Viet Nam. Nel 2006 è stata inaugurata la ferrovia Qinghai-Tibet che attraversa il passo Tangula a 5072 m (la più alta del mondo). La rete stradale, che annoverava nel 1949 120.000 km, di cui solo 80.000 realmente agibili, nel 2005 contava 1.930.543 km (di cui 1.591.791 asfaltati) ed è collegata alle reti dei Paesi confinanti. Il sistema stradale è sviluppato soprattutto nelle regioni costiere orientali, dove le maggiori città sono collegate da autostrade. Nel giugno 2007 è stato completato il ponte più lungo del mondo (Hangzhou Bay Bridge) su un braccio di mare che attraversa il Mar Cinese Orientale per 36 km, collegando Cixi, nella provincia di Zhejiang, con Juaixing City nel Nord (l'apertura al traffico è prevista per giugno 2008). Sono anche state valorizzate, con opportuni dragaggi, canalizzazioni e altre opere di sistemazione, le vie d'acqua interne, che si sviluppano per oltre 100.000 km. I lavori hanno riguardato particolarmente il bacino del Chang Jiang e il Canale Imperiale (Grande Canale o Da Yunhe), fondamentale arteria di 1782 km (il più lungo canale del mondo) tra il N e il Centro del Paese, che consente di collegare il Huang He con le idrovie del S. È stata altresì potenziata la flotta mercantile, la cui stazza globale supera (2006) i 22 milioni di t e che si colloca tra le più importanti del mondo. In massima parte il commercio internazionale della Cina si svolge via mare e ha come porti di riferimento Hong Kong e Shanghai: ambedue di livello mondiale, con traffico annuo largamente superiore ai 100 mil di t ciascuno. Ma soprattutto sono stati incrementati i trasporti aerei, fondamentali per un Paese di tale estensione: vi operano una dozzina di compagnie (tutte di proprietà pubblica a eccezione della Shanghai Airlines, detenuta per il 75% dalla municipalità di Shanghai e per il 25% da capitale privato, e della Shenzhen Airlines, totalmente privata), che trasportano (2005) oltre 136 milioni di passeggeri e oltre un milione di t di merci; sono attivati circa 200 collegamenti interni principali, mentre le compagnie estere operanti negli aeroporti cinesi sono salite a una trentina. Gli aeroporti principali sono Pechino, Shanghai, Chengdu, Xiamen, Canton, Shenyang. Il settore delle telecomunicazioni cresce a tassi elevatissimi, ma solo una parte (circa il 10%) del territorio è coperto da servizi telefonici e i contenuti della rete Internet sono in gran parte soggetti al controllo del governo.

Preistoria

I resti umani più antichi della Cina sono probabilmente i due incisivi di Yuanmou, attribuiti a Homo erectus, per i quali si ha una datazione, messa peraltro in discussione, di 1,7 milioni di anni. La sequenza archeologica della Cina settentrionale, secondo alcuni autori cinesi, inizia con il sito di Gongwangling, dove è stato rinvenuto un cranio fossile simile a quello di Lanthian; seguono il sito con fauna e scarsa industria litica di Chenjiawo, nello Shensi, la località n. 1 di Chu ku'tien, i cui livelli paleolitici con fossili umani sono compresi tra 500.000 e 200.000 anni fa, e il cranio rinvenuto a Tali (Shensi) datato a ca. 200.000 anni fa. Industrie simili a quelle più arcaiche di Chu ku'tien si trovano anche a Kehe in un riempimento riferito al Pleistocene medio. Dal sito di Mapa (fine Pleistocene medio – inizio Pleistocene superiore) proviene un cranio umano incompleto, attribuito ai gruppi asiatici corrispondenti ai neandertaliani. Sull'altopiano dell'Ordos (Mongolia Interna), diversi ritrovamenti sono riferiti al Paleolitico medio e superiore, analogamente alle industrie di Sjara-osso-gol e della località 13 di Chu ku'tien. Copiosi sono i resti di insediamenti del periodo neolitico la cui diffusione era favorita dalle vaste pianure fertili di Löss, specialmente dei territori settentrionali ricchi di corsi d'acqua. La base economica di molte di queste culture sarà costituita dalla coltivazione del miglio, del riso e dell'orzo, e dall'allevamento di bovini, suini, ovini, del cane e del baco da seta. Per citarne alcune, si ricordano le culture di Cishan (VI millennio), di Hue (V-III millennio), di Hongshan e di Sungari (IV-III millennio), di Liangzhu (seconda metà del IV millennio-III millennio), di Yangshao (VI-II millennio) e di Lung Shan (III-I millennio). Con l'Età del Bronzo, l'apparizione della scrittura preannuncia ormai i tempi protostorici. Di questo periodo si ricordano le culture di Erlitou (1500 a. C.), di Erligang (Erlikang) e di Anyang (1300-1030 a. C.).

Storia: dalle origini ai Mongoli

Al nome della Cina è legata la maggiore esperienza storica (per continuità nel tempo e nello spazio) che ancor oggi si conosca; la realtà che si riassume in questo nome non è solo un fatto culturale e sociale ma, attraverso un arco di più di tremila anni, identifica un Paese e delle genti che, sia pure con oscillazioni e crisi, hanno quasi sempre avuto organizzazioni politiche unitarie o, quanto meno, la coscienza di appartenere a un mondo che aspirava all'unità delle istituzioni politiche . È negli ultimi secoli prima del Mille a. C. che si può identificare il passaggio alla storia vera e propria della Cina. Questa nuova fase prende il nome dalla dinastia Shang, la seconda dinastia stando alla tradizionale storiografia cinese. Fino alla prima metà degli anni Novanta gli studiosi erano propensi a relegare anche questa (come la precedente dinastia Yin e gli antichissimi imperatori delle origini) nel novero delle invenzioni dei secoli successivi. Tuttavia negli anni Cinquanta cominciò, soprattutto ad Anyang, una serie di scavi che testimoniarono la sostanziale attendibilità della tradizione per quanto riguardava questa dinastia. Essa si sviluppava tra gli odierni Shantung e Shansi a cavallo e a nord del Hwang He. Da un punto di vista politico si può parlare di un'organizzazione unitaria molto allentata, all'interno della quale le comunità locali erano unite da vincoli di tipo feudale o tribale. È difficile dire sino a che punto si possa affermare l'esistenza, in questo periodo, di una forma specifica di schiavitù, ma non vi è dubbio sul fatto che le suddivisioni tra i ceti sociali erano molto marcate: mentre i ceti aristocratici abitavano cittadelle e palazzi non molto dissimili da quelli dei secoli successivi, gli strati più poveri si annidavano ancora nelle abitazioni “a pozzo”. Siamo con gli Shang in una fase di passaggio tra una società relativamente egualitaria e una più accentrata e gerarchica. Risalgono a questo periodo i “temi” fondamentali della cultura cinese: l'elaborazione delle prime testimonianze di scrittura ideografica e dei primi valori religiosi, nei quali emergono l'importanza crescente della divinazione e il culto di Shang-ti, figura oscillante tra la funzione di divinità suprema del Cielo e quella di divinità etnica e familiare della dinastia Shang. Gli Shang, potenza militare di notevole rilievo, esercitavano il controllo indiretto su una serie di potentati marginali che avevano la coscienza di appartenere a un'unità culturale e religiosa prima ancora che politica. Man mano tuttavia che negli ultimi secoli del secondo millennio la potenza della dinastia declinava, più forte si faceva l'influenza dei potentati periferici fin quando uno di questi rovesciò l'ultimo sovrano fondando la gloriosa dinastia dei Chou, alle cui origini la tradizione ha posto il re Wu, il suo figlio e successore Wen e lo zio di quest'ultimo, il duca di Chou, alla cui lealtà si deve se la legittima discendenza di Wu poté affermarsi: tre personalità cui si deve la fortuna della famiglia, identificatasi per quasi mille anni con la storia della Cina. Iniziata intorno al 1030 a. C., la dinastia scomparve dalla storia cinese nel 256 a. C.; questo arco di tempo si suole suddividere in diversi periodi: il primo, fino al 770 a. C., è detto dei Chou occidentali; i successivi 500 anni, complessivamente caratterizzati dal succedersi sul trono dei Chou orientali, sono piuttosto noti secondo due ulteriori specificazioni: il periodo “Primavere e Autunni” (722-481) e il periodo dei “Regni Combattenti” (403-222). Alcune delle caratteristiche di fondo destinate a permanere nella successiva storia della Cina si svilupparono in questo periodo: si è soliti infatti parlare di feudalesimo per il carattere articolato della struttura politica cinese sotto i Chou. Il sovrano (wang) aveva funzioni di reggitore supremo, ma sotto di lui il mondo cinese si articolava in numerosi potentati la cui autonomia andò gradatamente aumentando con il passare dei secoli. Il periodo dei Regni Combattenti deve infatti il proprio nome al fatto che le diverse signorie regionali (come i Sung, i Ch'i, i Ch'in) avevano ormai di fatto raggiunto una totale indipendenza e combattevano ripetutamente tra di loro al fine di assicurarsi la supremazia su tutta la Cina: una Cina che si andava gradatamente estendendo verso la valle dello Yangtze Kiang (Chang Jiang). Suggello delle precarie e mutevoli supremazie che venivano creandosi era la figura del pa, l'egemone, che la storiografia moralistica confuciana contrapporrà, condannandola, a quella più antica del wang. Gli ultimi anni del periodo Primavere e Autunni vedono, come è noto, la vita di Confucio, figura la cui importanza va molto al di là della sfera culturale propriamente detta. Da un lato il suo pensiero riflette i valori e le prospettive dell'antico mondo feudale avviato al tramonto, dall'altro esso, attraverso la mediazione dei maggiori discepoli, influenzerà profondamente le strutture dei successivi millenni. La società Chou era suddivisa in classi secondo uno schema molto rigido: la nobiltà terriera si sentiva vincolata dal rispetto di una ritualità (li) sentita come l'espressione di una legge naturale, ma imponeva al popolo il vincolo di una legislazione positiva molto severa. La Cina aveva ormai assunto (almeno nella sua parte settentrionale e centrosettentrionale) i tipici tratti di una grande civiltà contadina, nella quale rivestiva eccezionale importanza la canalizzazione, sia nella coltura del suolo sia per il trasporto dei beni verso le grandi centrali urbane. Il periodo dei Regni Combattenti, contrassegnato da un eccezionale rigoglio culturale, vide tra l'altro la formazione delle maggiori scuole filosofiche dell'antichità cinese; tra queste, la scuola dei legalisti ha particolare interesse storico: i legalisti divennero infatti i pensatori ufficiali e i teorici di Ch'in, un potentato posto ai confini nordoccidentali del mondo sinico che nel giro di un cinquantennio sgominò gli altri staterelli della Cina, restaurando di fatto l'unità del Paese con la fondazione (nel 221 a. C.) di una nuova dinastia. Su consiglio di Li Ssu, il ministro legalista artefice del successo dei Ch'in, venne abbandonato l'antico titolo di wang per quello, carico di echi mitici e religiosi, di Huangti che si è soliti tradurre con il termine di imperatore. Scomparvero le antiche articolazioni locali per lasciare il posto a un'amministrazione burocratica di nomina imperiale; scomparve il dibattito nelle scuole, sostituito dall'imposizione di un'ortodossia legalista: la Cina fu sottoposta a una rapida e brutale esperienza unificante che abbracciò tutti gli aspetti della sua realtà. In apparenza l'esperienza fallì, perché nel 206 a. C. il secondo sovrano Ch'in fu rovesciato dalla nuova dinastia Han, che si pose come la restauratrice della tradizione confuciana, ma in realtà molti degli elementi acquisiti rimasero, e i valori della nuova dinastia vanno considerati piuttosto come il frutto di un compromesso tra legalismo e confucianesimo. A testimoniare l'importanza storica della dinastia Han, che (salva la breve parentesi dell'usurpazione di Wang Mang tra l'8 a. C. e il 23 d. C.) durerà sino al 220 d. C., basterebbe il fatto che il nome vale ancor oggi a indicare l'etnia cinese. Momenti fondamentali dell'esperienza storica Han sono la grande espansione del Paese verso sud fino al Tonchino, verso nord-est fino alla Corea meridionale, verso occidente fino all'attuale Sinkiang (Xinjiang) e, fatto ancor più importante, l'organizzazione della burocrazia mandarinale che rimase il fatto più tipico dell'esperienza storica cinese e che, nonostante crisi ed eclissi, caratterizzò il mondo politico del Regno di Mezzo fino ai giorni nostri. A partire da questo momento, infatti, si costituì sotto l'imperatore e la nobiltà di corte una casta burocratica selezionata attraverso un complesso sistema di esami provinciali e imperiali, formalmente aperti a tutti. In realtà, la carica “democratica” del sistema era in larghissima misura vanificata dal costo delle spese necessarie per adire la carriera burocratica, spese che solo la nobiltà fondiaria poteva in pratica sopportare: tuttavia, in qualche misura, il sistema ha sempre consentito un ricambio delle élite e un rinnovamento della realtà politica. Sempre sotto gli Han fu proseguita la costruzione della Grande Muraglia, gigantesco limen tra la Cina e la steppa, tra i contadini e i nomadi, rimasta nei secoli quasi come un simbolo del Regno di Mezzo. Verso la fine del sec. II la rivolta contadina dei “Turbanti Gialli” suscitò o accentuò il declino della quadrisecolare dinastia, la cui scomparsa (nel 220) determinò una crisi dell'unità cinese destinata a protrarsi fino alla fine del sec. VI. D'altronde, l'estrema fragilità degli equilibri, in un succedersi continuo di Stati e di dinastie (Tre Regni, Sedici Regni), sembra confermare un certo carattere transitorio di questo pur lungo periodo, noto anche come periodo delle Sei Dinastie, in cui rimase una coscienza unitaria come tendenza a superare il frazionamento. La frattura di maggior rilievo e significato è quella che si registra tra il Sud e il Nord. A sud una serie di fragili dinastie (Chin orientali, Sung, Liang, Ch'en) cerca di portare avanti le tradizioni antiche, mentre nella parte settentrionale del Paese si insediano da padrone diverse dinastie (Wei settentrionali, Ch'i settentrionali). L'imporsi di nuovi elementi etnici, sempre rapidamente assimilati, in una metà del Paese costituisce uno dei fatti più significativi di questo primo periodo di frazionamento; l'altro è rappresentato dall'avvento del buddhismo, una grande religione straniera, tanto diversa nei suoi presupposti e nei suoi valori dalle dottrine della Cina classica. Probabilmente il successo delle nuove dottrine fu dovuto alla crisi dell'unità imperiale, che era per necessità di cose anche crisi dell'ordine confuciano. Nel Nord, tuttavia, giocò anche la simpatia dei conquistatori per una dottrina universalistica priva dell'etnocentrismo confuciano e tale da poter essere contrapposta all'orgoglio culturale dei vinti. Un altro evento significativo di questi secoli è l'affermarsi di una civiltà dalla tipica matrice sinica in Corea e in Giappone. Nuovi equilibri andavano tuttavia evolvendosi e nel 589 un generale del Nord giunse a fondare una propria dinastia e a riunificare il Paese. I Sui compivano un disegno non dissimile da quello che era stato dei Ch'in circa ottocento anni prima: ma, come per i Ch'in, la loro fortuna doveva rivelarsi brevissima: nel 618 il trono imperiale passava alla dinastia T'ang, una delle più gloriose di tutta la storia cinese. L'ideologia dei Sui si imperniava sul duplice motivo della rinascita classica e del carattere in qualche modo sacro dell'impero a difesa della fede buddhista; i trecento anni della dinastia T'ang ribadirono in sostanza questa premessa. Essi sono caratterizzati da un grande sviluppo civile, oltre che da notevoli ampliamenti territoriali: si rafforza eccezionalmente la struttura economica della Cina, soprattutto per quanto riguarda le regioni meridionali; si moltiplicano i centri urbani di qualche dimensione, dove prende vita un'originale cultura cosmopolita nella quale, accanto alle dottrine ormai da tempo acquisite al mondo cinese, vivono quelle provenienti dal lontano Occidente. Per tutte queste ragioni molti storici sottolineano come proprio attorno all'apogeo della dinastia sia da situare una delle svolte più marcate nella storia sociale del Paese. Va ricordato, inoltre, che sono questi i secoli in cui più vivo è il lavoro di elaborazione dottrinale delle scuole buddhiste e, come si è detto, comincia qui la riscoperta del patrimonio classico da tempo semidimenticato. Fattori di decadenza interna, spinte centrifughe, pressione di nuovi popoli barbari lungo i confini settentrionali e occidentali contribuirono alla scomparsa dei T'ang (907). Come già era avvenuto con gli Han, essi furono seguiti da un lungo periodo di crisi politica e di frazionamento, che attuò tuttavia moduli diversi dal precedente. Per circa un settantennio si avvicendarono i cosiddetti “Dieci Regni” nel Sud e le “Cinque Dinastie” nel Nord; poi la dinastia dei Sung operò una nuova unificazione. Si trattava tuttavia questa volta di un impero di dimensioni un po' più ridotte: una nuova popolazione “barbara” aveva infatti fondato al Nord la dinastia Liao, che premeva con successo ai confini della Cina, e il Vietnam aveva trovato la propria indipendenza nazionale. Dal 979 al 1279 vi fu un'implacabile avanzata dei nuovi popoli delle steppe settentrionali; i Liao (907-1125) e i Chin (1115-1234) assorbirono aree sempre più vaste della Cina settentrionale, finché i Mongoli, vinte le ultime resistenze dei Sung meridionali tra il 1271 e il 1279, fondarono la nuova dinastia Yüan. Per la prima volta, tutta la Cina si trovò a essere controllata da una dinastia straniera, da una nobiltà che non solo si differenziava etnicamente rispetto alla grandissima maggioranza degli abitanti, ma aveva alle sue spalle un'esperienza pastorale e nomadica che era agli antipodi dell'antica civiltà agricola cinese. Mentre il grande impero delle steppe creato da Gengis Khan vedeva allentarsi sempre più i vincoli che lo tenevano unito, la Cina esercitava sui Mongoli il suo potere assorbente: Qubilai e i suoi successori si mimetizzarono infatti con il Paese conquistato divenendo sotto quasi tutti i riguardi sovrani cinesi. La fusione non fu naturalmente mai completa e la società e lo Stato Yüan conservarono caratteristiche spiccate rispetto ai regimi precedenti e successivi. Innanzitutto la gerarchia sociale risultava condizionata nettamente dal rapporto tra vincitori e vinti: al sommo si trovavano i conquistatori mongoli, ai quali erano riservati numerosi diritti; seguivano i centroasiatici (di ceppo turco, tibetano o altro), che fungevano in certo modo da tramite tra la cultura nomade dei vincitori e quella sedentaria dei vinti; al terzo posto stavano i Cinesi del Nord, già sudditi dei regimi semibarbarici e quindi considerati parzialmente affini agli ultimi venuti; infine, costretti da numerosi divieti, i Cinesi del Sud, gli ultimi sudditi degli scomparsi Sung. Oltre al fatto che per quasi un secolo non vennero tenuti gli esami imperiali, fatto che già sottolinea la frattura operatasi nel tessuto storico della Cina, è importante considerare come la politica estera di Qubilai, tesa più a nuove conquiste (Corea, Vietnam, Insulindia, Giappone) che all'assorbimento culturale dei sudditi già acquisiti, fosse assai più mongola che cinese. Le conseguenze più profonde e durature si ebbero tuttavia in campo economico. Nonostante i Mongoli più illuminati avessero compreso l'importanza dell'agricoltura, molto terreno agricolo venne distribuito ai nobili mongoli che tentarono di instaurarvi un'economia di pascoli necessaria per chi viveva a cavallo. Ma se la retrocessione della Cina a steppa incolta fallì, il danno provocato alla coltura agricola risultò profondo, anche perché, contemporaneamente, non venivano compiuti i lavori di manutenzione necessari per la difesa dell'agricoltura cinese: canali, argini, strade, ponti spesso venivano lasciati deperire. Non mancarono tuttavia influenze benefiche; sono infatti i Mongoli a prolungare il Canale Imperiale (o Grande Canale), insostituibile via d'accesso per i tributi del Sud, dal Hwang He sino a Pechino. A breve scadenza, tuttavia, i fattori negativi prevalsero e in meno di un secolo la dinastia Yüan giunse alla crisi finale quando la scoordinata protesta contadina trovò un momento di contatto con lo scontento dei burocrati confuciani, naturalmente a disagio nell'assetto statale mongolo.

Storia: dai Ming alla dinastia mancese

In poco più di dieci anni, rovesciata la situazione politica, il controllo fu assunto da una nuova dinastia e nel 1368 ebbe inizio il periodo Ming nettamente caratterizzato sia da una esigenza di “restaurazione” confuciana della quale i Ming si erano fatti promotori nella lotta contro gli stranieri mongoli sia dalla forte personalità del primo sovrano, Hung-wu. Questi da un lato volle andare incontro a certe istanze del mondo contadino e del buddhismo, con cui aveva forti legami, dall'altro cercò di accentrare nelle proprie mani una misura di potere particolarmente ampia a scapito della burocrazia mandarinale. Di fatto, e contro la volontà di Hung-wu, questo servirà alla lunga a rinforzare non tanto l'imperatore quanto il palazzo imperiale come istituzione complessa e composita e, in particolare, la consorteria degli eunuchi. A una fase, forse, di particolare influenza di questi ultimi si deve agli inizi del sec. XV una serie di grandi viaggi, condotti in gran parte sotto la guida del navigatore Chêng Ho, che portarono le navi cinesi sino ai lidi dell'Africa orientale. Ancora non è del tutto chiara la ragione per cui questo breve tentativo “talassocratico” sia stato improvvisamente e drasticamente chiuso per volere degli stessi sovrani cinesi. Una delle ragioni va tuttavia ricercata nel fatto che la pirateria giapponese lungo le coste e le scorribande dei Mongoli e degli altri nomadi lungo i confini delle steppe assorbivano totalmente l'attenzione del Regno di Mezzo. Così, solo per lo iato di qualche decennio, le flotte cinesi non hanno incontrato nei mari dell'Oceano Indiano quelle portoghesi, il cui arrivo in Estremo Oriente segnò un fatto di modesto rilievo nella storia interna della Cina, ma senza dubbio costituì un elemento nuovissimo, destinato a pesare a distanza di secoli. A breve termine, tuttavia, il pericolo veniva dai nomadi del Nord. Un nuovo popolo, i Mancesi, aveva in pratica raccolto l'eredità dei Mongoli e, dopo aver organizzato (nella regione che oggi si chiama Manciuria) un proprio Stato sedentario sul modello cinese, mosse alla conquista del trono celeste. Nel 1644 la Cina si trovava per la seconda volta sotto una dinastia straniera, quella dei Ch'ing, che solo nel 1912 lascerà il posto alla repubblica. Anche in questo caso, e in modo particolare, si è tentati di sintetizzare il periodo con un giudizio contraddittorio. Da un lato vi è l'immagine di un impero vastissimo, che impone il tributo (ossia il riconoscimento di un primato politico, sia pure in gran parte teorico) a paesi e popoli molto lontani; che offre, con i propri sovrani, un modello concreto all'ideale europeo del despota illuminato; che, nei campi delle arti figurative, dell'artigianato e della filologia, raggiunge vertici senza precedenti. Dall'altro lato si ha l'immagine di una società in progressiva involuzione, nella quale la gerarchia dei rapporti sociali si sclerotizza gradatamente e il pensiero tradizionale sembra aver perso la propria originalità. Certo, è difficile stabilire sin dove i limiti della Cina di questi secoli siano “colpe” della dinastia Ch'ing e della società che essa riassumeva, o non siano invece messi eccezionalmente in risalto dalla sfida del mondo moderno, nelle vesti dell'imperialismo occidentale che la Cina si trovò ad affrontare nell'Ottocento. A differenza di quanto era avvenuto nel mondo di civiltà indiana, il mondo estremo orientale aveva vittoriosamente resistito per molto tempo alla crescente pressione dei bianchi, chiudendosi in un rigidissimo isolamento. Attorno al 1840, tuttavia, si verificò la crisi che doveva imporre alla Cina scelte decisive. La guerra dell'oppio, scoppiata in seguito alla decisione mancese di proibire il traffico dell'oppio tenuto dagli Inglesi a Canton, e la vittoria degli Europei imposero alla Cina gravissime condizioni. Avvenimenti analoghi seguiti a questo episodio permisero alle potenze occidentali di crearsi nel corpo stesso dell'Impero cinese aree di influenza e di interesse. Come è noto, il colonialismo ebbe in Cina forme diverse da quelle registratesi in Africa e in gran parte dell'Asia: la Cina infatti non perse mai la propria indipendenza formale (se si eccettua qualche base territorialmente ridottissima, come Hong Kong). Essa fu sottoposta di fatto al colonialismo indiretto del consorzio delle potenze, ciascuna delle quali vantava una sorta di monopolio commerciale in una determinata parte del Paese. Nel secolo che corre dalla guerra dell'oppio alla seconda guerra mondiale, il tentativo di ritrovare una propria identità di nazione e di cultura si è concretizzato in Cina in episodi più o meno felici, alcuni sviluppatisi in sede politica, altri soprattutto sul piano delle idee. In questo contesto si inserisce, intorno alla metà dell'Ottocento, la rivolta dei T'ai-p'ing (scatenata dalla predicazione di Hong Hsiu-chuan, il quale si riteneva il fratello di Gesù Cristo) che per un breve momento fu sul punto di rovesciare la dinastia mancese e fu poi sconfitta, grazie anche all'appoggio che gli Europei credettero di dover fornire al Celeste Impero contro i rivoltosi, benché questi, anche se in modo singolare e confuso, dichiarassero di rifarsi a tanti ideali dell'Occidente. I T'ai-p'ing furono, da un lato, la ripetizione aggiornata di tante rivolte contadine che contraddistinguono la storia cinese e il tramonto di tutte le dinastie, ma furono anche un primo confuso tentativo di rivolta nazionale in un Paese che non aveva mai conosciuto una dimensione di tipo nazionalista e, infine, il tentativo di fondere in un sincretismo confuso elementi occidentali e autoctoni per trovare una via d'uscita alla crisi in cui si dibatteva il mondo cinese a livello di situazione politica ed economica e a livello di coscienza della propria entità e della propria cultura. In questo periodo, l'incidente del cargo inglese Arrow offrì agli Europei un nuovo pretesto per intervenire. Alle ostilità contro la Cina parteciparono, oltre alla Gran Bretagna, Russia e Francia. La resistenza cinese fu quasi nulla; dopo l'occupazione di Canton (1857), le potenze occidentali attaccarono i forti di Ta-ku di fronte a Tientsin e nel 1858 fu concluso tra i belligeranti il Trattato di Tientsin che prevedeva per la Cina gravi condizioni. Nel 1860 un tentativo di evitare la ratifica dei trattati provocò una ripresa delle ostilità. In questa nuova fase il Palazzo d'Estate fu distrutto e la Cina, costretta a capitolare, ricevette gli inviati occidentali per ratificare gli accordi di Tientsin del 1858 completati dalla convenzione addizionale di Pechino (1860) con cui le venivano strappate nuove concessioni. Scomparsi tra il 1864 e il 1866 gli ultimi T'ai-p'ing, sul finire del secolo l'utopismo dottrinario di K'ang Yu-wei sembrò per un breve momento poter salvare la Cina grazie a una concezione costituzionale della monarchia e a una visione “modernizzata” del confucianesimo. Dopo la sconfitta cinese nella guerra contro il Giappone (1894-95), i vincitori imposero gravi sanzioni economiche e pesanti concessioni territoriali (che, in parte, non furono poi attuate a causa del veto russo). Le potenze occidentali, sia approfittando della debolezza dell'impero sia per non perdere terreno, si accaparrarono sempre maggiori concessioni. Si delineò così di fatto una spartizione del Paese in zone di influenza esclusiva: la Francia assunse il controllo sostanziale delle province meridionali; la Gran Bretagna di quelle centrali; la Germania di quelle centrosettentrionali attorno alla penisola dello Shantung; la Russia, infine, delle province continentali, come la Manciuria. Solo l'opposizione della Gran Bretagna, degli Stati Uniti e del Giappone (la cui politica convergeva su questo punto, nonostante la divergenza degli interessi) impedì un'effettiva spartizione del territorio cinese. All'interno, mentre si consumava il tentativo riformista di K'ang Yu-wei (tra il 1896 e il 1898), si faceva più seria e più profonda la conoscenza del mondo occidentale grazie all'opera divulgativa di viaggiatori e studiosi che erano stati in Europa o conoscevano le opere della cultura europea (come Lin Shu o Yen Fu). Il pensiero politico e scientifico occidentale avanzava nella coscienza dei Cinesi e creava nuovi fermenti che, legati al malcontento sempre più diffuso e alla drammaticità delle condizioni in cui si trovava gran parte della popolazione, generavano tentativi di rivolta nei quali un'ispirazione confusamente moderna si univa a caratteri tradizionali che ricollegavano questi movimenti alle millenarie rivolte contadine. Di queste confuse esigenze è testimonianza la rivolta dei Boxers, che si ripromettevano di cacciare gli stranieri dal Paese. Inizialmente la loro azione fu diretta anche contro la dinastia mancese, sentita come “straniera” in base all'antica ideologia confuciana; in un secondo momento, tuttavia, la dinastia (i cui destini si riassunsero in questo volgere di anni nell'imperatrice vedova Tz'ü-hsi e nel generale Yüan Shih-k'ai) riuscì a strumentalizzare l'ispirazione xenofoba e a trasformare i Boxers in accesi lealisti dei Mancesi. La parabola dei Boxers è compresa tra il 1899, quando essi cominciarono ad attaccare e a trucidare prima i convertiti al cristianesimo e poi gli occidentali stessi, e il 1900, quando un corpo di spedizione internazionale occupò Pechino abbandonandosi al saccheggio della città. Come conseguenza indiretta la rivolta dei Boxers mise in seria crisi gli equilibri istituzionali, economici e sociali su cui si fondava la dinastia mancese.

Storia: da Sun Yat-sen alla crisi con l’URSS

Alla morte di Tz'ü-hsi salì al trono il giovanissimo P'u Yi, il cui regno era destinato tuttavia a durare solo quattro anni. Nel 1912, sotto la spinta rivoluzionaria di coloro che riconoscevano come proprio capo Sun Yat-sen, l'uomo nuovo del mondo politico cinese, il fragile equilibrio sul quale l'impero si reggeva crollò. Sun Yat-sen non apparteneva al mondo delle élite tradizionali; non aveva perciò legami con la corte e inoltre, durante i suoi lunghi periodi di permanenza negli Stati Uniti e in Europa, aveva assorbito i valori della scienza occidentale e del cristianesimo, al quale si era convertito. La sua azione rivoluzionaria nella Cina centrale e meridionale convinse la corte mancese a richiamare a maggiori responsabilità politiche Yüan Shih-k'ai al quale vennero dati pieni poteri. Egli però, resosi conto che la dinastia mancese aveva i giorni contati, quando Sun Yat-sen costituì a Nanjing il 1º gennaio 1912 un governo repubblicano provvisorio, indusse P'u Yi ad abdicare e il 12 febbraio assunse a sua volta la presidenza della Repubblica; per evitare la spaccatura del Paese, Sun Yat-sen rinunciò alla propria carica. Tuttavia, il mutamento dell'assetto istituzionale non significava ancora l'avvio all'opera di modernizzazione del Paese: sia perché Yüan Shih-k'ai interpretava la propria presidenza della Repubblica come una semplice fase transitoria prima dell'avvento di una nuova dinastia (la sua, naturalmente) sia perché lo scoppio del primo conflitto mondiale nel 1914 doveva portare anche per la Cina l'attenzione sui problemi internazionali. All'inizio del 1915 infatti, il Giappone, profittando del fatto che le potenze europee non potevano prestare l'attenzione consueta allo scacchiere orientale, presentò al governo cinese le “Ventun domande”, che costituivano in realtà un pesante ultimatum e l'imposizione alla Cina di una serie di condizioni tali da farne un Paese dipendente dalla volontà politica di Tōkyō; inoltre, nei primi mesi di guerra, il Giappone si era sostituito alla Germania in tutti i possedimenti di quest'ultima in Estremo Oriente. Era frattanto risorto l'inevitabile contrasto tra il partito nazionalista (Kuomintang), fondato da Sun Yat-sen, che esprimeva le esigenze di rinnovamento, e Yüan Shih-k'ai, teso a crearsi un potere personale. La morte di quest'ultimo nel 1916 segnò l'eclissi dell'unità e il fallimento dell'ultimo tentativo di inserire le nuove esigenze in uno schema tradizionale per cui, crollata una dinastia, ne sorgeva una nuova legata alla capacità personale e all'abilità militare del capostipite. Il Paese era di fatto diviso in una serie di potentati locali, alcuni di ispirazione progressista o rivoluzionaria, altri di carattere conservatore, altri, infine, costituiti dal regime personale dei cosiddetti “signori della guerra”. Tuttavia, proprio qui si inserisce una svolta importante. Nel 1917 si sviluppò il Movimento per la riforma della lingua scritta, che voleva sostituire al linguaggio mandarinale arcaico il linguaggio effettivamente parlato nella Cina del tempo: non si trattava evidentemente di un moto puramente letterario e culturale, ma della premessa per un allargamento della cultura a più larghi strati di cittadini. Il 4 maggio 1919 la massiccia protesta, soprattutto studentesca, contro il prepotere giapponese e l'inefficienza governativa (nota come movimento del Quattro maggio), contribuì alla diffusione delle idee rivoluzionarie. Frattanto, il successo della rivoluzione sovietica aveva fornito nuovo stimolo alle forze rivoluzionarie, sia con il nascere di un embrionale movimento comunista sia per il fatto che esso forniva un potenziale appoggio e un punto di riferimento ai nazionalisti del Kuomintang. Alla sua testa, tuttavia, si affermò dopo la morte di Sun Yat-sen, nel 1925, il generale Chiang Kai-shek, con il quale da un lato venne realizzata una momentanea riunificazione del Paese sotto un regime unitario, dall'altro si effettuò una svolta a destra sempre più accentuata. La lotta interna della Cina, infatti, assunse le caratteristiche di un duello tra nazionalisti e comunisti. Le prime battute furono a favore di Chiang Kai-shek, il quale nel 1927 condusse una feroce e vittoriosa repressione dei comunisti e sembrò assicurarsi per sempre il controllo del Paese. Lo stesso anno, con il Rapporto d’inchiesta sul movimento contadino nello Hunan, si candidava alla guida del movimento comunista un giovane sino allora tenuto ai margini del partito: Mao Tse-tung, che negli anni successivi avrebbe condotto la difficilissima opera di recupero degli elementi comunisti dispersi dalla repressione e avrebbe riorganizzato il partito in regioni periferiche: il momento più noto ed epico di questa fase è costituito nel 1934-35 dalla Lunga Marcia, che portò i resti dell'esercito comunista dalle regioni centromeridionali del Paese a Yenan. Il decennio 1935-45 vide in Cina una triplice lotta tra comunisti, nazionalisti e giapponesi i quali, a partire dagli anni Trenta, avevano condotto una politica di ingerenza sempre maggiore e sempre più diretta nelle questioni cinesi. È il periodo della cosiddetta guerra cino-giapponese durante la quale in una prima fase (1937-41) i giapponesi si spinsero profondamente in Cina controllando tutta la costa (dal 1939) e le principali vie di comunicazione, mentre Chiang Kai-shek, ritiratosi nell'interno, trasferiva la capitale a Chungking. Con l'attacco giapponese a Pearl Harbor (7 dicembre 1941) il conflitto si allargò e si inserì, con la dichiarazione di guerra alle potenze dell'Asse, nella seconda guerra mondiale. Durante questa fase mentre Chiang Kai-shek, aiutato dagli Alleati, manteneva sotto il proprio controllo le regioni sudoccidentali del Paese, i giapponesi stabilivano un governo fantoccio nelle regioni costiere e i comunisti (provvisoriamente rappacificati con Chiang Kai-shek) mantenevano le loro basi nel Nord-Ovest e stimolavano un'incessante guerriglia alle spalle dei giapponesi. Il crollo di questi ultimi, nel 1945, segnò inevitabilmente la ripresa della lotta armata tra nazionalisti e comunisti; il successo di questi ultimi si delinea a tappe rapidissime. Nel 1949 a Pechino venne fondata la Repubblica Popolare Cinese, mentre Chiang Kai-shek si ritirava a Taiwan. Singolare fu l'atteggiamento delle due maggiori potenze mondiali. Da un lato l'Unione Sovietica di Stalin, nonostante le affinità ideologiche, rimandava sino all'ultimo momento il riconoscimento del nuovo regime di Mao; dall'altro lato gli Stati Uniti appoggiavano Chiang Kai-shek, ma non senza molte perplessità e indecisioni, che solo il conflitto coreano del 1950 sarebbe valso a superare definitivamente. Per dieci anni il nuovo governo fu impegnato soprattutto a condurre avanti una serie di riforme strutturali di carattere primario (diritto familiare, riforma agraria, avvio dell'industrializzazione, ecc.). In politica estera la situazione sembrava bloccata dalle vicende stesse della guerra fredda. Gli Stati Uniti e i loro alleati continuarono a considerare il governo di Taiwan come il solo legittimo rappresentante della Cina. Con Pechino, anzi, vi fu una guerra di fatto quando, durante il conflitto coreano, un gran numero di volontari cinesi si schierò a fianco dei Nordcoreani, influendo decisamente sugli sviluppi della guerra. In ogni caso, la politica estera di Pechino sembrava saldissimamente ancorata al dogma dell'alleanza con l'Unione Sovietica. Ma, intorno al 1960, cominciarono a precisarsi i sintomi di un attrito con l'URSS (a un tempo ideologico e politico) che andò aggravandosi rapidamente e che nel 1963 portò alla rottura ufficiale tra i due maggiori Paesi comunisti del globo.

Storia: dalla Rivoluzione culturale al nuovo millennio

Poco dopo, attorno alla metà degli anni Sessanta, si sviluppò in Cina un drammatico rivolgimento interno le cui cause non sono a tutt'oggi completamente chiarite, ma che ebbe moventi di carattere diverso e generò nel gruppo dirigente dissensi fondamentali sui problemi di politica estera, sui problemi di politica interna, sul ruolo del partito e così via. In termini personali, questo rivolgimento (che prende il nome di Rivoluzione culturale proletaria) vide la lotta tra il numero uno del regime, il presidente del partito Mao Tse-tung, e il numero due, il capo dello Stato Liu Shao-ch'i, accusato dai rivali di aver burocratizzato e imborghesito l'apparato dello Stato e del partito e di essere in sostanza il portavoce delle “degenerazioni” moscovite. Con l'aiuto dell'esercito, o almeno di una parte dell'esercito che si riconosceva nel ministro della Difesa Lin Piao, Mao vinse la battaglia, ma, quando la Cina sembrava aver trovato un nuovo equilibrio interno, si verificò nel settembre 1971 la caduta improvvisa di Lin Piao, del quale un anno più tardi fu annunciata la morte durante un tentativo di fuga in aereo verso l'Unione Sovietica. Con la scomparsa di Lin Piao poté definitivamente emergere e imporsi, nei primi anni Settanta, la figura del primo ministro Chou En-lai, abile mediatore delle diverse linee presenti nel PCC (il cui X Congresso, tenuto nel 1973, appoggiò pienamente le sue posizioni) e fautore di una nuova politica diplomatica che ebbe tra i suoi esiti più significativi l'ingresso della Cina all'ONU (1971) e un riavvicinamento agli Stati Uniti (viaggio del presidente Nixon in Cina nel 1972). L'esperienza della Rivoluzione culturale doveva quindi concludersi alla metà del decennio: nel 1976, anno cruciale per il Paese, morirono sia Chou En-lai sia Mao Tse-tung. Il conflitto fra la linea dei “radicali” e quella dei “moderati”, che aveva condizionato la vita politica e sociale della Cina nel periodo precedente e di cui lo stesso Mao era stato di fatto l'equilibratore, scoppiò improvvisamente alla morte del capo carismatico. Il suo successore alla presidenza del partito, Hua Kuo-feng, esponente della linea moderata, riuscì a liquidare nello stesso anno la fazione radicale arrestandone i principali esponenti (la vedova di Mao, Chiang Ch'ing e, con lei, Chang Ch'un-ch'iao, Wang Hung-wen e Yao Wen-yüan, noti come “banda dei quattro” e che furono poi processati e condannati nel 1980-81) e dando inizio a un nuovo corso politico basato essenzialmente sull'esigenza di un rapido sviluppo tecnologico e produttivo del Paese e sulla rivalutazione dell'efficientismo a scapito dell'esasperazione ideologica caratteristica della Rivoluzione culturale. A partire dal 1977, la “normalizzazione” cinese trovò il suo più importante fautore nel vice primo ministro Teng Hsiao-p'ing (riabilitato dopo una già lunga e contrastata carriera politica), il quale progressivamente emarginò lo stesso Hua Kuo-feng (che era uno dei vicepresidenti del partito), portando ai vertici del governo e del PCC personalità strettamente legate alla propria linea politica: nel 1980 Hua Kuo-feng fu sostituito nella carica di primo ministro da Zhao Ziyang e nel 1981 da Hu Yaobang alla presidenza del partito. Nel 1982 fu approvata la nuova Costituzione, che reintroduceva la carica di presidente della Repubblica, conferita nel 1983 a Li Xiannian. Teng Hsiao-p'ing proseguì la sua abile politica centrista; nel 1987 favorì le “dimissioni” di Hu Yaobang da segretario generale del PCC, carica che fu assunta ad interim da Zhao Ziyang, il quale fu a sua volta sostituito a fine novembre 1987 da Li Peng quale primo ministro. Nel 1988 infine fu eletto un nuovo presidente della Repubblica, Yang Shangkun. La politica liberalizzatrice avviata da Teng Hsiao-p'ing veniva bruscamente interrotta l'anno seguente di fronte alle tensioni sociali create dalle difficoltà della riforma economica e dai piani d'austerità adottati: la protesta contro la corruzione e per una maggior liberalizzazione politica espressa dagli studenti universitari, arrivati a occupare per circa tre settimane piazza T'ien-An-Mên a Pechino, appoggiati anche da operai, impiegati e liberi imprenditori, era stata infatti repressa con l'intervento dell'esercito, responsabile dell'uccisione di migliaia di persone (4 giugno 1989). Ne seguiva un'involuzione conservatrice dello Stato, espressasi nel ripristino di principi di centralizzazione sia nell'organizzazione politico-amministrativa sia sul piano economico; contemporaneamente si riconsolidava il ruolo delle Forze Armate, epurate da sospetti simpatizzanti del moto di protesta, mentre Zhao Ziyang, ritenuto ispiratore delle richieste studentesche, era estromesso dai vertici del potere e sostituito nella carica di segretario generale del PCC da Jiang Zemin (giugno 1989). Sul piano della politica estera la Cina aveva stabilizzato nel corso del 1982 i rapporti con gli USA; un crescente interscambio commerciale sosteneva quelli con il Giappone; nel 1984 raggiungeva un definitivo accordo con la Gran Bretagna per il ritorno (nel 1997) di Hong Kong alla Cina, e un accordo analogo era stipulato nel 1988 con il Portogallo per Macao. Gli avvenimenti di piazza T'ien-An-Mên avevano avuto ripercussioni sul piano diplomatico a seguito della condanna morale della comunità internazionale. Ciò nonostante trovava compimento la riconciliazione con l'Unione Sovietica (1990), seguita nel 1991 dalla normalizzazione dei rapporti con il Viet Nam. Dopo un primo riavvicinamento del Giappone (1991), all'inizio del 1992 un viaggio in Occidente del primo ministro Li Peng sottolineava la volontà di porre fine all'emarginazione internazionale del Paese. La Cina aveva quindi ripreso i rapporti diplomatici con Israele, riconosciuto gli Stati della CSI all'indomani della dissoluzione dell'URSS e riaperto il dialogo con Taiwan (1993). Nello stesso periodo si determinava un'accelerazione delle riforme economiche interne contestualmente al rafforzamento dell'anziano leader Teng Hsiao-p'ing il cui pupillo Jiang Zemin, nel 1993, riusciva a concentrare nelle sue mani un enorme potere ricoprendo, oltre a quella di segretario di partito, anche le cariche di presidente della Repubblica e della potente commissione militare. Al trionfo della linea neoautoritaria in economia, nel 1995, corrispondeva un richiamo alla tradizione sul versante politico. Con la morte di Teng Hsiao-p'ing, avvenuta nel febbraio 1997, e la scontata successione di Jiang Zemin, delfino del “grande vecchio”, ai vertici del potere, la Cina si avviava ad affrontare il passaggio dal secondo al terzo millennio, dovendo risolvere i non pochi problemi sociali e politici necessariamente indotti dalle riforme economiche, il che determinava anche una vivace dialettica interna al partito, con i conservatori timorosi delle conseguenze di una definitiva affermazione delle ipotesi “riformiste”. Timori che sembravano aver trovato conferma nella nomina, da parte dell'Assemblea Nazionale del popolo nel marzo 1998, di Zhu Rongji a primo ministro. Questi, infatti, oltre ad aver dato un contributo decisivo allo sviluppo dell'economia cinese e al contenimento dell'inflazione, aveva avviato la riforma della burocrazia cinese apportando drastici tagli e introducendo norme più severe nella pubblica amministrazione. Il processo di transizione verso l'economia di mercato, nel biennio 1997-98, veniva scandito da importanti provvedimenti riguardanti la parziale privatizzazione delle imprese statali, la ristrutturazione dell'amministrazione pubblica e la riduzione delle Forze Armate. Ma l'obiettivo principale del nuovo governo restava quello di inserire gradualmente il Paese nelle regole del libero mercato, un processo che in poco tempo provocava tra i 20 e i 30 milioni di disoccupati. La politica di crescita trainata dalle esportazioni mostrava, infatti, i suoi limiti, provocando massicce migrazioni di popolazioni dalle campagne e, nelle città, una massa enorme di nuovi poveri formata dagli ex lavoratori licenziati dalle imprese pubbliche. I tentativi per una liberalizzazione dell'economia non venivano affiancati da equivalenti passi per una democratizzazione della vita politica. Qualsiasi forma di dissenso e opposizione, infatti, era duramente repressa mentre il Partito comunista continuava ad avere il pieno controllo di ogni aspetto della vita politica e sociale. Nonostante le proteste per le violazioni dei diritti dell'uomo e le migliaia di esecuzioni arbitrarie denunciate da Amnesty International, lo sviluppo di nuove relazioni economiche e finanziarie con i Paesi occidentali non subivano rallentamenti, anzi, tendevano a intensificarsi, stimolate dalla visita di Jiang Zemin (ottobre 1997) negli Stati Uniti e dalle trattative per l'ingresso della Cina nel WTO. Altre questioni provocavano ancora forti tensioni politiche. In primo luogo, l'annoso problema del Tibet: la popolazione tibetana, sempre meno convinta della politica di “coesistenza pacifica” proposta dal Dalai-lama, reclamava il rispetto dell'autonomia amministrativa del Tibet e la tutela delle specificità culturali della sua popolazione, riuscendo ad attirare su di sé l'attenzione della comunità internazionale. Grande preoccupazione suscitava, il 1° luglio 1997, il ritorno di Hong Kong alla Cina, dopo 155 anni di dominio inglese. Nel passaggio dei poteri veniva stilato un accordo per cui il Paese si impegnava a rispettare per 50 anni i diritti, le libertà, l'autonomia giudiziaria, così come la natura e lo stile di vita dell'ex protettorato britannico. Pechino si riservava il controllo della difesa e delle relazioni estere, mentre Hong Kong manteneva il suo sistema economico e finanziario, nonché le proprie leggi in materia di immigrazione e dogane. La riunificazione avviava un processo definito “un Paese due sistemi”, che consisteva nell'integrazione dell'economia di mercato con l'inflessibile controllo politico del resto della Cina. Due anni più tardi (dicembre 1999) anche la piccola isola di Macao veniva riassorbita sotto la sovranità cinese, dopo 442 anni di amministrazione portoghese. Era previsto che anche la Regione Speciale di Macao avrebbe mantenuto per 50 anni uno statuto di autonomia simile a quello di Hong Kong. Attraverso una serie di accordi con le Repubbliche centroasiatiche sorte dalla dissoluzione dell'URSS, la Cina riusciva a regolare le pendenze relative ai suoi confini occidentali e avviava trattative con la Federazione Russa per il lunghissimo confine comune. Rimanevano, invece, aperte le dispute con India e Pakistan per alcune zone dell'india fra cui il Kashmir, sul quale ciascuno dei tre Paesi continua ad avanzare rivendicazioni, data l'importanza strategico-militare della regione e la sua complicata situazione etnica. Permanevano aperte anche le questioni su alcuni piccoli gruppi di isole nel Mar Cinese Meridionale (Spratly, Paracel, Senkaku e altre isole minori), nonché la storica rivendicazione su Taiwan. Nel novembre 2002 il processo di rinnovamento da tempo in atto nel Paese faceva registrare un'ulteriore accelerazione: Jiang Zemin cedeva infatti le cariche di segretario generale del PCC e di capo dello Stato (quest'ultima a partire dal marzo 2003) al suo vice, Hu Jintao, e, allo stesso tempo, entravano a far parte del Comitato centrale del partito illustri esponenti del neocapitalismo cinese. L'ex leader, comunque, pur uscendo ufficialmente di scena, continuava a essere un importante punto di riferimento per il suo successore, almeno fino al settembre 2004, quando Zemin lasciava a Hu Jintao anche la carica di capo delle forze armate, completando così il trapasso dei poteri. Nel gennaio 2005 le autorità cinesi raggiungevano un accordo con quelle taiwanesi per l'instaurazione di voli diretti tra i due Paesi. In luglio Hu Jintao firmava con Mugabe, presidente dello Zimbabwe, un accordo di cooperazione economica e tecnologica, che permetteva al governo cinese di rafforzare la sua presenza in Africa, per assicurarsi risorse energetiche e minerarie. Nel luglio del 2006, la riapertura del passo di Nathu, tra l'India e la Cina, migliorava i rapporti, tradizionalmente difficili, tra i due Paesi. In settembre venivano siglati accordi commerciali tra Pechino e New Delhi. Tra gennaio e febbraio 2007 il presidente Hu Jintao, recandosi in Africa, proseguiva l'intensa politica di accordi commerciali con gli stati africani con i quali si mirava a ottenere materie prime e petrolio in cambio di investimenti e prestiti agevolati. In seguito alla lettera del pontefice Benedetto XVI (maggio 2007) in cui si auspicava un accordo per la nomina delle gerarchie ecclesiastiche cinesi, il governo nominava, in segno di distensione, il nuovo arcivescovo di Pechino con l'approvazione del Vaticano. In ottobre si svolgeva il 17° congresso del Partito comunista cinese che riconfermava Hu Jintao segretario generale. Nel marzo 2008, in occasione del 49° anniversario dell'esilio del Dalai Lama, la polizia circondava diversi monasteri in Tibet e, in seguito a manifestazioni di protesta, venivano effettuati numerosi arresti. In seguito la situazione sembrava essere tornata a un'apparente normalità, ma il controllo delle autorità cinesi sulla regione veniva rafforzato. Nello stesso anno, in maggio un terremoto colpiva la Cina sudoccidentale, in particolare la provincia del Sichuan, causando oltre 80.000 morti. In agosto Pechino ospitava la ventinovesima edizione dei giochi olimpici. Miglioravano, intanto, i rapporti con Taiwan, grazie all'incontro tra Hu Jintao e il leader del Kuomintang, vincitore delle elezioni sull'isola. Nell'ottobre del 2008 il Comitato centrale del Partito comunista approvava una riforma agraria che rendeva possibili transazioni sui diritti di sfruttamento della terra assegnata ai contadini, che non sarebbero diventati comunque proprietari. Nel luglio 2009 nello Xinjiang Uygur e in particolare nel capoluogo Ürümqi si verificavano scontri tra la polizia e la minoranza degli uiguri e tra gli stessi e l'etnia Han. Questa situazione costringeva Hu Jintao a lasciare l'Italia, dove era giunto per il G8, e tornare in patria. Nel gennaio 2010 il governo nominava un ex militare tibetano, Padma Choling, nuovo governatore del Tibet, con il compito di garantire la stabilità nella regione, mentre in ottobre il dissidente Liu Xiaobo veniva insignito con il Nobel per la pace. Nel novembre del 2012 si svolgeva il XVIII congresso del Partito comunista; Xi Jinping veniva nominato nuovo segretario generale del PCC e presidente della repubblica. Nel settembre del 2013 il governo istituiva a Shanghai quattro aree di libero scambio, mentre Li Keqiang veniva nominato primo ministro.

Cultura: generalità

Le dimensioni territoriali, la composizione etnica, le vicende storiche e il recente, e tuttora in atto, eccezionale sviluppo economico sono solo alcuni degli elementi che, in forme e tempi diversi, hanno contribuito a delineare un panorama culturale multiforme, complesso e in costante e sostenuta evoluzione. La prima considerazione necessaria va fatta a proposito della straordinaria capacità del popolo e delle autorità cinesi di mantenere vive, e spesso intatte, tradizioni millenarie, ben oltre i loro valori estetici o formali, ma in quanto componenti identitarie essenziali, sia in una dimensione privata o familiare, sia su un piano collettivo. È altresì vero che quest'attitudine non deve essere ricollegata unicamente agli ambienti sociali meno toccati dalle influenze della modernità, i quasi 600 milioni di cinesi, quindi, che vivono fuori dai contesti urbani, per i quali, al di là delle precarie condizioni economiche, si può ritenere più semplice, o persino obbligato, mantenere il legame con il proprio passato in tutte le sue forme. Si tratta, bensì, di un tratto comune a tutto il popolo cinese, una sorta di meta-tradizione: un'abilità di conservazione e cura delle eredità che viene essa stessa tramandata. È in Cina, infatti, che si possono ancora oggi trovare, per esempio, un vero culto dell'arte calligrafica, o decine di migliaia di persone che al mattino, nei parchi delle grandi città, si ritrovano per la pratica quotidiana del Tai chi. Molte di queste arti, inoltre, rientrano nei programmi di insegnamento delle università (anche per gli stranieri) al fianco di materie come la medicina tradizionale o l'agopuntura. A queste forme di valorizzazione delle proprie radici culturali è necessario aggiungere quelle più ovvie e universali di tutela e promozione del patrimonio storico-artistico, benché piuttosto recenti e legate alla maggior apertura socio-politica dei governi di fine e inizio millennio, e tuttavia non ancora adeguate alla piena valorizzazione di un capitale eccezionale. Solo il numero dei siti inseriti dall'UNESCO nella propria lista del patrimonio dell'umanità è sufficiente a dare conto dell'importanza delle ricchezze artistiche, archeologiche, architettoniche: 34 siti culturali - ai quali si aggiungono i quattro siti culturali e naturali - fra gli altri i Palazzi imperiali delle Dinastie Ming e Quing di Pechino e Shenyang (1987, 2004), la Grande Muraglia (1987), giardini del Palazzo d'Estate a Pechino (1998). Al complesso delle tradizioni che scandiscono la vita di molti cinesi vanno affiancandosi le pratiche, i costumi e le mode arrivati dall'estero, dall'Occidente in particolare, che hanno influito sulla quotidianità e sulla cultura in senso ampio: dalla cucina alle bevande (birra e Coca-Cola stanno soppiantando il classico tè), dalla moda al cinema. Esempio perfetto è quello delle attività sportive e ricreative. In queste ultime, per esempio, i giovani cinesi sono diventati uno dei mercati più appetibili e remunerativi per le multinazionali dei videogiochi e, più in generale, dell'intrattenimento tecnologico. Nello sport, alle discipline tradizionali quali la ginnastica e le arti marziali si sono affiancati da alcuni anni sport “moderni”, nei quali, anche grazie alle infinite risorse umane a disposizione, la Cina ha raggiunto risultati di massimo livello: dal tiro a segno alla pallacanestro (famoso è il caso di Yao Ming, primo giocatore cinese a entrare nell'NBA, il campionato professionistico statunitense, che è stato una delle maggiori star del basket mondiale) al nuoto, senza dimenticare discipline come il tennis da tavolo in cui il dominio cinese è stato ininterrotto per decenni. Il 2008 è stato l'anno in cui la Cina ha ospitato i Giochi Olimpici. Quello cinese è quindi un panorama culturale di cui è arduo dar conto in maniera esaustiva, data la molteplicità delle sue componenti. Di certo se in alcuni ambiti solo da pochi anni il Paese si è aperto al contatto e alle commistioni con il mondo, in altri settori è proprio la Cina a essere il modello di riferimento, il motore dello sviluppo, come succede per la ricerca, in particolare quella spaziale. Di contro molta strada resta da fare su temi quali la libertà di espressione e una vera democrazia culturale: in Cina alcuni siti Internet sono ancora resi inaccessibili dalle autorità e poter esprimere la propria opinione sui giornali non è sempre così facile e scontato per i giornalisti.

Cultura: tradizioni

Il patrimonio culturale cinese è frutto, anche nell'ambito folclorico, di un'evoluzione continua, con varianti locali numerosissime. Un elemento tuttavia ricorre costantemente nelle tradizioni nate e maturate nella corrente della civiltà confuciana ed è costituito dal rapporto uomo-natura, inteso secondo una visione che oggi si potrebbe definire di alta sensibilità ecologica. L'integrazione dell'uomo nell'ambiente naturale è alla base di parecchi usi. Un'altra costante è offerta da una visione della vita priva del senso del peccato (“civiltà della vergogna” in contrapposizione alla “civiltà della colpa”, quale si potrebbe definire quella imperniata sul cristianesimo). Queste e altre costanti operano anche oggi, nel quadro di una modernizzazione che non significa affatto europeizzazione. Folcloristicamente è ancora attivo il principio della gerarchizzazione, inteso come coerenza di un nucleo familiare portatore di un prestigio. Caduti tutti i ritualismi cruenti (come la soppressione dei figli per non sminuzzare le eredità), è rimasto l'uso di un'educazione imperniata sull'autocontrollo come accettazione della coesistenza nell'ambito familiare e sociale. Sono scomparsi l'uso della vendita e le dure condizioni imposte alla donna come essere subordinato (il “piede di giglio”, deformazione dei piedi secondo un'usanza tenuta in vigore per nove secoli, è ormai un ricordo del passato). Sono tuttora sentiti il grande rispetto per i defunti e la scrupolosa conservazione di alcuni riti connessi (il bianco è il colore del lutto, come in India). Il ciclo annuale delle feste era ricco di solennità; alcune di queste conservano ancora notevole importanza, come la Festa dell’anno nuovo (o Festa della primavera). L'abbigliamento ha subito una trasformazione quando è entrata in uso la divisa di cotone blu, dalla tipica casacca abbottonata al collo. Non è raro tuttavia trovare ancora i ricchi costumi, a vivaci colori, di certe minoranze nazionali. Il divertimento, il gioco specialmente, ha perduto il carattere sacrale di un tempo ma resta sempre un'attività da realizzare con estremo impegno. Nella Cina contemporanea l'esercizio di abilità, specie fisico, è mantenuto in grande onore e inteso come mezzo educativo. L'abitudine di fumare oppio è scomparsa, anche perché il commercio e l'uso della droga sono ora puniti con la pena di morte. Nell'artigianato è tipica l'assenza di ogni distinzione a vantaggio di una presunta superiorità dell'arte. Numerosi sono ancora i lavori in giada, in avorio, in quarzo, smaltati e laccati; molto in auge sono tuttora i lavori di ricamo in seta e la confezione di tappeti, secondo una tradizione millenaria. Raffinate elaborazioni nella preparazione dei cibi e nella loro presentazione caratterizzano la gastronomia; la consumazione delle vivande è tuttora affrontata con spiccato senso del rituale. La cucina è varia e imperniata su numerose tradizioni locali di origine contadina; parecchie differenziazioni sono dovute anche a particolari prescrizioni religiose. È assente l'uso del latte di vacca e dei suoi derivati; i piatti, in genere confezionati in modo da non dover ricorrere all'uso del coltello, sono preparati in funzione di un consumo collettivo. I più noti (un elenco, anche sommario, dei più tipici sarebbe impossibile) sono: zuppa di semi di loto, anitra alle prugne, maiale in agrodolce, ostriche al vino di riso. Il tè è bevanda nazionale (in mancanza, si beve acqua bollita). Tra le bevande alcoliche si citano il vino di riso e vari tipi di grappe ottenute dalla fermentazione del riso, del miglio e di altri cereali. Va ricordato anche il patrimonio folclorico dei vari gruppi etnici (yi, miao, mongoli, tibetani) che vivono entro il territorio della Cina senza connettersi intimamente alle sue tradizioni. Infine, va accennato un più recente folclore, che, promosso inizialmente dalle vicende della lotta rivoluzionaria, si esprime nelle grandi manifestazioni ginniche popolari, nell'uso di nuove forme di propaganda e partecipazione politica, nelle grandi sfilate, negli spettacoli politico-culturali. La struttura familiare, l'organizzazione del lavoro, il costume quotidiano si sono andati trasformando profondamente, in un primo tempo, sotto la spinta dell'ideologia maoista e, recentemente, con l'occidentalizzazione di alcuni aspetti della società: per esempio l'impegno nella lotta contro ogni forma di arretratezza, i rapporti nuovi instaurati fra città e campagna, una nuova politica verso le minoranze nazionali.

Cultura: letteratura. Caratteri generali

Le prime forme di espressione scritta, sia pure rozze e schematiche, sono documentate dai reperti di ossi e dorsi di tartaruga rinvenuti ad Anyang. Questo genere di epigrafia si ritrova anche durante la dinastia Chou (sec. XI-III a. C.), sebbene più evoluta e più ricca nelle espressioni. Nascono nel frattempo i primi, veri documenti letterari: tra l'800 e il 600 a. C. compaiono alcuni libri, consistenti in strisce di bambù, su cui i caratteri ideografici sono incisi. Il pennello per scrivere fu inventato, secondo la tradizione, soltanto nel 115 a. C. In quei primi libri, dove era stata fissata per iscritto una lunga tradizione orale di credenze, di canti, di avvenimenti, di riti, si riassumono nella sostanza il pensiero e la civiltà cinese antica. Considerati da Confucio come classici (ching) furono eretti, per ca. 25 secoli, a partire dal sec. V a. C., a fondamento ideale della società cinese, secondo l'interpretazione morale, storica e filosofica che Confucio ne aveva dato attraverso il suo insegnamento, raccolto in testi che, uniti ai ching, costituiscono complessivamente i Classici, nel numero di nove libri così suddivisi: i Cinque classici e i Quattro libri. I Cinque classici sono: Shu-ching (Il libro dei documenti), Shih-ching (Il libro delle odi), I ching (Libro dei mutamenti), Li-chi (Libro dei riti), Ch’un ch’iu (Primavere e Autunni, una composizione di tipo annalistico); i Quattro libri sono: Ta hsüeh (La grande scienza), Chung-yung (L'invariabile centro), Lun-yü (I dialoghi), Meng-tzu (Il libro di Mencio). Il confucianesimo esercitò in Cina, sul modo di vita, sulla morale, sui costumi e, più in generale, sull'ideologia e sulla cultura, una funzione che si rivelò assolutamente predominante. Nel 124 a. C. l'I ching fu assunto a base dell'insegnamento scolastico e delle materie d'esame nei concorsi statali. Gran parte della produzione letteraria cinese, dalle cronache ai romanzi, dalla filosofia alla politica, non è che un riflesso dell'ideologia confuciana. Tuttavia ebbero grande influenza sulla letteratura cinese, fino a diventarne componenti essenziali, altri due filoni filosofici: il taoismo e il buddhismo. Sono di ispirazione taoista le storie fantasiose, con la partecipazione di fantasmi, di incantesimi, di volpi travestite; sono di ispirazione buddhista le storie edificanti, le narrazioni di viaggi di monaci pellegrini, le opere filosofiche buddhiste, le traduzioni dal pāli o dal sanscrito dei testi sacri buddhisti. Fatta questa premessa, esamineremo ora la copiosa produzione letteraria cinese, distinguendo gli autori secondo i generi trattati: poeti, storici, eruditi, romanzieri, filologi, saggisti, scrittori politici.

Cultura: letteratura. I poeti

Il più grande poeta dell'antichità cinese è Qu-Yuan (340-278 a. C.). Le sue liriche riflettono una disperata sofferenza per la triste condizione della Cina, sconvolta da guerre. Tao Qian (365-427) fu il maggior poeta del periodo delle Sei Dinastie ed esaltò la tranquillità dello spirito a contatto con la natura. Dal sec. VIII fino alla metà del IX si ha il periodo d'oro della lirica cinese: una selezione della vastissima produzione poetica di quel periodo è intitolata Le trecento liriche T’ang, in cui figurano i maggiori poeti della Cina, come Wang wei, Du Fu, Bai Juyi, Yüan Chen e soprattutto Li Bai (o Li T'ai-po). La produzione poetica del periodo T'ang è così importante che i suoi autori vengono considerati “classici”, e a essi si ispirano i poeti cinesi delle epoche successive. Nel sec. X circa si afferma un nuovo stile poetico, denominato tz’u, la cui origine risale ai canti popolari. Il tz’u, poesia dal ritmo particolarmente libero e ispirata all'amore, caratterizza la lirica Sung; il suo maggior esponente è Li Yü, imperatore anteriore ai Sung e da essi fatto prigioniero e spodestato. Sotto il regno dei Sung la lirica tz’u si arricchisce di contenuto umano, particolarmente a opera di Su Shih e della poetessa Li Qingzhao, mentre Chou Pang-yen ne cristallizza la forma, creando un modello per i poeti futuri. Con il sec. XIII, segnato dalla conquista mongola e dalla conseguente instaurazione della dinastia Yüan, si afferma, quale impegno poetico di altissimo livello, l'opera teatrale. Poesia e dramma si fondono diventando interdipendenti. Tutta la produzione poetica del periodo Yüan si riversò nei drammi. Il tz’u fu sostituito da un altro tipo di poesia, anch'essa collegata ai canti popolari, ma di origine mongola, e ristrutturata su una nuova metrica. Questa poesia cantata e intercalata all'azione del dramma teatrale si chiamò ch’ü. I ch’ü, come del resto i tz’u, sono giunti a noi privi delle arie melodiche, che venivano trasmesse oralmente. I poeti del periodo Ming disdegnarono questo genere popolare e scrissero liriche richiamandosi alla tradizione poetica T'ang e ignorando la tradizione popolare contemporanea. Con essi ha inizio il periodo della decadenza. La loro produzione è priva di originalità e inventiva. Nulla mutò con la successiva dinastia Ch'ing (se si eccettua l'opera originale di Yüan Mei), di cui basta ricordare i due capiscuola: Wu Wei-ye, che per la perfezione formale del verso influenzò i poeti posteriori, e Ts'ien Ch'ien-yi, le cui opere furono bruciate perché non esitò a fare atto di fedeltà all'imperatore mancese dopo la sottomissione della Cina al nuovo dominatore straniero, la dinastia Ch'ing. Dei poeti dell'età moderna, meritano una citazione Guo Moruo, Hu Shih, Wen I-to, nati alla fine del sec. XIX, e Ai Ch'ing, degli inizi del sec. XX. Con essi la poesia ha abbandonato i vecchi schemi, l'antico linguaggio, la metrica classica. Nella ricerca di un contatto con il popolo, viene introdotta la lingua parlata, sono trattati temi politico-sociali, mentre un ampio dibattito culturale scuote dalle fondamenta una tradizione che i cinesi respingono per affossare con essa la società divisa in poveri e ricchi, in cui quella tradizione era nata e maturata.

Cultura: letteratura. Gli storici e gli eruditi

La storiografia cinese presenta una particolarità unica al mondo: esistono le cronache ufficiali delle Venticinque Dinastie, scritte dagli storici di corte, abbraccianti un arco di tempo che va dal 221 a. C. al 1911 d. C. Il primo grande storico cinese fu Ssu-ma Ch'ien (145-86 a. C.), che nell'opera fondamentale intitolata Memorie storiche abbracciò l'intera storia della Cina, dalle origini fino a circa il 90 a. C. Gli storici di ogni dinastia avevano il compito di esaminare i documenti relativi alla dinastia precedente e in base a essi scriverne la storia. Oltre a queste storie dinastiche ne esistono molte altre relative a periodi particolari. Durante il periodo Sung si registra una produzione sbalorditiva a opera di grandi storici quali Ou-yang Hsiu (1007-1072), Sima Qian (1019-1086), Zhu Xi (1130-1200), che sintetizzò l'opera di Ssu-ma Kuang, Zheng Qiao (1104-1162) e Yüan Chu (sec. XII). Dopo il sec. XII la storiografia pare non interessi più gli intellettuali cinesi; infatti scompare dalla produzione letteraria, a esclusione di redazioni di cronache locali. Restano naturalmente le cronache dinastiche, cui si è accennato. Una spiegazione circa una così prodigiosa fioritura di studi, che investì tutti i settori della cultura tra il sec. X e il XIII, si può ricercare nella nuova situazione storico-politica in cui si trovò la Cina sotto il regno dei Sung; ma è indubbio che vi contribuì in maniera determinante un fatto rivoluzionario nel campo della diffusione della cultura: l'invenzione della stampa nel sec. X, che favorì il sorgere quasi esplosivo di un grande dibattito ideologico, il quale impresse profonde tracce. Quando i Sung furono travolti dall'invasione mongola, la cultura cinese, soprattutto la storiografia, subì un duro contraccolpo. Il gusto della ricerca storica e dell'analisi degli avvenimenti generali torna in auge nel nostro secolo, ma non più ispirato allo spirito confuciano, come per il passato: lo alimenta infatti un rigoroso metodo scientifico, di ispirazione marxista. Tali sono le opere di Fan Wen-lan, di Ku Chieh-kang, di Teng Chung-hsia, oltre a numerosi lavori di collettivi di storici, cui si debbono importanti ricerche e raccolte di documentazioni su La guerra dell’oppio (6 vol.), Il regno T’ai-p’ing (8 vol.), La rivoluzione del 1911 (8 vol.), Il movimento contadino durante la prima guerra rivoluzionaria. § Gli eruditi rappresentano un particolare aspetto della tradizione culturale cinese, sia per la mole delle opere tradotte sia per l'acutezza dell'indagine. Il primo dizionario cinese (Indagine circa la spiegazione degli ideogrammi) fu compilato nel sec. II d. C. dall'erudito Hsü Shen. La prima enciclopedia fu l'Enciclopedia del periodo di regno Yung-lo, realizzata agli inizi del sec. XV da una commissione statale, in 11.095 volumi manoscritti. A un'altra commissione, dello stesso periodo, si deve l'edizione manoscritta di tutti i classici confuciani, delle opere storiche, filosofiche e letterarie (Tutti i libri delle quattro sezioni letterarie), composta di 36.000 volumi, con successivo catalogo di 100 volumi. Un'altra commissione statale redasse il Dizionario di K’ang-hsi contenente 47.035 ideogrammi (1716). Un secolo dopo Ruan Yuan iniziò la ristampa dei classici Commento ai classici della dinastia Ch’ing (1829; 720 vol.), seguito nel 1888 da un supplemento, curato da Wang Hsien-ch'ien.

Cultura: letteratura. I romanzieri e i novellieri

Verso il sec. IV d. C., accanto alla ricca letteratura filosofica e religiosa, alle traduzioni dei testi sacri buddhisti, in piena fioritura, si fa strada una letteratura minore, chiamata hsiao-shuo (narrativa), già tentata da qualche secolo, ma respinta dagli ambienti letterari confuciani per il suo carattere popolare, influenzato dalle credenze magiche. In essa si trovano storie strane, narrazioni di avvenimenti misteriosi e personaggi che esprimono spesso l'arguzia, il sarcasmo e l'umorismo popolare. Il declino del peso politico dei letterati burocrati confuciani, tra il sec. IV e il VII, e l'emergere contemporaneamente dei taoisti e dei buddhisti, consentì al hsiao-shuo di trovare una propria collocazione nella letteratura cinese e di affermarsi come genere letterario, le cui caratteristiche conservò nel tempo, pur con le variazioni di contenuto volute dagli autori. Una celebre raccolta di novelle sono I racconti meravigliosi dello studio di Liao di Pu Songling (1640-1715). Un'altra famosa raccolta di novelle, di intonazione fortemente politica e di denuncia delle antiche ingiustizie, è quella del grande scrittore rivoluzionario vissuto fra i sec. XIX e il XX, Lu Xun (1881-1936), l'autore de La vera storia di Ah Q. Il romanzo ebbe origine molto più tardi, in epoca Ming. Il primo a comparire fu Storia in riva all'acqua di Shi Nai'an (sec. XIV), noto anche con il titolo I briganti, mentre il più importante è Il romanzo dei Tre Regni di Lo Kuanchung (1330-1400). Molto noto in Occidente è il Chin P'ing Mei di Wang Shih-chêng (1526-1593), ma il più celebre di tutti è il romanzo di Ts'ao Hsüeh-ch'in (o Cao Zhan, sec. XVIII) Il sogno della camera rossa, condotto a termine da un altro scrittore, Gao E: un'opera che, oltre a offrire lo spunto a drammi teatrali, è stata, per quasi due secoli, il romanzo della gioventù cinese. La generazione rivoluzionaria del Novecento si è formata alla lettura di romanzi quali il Cammello Hsiang-tzu di Lao Shē, Eclisse di Mao Dun, La trilogia dell’amore di Ba Jin, il Diario della signorina Sofia di Ding Ling.

Cultura: letteratura. I filologi e i saggisti

La filologia fu spesso in Cina un sottile strumento di lotta politica; servì cioè, attraverso le interpretazioni dei testi confuciani, a sostenere tesi politiche di diversa natura. Per esempio Dong Zhongshu (sec. II a. C.), con la sua opera Spiegazione dei fenomeni della primavera e dell’autunno, tendeva a legittimare l'autorità celeste dell'imperatore; Wang Chong (sec. I d. C.), nella Bilancia delle discussioni, affermava l'esigenza di un controllo dell'attività imperiale. Analogo problema fu riproposto in conseguenza dell'occupazione della Cina da parte dei mancesi. Yan Ruoqu (sec. XVII), nell'Analisi sull’autenticità del Libro dei Documenti scritto in caratteri antichi, e Yao Chi-heng (sec. XVII-XVIII), nell'Esame delle opere antiche e moderne, posero la questione del rapporto tra l'imperatore straniero e la classe dirigente cinese. Per la saggistica si ricordano Chung Jung, autore di Critica poetica, e Liu Hsieh, autore de Gli ornamenti dello spirito letterario, entrambi del sec. V d. C. Hsiao T'ung dei Liang (501-531) redasse un'antologia letteraria di testi cinesi. Nel periodo Sung fiorirono i saggi sulla pittura. Guo Xi (ca. 1020-1090) scrisse un Commentario sui monti e sulle acque, Mi Fu (1051-1107) una Storia della pittura e una Storia della calligrafia. La storia dell'arte T'ang era stata scritta, tra la metà del sec. IX e la fine dell'XI, da Chang Yen-yuan, Chu Ching-hsüan e Kuo Jo-hsü, e comprendeva anche la biografia dei pittori celebri del periodo T'ang. I filologi dell'Ottocento rivolsero la loro attenzione all'Occidente, di cui cercarono di far conoscere le opere ai connazionali. Yan Fu (sec. XIX-XX) tradusse autori inglesi e francesi, Lin Shu tradusse scrittori inglesi, francesi e russi. Nel Novecento è da segnalare un'opera di Wang Yao, dedicata allo Studio sulla letteratura contemporanea cinese: 1919-1950.

Cultura: letteratura. Gli scrittori politici

Si tratta di autori che svolsero anche attività politica. Il ministro Wang Anshi (1021-1086) tentò una riforma nel sistema di reclutamento statale, sostenendo le sue tesi attraverso l'opera Nuova interpretazione dei tre classici. Il ministro Kang Yuwei (1858-1927) pretese di trasformare la società cinese restando nella sostanza un confuciano, come dimostra l'opera Esame dei classici non autentici della nuova scuola. Scrittori politici del sec. XX sono Liang Qichao (1873-1829) e Chen Duxiu (1879-1942), quest'ultimo di orientamento marxista. Nel Novecento il marxismo cinese ebbe come maggior teorico, oltre che come più influente esponente politico, Mao Tse-tung (1893-1976): allo studio dei suoi scritti si sono formati per diversi decenni, anche dopo la morte, i più alti ranghi della nomenklatura comunista del Paese.

Cultura: letteratura. Le generazioni contemporanee

Negli orientamenti della letteratura moderna si possono cogliere alcune fasi sufficientemente differenziate. Una prima fase, con carattere contestatario e polemico verso l'antichità, si attua tra la fine della prima guerra mondiale e il 1942. Una seconda, di tendenza populistica, dal 1942 al 1966, ha inizio con l'intervento di Mao Tse-tung sulla letteratura e l'arte, a Yenan. Una terza fase coincide con il periodo della Rivoluzione culturale (1966-76), durante il quale i vecchi scrittori come Ba Jin e Mao Dun vennero violentemente criticati e la figura stessa dello scrittore “professionista” fu condannata per fare posto alla produzione letteraria dilettantistica e fortemente ideologizzata di contadini, operai e soldati: una produzione interessante più come fenomeno sociologico che per valore estetico-letterario. Con la fine del 1976 si apre la fase più recente, caratterizzata essenzialmente dalla riabilitazione dell'attività letteraria, nel contesto di una “normalizzazione” delle condizioni politico-sociali del Paese guidata nel decennio successivo dal premier Teng Hsiao-p'ing. Originale e caratteristico di questi anni fu il filone dello xungen wenxue («letteratura della ricerca delle radici»), che indaga i caratteri più profondi della tradizione cinese: tra gli autori di maggiore spicco si ricordano A Cheng e Mo Yan. Il processo di apertura culturale subì alla fine degli anni Ottanta un brusco arresto, in seguito alla svolta conservatrice avviata dalle autorità dopo i tragici fatti di piazza Tiananmen (1989). Tale evoluzione ha portato all'esilio di numerosi intellettuali e scrittori e a un'interruzione della promettente fioritura di opere che aveva segnato gli anni precedenti, grazie ad autori quali Jang Jieng, Liang Xiaosen, Mo Yan, Liu Heng, Zhang Jie e Gao Xingjian, premio Nobel nel 2000. La fine degli anni Ottanta ha visto la comparsa di una nuova generazione di scrittori (come Su T'ung, n. 1963; Ke Fei, n. 1964; Yu Hua, n. 1960) senza un passato da cui affrancarsi, cresciuti nella nuova Cina delle riforme economiche e dell'apertura: la loro produzione è estremamente differenziata, ma è caratterizzata da un profondo generale scetticismo; la loro ricerca d'avanguardia è tutta concentrata sulla scrittura e sulla costruzione narrativa. Solo in apparente contrasto con questa tendenza è la ricchissima produzione di Wang Shuo (n. 1958), che narra dei giovani della grande metropoli nel loro stesso linguaggio; subito popolarissimo presso i giovani, è stato molto criticato dai cultori della letteratura “alta”, per il suo essersi impadronito, inserendovisi perfettamente, della logica consumistica della società di massa, passando con disinvoltura e sempre con successo di pubblico dalla letteratura al cinema, alla televisione, ecc. Nel biennio 1990-91 la letteratura cinese ha così attraversato una fase di ristagno, di cui sono stati sintomatici la scomparsa delle riviste letterarie espressione delle tendenze più innovatrici o, in alternativa, l'appiattimento dei loro contenuti su toni di conformismo conservatore. Nello stesso periodo la pubblicazione dei lavori di molti autori, tra i quali – oltre ai citati Mo Yan e Liang Xiaosen – Yu Hua, Ko Fei e Su Tong, è stata sospesa ed è potuta proseguire solo fuori dei confini nazionali, a Taiwan o a Hong Kong, ancora colonia britannica in quegli anni, nella maggior parte dei casi. La letteratura cinese, costretta in patria entro l'angusto recinto delimitato dalle autorità politiche, ha conosciuto in questi stessi anni un buon successo in Occidente, al quale hanno contribuito, oltre che un'intensa attività di traduzione dal cinese, le versioni per il grande schermo di opere di alcuni degli autori citati (di Ju Dou di Liu Heng, per esempio, o di Sorgo rosso di Mo Yan, mentre da un libro di Su Tung è stato tratto il film Lanterne rosse), che sono state più volte premiate in rassegne e festival cinematografici europei. A cominciare dal 1992 la volontà di attenuare l'emarginazione della Cina, limitando i danni derivati al Paese, in termini di immagine internazionale, dalla repressione autoritaria del malcontento popolare, ha spinto le autorità a rendere possibili nuovi – pur se limitati – contatti con le culture occidentali; ciò nonostante, molti degli scrittori attivi fuori dalla Cina hanno scelto di protrarre la propria permanenza all'estero: è questo il caso della scrittrice Ai Pei e dei poeti “dissidenti” Bei Dao, Duo Duo e Gu Cheng, quest'ultimo morto suicida nel 1993 in esilio. In questi stessi anni il dibattito letterario ha trovato nuovamente modo di esprimersi in riviste quali Jiushi niandai (Anni Novanta) pubblicata a Hong Kong. Tra i narratori emergenti degli ultimi anni gode di un certo successo la romanziera Hongying, autrice di K. L’arte dell’amore, la cui straordinaria fortuna commerciale nel mondo non ha impedito il divieto di circolazione nella madrepatria.

Cultura: arte. Dalle origini alla dinastia Tang

Gli aspetti artistici della civiltà cinese si manifestano già nelle culture del Neolitico (8000-4000 a. C.) a Peiligang, Hemudu, Dawenkou, Longshan, per citare solo alcune delle località scavate nella seconda metà del Novecento. Tutte sono caratterizzate da una produzione fittile che vede decorazioni di tipo geometrico, mescolate a volte a disegni che ritraggono animali e anche l'uomo. Talora compaiono marchi che forse rappresentano una prima forma di scrittura. Con il passare del tempo le forme diventano sempre più elaborate grazie anche all'adozione del tornio, fino a ottenere la sottilissima ceramica nera (pochi millimetri di spessore) con semplice decorazione incisa. Secondo le antiche tradizioni scritte cinesi, verso il sec. XXI a. C. gli Xia si stanziarono lungo il medio corso del Fiume Giallo. Con loro si ha la prima produzione di oggetti in bronzo e comparirà anche la prima struttura palaziale della Cina (sito di Erlitou, datato al 1650 a. C.). Dopo poche centinaia di anni di cultura Hsia, gli Shang (sec. XVII-XI a. C.) diedero vita a un complesso sistema politico e a una produzione artistica notevole. Poiché i Cinesi credevano in una vita dopo la morte, il defunto portava con sé molte delle cose che aveva posseduto in vita, per cui nelle tombe Shang sono stati ritrovati considerevoli arredi funebri, spesso insieme a testimonianze di sacrifici umani e animali. La parte più considerevole di questi ritrovamenti è senz'altro costituita dai vasi in bronzo, le cui forme e fattura testimoniano di una tecnologia altamente avanzata. Gli studi fatti a tale proposito hanno dimostrato una grande padronanza delle tecniche di fusione, tanto che si potevano già fondere oggetti che pesavano più di 800 kg. Quanto alla loro ornamentazione, essa era senza dubbio legata a significati magico-religiosi che non conosciamo: cicale, tigri, draghi, serpenti, fenici, tartarughe vengono mescolati a spirali, volute, losanghe, che ricoprono generalmente tutta la superficie degli oggetti, mentre le armi spesso presentano lame in giada. Molti piccoli animali realizzati in questa pietra pregiata sono stati rinvenuti accanto ai corpi dei defunti, assieme ai primi esempi di oggetti laccati e ai primi frammenti di protoporcellana (un tipo di ceramica fatta quasi esclusivamente con caolino). Grande importanza hanno in questo periodo le cosiddette “ossa oracolari”, scapole di animali o gusci di tartaruga su cui appaiono incisi i primi ideogrammi della storia cinese. Per quanto riguarda l'architettura, le due ultime capitali della dinastia (Zhengzhou e Anyang) hanno restituito le piante di grossi edifici. Con l'avvento dei Zhou la produzione artistica riprende e convalida (soprattutto con i Chou occidentali, sec. XI-VIII a. C.) quella del tardo periodo Shang; scompaiono molti dei vasi per vino e aumentano quelli per cibo, mentre le iscrizioni sui bronzi diventano sempre più lunghe e dettagliate (una presenta 497 caratteri) e costituiscono in tal modo una fonte di estrema importanza per le ricerche su questo periodo storico. Quanto all'architettura, il complesso palaziale di Fengzhou (1100 a. C.), con la sua elaborata struttura, fatta di padiglioni e cortili che si susseguono, rafforzò ulteriormente l'uso di quegli elementi che diverranno tipici dell'architettura cinese. Il periodo delle “Primavere e Autunni” (722-481 a. C.) è invece caratterizzato dalla comparsa dei primi oggetti in ferro e dall'ageminatura sui bronzi, che assumono ora decorazioni di tipo sottile e lineare, tendente al geometrico. Il periodo dei “Regni Combattenti” (403-222 a. C.) vede l'affermarsi di vari stati egemoni a discapito del potere centrale dei Zhou, ormai diventato soltanto nominale, per cui si avranno produzioni artistiche che risentiranno molto degli influssi locali, i quali, a loro volta, daranno vita a forme e tipologie, anche nei bronzi, del tutto nuove e originali. Per quanto riguarda le tecniche di lavorazione, verranno adottate l'incisione e la cesellatura, oltre a perfezionare l'ageminatura con l'oro e l'argento. Si è ritrovata una tavola in bronzo appartenente a questo periodo, su cui era stato inciso nei minimi particolari il progetto di costruzione delle tombe del re di Zhongshan e della moglie: si tratta del primo progetto rinvenuto in Cina. Dalle fonti storiche sappiamo che ormai le città venivano costruite secondo canoni ben precisi (scritti nel Zhou Li o Riti dei Zhou) che vedevano la forma quadrata data all'insediamento, l'assialità N-S con l'entrata principale posta a sud, le strade interne che si incrociavano ad angolo retto, il palazzo del re al centro, il mercato sul retro, il Tempio degli Antenati a est e quello della Terra a ovest. Queste caratteristiche saranno rispettate il più possibile nelle costruzioni delle capitali cinesi. Intanto Confucio aveva codificato i suoi insegnamenti che diverranno la base del comportamento etico-sociale in tutta la Cina. Nel frattempo, nel 221 a. C., lo Stato di Qin unificava tutta la Cina del Nord sotto il proprio dominio e aveva inizio il primo impero cinese. Il suo geniale imperatore Huang Di ebbe il merito di far unificare i tronconi di mura dei vari Stati da lui conquistati in un'unica lunghissima costruzione, la Grande Muraglia, che ancora oggi rimane uno dei vanti della Cina. La capitale dell'impero, Xianyang, nei pressi dell'attuale Xi'an (Sian), fu abbellita da uno splendido palazzo (Afanggong), di cui sono stati scavati importanti resti architettonici che hanno fatto nuova luce sulle tecniche di costruzione dell'epoca. Al primo imperatore si deve anche la creazione di uno splendido parco imperiale in cui si potevano ammirare animali e piante provenienti da tutte le parti dell'impero e che diede l'avvio alla costruzione di quei giardini cinesi che tanta risonanza avrebbero avuto anche in Occidente. Al 1974 risale la scoperta del famoso “esercito di terracotta” posto a guardia del mausoleo imperiale (dichiarato dallʼUNESCO patrimonio dellʼumanità nel 1987). Più di 7000 statue di guerrieri e cavalli di notevoli dimensioni testimoniano la presenza in Cina di una statuaria di cui si ignorava l'esistenza. Moti di ribellione causano la fine del primo impero della Cina e danno origine a una nuova dinastia, quella degli Han (206 a. C.-220 d. C.) che rappresenta uno dei momenti fondamentali dell'evoluzione del Paese. Le numerose tombe appartenenti a questo lungo periodo hanno restituito manufatti di ogni genere che testimoniano l'alto livello raggiunto in ogni campo. Tessuti in seta, lacche di ogni tipo, dipinti su seta, antiche carte geografiche, statuette che ritraggono costumi e usanze del tempo, vestiti funebri in giada (principe Liu Sheng e la moglie), raffigurazioni di cavalli, il tutto a testimonianza di una cultura che aveva raggiunto livelli di grande raffinatezza. L'architettura, del resto, diventa in questo periodo più che mai simbolo di potere: gli Han si dedicarono alla costruzione di grandi città, in cui spiccavano padiglioni a più piani, alte piattaforme, gallerie. Chang'an (l'attuale Xi'an) è la più grande città del mondo per numero di abitanti e splendore; su di essa vengono modellate molte delle capitali future della Cina, ma anche altre città come Nara e Kyōto, in Giappone. Da Chang'an partirà la Via della Seta, la più famosa strada commerciale tra Oriente e Occidente, lungo la quale si muoveranno nei secoli merci, uomini e idee. Nel periodo delle Sei Dinastie (220-589), uno dei tanti di smembramento dell'unità nazionale, lo svolgimento dell'arte non ebbe pause d'arresto: si continuarono temi e stili del passato e se ne imposero altri nuovi, che caratterizzarono l'arte del periodo, identificata, tradizionalmente, nella produzione dei Wei orientali e occidentali ed espressa soprattutto nell'arte rupestre dei grandi complessi monastici del buddhismo di Yungang (sec. V), di Longmen (sec. VI) e delle “Grotte dei mille Buddha” (Qian fo dong) dell'oasi di Dunhuang(complessi che furono restaurati, ampliati e abbelliti nelle epoche posteriori, soprattutto durante la dinastia Tang). La diffusione del buddhismo, favorita dalla crisi del confucianesimo verificatasi dopo la caduta degli Han, introdusse stili e moduli iconografici nuovi nell'arte cinese, ora rivolta alla raffigurazione, specie in scultura, di Buddha e Bodhisattva, realizzati spesso sull'interpretazione di modelli provenienti da manifestazioni artistiche provinciali, sulle quali avevano agito influenze diverse. Le maggiori fonti di queste matrici buddhiste provenivano dall'arte fiorita nelle città-Stato dell'area centroasiatica. Intorno alla fine del sec. V, l'arte Wei dei complessi monastici rupestri si esprime in un linguaggio internazionale nel quale confluiscono elementi ellenistici, gandharici, indiani, centroasiatici. Importanti ripercussioni, ricche di imprevedibili conseguenze, il buddhismo esercitò sull'architettura del tempo (nella capitale dei Wei settentrionali, Luoyang, sembra fossero disseminati ben 500 templi e monasteri, che alla caduta della dinastia nel 535 raggiunsero cifre impressionanti). La stessa importanza dello stūpa in India fu assunta in Cina dalla pagoda, l'unica struttura religiosa, elaborata su modelli stranieri, che si innestò nel contesto dell'architettura tradizionale. I caratteri delle pagode lignee, come altre tipologie dell'edilizia pubblica di questo periodo e di quelli futuri Sui e Tang, sono documentati nella versione rupestre dei complessi buddhisti di Tianlong Shan, Longmen, Dunhuang. Tra le più antiche testimonianze di architettura lignea cinese importante è la sala principale del Foguang Si sul monte Wutai nello Shanxi (857 d. C.). Altre testimonianze si sono conservate in Giappone, dove l'architettura cinese fu fedelmente riprodotta nei primi secoli di formazione dell'impero giapponese. Nelle pagode in pietra e mattoni del periodo Tang (Dayan ta, vicino a Chang'an) la pianta quadrata a più piani elaborata da soluzioni strutturali delle torri Han si trasforma in poligonale (pagoda ottagonale che si trova nello Huishan Si sul monte Song nello Henan), sottraendo dalle originarie strutture lignee elementi traducibili in temi ornamentali. Maggiori sviluppi avrà l'adozione della pianta poligonale nella libertà di interpretazione dell'urbanistica e dell'architettura con l'arte dei Liao (907-1125). Inaugurata dai Qin, l'architettura fastosa e monumentale dei palazzi imperiali fu subito ripresa a Chang'an dagli Han occidentali e successivamente (dopo aver assunto espressioni di spettacolare monumentalismo nel breve regno dell'usurpatore Wang Mang: dall'8 a. C. al 23 d. C.) fu adottata dagli Han orientali per la nuova capitale Luoyang, dai cui resti più tardi, nel sec. V, gli architetti dei Wei trassero i modelli per riedificare, secondo il tracciato urbanistico e le forme architettoniche degli Han, la ulteriormente rinnovata capitale Luoyang (495). Dell'architettura della seconda età imperiale Sui e Tang rimangono le descrizioni letterarie, testimonianze nella pittura rupestre (Dunhuang) e i modelli conservatisi in Giappone (Hōryūji a Nara e altri complessi). Un esempio dell'alto livello delle tecniche costruttive di questi secoli è costituito dal Grande Ponte di Pietra (Anji) presso Zhaoxian nel Hebei, progettato da Li Chun (sec. VI-VII). Nelle architetture del breve periodo Sui dominò un senso di gigantismo eccentrico, specie in quelle edificate nella Città Proibita che sorgeva a nord-est di Chang'an. Architetti, artisti e artigiani diedero il meglio delle loro capacità e della loro abilità tecnica. Fu un quartetto di questi ingegni a dettare legge nella moda del tempo: Yang Su, un ingegnere navale che progettò la nuova Luoyang; Yuwe Kai, storico dell'architettura e fantasioso ingegnere idraulico; He Diao, appassionato di vecchie pitture, che disegnava costumi e insegne per le grandi parate pubbliche; Yan Pi, infine, padre dei due famosi pittori Yan Lide e Yan Liben, il più eclettico di tutti, sensibile pittore, progettista di canali, restauratore della Grande Muraglia. La ricchezza di questo breve ma intenso periodo dell'arte cinese fu ereditata dalla dinastia Tang, che non fu da meno, per imponenza e originalità di progetti, dei suoi predecessori. La capitale Chang'an divenne nei sec. VII-VIII una delle più grandi e fastose città dell'Asia, animata da un traffico cosmopolita che si svolgeva attraverso vie e viali disposti nel tradizionale sistema a scacchiera. Nella storia dell'arte cinese il periodo Tang rappresenta una fase importante, per ricchezza culturale e raggiungimenti estetici: tutte le forme d'arte ebbero splendida fioritura. La scultura a tutto tondo si affermò superando la tradizione stilistica essenzialmente lineare. La ceramica invetriata policroma inventò un nuovo modello di bellezza femminile, che ha caratterizzato, assieme alle trionfanti forme dei cavalli, tutto il periodo dell'arte Tang. Dopo un'evoluzione di quattro secoli, soprattutto la pittura si afferma e si definisce in questo periodo, conferendo all'artista una sua netta personalità, la cui dignità aveva incominciato a delinearsi fin dall'epoca degli Han posteriori per assumere caratteri più decisi nel periodo delle Sei Dinastie, quando il pittore fu riscattato dall'anonimato e la sua identità acquistò rilievo accanto al valore riconosciuto della sua creazione artistica. Due protagonisti della pittura di quest'epoca sono Gu Kaizhi, pittore del famoso rotolo illustrativo chiamato Ammonimenti dell’istitutrice alle dame di corte (Londra, British Museum), e Xie He, autore di uno dei primi trattati sulla pittura (Gu Hua Pin Lu) nel quale sono contenuti i “sei canoni” fondamentali per tutta la trattatistica posteriore. Un altro maestro delle Sei Dinastie di cui ci è giunta documentazione è Chang Seng Yu. Fiorenti centri pittorici nei sec. V-VI furono le corti delle dinastie orientali nella vallata inferiore dello Chang Jiang, erede dell'antico patrimonio culturale dell'inquieta vallata del Huang He. Alla pittura sul tema delle occupazioni delle dame di corte si dedicarono tra i maggiori nel sec. VIII Zhang Xuan e Zhou Fang. Conquista dell'arte Tang fu il promuovere la pittura di paesaggio allo stesso ruolo d'importanza della figura, il cui merito viene attribuito a Li Sixun e a suo figlio Li Zhaodao, iniziatori di una nuova tecnica pittorica (scuola di Li). Altri pittori famosi furono Han Gan, specializzato nel tema di cavalli, Wu Daozi, iniziatore della scuola di pittura del Nord, e Wang Wei iniziatore di quella del Sud. Le persecuzioni contro il buddhismo (842-845) ebbero come conseguenza immediata la distruzione dei maggiori capolavori dell'arte Tang, molti dei quali sono ricordati dal cronista dell'epoca, Zhang Yanyuan, autore del “Catalogo delle pitture famose delle successive dinastie” (Lidai Minghua Ji) compilato nell'847. Nel successivo periodo delle Cinque Dinastie del Nord e dei Dieci Regni del Sud altri pittori di rilievo continuarono il tema del paesaggio, che assunse impreviste possibilità espressive con la tecnica dell'acquerello monocromo (Jing Hao, Guan Dong, Li Cheng, considerati precursori della futura pittura dei Song). Altri artisti furono famosi nel genere “fiori e uccelli” (Huang, Chuan, Xu Xi). Altri ancora, come Guanxu e Shi Kefa, fissarono l'ideale della perfezione predicata dal buddhismo Chan nelle espressioni intense dei beati lohan (sanscrito arhat). In questo tormentato periodo della storia cinese importante fu il ruolo culturale svolto dalle due capitali dello Sichuan (Chendu) e del Zhejiang (Hangzhou Wan). I caratteri della cultura Tang non andarono dispersi, ma sopravvissero e furono di stimolo per l'attività intellettuale e artistica dei secoli successivi.

Cultura: arte. Dalla dinastia Song a quella Qing

Sostituita al Nord dall'arte nomade dei Liao e dei Qin, quella dei Song (979-1280) continuò a manifestarsi con nuovi sviluppi nel Sud, dove ebbe i suoi maggiori centri prima nella capitale di Nanjing poi in quella di Hangzhou Wan, la famosa Kinsai ricordata da Marco Polo. La pittura dei Song meridionali fiorì, con ricca varietà di tendenze, negli stili dell'Accademia imperiale e della corrente legata agli ideali buddhisti Chan, i cui esponenti diedero vita a un'arte indipendente (Liang Kai, Mu Qi). Tra il sec. X e il sec. XII nel tema del paesaggio eccelsero Xu Daowing, Dong Yuan, Fan Kuan, seguiti da Guo Xi, Wen Tong, Mi Fu, gli artisti della famiglia Ma, il cui stile, accanto a quello di Xia Gui, costituì la scuola Ma-Xia. Famoso illustratore buddhista fu Li Longmian. La “pittura dei letterati”, che avrà la sua stagione migliore nel futuro periodo Yuan si era sviluppata, ancora regnando i Song settentrionali, a opera di Su Dongpo (Su Shi), Huang Tingjian e il già citato Mi Fu. Tra i migliori che operarono fuori dellʼAccademia si ricordano ancora Zhao Chang e Yi Yuan. In seno allʼistituzione imperiale spiccarono sugli altri Cui Bai e Wu Yuanyu (attivi nel sec. XI). Mentre la scultura Song appare ancora legata ai modelli della tradizione, studiando e facendo copie dei bronzi antichi, quella sviluppata dai Qidan e dai Jin produsse interessanti capolavori (mausolei imperiali nella Mongolia) tra cui lʼelaborazione dellʼimmagine femminile del Bodhisattva, trasformato nella dolce ed enigmatica figura di Guanyin. Meno importante di quella Tang, lʼarchitettura Song unì alla funzionalità e alle qualità costruttive effetti estetici (impiego di mattonelle smaltate policrome per pavimenti e tetti e lʼuso di curvare verso gli angoli gli spioventi del tetto). Tutta lʼarchitettura di questʼepoca si basava sul manuale di Li Jie (Yingzao Fashi), reso famoso attraverso unʼedizione a stampa del 1145, e di quello sulla carpenteria di Yu Hao, scritto un secolo prima. Nella pittura del periodo Yuan (1280-1368) persistono in alcune tendenze i caratteri dellʼarte Song, che furono continuati dai pittori di paesaggio Sun Junze e Xue Chuang; mentre a stili più antichi si riconducono le opere di Zhao Mengfu (famoso per i suoi cavalli) e della moglie Guan Daosheng, delicata pittrice di bambù, genere in cui eccelsero Li Kan e il figlio Li Shixing. I “Quattro Grandi” pittori della scuola Yuan furono Huang Gongwang, Ni Zan, Wang Meng e Wu Zhen. Le relazioni degli Yuan con l'area islamica dell'Asia occidentale favorirono, tra gli altri scambi, l'importazione in Cina del minerale di cobalto, il cui impiego nella ceramica segna l'inizio della porcellana “bianca e blu”. L'architettura del periodo Yuan si esprime soprattutto nella costruzione della capitale, Dadu (attuale Pechino), la Cambaluc (Khān-bālīk) di Marco Polo, sostituendo molte delle strutture lignee con pietra a mattoni; ebbe anche influenza lo stile tibetano favorito dalla diffusione del buddhismo lamaistico. Importanti furono le tecniche costruttive usate per le fortificazioni e le porte monumentali (come quelle della Grande Muraglia). Grande incremento delle arti minori, specie per la ceramica, si ebbe nel successivo periodo Ming (1368-1644), che vide in auge la pittura dei letterati ispirata ai due stili precedenti (Song e Yuan). Tra le varie scuole, importanti furono quelle Zhe (fondata da Dai Jin) e Wu, dal nome della città di Wuxian, da cui provenivano i suoi maggiori esponenti (Shen Zhou e Wen Zhengming). Altri artisti noti furono Lu Zhï, Tang Yin e, soprattutto, Dong Qichang. Nell'architettura prevalse l'interesse per gli elementi ornamentali (edifici nella Città Proibita; tombe degli imperatori nella zona Nord della città). Anche sotto la dinastia dei Quing (1644-1912) le opere più importanti di architettura furono realizzate a Pechino con restauri e ampliamenti (Palazzo d'Estate, trasformato su disegni dell'italiano Castiglione e del francese Benoît; Porta della Suprema Armonia, saloni di rappresentanza, Tempio del Cielo nella Città Proibita). L'arte di questo periodo, pur evolvendosi nell'ambito dell'ufficialità e della tradizione, ebbe interessanti manifestazioni, soprattutto in pittura, per varietà di indirizzi e ricchezza di personalità artistiche. Larga influenza esercitarono le due correnti maggiori della pittura conservatrice (Wang Shimin, Wang Jian, Wang Hui e Wang Yuanqi) e individualista (Zhu Da, Kun Can, Dao Ji). Altri pittori individualisti furono attivi nella provincia di Anhui (Xiao Yuncong, Hong Ren, Zha Shibiao e Mei Qing) e altrove.

Cultura: arte. L'età moderna e contemporanea

La presenza di artisti occidentali in Cina non ebbe conseguenze analoghe a quelle della diffusione dei prodotti artistici cinesi in Europa nel Settecento, che determinarono, specie attraverso i vari tipi delle porcellane policrome (famiglie verde, nera, rossa e gialla e “bianca e blu”), vanto dei regni Qing di Kangxi, Yongzheng e Qianlong, quella inarrestabile moda per le chinoiseries, le cui conseguenze positive arricchirono, con nuove varianti stilistiche, il rococò. Se a chiudere la schiera dei pittori cinesi del periodo Qing fu il rivalutato Lo Ping (1733-1799), a iniziare il periodo moderno della pittura cinese del sec. XX furono, pur non staccandosi dalla tradizione, Xu Beihong e Qi Baishi. Lungo l'intero corso del Novecento sono rimaste vive le tecniche della xilografia e della pittura a china, che hanno sempre rappresentato il cuore della tradizione figurativa cinese, anche se questa produzione artistica, per buona parte della seconda metà del XX sec. è stata radicalmente condizionata nei suoi contenuti dagli indirizzi politici e ideologici del comunismo cinese: questa commistione fra arte tradizionale e finalità politico-didascalica ha trovato la sua più compiuta espressione nella cosiddetta Scuola di Huxian, dal nome del villaggio dello Shanxi in cui, negli anni Sessanta, si raccolse una comunità di pittori contadini. La pittura a china è rimasta vitale e pronta all'innovazione nei decenni nell'opera di artisti, che vi hanno associato aperture ai materiali e alle suggestioni rappresentative della cultura figurativa occidentale, nella linea dell'ibridazione che costituisce spesso la cifra dei più avanzati artisti cinesi di oggi: tra gli artisti che meglio hanno rappresentato questa tendenza della pittura a china si può ricordare Zhao Wuji (Zao Wou-Ki), nelle cui opere si nota l'evidente interesse per l'esperienza astratta, Li Keran, che, messo al bando per lungo tempo dalla nomenklatura del partito, è assurto a maestro di un'intera generazione di giovani artisti negli anni Ottanta. In Cina i tentativi di introdurre nuove forme d'arte, come la pittura a olio, e nuovi contenuti, come la pittura dal vero, hanno trovato per decenni resistenze di varia natura e causate da vari fattori. Negli anni successivi alla morte di Mao il controllo degli apparati di partito sugli artisti e sulla loro libertà di sperimentazione si è andato allentando, pur nell'alternanza tra fasi di apertura e nuovi tentativi di controllo da parte del PCC (a una delle fasi di apertura appartiene il ciclo di murales commissionato per l'aeroporto di Pechino, dove, associati alla ripresa dell'antichissima tradizione della pittura murale, si trovano forme mutuate dal cubismo e soggetti di nudo fino ad allora non ammessi. La pittura cinese degli anni Ottanta si muove lungo diverse direttive: tra tentativi di inserimento dei movimenti artistici internazionali nell'ambito della tradizione, la rivalutazione della tradizione autoctona, il recupero dei modi dell'arte popolare e provinciale (come le cosiddette “pitture dell'anno nuovo”, con personaggi che escono dalle leggende e dai miti). Tra questi artisti si segnalano Xu Bing (n. 1955; residente dal 1990 negli USA), che realizza le sue installazioni con i rotoli, gli strumenti, i simboli dell'atavica arte calligrafica, e il pittore Ding Yi (n. 1962). A partire dal 1992, grazie agli spazi apertisi con il nuovo corso politico ed economico, si è dato corso a sperimentazioni più libere e audaci, che hanno trovato punti di eccellenza in artisti quali Yu Youhan (n. 1943) e Wang Guangyi (n. 1956), Wang Jin (n. 1962), Zhao Bandi (n. 1963) e Cai Guo-Qiang (n. 1957) e Wenda Gu (n. 1955), questi ultimi emigrati in Occidente. Nel paesaggio artistico di questi anni occupa una posizione particolare la prima generazione di artisti attivi nella Hong Kong postcoloniale, dopo cioè il riassorbimento del 1997 nella Repubblica popolare: fra di essi si ricordano Wilson Shieh Ka-ho, Ho Siu-kee, Tse Yim On, Luke Ching Chin-wai, Chow Chun-fai, Tsang Chui Mei, Joey Leung Ka-yin. La scena artistica cinese gode oggi di un'attenzione globale, cui fanno da cassa di risonanza nuovi e moderni spazi espositivi quali la Biennale di Shanghai, che nel 2014 ha visto la sua decima edizione.

Cultura: teatro. I generi

Il teatro è sorto da antichissime cerimonie religiose. Canti e danze facevano parte di manifestazioni rituali che avevano luogo soprattutto durante le feste stagionali. In seguito si ebbero un vero e proprio teatro di corte (a partire dagli Han) e forme popolari di rappresentazione, con lo sviluppo di temi burleschi, eroici, ecc. Da figurine in ceramica di acrobati e musicisti risalenti al periodo degli Han Anteriori (206 a. C.-8 d. C.), scoperte a Tsinan (Shandong) nel 1969, si può avere certezza che una forma di spettacolo popolare, con musiche e acrobazie, era già esistente nei sec. III-II a. C. Nel sec. VIII d. C. viene fondato il teatro come istituzione statale. L'imperatore Xuan Zong (685-762), della dinastia T'ang, volle che gli attori e i musicisti non fossero più mestieranti improvvisati, ma veri professionisti. A tal fine creò un'accademia musicale che ebbe sede nei giardini imperiali. Per dare allo spettacolo una trama non improvvisata furono anche scritti testi, purtroppo perduti, di alcuni dei quali, tuttavia, ci sono pervenuti i titoli: La maschera, Su Chung-lang (nome del personaggio principale), ecc. Ma la caduta della dinastia T'ang mise in crisi le deboli istituzioni teatrali che gli stessi T'ang avevano fondato; e anche se la dinastia dei Sung mostrò qualche interesse verso lo spettacolo teatrale (ma nemmeno di quel periodo ci sono pervenuti testi), il gusto dell'epoca sembrò prediligere il “teatro d'ombre” e il teatro delle marionette. Verso la fine del sec. XIII si ebbe il trionfo del dramma. Questi testi si chiamarono tsa ch’ü, ossia spettacolo (ch’ü) vario o, meglio ancora, misto (tsa): erano drammi composti di canzoni e di parti dialogate o declamate, divisi in atti. Si formarono due scuole: una al Nord (pei ch’ü), l'altra al Sud (nan ch’ü). La prima si basava su una maggiore libertà delle parti e su un linguaggio popolare; i principali strumenti di accompagnamento erano a corda e i canti vigorosi e vivaci esprimevano lo spirito guerriero della Cina settentrionale. Lo stile nan ch’ü era invece letterario, raffinato, ossequente a norme prosodiche. Dal nan ch’ü, arricchito dei ruoli “comico” e “tragico”, tipici del pei ch’ü, nacque un nuovo tipo di spettacolo, il ch’uan ch’i (ch’uan significa “trasmettere” o “annunciare” e ch’i “raro”, “meraviglioso”), che conquistò i favori di tutto il pubblico cinese. Questa forma di spettacolo era costituita da 30 o più atti, composti di parti cantate e di parti dialogate, ciascuno con titolo proprio, in cui si sviluppava, attraverso vari aneddoti, un'unica trama; potevano essere soppressi alcuni o tanti atti, a richiesta del pubblico. Il primo atto era un prologo nel quale in sintesi si narrava l'intreccio del dramma; la trama aveva inizio nel secondo atto e si sviluppava complicandosi in numerosi episodi, che si scioglievano nel finale. Un nuovo elemento, tuttavia, fu inserito in questo spettacolo, verso la metà del sec. XVI, dal drammaturgo Liang Chenyu e dal musicista Wei Liang-fu, che, traendo ispirazione dalle ballate popolari del K'un-shan, conferì al dramma una cadenza strettamente collegata alle tradizioni regionali. Questo dramma prese il nome di K’un ch’ü e dominò il teatro cinese per tre secoli, fino alla metà del sec. XIX. La fisionomia del K’un ch’ü fu dunque quella di un teatro popolare, diverso da regione a regione. Partendo dal meridione, dov'era nato, conquistò tutta la Cina; ma in questo processo di espansione subì anche l'influenza dei letterati, i quali, mutando le rime e le cadenze popolari, trasformarono il K’un ch’ü, da popolare e regionale qual era, in uno spettacolo cortigiano e nazionale, più adatto alle corti dei signori feudali. Ma il filone originario continuò a sussistere e a dare i suoi frutti. Da esso nacquero varie scuole, come lo yi yang, che era la variante del K’un ch’ü a Pechino, e lo hu tiao, trionfante nell'Hebei. Lo hu tiao ebbe immenso successo a Pechino quando nella capitale affluirono truppe da ogni parte dell'impero per le fastose celebrazioni dell'ottantesimo compleanno dell'imperatore Qian-Loug (1791). Allora anche gli attori dello yi yang di Pechino lo adottarono. Con questa operazione nasceva il Ching Hsi (spettacolo della capitale), noto anche come l'Opera di Pechino, che sostituiva sul piano nazionale il K’un ch’ü letterario e cortigiano, assorbendone tuttavia il carattere aristocratico. Un iniziale tentativo di rinnovamento si ebbe nel 1958, quando comparvero le prime opere ispirate a episodi della lotta contro i signori feudali e contro il Kuomintang (il partito della borghesia). Nel 1964, in conseguenza di una profonda revisione culturale, il Ching Hsi si trasformò in “teatro rivoluzionario moderno” subendo precise modifiche fra cui la sostituzione dei vecchi testi con altri, ispirati a episodi della rivoluzione popolare o della guerra di liberazione nazionale contro il Giappone, combattuta dai partigiani cinesi, e la conseguente abolizione dei personaggi che erano ancorati all'antica tematica; e con essi scomparvero i loro costumi: l'attore recitava vestito da soldato o da operaio o da contadino. Successivamente sono però ritornate in auge anche le antiche rappresentazioni. Inoltre, nell'orchestra è stato introdotto uno strumento tipicamente straniero: il pianoforte. Accanto al Ching Hsi ha ripreso vita, rinnovato anch'esso da temi rivoluzionari e popolari, l'antico teatro regionale, il K’un ch’ü, per iniziativa della compagnia teatrale di Shanghai. Gli ultimi decenni del XX secolo hanno visto, da un lato, la nascita di un teatro sperimentale, il cui sviluppo ha però subito negli anni Novanta una “pausa” a causa della ripresa del clima censorio seguito agli episodi di piazza Tiananmen, e, dall'altro, la prosecuzione, anche in ambito drammaturgico, del dibattito che ha caratterizzato tutta la vita culturale cinese nel secondo Novecento e che ha ruotato intorno alla ricerca di una identità moderna che sappia (o debba) accogliere e conciliare tradizione e modernità, Oriente e Occidente, attraverso dinamiche e processi di sintesi, ibridazione, trasformazione, rilettura.

Cultura: teatro. I testi

I più antichi testi pervenutici risalgono al periodo Yüan (sec. XIII). Ji Junxiang (sec. XIII) ha scritto L'orfano della famiglia Chao, Kuan Han-ch'ing (sec. XIII), il maggiore autore del periodo Yüan, ci ha lasciato Il giardino di Tou Ou e Il vecchio organetto. Sempre del sec. XIII sono altri tre notissimi drammaturghi: Ma Zhiyuan, che ha scritto i due celebri drammi Autunno nel palazzo degli Han e Il sogno del miglio giallo; Wang Shifu, autore di Storia del padiglione occidentale, capolavoro del teatro del Nord (pei ch’ü); e Bai Pu, autore di La pioggia sulle sterculie. A Gao Ming (sec. XIV) si deve invece il dramma La storia della chitarra, considerato il capolavoro del teatro meridionale (nan ch’ü). Dello stesso secolo è Shih Hui, autore del dramma Il padiglione che saluta la luna. Il dramma di Chu Ch'üanLa storia della spilla, in 48 atti, è un tipico esempio del ch’uan ch’i. Poi venne la riforma del teatro, per opera dei già citati Liang Chenyu e Wei Liang-fu, che diede origine al K’un ch’ü intorno alla metà del sec. XVI. Capolavoro di questo teatro viene considerato un dramma, scritto durante la dinastia Ming da Tang Xianzu (sec. XVI-inizi XVII) e noto con due titoli: La storia dell'anima che ritorna o Il padiglione delle peonie. Altri autori del K’un ch’ü furono Juan ta-ch'eng (sec. XVI-XVII) con i suoi drammi La commedia dei dieci errori e La rondine che porta una lettera d’amore, e, nel successivo periodo Ch'ing (sec. XVII-XX), Hong Sheng (Il palazzo della lunga vita) e Kong Shansen (Il ventaglio dai fiori di pesco). Verso la metà dell'Ottocento, con il trionfo del Ching Hsi, la cui forma spettacolare è data dalle espressioni mimiche, dall'abilità del cantante e dalle acrobazie, mentre il libretto ne è solo un requisito accessorio, gli autori drammatici diminuirono, i drammi furono elaborati su temi già sfruttati, oppure opera di anonimi o di collettivi. Successivamente, sotto l'influenza della cultura e delle ideologie occidentali, nacquero opere nettamente in contrasto con la tradizione, essendo improntate a ideali sociali e politici dell'Occidente: La nuova Roma di Liang Qichao (sec. XIX-XX), Il grande problema della vita di Hu Shi (sec. XX), la Tempesta e L’alba di Cao Yu e Ch’ü Yüan di Guo Mosuo. A questi drammi fecero seguito, dal 1958, opere di contenuto rivoluzionario, come La fanciulla dai capelli bianchi, già rappresentata nel 1944, in piena guerra, e La montagna della tigre presa d’assalto. Ma fu nel 1964 che si pose il problema politico del testo, ossia l'esigenza di scrivere per il Ching Hsi un libretto che avesse sempre contenuto decisamente rivoluzionario. Negli anni successivi al 1966 comparvero nuove opere drammatiche o coreografiche (La lanterna rossa, Shachiapang, Il distaccamento femminile rosso), caratterizzate dall'ideologia di classe ed elaborate da collettivi. Questa situazione durò sino alla fine della rivoluzione culturale e alla condanna della cosiddetta “banda dei quattro” di cui faceva parte Jian Qing, la vedova di Mao, teorizzatrice del rinnovamento radicale dei repertori e dei modi di presentarli. Dal 1977 si tornarono così ad allestire spettacoli nelle forme tradizionali, privilegiando, insieme con i richiami all'orgoglio patriottico e con le tematiche politico-sociali, i valori del divertimento. Con gli anni Ottanta si cominciò a favorire l'attività di compagnie che cercavano di assimilare le lezioni del teatro occidentale nel ricco filone delle forme classiche, orientamento proseguito anche nei decenni successivi; a questo si affiancò, come detto, un filone più sperimentale, in cui si inserirono i lavori di artisti come Gao Xingjian, autore di Bus Stop, versione cinese di Aspettando Godot, e Wang Peigong. Tra le figure più interessanti del teatro contemporaneo va certamente inserito Mou Sen (n. 1963), a capo di una compagnia teatrale indipendente, il Garage Theater, e autore di Ling dang’an (1990;File zero), in cui la tagliente vena satirica è rivolta, velatamente e indirettamente, contro l'establishment. Mou Sen, come altri nuovi scrittori, ha saputo cogliere gli spazi lasciati dal nuovo corso della politica culturale cinese che ha sancito l'interruzione di molte sovvenzioni al teatro, meccanismo che lo ha reso, in definitiva, più “povero” ma più “libero”. Una delle rassegne più importanti nate alla fine del XX secolo è il Festival dell'opera tradizionale cinese, fondato nel 1988. Qui ogni anno arrivano le delegazioni provenienti dalle varie zone del Paese a presentare opere di generi diversi, dal teatro classico a quello di prosa, dall'opera lirica a quella per bambini.

Cultura: musica

Secondo la leggenda il sistema musicale cinese sarebbe stato concepito da Ling Lun (durante il regno del grande imperatore Huangdi, ca. 2700 a. C.), il quale stabilì l'huang-chung (campana gialla), nota fondamentale, di altezza assoluta rigorosamente stabilita. Su tale suono erano costruite le altre note per sovrapposizione successiva di quinte giuste, pervenendo così a un circolo delle quinte analogo a quello pitagorico. I primi cinque suoni della serie delle quinte costituiscono la base della musica cinese, dall'antichità ai nostri giorni. Continuando la serie fino al dodicesimo suono, si ottengono i dodici cinesi corrispondenti ai semitoni della scala cromatica, però tutti crescenti. L'antica teoria cinese prevedeva ancora successive sovrapposizioni per dar luogo a nuovi circoli, a loro volta raggruppabili in grandi cicli. In pratica i diversi suoni venivano ottenuti per suddivisione successiva di canne di bambù (liu): il rapporto di una canna con la successiva era alternatamente di 3/4 e 4/3. Collegata dall'imperatore Shunzhi (ca. 2250 a. C.) alla concezione cosmologica sviluppata nel IV millennio a. C. dal mitico imperatore Fu Xi, la musica divenne un importante elemento del rituale cinese: a ogni suono era attribuito un significato particolare e per poter cogliere appieno tutte le implicazioni sociali, umane e magiche veniva posta la massima cura nella ricerca di un'assoluta perfezione di intonazione e nella colorazione timbrica; un'importanza limitata e comunque rigidamente codificata era attribuita alla componente melodica e ritmica. Nella musica da camera e popolare, sviluppatasi parallelamente a quella rituale, melodie e ritmi furono invece ampiamente utilizzati e la stessa scala pentatonica fu parzialmente trasformata in eptatonica con l'aggiunta di altre note (pien), però di importanza assai minore rispetto alle altre cinque, almeno fino al sec. XIX. Ci furono anche tentativi di temperamento, il più importante dei quali si deve al principe Zhu Zaiyu nel 1596. Manca nella musica cinese tradizionale, e orientale in generale, la componente armonica, nel senso occidentale del termine: gli strumenti melodici e le voci procedevano all'unisono o all'ottava, però con ampie possibilità di ornamentazione (trilli, note di passaggio, arpeggi, ecc.). Non era considerata neppure la polifonia, anche se spesso si avevano, nei canti di lavoro o di festa, sovrapposizioni di più voci e bordoni. La musica da camera fu coltivata dai filosofi e poteva essere vocale o strumentale e nel suo ambito si sviluppò verso il sec. XIII una forma particolare di dramma scenico-musicale. La musica popolare era costituita essenzialmente dai canti contadini e artigiani e si esprimeva soprattutto nelle grandi feste organizzate dagli imperatori o dainobili locali. I vari tipi di musica erano eseguiti da appositi complessi e almeno dal sec. II a. C. agli inizi dell'attuale esistevano in Cina numerose orchestre con una specifica destinazione (orchestre rituali, da tavola, militari, trionfali ecc.). Il numero degli esecutori variava secondo il tipo dell'orchestra e gli interessi musicali delle singole dinastie regnanti: si hanno comunque notizie di orchestre rituali formate da oltre 150 esecutori. Gli strumenti utilizzati erano suddivisi in otto specie, secondo il materiale di cui erano composti: metallo (campane), pietra, seta (k’in o cetra a 5 o 7 corde; sse o cetra a 25 corde), bambù (flauti), legno, cuoio (tamburi), zucca, terracotta. Le orchestre che suonavano negli spettacoli teatrali erano costituite in prevalenza da viole a due corde (eul-hû), integrate da p’i-p’a (liuto piriforme a 4 corde), yue k’in (liuto a forma di luna), ti-tzu (flauto traverso a 8 fori), tamburi, gong, ecc. Assai variabile era la composizione dei complessi da camera: oltre ai già citati strumenti da teatro, anche cheng (cetra a ponticello mobile e con 16 corde di seta o di metallo), yang k’în (detto anche clavicembalo cinese, a 13 corde percosse), hou k’in (viola a 2 corde), san-hsien (liuto a 3 corde). Nel Novecento la millenaria tradizione musicale cinese, indagata da un lato da un'attenta ricerca filologica che ha anche iniziato il recupero del ricco patrimonio di musiche popolari, ha via via subito l'influsso di forme ed espressioni di derivazione occidentale. Dopo il rifiuto di tutto quanto fosse occidentale, rifiuto particolarmente acuto negli anni della Rivoluzione culturale, si è assistito a una progressiva apertura verso le esperienze musicali internazionali: tra gli autori contemporanei si possono ricordare Qu Xiaosong (n. 1952), Guo Wen Jing (n. 1956) e Tan Dun (n. 1957). Sebbene nato in Francia da genitori cinesi e oggi di passaporto statunitense, merita una menzione il violoncellista Yo Yo Ma (n. 1955), che ha applicato il suo straordinario virtuosismo tecnico alla sperimentazione delle più svariate esperienze della musica contemporanea.

Cultura: danza

Nella Cina arcaica la danza era presente nelle cerimonie cultuali, pantomime e rappresentazioni simboliche di fatti realmente accaduti. È subito evidente il carattere morale della danza cinese, presente già nel ballo di U-Wang, risalente al 1122 a. C., diviso in 6 parti ed eseguito da 64 danzatori. La tecnica assai complessa prescriveva la differenziazione dei ruoli maschili (shen) e femminili (tan): nei primi, i passi e i movimenti sono brevi e decisi, nei secondi, lievi e ondeggianti. Allegoria, significato etico e uso della mimica sono gli aspetti caratteristici del dramma danzato cinese, pervaso di significati psicologici e morali. Oggi il teatro di danza cinese è noto in tutto il mondo grazie alle grandi compagnie dell'Opera di Pechino e del Teatro di Liaoning, con il loro repertorio di danze popolari, di cui le più note e suggestive sono: la danza del loto, notissima nella Cina centrale, che rievoca la gioventù e la bellezza, raffigurando la pace e la felicità; la danza dei nastri rossi, diffusa in tutta la Cina, rappresentazione della felicità e della sicurezza del popolo vittorioso; la folcloristica danza della spada; la danza degli Ouigours, danza folcloristica della regione del Xinjiang, ricca di colore locale; la raccolta del tè e caccia alle farfalle, danza popolare della provincia di Fujian, evocante la gioia del popolo laborioso e la sua vita felice. Nel più recente repertorio spicca il balletto, a tema rivoluzionario contemporaneo, Il distaccamento femminile rosso, il cui debutto avvenne nel 1964, ma che, al di là dell'anteprima cinematografica del 1971 alla Biennale di Venezia, è arrivato in Europa solo nel 2003. Tra gli appuntamenti più importanti dello scenario nazionale il Beijing International Dance Festival, kermesse a cui partecipano compagnie provenienti da tutto il mondo.

Cultua: cinema. Dalle origini alla Rivoluzione culturale

Le dianying, ovvero “ombre elettriche”, apparvero in Cina nel 1896: un documentario Lumière nell'intermezzo di uno spettacolo di varietà a Shanghai. A Pechino arrivarono più tardi, nel 1902. Il Paese si apriva come un grande mercato agli affaristi occidentali: uno spagnolo allestì la prima sala a Shanghai nel 1908, altri esercenti furono un portoghese e un italiano, i film proiettati dapprima francesi poi americani. Risale al 1905 il primo film cinese, un documentario sull'Opera di Pechino; al 1913 il primo film a soggetto, il mediometraggio Una coppia infelice dei pionieri Zhang Shichuan e Zheng Zhengqui. Negli anni Venti il cinema proliferò a Shanghai, che ne era la capitale, in modo esagerato e caotico: le nuove società nascevano al ritmo di due al mese, ma anche i fallimenti erano all'ordine del giorno. Si imitavano freneticamente i generi e gli attori stranieri; nelle produzioni in serie, di tipo storico o fantastico, prevalevano erotismo, soprannaturale, terrore. L'aggressione giapponese (1931) stimolò il patriottismo, mentre la politicizzazione degli intellettuali nella Lega degli scrittori di sinistra guidata da Lu Xun trasformò il cinema in uno strumento di denuncia civile e di lotta progressista. Il neorealismo cinese, nato in questo decennio all'epoca del Kuomintang, precede quello italiano e non gli è inferiore sul piano dei risultati artistici: è un grande capitolo della storia del cinema rimasto pressoché ignorato in Occidente e che merita di essere riscoperto. La ricerca disperata di un lavoro, l'umiliazione della donna, le crisi e gli entusiasmi della gioventù, la degradazione morale portata dagli stranieri e favorita da un regime corrotto, la resistenza ai Giapponesi e poi al Kuomintang: tali i temi svolti dai registi e dagli sceneggiatori cinesi prima della liberazione. In quindici anni di dura battaglia in una Cina sconvolta, la voce dei cineasti progressisti fu sempre presente. Gli storici cinesi dividono questo quindicennio in tre periodi: dal 1933 al 1937, che fu il momento dell'impatto con la realtà, delle forti denunce sociali, della rivelazione di combattivi sceneggiatori (Xia Yan, Tian Han, Hong Shen), di registi di talento (Cai Chusheng, Yuan Muzhi) e di film quali Corrente impetuosa, Il baco da seta di primavera, La canzone del pescatore, La disgrazia di essere laureato, Crocevia, Gli angeli della strada, Donne nuove; dal 1938 al 1945, in cui predominarono i temi della resistenza armata antigiapponese (La Grande Muraglia di Shi Dongshan, Uragano alla frontiera di Ying Yunwei, Figli e figlie della Cina di Shen Xiling); dal 1946 al 1949, in cui si ricreò, ma stavolta in diretta funzione anti-Kuomintang, un fronte progressista con i registi Cai Chusheng, Yang Hansheng, Shi Dongshan e gli attori Bai Yang e Zhao Dan, e uscirono le opere più complete: Il fiume di primavera scende verso l'Est, Ottomila “li” di nuvole e di luna, La luce di mille focolari, Il corvo e i passeri, quest'ultimo terminato dopo la liberazione di Shanghai. Gli storici fanno anche nascere il cinema della Repubblica Popolare da quello impostato a Yenan dall'VIII armata (con la prima cinepresa donata da J. Ivens a nome dei progressisti americani) e organizzato durante la guerra da Yuan Muzhi. È un cinema nato dal documentario militante. I primi suoi successi – Figlie della Cina premiato a Karlovy Vary nel 1950, La fanciulla dai capelli bianchi, Liang Shanbo, a colori, e Zhu Yingtai – favorirono una diffusione esaltante dello spettacolo cinematografico, ma resero ogni anno più serio il problema delle scelte qualitative e ideologiche. Evocando il cammino rivoluzionario, i film della nuova Cina raggiunsero risultati eccellenti, anche se spesso ricalcando gli stessi schemi celebrativi. Negli anni Cinquanta si ebbe soprattutto presente il modello sovietico, e non sempre con effetti accettabili. Tra i film migliori: La lettera con le piume, Il sacrificio di Capodanno, La madre, Nuova storia di un vecchio soldato, La tempesta (gli ultimi due dovuti a registi veterani). Anche Cai Chusheng, presidente dell'Unione dei cineasti, tornò alla regia con gli anni Sessanta, ma presto esplose la Rivoluzione culturale che bloccò e condannò gli indirizzi della vecchia generazione: la stessa produzione di lungometraggi a soggetto fu interrotta per diversi anni. Un film come La linea di demarcazione (1964) anticipava anche nel titolo la dura lotta ideologica che contrapponeva al vecchio progressismo intellettuale, ritenuto “aristocratico e individualista” nel sostenere un'arte “del popolo intero”, la linea di classe che voleva un cinema “al servizio della dittatura del proletariato”. Non si salvò nemmeno la figura del regista, ridimensionata a favore del “collettivo”, e ci si affidò ai soggetti già elaborati dal teatro, soprattutto dall'Opera di Pechino. Uscirono così film-balletto, come per esempio Il distaccamento femminile rosso, giunto alla Mostra di Venezia nel 1971. Poi si rifecero vecchi film in una prospettiva nuova. Infine si ammisero soggetti scritti direttamente per il cinema ma influenzati dalla “lotta fra le due linee” (rivoluzionaria e revisionista). Tra il 1974 e il 1976 la produzione si stabilizzò sui sei o sette film annuali: alcuni di essi anche notevoli, come I pionieri (1975) di Yu Yanfu, presentato alla Mostra di Pesaro del 1978, sullo stesso tema della battaglia per il petrolio nel Nord-Est trattato in un capitolo di Come Yukong rimosse le montagne (1973-75), il documentario di undici ore di J. Ivens.

Cultura: cinema. L’evoluzione della cinematografia

Dalla fine del 1976 si è aperto anche nel cinema un nuovo periodo di liberalizzazione (sotto la spinta dei “generi” americani) e di modernizzazione (per l'effetto dell'evoluzione delle tecniche televisive). Buona parte della produzione è occupata dal “melodramma socialista”, che sotto gli schemi convenzionali rivela spesso la crisi di una società che muta. Tra le altre, spiccano due opere molto eloquenti anche sul piano politico del regista Xie Jin (1923-2008): Giovinezza (1977), sulla duplice rieducazione di una ex guardia rossa sordomuta, e La leggenda del monte Tianyun (1980-81). Altri interessanti film del periodo sono: Tornano le rondini (1980) di Fu Jinggong, presentato al festival di Berlino, Acero (1980) di Zhang Yi, Vicini (1982) di Zheng Dongtian e Xu Guming e Un uomo irremovibile (1984) di Wen Yan. Tra i registi che si fanno conoscere e apprezzare maggiormente in Occidente sono da ricordare: Zhang Yimou, Orso d'oro a Berlino con Sorgo rosso (1987), Leone d'argento a Venezia con Lanterne rosse (1991), Leone d'oro con La storia di Qiu Ju (1992), premio speciale della giuria di Cannes con Vivere! (1994), e Chen Kaige, Palma d'oro a Cannes con Addio mia concubina (1993). Tra la fine degli anni Ottanta e l'inizio degli anni Novanta il cinema cinese vive un suo ulteriore sviluppo. Ma la creatività degli autori si scontra con la censura politica, inaspritasi agli inizi degli anni Novanta. Il conflitto con i cineasti nasce dalla forte preoccupazione da parte delle burocrazie censorie di perdere il controllo in un Paese dove a un dinamico sviluppo economico non segue un cambiamento culturale e politico. Tale repressione culmina tra il 1994 e il 1995 con la proclamazione di una “lista nera” che comprende i maggiori cineasti cinesi tra cui Zhang Yimou, accusati tutti di scarso patriottismo. In questo panorama vengono bloccati dalle autorità politiche film come Shangai Triad (1994) dello stesso Zhang Yimou, che aveva ottenuto il premio speciale della giuria di Cannes, e Tomba di fiori (1994) di Chen Kaige. Alla fine degli anni Novanta il rapporto fra questi due cineasti cardine e il potere evolve ulteriormente: Chen Kaige gira L’imperatore e l’assassino (1999), kolossal sottilmente critico girato in costume; Zhang Yimou prosegue invece la sua analisi della Cina contemporanea, prima con il più sperimentale Keep Cool (1998), poi con Non uno di meno (1999), film dedicato al problema della scolarizzazione, realizzato con il pieno appoggio del governo e premiato con il Leone d'Oro a Venezia, e infine con The Road Home, Orso d'argento al Festival del cinema di Berlino nel 2000. Tra le opere più importanti degli anni Duemila vi sono, di Chen Kaige, Together (2002) e The Promise (2005), mentre Zhang Yimou ha diretto, tra gli altri, La foresta dei pugnali volanti (2004) e La città proibita (2006). Accanto a Zhang Yuan, già autore dell'interessante East Palace, West Palace (1997) e poi di Diciassette anni (1999), film provocatorio di cui l'Italia è stata co-produttrice e La guerra dei fiori rossi (2006), premiato a Berlino, fra i giovani cineasti della “sesta generazione” vanno ricordarti Feng Yan (Sogni del Chengjang, 1997) e Keng Feng (Chi ha visto “Il giorno degli animali selvaggi”?, 1997). Da segnalare ancora la scoperta più recente del cinema cinese, Jia Zhangke (n. 1970), vincitore del Festival di Venezia nel 2006 con Still Life. Di matrice più commerciale e hollywoodiana il cinema di autori come John Woo (n. 1946), peraltro apprezzato dal pubblico internazionale per film quali Face Off (1997) e Paycheck (2003). Fra le star del cinema cinese vanno invece almeno ricordate la splendida Gong Li, musa prima di Zhang Yimou poi di Chen Kaige, e Joan Chen, scoperta da Bertolucci in L’ultimo imperatore (1987) e successivamente attiva nel cinema statunitense e Zhang Ziyi (n. 1979), interprete di La Tigre e il Dragone (2000), del già citato La foresta dei pugnali volanti (2004) e di Memorie di una geisha (2005). Nel panorama internazionale è sicuramente il Festival di Berlino uno dei più grandi estimatori del cinema cinese: nel 2007 conferisce lʼOrso dʼOro al film Il matrimonio di Tuya di Wang Quanʼan e nel 2014 replica con il film Fuochi dʼartificio in pieno giorno di Yinan Diao.

Cultura: religione

La religione nazionale cinese – o forse meglio le religioni, con riferimento alle diverse dinastie – si fonda essenzialmente sul culto degli antenati e sulla concezione di una sovranità sacrale, personificata sul piano divino da un Essere Supremo e sul piano umano dalla dinastia regnante. Sono questi i fondamenti che sorreggono la più antica formazione politica (dinastia Shang) e, sia pure con inevitabili mutamenti formali, quelle che la seguirono nel corso dei secoli. L'Essere Supremo sotto gli Shang era detto Ti (dominatore) o Shang-ti, forse dominatore supremo o forse semplicemente dominatore Shang, ossia quasi antenato della dinastia Shang, e comunque messo in relazione nominale con la casa regnante. In questa fase, culto degli antenati e culto dell'Essere Supremo (Ti) sono intimamente solidali: la concezione di Ti personifica la regalità Shang e gli antenati, oggetto di culto pubblico, sono quelli della famiglia Shang. È in vista di tale solidarietà che Ti può apparire “antenato” degli Shang. Si tratterebbe di un antenato mitico, comunque, con un modo d'essere differenziato da quello degli antenati reali: l'uno è perpetuamente presente, come chi non sia mai morto o non abbia avuto bisogno di morire per acquistare potere sovrumano; gli altri sono solo temporaneamente presenti, dal momento della morte che conferisce loro poteri sovrumani fino a quando non vengono rimpiazzati dai morti più recenti. Ciò in rispondenza a due diverse funzioni: l'uno è perpetuo come perpetua deve essere concepita la regalità, mentre gli altri, pur assicurando la continuità della stirpe regale, debbono adattarsi all'avvicendamento delle persone fisiche che tale stirpe rappresentano nel divenire storico. Gli antenati, soprattutto, poi Ti e, in minore misura, altri esseri extraumani (personificazioni degli “elementi” costitutivi dell'universo) dirigevano l'azione umana mediante responsi oracolari, che sono la principale se non l'unica documentazione della più antica religione cinese. Si tratta degli “ossi” di Anyang (gli scavi dell'antica capitale della dinastia Shang, iniziati nel 1928, ne hanno portati alla luce ca. 200.000): si poneva una domanda, a volte per iscritto sull'osso; poi si metteva l'osso (o un guscio di tartaruga) a contatto con il fuoco che vi produceva sopra delle fenditure che venivano “lette” e interpretate come responso oracolare. La lettura, il modo o codice di lettura, le iscrizioni stesse (la più antica scrittura cinese!) ci danno conto di un elaborato simbolismo che, di per sé, a prescindere dalle specifiche concezioni religiose, costituisce uno dei caratteri salienti della religione cinese. È in questo simbolismo che si personificano anche gli elementi costitutivi dell'universo (acqua, aria, terra, fuoco) nelle loro molteplici manifestazioni, senza peraltro diventare vere e proprie divinità, ma restando quasi come “segni” o “simboli” rinvianti a realtà d'altro ordine. Vale a dire: il sistema di cui gli dei cinesi fanno parte non è contenibile in un pantheon, come accade per le vere religioni politeistiche, ma è piuttosto un'armonia universale. Un esempio: l'elemento cosmico “terra” acquista una dimensione divina con il dio-Suolo, ma questo dio non è uno e uguale per tutti i cinesi: c'è infatti un dio-Suolo venerato dal re con riferimento al territorio del regno; ci sono gli dei-Suolo venerati dai feudatari con riferimento ai rispettivi feudi; e infine gli dei-Suolo venerati dai contadini, rispondenti ciascuno a un particolare campo. In questa ideologia la prosperità dei campi non è tanto affidata a un dio del suolo, che altrimenti sarebbe unico per tutti, quanto all'armonia del sistema sociale facente capo al monarca: la presenza di uguali dei-Suolo ai diversi livelli e nelle diverse situazioni assicura invece che l'inevitabile pluralità costituente il sistema non comporti discordanza. In tal senso il dio-Suolo, più che una divinità al modo delle religioni politeistiche, è un simbolo, o punto di riferimento, della cosmologia cinese. § Dove le divinità sono simboli anche le azioni di culto diventano simboliche. E i riti oltrepassano la pratica cultuale per investire tutto il comportamento: ogni gesto è ritualizzato; è un “segno” che non può essere espresso altrimenti, pena la morte civile. Un gesto sbagliato è come una parola sbagliata: non servirebbe a farsi comprendere; e chi è incompreso è rifiutato. Ora, ciò che è ovvio, in astratto, per ogni tipo di associazione umana, diventa religiosamente significativo nella cultura cinese, tanto da costituirne una caratteristica dominante. Lo stesso messaggio di Confucio, il fondatore del confucianesimo che con il taoismo costituisce la fase “moderna” della religione cinese, non è in fondo che un corpo di norme di comportamento (li), seguendo le quali l'uomo può inserirsi nell'armonia dell'universo, superando così i limiti della propria effimera esistenza terrena. § Culto degli antenati, simbolismo e ritualità del comportamento sono i principi informatori della religione cinese, dalla sua più antica documentazione (sec. XIV a. C.) al confucianesimo (sec. V a. C.) e oltre. Sono questi principi che la caratterizzano al di là delle forme contingenti che cambiano con il passare del tempo. Muta il nome, e forse il concetto di Ti, l'Essere Supremo, che con la dinastia Chou (dal sec. XI a. C.) perde i caratteri ancestrali che lo legavano alla dinastia precedente, per diventare decisamente un dio-Cielo (T'ien); mutano i nomi delle divinità-simbolo, mutano gli stessi simboli con il costituirsi e l'organizzarsi del simbolismo del yang e yin che porta a una concezione dualistica dell'universo; nasce il confucianesimo, nasce, quasi contemporaneamente, il taoismo, la religione fondata da Lo Zi che, anche se con metodi diversi e in polemica con Confucio, persegue gli stessi fini confuciani di armonizzare il comportamento umano con il corso (tao) dell'universo. Al di là delle differenze d'espressione, si trattava dunque di una struttura conchiusa, appunto di un “universo”, che era poi lo stesso impero cinese “conchiuso” anch'esso, e non soltanto simbolicamente, dalla Grande Muraglia iniziata durante la dinastia Ch'in (fine del sec. III a. C.). Con lo sfaldamento di questo “universo” (rivolte delle classi soggette, antagonismo tra i rappresentanti delle classi dominanti) si favorisce la penetrazione di una religione estranea al sistema: il buddhismo, proveniente dall'India. Quando, alla fine del sec. VI, si ricostituirà l'impero nazionale cinese, la Cina sarà il “Paese delle tre religioni”, conviventi e funzionanti su piani diversi: il confucianesimo per la salvezza dello Stato, il taoismo per la salvezza mondana dell'individuo e il buddhismo per la salvezza extramondana. La distinzione fra le tre salvezze ha condotto la Cina a un'estrema tolleranza religiosa che, con il procedere del tempo, si è fatta “indifferenza”, almeno dal punto di vista culturale. La cultura cinese si è andata laicizzando, il confucianesimo è diventato poco più che un sistema educativo nazionale, il taoismo e lo stesso buddhismo sono scesi al livello della religiosità popolare, confondendosi spesso con manifestazioni folcloristiche.

Cultura: filosofia

Fu durante il periodo meno conosciuto della storia della Cina che il pensiero filosofico ebbe il massimo sviluppo. Nei sec. V-III a. C., descritti dagli storici indigeni come un tempo di anarchia e che invece vanno considerati come uno dei più grandi momenti della civiltà cinese, i mutamenti politici, che dovevano portare la Cina da un regime feudale alla fondazione di una nazione e quindi alla creazione di uno Stato, resero possibile una nuova, radicale considerazione dei destini collettivi e individuali, dei ranghi, delle eredità del passato, delle tradizioni stesse e dei costumi. Vennero così attinti da ogni parte (persino dai barbari) tecniche, idee, simboli, modi di agire: poiché tutto mutava e tutti volevano innovare. I despoti e i signori, soprattutto gli egemoni che miravano a fondare un impero che continuasse, per prestigio, le grandi dinastie del passato, accoglievano i detentori di tecniche, gli inventori di stratagemmi, i consiglieri illuminati, i possessori di ricette. E fu appunto in questo periodo che corporazioni, sette, “scuole” (hia) pullularono. In una situazione per un certo verso analoga a quella della Grecia tra il sec. V e il III a. C., quando si fondò l'insegnamento della Politica e della Morale, in Cina si ebbe il sorgere di una grande quantità di scuole, ognuna detentrice di un “sapere pratico” (dialettico e politico, oppure mistico e sapienziale) che spingeva all'azione sociale o consigliava di abbandonarsi alla natura, ma che in ogni caso tendeva a plasmare nuove personalità, a “creare” l'uomo nuovo (soprattutto il principe, l'“autorità” destinata a governare sugli uomini e sulla natura). Di questo pullulare di scuole non si sa molto; sarebbe infatti vano cercare di tracciare nei particolari la storia delle idee, cioè le linee fondamentali del pensiero filosofico cinese, in questa epoca di grande fecondità. Infatti, quando Shi Huangdi fondò nel sec. III a. C. l'unità imperiale volle distruggere il ricordo delle età feudali e fece bruciare i “Discorsi delle Cento Scuole” (cento è un totale che vuole dire “tutte”), per cui della maggior parte dei maestri celebri non sussistono che il nome od opere chiaramente apocrife. D'altra parte anche le poche opere, autentiche soltanto in parte, che si sono conservate e che risalgono ai secoli successivi non contengono mai un'esposizione dogmatica, una storia delle scuole e delle idee che vi erano insegnate, per cui di molti pensatori non si conosce che quanto viene detto dai loro avversari. Va inoltre precisato che in Cina i maestri non cercavano tanto di dare prova di originalità dottrinale quanto di far risaltare l'efficacia dell'insegnamento da essi preconizzato: insegnavano cioè una “saggezza” e non una “dottrina”; Confucio, per esempio, si esprimeva per mezze parole e Zhuangzi per parabole. E proprio in Confucio e in Zhuangzi (più che in Lao-Zi, il preteso autore del Tao-te-ching) si possono indicare i massimi esponenti delle due fondamentali e divergenti tendenze filosofiche della Cina: la prima positiva e pratica, quella dei “letterati”; la seconda metafisica e soprattutto mistica, quella dei “taoisti”. I letterati (Ji) studiavano i Cinque classici e il Cerimoniale, approfondivano le responsabilità sociali, il rispetto delle gerarchie, la pratica delle grandi virtù umane; i taoisti professavano l'unione con il Principio (tao), ostentavano il disprezzo delle convenzioni, predicando il ritorno allo “stato di natura”. E furono proprio queste due opposte tendenze a consolidare l'inscindibile sodalizio tra pensiero religioso e pensiero filosofico che di fatto caratterizza tutta la mentalità cinese. È infatti arbitrario voler discriminare tra elementi religiosi ed elementi speculativi sia per il confucianesimo sia per il taoismo: entrambi sono infatti a un tempo religioni e filosofie, propongono cioè una completa, unitaria “visione del mondo” in conformità con le norme insegnate da ogni scuola che sostengono innanzi tutto la necessità di una ricerca “totale”. Confucio fu non solo il più famoso ma anche uno dei primi maestri itineranti che andavano da una signoria all'altra per offrire il loro sapere ai capi delle grandi casate. La tradizione vuole che egli sia nato nel principato di Lu nel 551 a. C. e sia morto nel 479 a. C., ma queste date sono del tutto incerte poiché non si ha altra testimonianza che quella dello storico Sima Guang (145-86 a. C.). L'insegnamento di Confucio è noto attraverso il Lun-yü (Dialoghi) che risale all'inizio del sec. IV a. C. Egli infatti non lasciò nessuno scritto e per quanto gli venga attribuita la pubblicazione dei Cinque classici si è soltanto certi che egli li fornì di un commento. La sua massima infatti era: “io trasmetto, e non invento”. Il fondamento della sua dottrina consisteva nell'insegnare l'inderogabile necessità di acquisire una conoscenza perfetta della natura delle cose, una scienza che permettesse di agire con equità (ji) e in ogni circostanza, cercando soprattutto di approfondire il significato dei riti (li). Di qui, per conoscere i comportamenti propri a ogni circostanza, l'importanza attribuita al fatto di “saper mettere in accordo la realtà con i termini che la designano”. Per governare una signoria, insegnava Confucio, “è necessario in primo luogo rendere corrette le denominazioni (cheng ming)”. Equità, senso del rituale, bontà nel senso di “simpatia umana, benevolenza” (jen) sono i termini chiave, le formule principali del suo insegnamento: jen infatti è una virtù particolare che crea intorno a sé ordine e armonia, è una virtù sociale che implica un senso elevato delle reciprocità, dei doveri comunitari tra gli uomini. Quello che è vero per Confucio, cioè il richiamarsi a concetti determinati, a formule facilmente memorizzabili, è vero per tutti i pensatori cinesi, soprattutto fino al periodo Wei (sec. III d. C.), per tutti quei fondatori di scuole che hanno appunto fornito le basi della speculazione non solo filosofica e politica, ma medica e scientifica (calcolo, tecnica delle costruzioni, astronomia, ecc.). Tra essi vanno menzionati quali veri fondatori della riflessione filosofica che ha alimentato il pensiero cinese delle età successive: Mozu (479-381 a. C.), i cui concetti fondamentali sono l'“uniformità” (t’ong), ricordata dalla frase “se il capo dice sì, tutti dicono sì, se dice no, tutti dicono no”, e l'“amore”, inteso come abbracciante l'universalità degli esseri, che trova la sua applicazione nel detto “chi avvantaggia gli altri è necessariamente avvantaggiato dagli altri”; Mencio (sec. IV a. C.), seguace di Confucio, che affermava: “il grande uomo (ta jen) è colui che non ha perduto il suo cuore di neonato”, sostenendo che vi è nell'amore (jen) un ordine che le relazioni sociali traducono nella società; Hun-zi (sec. III a. C.), in grande polemica con Mencio, e che dichiarava: “la natura umana è cattiva; quanto vi è di buono è artificiale” (massima che non va intesa in senso pessimistico, perché essa vuole dire che il bene è un apporto indispensabile, un “perfezionamento”). Va precisato che sia Mozu sia Hun-zi e principalmente Mencio contribuirono in modo risolutivo all'affermarsi della “scuola dei letterati” che costituì del resto il proprio “canone” soltanto all'epoca Sung (sec. X-XIII) quando vennero raggruppati con il titolo di Quattro libri i Dialoghi di Confucio, il Libro di Mencio e due brevi trattati che facevano parte del Cerimoniale: L’invariabile centro e La grande scienza. Continuando a elencare i più grandi pensatori, vanno citati: Yang Zhu (sec. IV a. C.), il primo dei maestri taoisti, la cui massima era: “ciascuno per sé” (da intendere come la più forte presa di posizione contro le teorie sociali sostenute dai confuciani); Chuang-tzu o meglio l'autore della raccolta omonima che costituisce senza dubbio il più bel testo dell'intera letteratura cinese e forse anche il più originale. Esso fa parte con il Tao-te-ching e con una raccolta composita, il Lie-tse, terminata nei primi secoli dell'era cristiana, del “canone” taoista che comprende tutto il fondamento dottrinale di quello che è stato definito “primo taoismo” o “taoismo filosofico” in opposizione con il “neotaoismo” sviluppatosi a partire dal sec. I-II d. C. e che si costituì in religione organizzata. Vanno ricordati anche i pensatori di altre due scuole, che hanno avuto un'importanza capitale nella creazione del vocabolario di base dell'intera speculazione cinese: la scuola dei dialettici o logici (Ming Chia) e la scuola dei legalisti (Fa Chia). Della scuola dei dialettici, le principali personalità sono Gongsun Long e Hui Shi (entrambi del sec. III a. C.); di loro non si conoscono che le citazioni fatte dai loro avversari, dalle quali risulta il grande ruolo avuto dalle loro ricerche intorno al senso del linguaggio, quindi alla precisazione delle “denominazioni corrette” (in polemica, ancora una volta, con le scuole confuciane). Della scuola dei legalisti si conoscono principalmente due testi, il libro di Hanfeizi e il Shang Tzu (sec. IV-III a. C.), che sviluppano una “teoria dello Stato” basata sull'applicazione della forza politica e anche militare quale strumento della “legge” (fa), nozione che essi contrappongono a quella dei riti (li) sostenuta principalmente dall'insegnamento dei confuciani. Le scuole confuciana, taoista, dei logici e dei legalisti hanno rappresentato le quattro principali, ma non certo uniche, correnti che hanno reso possibile, nelle epoche posteriori al sec. III d. C., l'immensa “scolastica” avutasi in Cina fino al sec. XVIII. Ma accanto a quelle scuole, che rappresentano di fatto il vero pensiero filosofico cinese, molte altre sono fiorite: basti ricordare, tra le più importanti, la scuola dei naturalisti (Yin-Yang Chia) con le speculazioni di Zou Yan (sec. IV a. C.) sui cinque elementi. Soltanto tali scuole inglobano, come del resto il taoismo, il grande insieme di pratiche divinatorie, alchimistiche, combinatorie, che costituiscono l'immenso patrimonio, o ricettario, proprio del mondo cinese; tanto che si potrebbe sostenere che l'intera speculazione cinese è caratterizzata da una costante oscillazione tra “dottrine politiche” e “dottrine magiche”, come si può desumere, per esempio, dall'opera di un filosofo “scettico” del sec. I d. C., Wang Chong, la cui opera è preziosa appunto per ricostruire questa oscillazione. Una svolta molto importante si ebbe solo vari secoli dopo l'ingresso del buddhismo in Cina, poiché esso influenzò sia la logica sia la mistica (si vedano le speculazioni Ch'an, note come zen, che hanno avuto il loro apogeo tra i sec. VII e X). Mentre nei secoli successivi, e fino a tutta l'epoca moderna, la scuola più caratteristica, e in un certo senso abbastanza innovatrice, è quella che si suole designare come “neoconfuciana” e che ha in Zhu Xi e in Lu Xiangshan (entrambi del sec. XII) i due più importanti rappresentanti e in Wang Yangming (sec. XV-XVI) il più originale continuatore. A partire dal 1600 la filosofia cinese ha accentuato gli elementi di erudizione filologica e incominciato ad assimilare le dottrine occidentali, soprattutto scientifiche (è del 1607 la traduzione in cinese degli Elementi di Euclide), ordinando così l'intero patrimonio culturale del passato e aprendosi contemporaneamente all'Occidente.

Cultura: scienza

Per scienza cinese si intende generalmente soltanto il corredo tradizionale proprio della civiltà cinese prima dell'incontro con il mondo occidentale e in quest'accezione si userà il termine nella presente voce, anche se l'apporto che può essere dato alla vita dell'uomo e allo sviluppo della società dalle concezioni generali o dalle peculiari scoperte tipiche della tradizione scientifica cinese è stato notevolmente rivalutato, tanto che è possibile dire che nella Cina di oggi la “scienza moderna”, nel suo duplice aspetto di progresso tecnologico e di interpretazione teorica della realtà, è assai più “cinese” di quanto fosse alcuni anni fa, cioè prima della Rivoluzione culturale. La scienza cinese tradizionale rifletté nelle sue caratteristiche fondamentali i caratteri tipici della civiltà e della società cinese: si trattò cioè di una scienza eminentemente pratica, legata ai bisogni di quella che fu la più grande civiltà agricola della storia, spesso profondamente orientata nei suoi scopi dalle esigenze della classe dirigente burocratica feudale, e fu quindi ricca soprattutto nel settore pratico della tecnologia. § Per tutte le scoperte effettuate dai cinesi è difficile individuare il nome di singoli inventori in quanto le strutture sociali cinesi lasciavano largamente a personale di tipo subalterno, artigiani ed esecutori, i compiti propriamente tecnologici, mentre riservavano agli uomini più colti i compiti organizzativi. Le scoperte tecnologiche quindi non derivavano da ricerche teoriche e sperimentali individuali, bensì da un lento accumularsi di piccoli perfezionamenti attuati da larghi gruppi impegnati nel lavoro. In qualche caso tuttavia, soprattutto quando le scoperte potevano avere un rilievo militare o economico notevole, funzionari statali e uomini di cultura partecipavano all'organizzazione oltre che allo sviluppo delle ricerche e i loro nomi ci sono stati tramandati dalla storia. § L'alchimia cinese, anche se fu come quella dell'Europa medievale strettamente connessa alla magia, portò a una serie di scoperte tecnologiche superiori a quelle compiute contemporaneamente in Occidente, per esempio l'elevatissimo livello della tecnica della fusione del bronzo raggiunto sotto la dinastia Shang (sec. XVI-XI a. C.) e di quello della fusione del ferro (sec. VII e VI a. C.). Questa diede decisivo impulso non solo alle arti della guerra ma alla possibilità di dissodare le terre della valle dello Chang Jiang, da allora gradualmente assurta a centro dell'economia agricola cinese. Del pari i cinesi conobbero fino dalla dinastia Han (206 a. C.-220 d. C.) le proprietà del mercurio nel formare le amalgame, oltre alle tecniche per ottenere una serie di metalli non ferrosi dai minerali. Sempre all'aspetto tecnologico dell'alchimia si devono far risalire tanto l'invenzione della carta all'inizio del sec. II d. C. (a opera di un funzionario, Cai Lun) quanto l'infinita varietà di tecniche per fabbricare gli inchiostri, sia da vegetali sia da composti del mercurio, e specialmente il grande vanto dell'arte e della tecnica cinesi: la scoperta della stampa, dapprima a caratteri fissi di legno nel sec. VI d. C., poi dopo l'XI a caratteri mobili, in legno o in maiolica (questi ultimi dovuti a un artigiano, Bi Sheng, vissuto sotto la dinastia Sung) con il conseguente sviluppo dell'arte tipografica in cui tuttora i cinesi eccellono. Legato all'alchimia è un altro ramo delle tecniche e della scienza tradizionali, l'agronomia, nella quale emergono più che altrove i vantaggi del metodo empirico della scienza cinese: nei procedimenti di concimazione, infatti, i cinesi rimasero maestri fino a che la chimica moderna pose in vantaggio i Paesi occidentali. Dalle fermentazioni alla scelta dei terreni, alla qualificazione dei diversi tipi di limo e diacqua, alla scelta e all'alternanza delle colture, i Cinesi accumularono nella loro millenaria esperienza un corredo di conoscenze che furono compendiate verso il 1600 in una grande enciclopedia da Song Yingxing e poi da Xu Guangqi. Né si devono dimenticare gli aspetti tecnologici e scientifici della lavorazione della ceramica e del caolino. Sempre l'alchimia cinese giunse, attorno ai sec. IX-X, all'invenzione della polvere pirica, applicata due secoli dopo all'artiglieria per il lancio di palle di pietra. Un altro settore tecnologico che ebbe enorme importanza nella Cina antica fu quello dell'idraulica: la canalizzazione della Cina, la costruzione nel sec. VI del grande Canale Imperiale, progettato e realizzato da Yuwen Khai e Ken Hsun sotto la dinastia Sui, dopo che da un millennio circa erano stati costruiti numerosi collettori per irrigazione e trasporto, in modo da servire regioni grandi come l'Italia settentrionale, la scoperta dei principi idraulici del funzionamento di chiuse di tipo “leonardesco” fin dalla dinastia Han e l'invenzione di una serie di sistemi particolari per proporzionare il flusso irriguo alle esigenze della risicoltura portarono la Cina in testa a tutti gli altri popoli fino agli ultimi due o tre secoli. In questo campo le storie hanno tramandato i nomi di funzionari-costruttori che furono anche quelli che oggi chiameremmo grandi ingegneri idraulici, come Li Ping, Zheng Guo e Shih Lu che lavorarono nel periodo precedente la dinastia Han a determinare il tracciato ottimale di canali che tuttora irrigano vaste regioni. E ancora va ricordato che i cinesi furono i primi a costruire fin dal sec. VI eleganti ponti a una sola ampia gittata a opera dell'ingegnere e architetto Li Ch'un. Un'enciclopedia che costituisce un compendio di tutte le tecniche costruttive degli edifici e delle opere pubbliche fu redatta durante la dinastia Sung da Li Cheng con il titolo di Trattato dell’arte architettonica. § Anche nel campo delle scienze esatte, l'interesse dei cinesi ebbe soprattutto scopi pratici. L'astronomia raggiunse notevoli risultati soprattutto dal punto di vista descrittivo, ma fu ispirata più che altro dalla necessità di determinare il calendario a scopo agricolo; i cinesi seppero calcolare con precisione il periodo di rivoluzione del Sole e dei pianeti e stabilirono per primi il ritmo della precessione degli equinozi, tuttavia non arrivarono alle generalizzazioni teorico-geometriche dell'astronomia araba o greca. In campo matematico, i cinesi furono grandi computatori e grandi misuratori; prima di ogni altro popolo ebbero dimestichezza con i grandi numeri, con 10 elevato ad alto esponente (l'entità del loro Paese imponeva calcoli di grandi quantità), usarono i numeri negativi e positivi fin dal sec. III e giunsero a determinare il valore del p approssimandolo in 355/113 nel sec. V d. C. a opera dell'astronomo e matematico Zu Chongahi. Inventarono strumenti di calcolo, come le asticciole di bambù o l'abaco, oppure grandi strumenti in muratura per calcoli geodetici, e portarono a notevole grado di perfezionamento l'agrimensura per scopi economici e fiscali. Anche nella stesura di carte geografiche i cinesi raggiunsero presto un alto livello esecutivo e, avendo scoperto le proprietà del magnete fin dal sec. III, attorno al sec. XI ne applicarono i principi alla bussola per la navigazione. Cinese fu anche il primo sismografo, costruito da Zhang Heng nel 132. § Di notevole interesse è la medicina tradizionale per l'intrinseca fusione dei principi filosofici cinesi del microcosmo e del macrocosmo, dei “cinque elementi” (fuoco, metallo, acqua, legno, terra) e del yang e yin con le teorie fisiologiche e terapeutiche. Infatti, non potendo basarsi su un'anatomia scientifica, in quanto motivi etici imposero il bando alle dissezioni in tutta la storia della Cina salvo che durante il breve regno dell'imperatore Wang Mang (8-23 d. C.), i cinesi elaborarono teorie empiriche fondate su una serie di “corrispondenze” tra gli organi conosciuti, di cui cinque erano classificati come principali (cuore, fegato, polmone, milza e rene sinistro) e altri ritenuti secondari (stomaco, intestino tenue, colon, cistifellea e vescica), e gli elementi naturali, i pianeti, i punti cardinali, ecc. Nonostante queste limitazioni fondamentali, la medicina cinese, che ebbe anche cultori illustri e geniali, giunse in alcuni punti a un livello superiore alla medicina medievale europea e talvolta anche a quella rinascimentale: intuì e affermò, senza dimostrarla scientificamente, la circolazione del sangue ed elaborò una concezione empirica, ma riccamente sperimentata, dei riflessi. A quest'ultima si ricollega quello che fu il maggiore sistema terapeutico conosciuto dalla medicina cinese tradizionale e ora rivalutato: cioè l'agopuntura nelle sue varie formule, consistenti in stimolazioni locali del derma o dell'epidermide attraverso aghi d'oro, platino o altri metalli oppure coni di polvere di artemisia incendiati, secondo un complesso schema di corrispondenze con organi interni. Anche se queste terapie non ottenevano gli effetti molteplici e generali che a esse attribuiva la medicina tradizionale cinese, si è dimostrato che esse sono realmente efficaci in una serie di disfunzioni nervose, reumatiche, artritiche. Del pari largamente sviluppate erano le varie forme di idroterapia e tutte le arti tipicamente orientali, e forse importate dall'India, di controllo dei riflessi, dei muscoli e della respirazione. Nel campo della farmacologia vera e propria la scienza tradizionale cinese, che in questo settore era legata all'alchimia, ebbe un larghissimo corredo di conoscenze, testimoniato, tra l'altro, dal grande compendio che, sotto il nome tradizionale di P’en-tsao (Classificazione di alberi ed erbe), raccolse nel sec. XVI il maggior medico, botanico, agronomo cinese, Li Shizhen: la sua opera cita oltre 10.000 ricette e pratiche mediche, descrive nei minimi particolari e nelle loro proprietà erbe, prodotti animali e minerali. Da questo massimo documento della medicina tradizionale cinese, oggi al centro di una sistematica rivalutazione, e da altre opere più occasionali si nota come i cinesi conoscessero e applicassero a uso terapeutico i derivati del mercurio contro la sifilide, dell'arsenico contro le febbri intermittenti, della segale cornuta a scopo ginecologico, dell'olio di chaulmoogra contro la lebbra, delle cortecce di varie piante contro la malaria e del ferro contro l'anemia; mentre è più difficile valutare i limiti di efficacia delle pratiche di immunizzazione contro il vaiolo mediante primitive vaccinazioni. § La scienza cinese, che verso il sec. XIII (cioè nel periodo della massima espansione creativa delle forze sociali della civiltà cinese) aveva probabilmente raggiunto un livello di conoscenze superiore a quello dell'Europa medievale e dello stesso mondo arabo, successivamente non fu in grado per motivi filosofici, politici e sociali di operare quelle sintesi teoriche che nel mondo occidentale contrassegnarono lo sviluppo scientifico del tardo Rinascimento. Da allora quindi la scienza cinese, che già nel Medioevo aveva avuto una vivace serie di scambi di conoscenze con gli arabi, con gli Indiani e forse anche con gli europei, si trovò a essere semplicemente tributaria dell'Occidente, importando dapprima alcune concezioni astronomiche attraverso la mediazione dei gesuiti recatisi alla corte di Pechino sotto la dinastia Ch'ing (1644-1912) e subendo poi la forzosa immissione nel mondo moderno a seguito della dominazione occidentale indiretta dopo il 1842. L'introduzione nel Paese di una serie di nozioni tecniche e problemi propri della scienza occidentale promosse, almeno in una certa misura, una trasformazione del corredo scientifico tradizionale della scienza propriamente cinese. Fino agli ultimi decenni tuttavia non si è verificato un vero e proprio fenomeno di assimilazione e di reciproco scambio di acquisizioni tra i due diversi corredi scientifici, bensì una contrapposizione tra due diversi modi di intendere la scienza: da un lato quello di origine occidentale, considerato solo e unico veramente “scientifico”, dall'altro quello tradizionale, relegato nel settore arretrato della vita del Paese. Uno dei compiti specifici che si è proposto il movimento rivoluzionario è stato proprio quello di superare questa contrapposizione rigorosa e settoriale, da un lato diffondendo nelle campagne e tra le classi più povere una visione moderna della scienza e della tecnica, dall'altro mettendo a profitto per lo sviluppo moderno tutte quelle nozioni che, accumulate dalla scienza cinese tradizionale e soprattutto dal diffuso e vasto corredo di pratiche tecnologiche e artigianali, possono essere utilizzate per arricchire anche la scienza moderna. A questo proposito le scoperte cinesi recenti che hanno avuto maggior rilievo dal punto di vista scientifico sono state quelle che si riferiscono all'utilizzazione dell'agopuntura nella pratica dell'anestesia, applicata ormai in Cina in milioni di casi di interventi chirurgici di ogni tipo e gravità, oltre che nella cura della sordità e in qualche caso della cecità derivanti da lesioni ai nervi acustico e ottico. Nel campo della tecnologia più avanzata legata alle necessità militari si è pure messa in luce la necessità di applicare tecniche originali che consentano alla Cina, elaborando in modo nuovo i principi teorici e le tecniche di applicazione in precedenza adottati dagli altri Paesi, di percorrere con maggiore rapidità le tappe che in altri casi hanno richiesto lunghi anni di ricerca e di applicazione sia nel settore atomico sia in quello missilistico. A questa duttilità e originalità della ricerca teorica e all'apertura di vie nuove nell'applicazione pratica sono stati attribuiti i rapidi successi nello sforzo di ricerca, produzione e sperimentazione delle armi atomiche, iniziato dopo il 1959 e condotto innanzi tanto rapidamente da consentire di attuare il 16 ottobre 1964 un primo esperimento con un ordigno nucleare e di passare poi nel volgere di quattro anni all'esplosione di cariche termonucleari miniaturizzate e montate su vettori, mentre nel settore della missilistica il lancio avvenuto nella primavera 1970 di un satellite spaziale cinese ha dimostrato se non altro il rapido sviluppo di un settore tecnologico che viene ovviamente coperto dal massimo riserbo. Il lancio, inoltre, della sua prima navetta spaziale, Nave degli dei, capace di portare un uomo nello spazio, ha segnato alla fine del 1999 l'avvenuta modernizzazione della Cina. Gli anni Duemila hanno fatto registrare una scalata eccezionale della Cina tra i Paesi più attivi nel campo della ricerca spaziale. Grazie al Fondo cinese per l'astronautica sono stati, e saranno, sovvenzionati numerosi programmi spaziali, soprattutto in collaborazione con la Russia e in concorrenza con gli Stati Uniti.

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